TALLEYRAND-PÉRIGORD, Charles-Maurice, principe di

Enciclopedia Italiana (1937)

TALLEYRAND-PÉRIGORD, Charles-Maurice, principe di

Walter Maturi

Diplomatico e uomo politico, nato il 2 febbraio 1754 a Parigi, ivi morto il 17 maggio 1838. Nei suoi Mémoires, T. si compiacque mostrarsi assai trascurato dai genitori nei primi anni, ma in realtà ebbe un'educazione accurata e affettuosa prima a Chalais presso la principessa di Chalais, sua bisavola paterna, poi, dal 1762, al collegio d'Harcourt. Vero è che, siccome T. era cadetto e per un accidente era divenuto zoppo, i genitori vollero che egli si facesse prete e lo inviarono (1769) presso lo zio paterno Alessandro, coadiutore dell'arcivescovo duca di Reims La Roche-Aymon. Lo zio Alessandro non trascurò mezzo per svegliare nel nipote la vocazione ecclesiastica, ma senza alcun risultato. T. fu però ammesso ugualmente nel seminario di Saint-Sulpice (1770), e, a giudicare da alcune scappate amorose, che si compiaceva raccontare, non pare si sentisse molto oppresso dalla vita di seminarista. Ordinato suddiacono il 1° aprile 1775, gli si aprì subito avanti una brillante e lucrosa carriera. Il 24 settembre 1775 gli fu concessa la pingue badia di Saint-Denis di Reims; nello stesso anno la provincia di Reims lo nominò deputato e il cardinale arcivescovo di Reims promotore dell'assemblea del clero del 1775; dopo essere stato ordinato prete, il 18 dicembre 1779, divenne nel 1780 agente generale del clero a Parigi con l'abate T. de Boisgelin. L'abate de Boisgelin era tutto preso da madame de Cavenac e lasciava il peso della carica al collega, che, pur essendo anche lui tutt'altro che insensibile all'eterno femminino, s'iniziò con tale ufficio alla vita degli affari, dimostrando straordinaria capacità.

Consacrato vescovo di Autun il 16 gennaio 1789, T. fu nominato deputato agli Stati Generali, divenuti poi assemblea costituente. All'assemblea T. prese parte attiva e dimostrò particolare competenza nelle questioni finanziarie, combattendo l'emissione sempre più frequente d'assegnati. Notevole fu anche la sua azione nella trasformazione della Chiesa di Francia. Il 10 ottobre 1789 presentò la mozione per pagare il debito pubblico coi beni del clero; il 14 luglio 1790 celebrò la messa per il primo anniversario della presa della Bastiglia nella solenne festa al Campo di Marte; il 28 dicembre 1790 giurò la costituzione civile del clero, e, sebbene nel gennaio 1791 si fosse dimesso da vescovo per accettare l'elezione ad amministratore del dipartimento di Parigi, non si ricusò di consacrare i primi vescovi costituzionali e venne minacciato di scomunica da Pio VI coi suoi brevi del 10 marzo e del 13 aprile 1791. Lo stupendo Rapport sur l'instruction publique, letto all'assemblea nelle sedute del 10, 11 e 19 settembre 1791, chiude l'attività di T. come deputato alla Costituente. Nel 1792 il ministro degli Affari esteri Valdec de Lessart pose gli occhi sul T. per una missione a Londra. Si trattava d'impedire che l'Inghilterra si schierasse accanto all'Austria e T., con infinita abilità, seppe ottenere, il 25 maggio 1792, la dichiarazione di neutralità del governo britannico. Si trovava a Parigi nel fatale agosto 1792 e a lui fu dato dal consiglio esecutivo provvisorio l'incarico di stendere una memoria giustificativa degli avvenimenti del 10 agosto per le potenze europee. Assolto l'incarico, T. ritornò a Londra e là scrisse, il 25 novembre 1792, il famoso Mémoire sur les rapports actuels de la France avec les autres États de l'Europe, che rivela in lui la stoffa del grande ministro degli Esteri. Ma tale stoffa non la rinvenne la Convenzione, che rinvenne invece alcune lettere di T. alla corte e lo pose il 2 dicembre 1792 in stato d'accusa. T. tentò giustificarsi, ma si guardò dall'abbandonare l'Inghilterra. L'Alien Bill, però, nel marzo 1794 lo costrinse ad imbarcarsi per gli Stati Uniti. In America studiò accuratamente questioni commerciali e coloniali, visitò il paese, tentò varie speculazioni, fino a che i suoi amici politici in Francia non ottennero che fosse radiato dalla lista degli emigrati e avesse il permesso di ritornare in patria (1796).

