Talento

Enciclopedia Dantesca (1970)

talento

Guido Favati

Gallicismo, che sta per " voglia ", " desiderio ", " disposizione d'animo verso qualcosa ". Così in Rime LII 7 (il sonetto del vasel), dove il poeta si augura che, vivendo sempre in un talento, con " una sola voglia " (così Contini, che nota: " ‛ unum velie et unum nolle ' era [da Sallustio] la allora proverbiale definizione dell'amicizia. Ma è probabile una coperta allusione al filtro amoroso bevuto, appunto in nave, da Tristano e Isotta ": cfr. Letteratura italiana delle origini, Firenze 1970, 337) nella fatata navicella con Lapo Gianni e Guido Cavalcanti, di stare insieme crescesse 'l disio; o in Fiore LXXIII 6; così ancora in If II 81 più non t'è uo' ch'aprirmi il tuo talento, cioè manifestarmi " quel che desideri ", " quel che ti piace ch'io faccia ", e X 55, dove di Cavalcante si dice che, vedendo D. presso la sua tomba infuocata, dintorno mi guardò, come talento / avesse di veder s'altri era meco; in Rime XCI 45 si ha contra talento.

Più complessa l'occorrenza di Pg XXI 64, dove Stazio spiega a Virgilio che le anime del Purgatorio non possono muoversi dalla cornice in cui sono relegate finché non abbiano espiato la loro colpa; e ciò non perché non vogliano il proprio bene e quindi non aspirino al Paradiso, ché anzi in questo senso va il moto primo della volontà (l'anima vuol ben); ma, nel caso specifico, il desiderio (talento) delle anime del Purgatorio è che si compia la giustizia divina (la divina giustizia... pone al tormento il t.), con ciò vincendo il moto naturale della volontà (contra voglia), così come lo aveva vinto al momento del peccato (come fu al peccar). In questo contesto, voglia sembra designare la volontà assoluta, in sé considerata, che, avendo a proprio oggetto il bene in sé, tende ad esso come freccia partita dall'arco tende al bersaglio (cfr. Pd I 109-126); t. è invece la volontà considerata in rapporto a qualcosa (volontà relativa), cioè la facoltà che di volta in volta vuole ciò che in qualche modo si presenti sotto forma di bene, anche se in realtà l'oggetto del volere è lontano dal bene in sé: in vita si trattò del peccato, qui si tratta del tormento. (Diversamente intende il Torraca: t. è l'appetito sensitivo punito col tormento). Per la distinzione tra volontà assoluta e volontà relativa si suol far riferimento a Tomm. Sum. theol. III, Supplem., app. 11 2; il rinvio va corretto: si tratta dell'app. I 4c.

Nello stesso senso va inteso anche If V 39 [i lussuriosi] la ragion sommettono al talento; la ragione rappresenta e considera il bene in sé, il t. sceglie un bene particolarmente appetibile in un dato momento (a proposito di questo verso, cfr. il passo del Trssor II XX 6 segnalato dal Mazzoni, in Nuove Lett. I 141 n. 2; " On doit contrester au desirier de delit; car ki se laisse vaincre, la reison remaint sous le desirier ".