Nominato, fin dal 14 dicembre 1795, membro dell'Istituto di Francia, nella seduta del 3 luglio 1797 lesse l'Essai sur les avantages à retirer des colonies nouvelles dans les circonstances présentes. Riprendendo un'idea dello Choiseul, uno dei migliori diplomatici dell'antico regime, T. additava alla Francia l'Egitto come compenso per le colonie americane che essa avrebbe certo perdute. Ma più che questa interessante comunicazione furono le pressioni di Madame di Staël che indussero Barras a far nominare T. ministro degli Esteri (16 luglio 1797). Il primo ministero di T. fu, in verità, assai poco brillante: in Italia Bonaparte faceva tutto da sé e a Parigi uno dei direttori, il Rewbell, aveva avocato a sé l'alta direzione degli Affari esteri: a T., quindi, non restava altro che inneggiare a tutto quello che Bonaparte operava e a prendersi in santa pace i rimproveri di Rewbell, che non lo amava. Per piacere a Bonaparte in cui presentiva l'avvenire, T., anzi, approfondì le sue idee sull'Egitto coi due rapporti del 27 gennaio e 13 febbraio 1798 e giunse a formulare la meta d'un Mediterraneo mare esclusivamente francese. Fallita la spedizione d'Egitto, una violenta campagna di stampa si sferrò contro T., che fu costretto a dimettersi (20 luglio 1799) e a difendersi con la pubblicazione degli Éclaircissemens. Sebbene negli Éclaircissemens avesse cercato riversare tutta la colpa della spedizione d'Egitto sul suo predecessore al Ministero degli esteri, Charles Delacroix, T. seppe rendersi tanto prezioso a Bonaparte nei maneggi per il colpo di stato del 18 brumaio da non perdere i suoi favori e da farsi, anzi, nominare di nuovo ministro degli Esteri, il 22 novembre 1799.

Neanche con Bonaparte T. poté imprimere al Ministero degli esteri un'impronta personale, e, conoscitore acuto degli uomini, non tentò affatto di farlo. Bonaparte dava le direttive, sceglieva di suo arbitrio i diplomatici, faceva firmare da suo fratello Giuseppe gli atti più importanti, come il trattato di Lunéville (9 febbraio 1801), il concordato con la S. Sede (15 luglio 1801), il trattato di Amiens (25 marzo 1802). A T. non restava altro che la parte d'un intelligentissimo interprete dei voleri del capo, ma in essa mostrava tale abilità da essere più volte rimpianto da lui quando non fu più ministro. Due volte solo T. rivelò il suo pensiero personale con accento di sincera, singolare energia mentale: nella memoria del 17 ottobre 1805, nella quale sosteneva l'indispensabilità dell'Austria per la salute delle nazioni civili ed esortava Napoleone ad accordarsi con essa, e nel rapporto del 28 gennaio 1807 sulla necessità di ricostruire la Polonia per l'equilibrio europeo. Nessuna delle due volte fu ascoltato, né egli se la prese, ma si consolava tesaurizzando: il trattato con gli Stati Uniti del 30 settembre 1800 gli fruttò due milioni e la secolarizzazione dei principati ecclesiastici tedeschi fu per lui una vera fortuna.

Uomo politico, T. si preoccupava della continuità del regime nuovo. Da un lato ebbe la sua parte di responsabilità nell'assassinio del duca d'Enghien (1804), dall'altra caldeggiò la creazione dell'impero ereditario e il divorzio di Napoleone. Uomo di corte nato, sentì subito in Fouché l'unico rivale temibile e capace presso Bonaparte e contribuì alla sua caduta (14 settembre 1802). Nessuno sapeva adulare meglio di T. il capo e questi sentiva in lui il fascino suggestivo della vecchia nobiltà, che conosceva l'arte di piacere. Il principato di Benevento, che T. possedette dal 3 giugno 1806 al 4 giugno 1815, fu il premio che T. ebbe per i suoi servigi. Il 9 agosto 1807, non si sa bene perché, T. lasciò al conte di Champagny il Ministero degli esteri ed ebbe una delle più lucrose cariche dello stato, quella di vice grande elettore con 330.000 franchi all'anno di assegno. Restò, però, consigliere privato dell'imperatore per gli affari esteri. Nei Mémoires T. sostiene che l'impresa di Spagna segnò il distacco tra lui e Napoleone, ma in realtà non fu l'impresa di Spagna bensì il cattivo esito di essa che separò i due uomini. T. ricordò a Napoleone i precedenti storici di Luigi XIV, si piegò all'ufficio di custodire gl'infanti di Spagna nel suo castello di Valençay (1808) e paragonava in una lettera all'imperatore la vittoria di Bessières a Medina del Río Seco con quella di Berwick ad Almanza. Vista, però, la resistenza spagnola, T. intuì che in essa era l'inizio della fine di Napoleone e nel convegno di Erfurt si preparò una passerella per il futuro. Invece di insinuare allo zar Alessandro l'avversione contro l'Austria, gli consigliò a non attaccarla e si legò con lui in rapporti segreti, il che era un vero e proprio delitto di alto tradimento. Il matrimonio del nipote di T., Edmondo di Périgord, con Dorotea di Curlandia, la futura duchessa di Dino (22 aprile 1809), fu la prima ricompensa che ebbe dallo zar. A Parigi intanto T. sparlava dell'impresa di Spagna e annodava intrighi con Fouché. Napoleone lo seppe, gli fece in pubblico una terribile scenata il 28 gennaio 1809 e gli tolse la dignità di gran ciambellano il 30 gennaio 1809. Era la disgrazia ufficiale, ma T. la subì in spirito d'obbedienza esemplare: nelle lettere, che scriveva alla sorella dell'imperatore, Elisa, effondeva la sua inalterabile devozione a Napoleone e fu tra i primi ad informarsi delle sue condizioni quando egli ebbe la lieve ferita di Ratisbona. Nel 1812 Napoleone pensò a T. per l'ambasciata di Varsavia, ma, per gl'intrighi della duchessa di Bassano, finì per preferirgli l'abate De Pradt, di cui fu poi scontentissimo. Fallita la spedizione di Russia, due volte (dicembre 1812 e novembre 1813) Napoleone offrì a T. il portafogli degli Esteri, ma T. si guardò bene dall'accettarlo. Egli era tutto intento a preparare la restaurazione dei Borboni, della quale fu magna pars nel 1814. Il ritorno al Ministero degli esteri, per volere di Luigi XVIII, fu il premio delle sue fatiche.

Toccò a T. liquidare i tristi effetti delle imprese napoleoniche col trattato di Parigi del 30 maggio 1814, ma al congresso di Vienna giunse all'apice della sua attività di diplomatico, facendo rientrare la Francia nel concerto delle grandi potenze e proclamando il principio di legittimità, che le dava una nuova forza morale. Gli storici francesi, salvo A. Sorel, non hanno, però, perdonato al T. l'aver permesso che la Renania fosse data alla Prussia, ma questo punto era uno dei capisaldi della ricostruzione europea posti fin dal 1804 dallo zar Alessandro e dal Pitt, né T. poteva scuoterlo.

La carica di presidente del consiglio (9 luglio 1815), dopo i Cento giorni, sembrò la più alta ricompensa che la monarchia borbonica potesse dare al T., ma il re non lo amava, né lo stimava; la nuova Camera lo avversava; lo zar Alessandro non dimenticava la parte che T. aveva assunto a Vienna per tenerlo in iscacco, in accordo con Castlereagh e Metternich. T. fu costretto a dimettersi il 24 settembre 1815, e, per rifarsi una verginità borbonica, prese a stendere a Valençay i suoi Mémoires. Poiché la monarchia disdegnava i suoi servigi, T. nella Camera dei Pari si andò accostando all'opposizione liberale e difese la libertà di stampa con due notevoli discorsi il 24 luglio 1821 e il 26 febbraio 1822. Nello stesso tempo si legava in amicizia con Royer-Collard e con Thiers, con la vecchia e con la giovane guardia del liberalismo. Memore dell'esperienza napoleonica, T. fu contrario all'impresa di Spagna e tenne contro di essa un discorso il 3 febbraio 1823. Ma i tempi erano cambiati: la Spagna del 1823 non era quella del 1808-14, sosteneva Thiers con T. e i fatti gli dettero ragione. Una grande stima legò allora quel vecchio a quel giovine. Thiers si andava a consigliare sempre da lui. Il celebre giornale Le National fu concepito in questi colloquî. Scoppiata la rivoluzione del 1830, T. inviò a Madame Adélaïde un messaggero per indurre Luigi Filippo, suo fratello, a farsi re.

L'avvento al trono di Luigi Filippo fece tornare T. alla diplomazia. Nominato ambasciatore a Londra (6 settembre 1830), ottenne dall'Inghilterra il riconoscimento del nuovo regime francese, partecipò alle conferenze per la questione belga (novembre 1830-novembre 1831) e, il 22 aprile 1834, concluse il trattato della quadruplice alleanza liberale (Inghilterra, Francia, Spagna, Portogallo), dopo una faticosa negoziazione nella quale ebbe a che fare con un uomo come Palmerston nel pieno vigore delle sue forze. Con questo trattato, che segnava in Europa l'equilibrio tra le potenze liberali e quelle assolutiste, T. pose termine in modo brillante alla sua carriera diplomatica. Il 25 novembre 1834 Luigi Filippo accettò le sue dimissioni e T. pensò allora a prepararsi per passare degnamente all'altra vita. Con una dichiarazione e una lettera al papa Gregorio XVI, firmate lo stesso giorno della morte, si sottomise alla Chiesa e rinnegò, peraltro in modo assai generico, gli atti scismatici da lui compiuti. Prima di morire volle anche, in una seduta dell'Accademia di scienze morali e politiche, nel fare l'elogio d'un suo collaboratore defunto, il Reinhard, fare l'elogio del diplomatico, e nel ritratto che egli fece del perfetto diplomatico gli ascoltatori riconobbero lui, che lasciava ai posteri la forma ideale, nella quale voleva essere ricordato.

Come Metternich, come Nesselrode, T. è un diplomatico tipico del sec. XVIII, nel quale armonicamente si fondevano politica e alta vita di società. È di T. il motto famoso: Qui n'a pas vécu dans les années voisines de 1789 ne sait pas ce que c'est que le plaisir de vivre. Metternich amava più le donne, Nesselrode forse più la tavola, di T. non si può dire che cosa amasse di più. Dalle sue prime avventure di seminarista all'attaccamento per la bella nipote, la duchessa di Dino, una lunga serie di donne abbellisce la vita del vescovo d'Autun. I pranzi, che egli teneva a Londra nel 1830-34, fecero epoca nella storia della gastronomia ed il suo cuoco Carême godé d'una meritata fama europea. Della vita il T. seppe godere tutti i piaceri. Come diplomatico, restò fedele in sostanza al concetto d'equilibrio, così come era inteso nel sec. XVIII, e mai fu più efficace ed eloquente come quando ne parlava, sebbene fosse costretto a porre la sua abilità a servizio della sfrenata politica di conquista della rivoluzione e dell'impero. Come uomo politico, T. ebbe vivissimo il senso delle realtà immediate: nessuno quanto lui sapeva fiutare in anticipo i cambiamenti politici e sapeva evolversi in tempo. Né gli mancarono cognizioni tecniche, specialmente nel campo economico e finanziario. Ma, nonostante tutte queste qualità, il suo nome non assurse alla grandezza del vero uomo di stato, tipo Bismarck o Cavour: per esserlo gli mancavano alcune vedute generali e soprattutto la fede in una missione da assolvere. La maggior parte della corrispondenza diplomatica di T. è stata pubblicata da G. Pallain, La mission de T. à Londres en 1792, (Parigi 1889); id., Le ministère de T. sous le Directoire (ivi 1891); id., La correspondance inédite du prince de T. et du roi Louis XVIII pendant le Congrès de Vienne (ivi 1881); id., L'ambassade de T. à Londres 1830-31 (ivi 1891); P. Bertrand, Lettres inédites de T. à Napoléon 1800-o9 (ivi 1889). Di T. sono stati pubblicati dal duca de Broglie, Mémoires du prince de T. (Parigi 1891-92), voll. 5, di sicura sostanziale autenticità.

Bibl.: G. Lacour-Gayet, T., voll. 4, Parigi 1930-34. Le più belle analisi dell'uomo e del diplomatico sono quelle di Ch.-A. Sainte-Beuve, Nouveaux lundis, XII, e di A. Sorel, Essais d'histoire et de critique, ivi, 6a ed., pp. 55-93; id., Lectures historiques, ivi, 13a ed., pp. 71-112. Su alcuni punti fondamentali: E. Dard, Napoléon et T., ivi 1935; Ch. Dupuis, Le ministère de T. en 1814, ivi 1919-1920. Per l'amministrazione di Benevento, A. M. P. Ingold, Bénévent sous la domination de T., ivi 1916.

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