SVIZZERA

Enciclopedia Italiana (1937)

SVIZZERA (A. T., 20-21)

Mario SALFI
Anna Maria RATTI
Claudia MERLO
Fabrizio CORTESI
*
Delio CANTIMORI
Luigi CHATRIAN
Otto TSCHUMI
Ernesto GAGLIARDI
Arthur HABERLANDT
Paul GEIGER
Rudolf KAUFMANN
Giuseppe GABETTI
Karl Gustav FELLERER
Hans FRITZSCHE

Stato dell'Europa centrale il cui nome deriva da quello del cantone di Schwyz (v. oltre).

Sommario. - Estensione e confini (p. 73); Rilievo e morfologia (p. 74); Clima (p. 76); Idrografia (p. 76); Flora e vegetazione (p. 77); Fauna (p. 79); Popolazione (p. 79); Condizioni economiche (p. 81); Commercio e vie di comunicazione (p. 85). - Ordinamento dello stato: Ordinamento costituzionale (p. 88); Forze armate (p. 89); Culti (p. 89); Ordinamento scolastico (p. 91); Finanze (p. 91). - Preistoria (p. 92). - Storia (p. 93). - Lingue (p. 102). - Etnografia e folklore (p. 103). - Arte (p. 106). - Letteratura (p. 111). - Musica (p. 113). - Diritto (p. 115). - Tavv. XV-XXX.

Estensione e confini. - Entro i confini attuali, fissati al congresso di Vienna nel 1815, la Svizzera abbraccia una superficie di 41.294,9 kmq. La linea di confine (1854,5 km.) ha un percorso sinuoso e irregolare, specialmente a S., dove il Canton Ticino si addentra, grosso modo, a forma di triangolo, nella regione italiana, e coincide solo in parte con limiti naturali. Il confine più lungo è appunto quello che divide la Svizzera dall'Italia (733 km.), assegnando alla prima alcuni lembi del versante meridionale delle Alpi: alto bacino del Ticino, Val Bregaglia (percorsa dalla Mavia, immissario del Lago di Como), Val di Poschiavo (bacino dell'Adda), Val Monastero (bacino dell'Adige).

La Svizzera è situata all'orlo meridionale della media Europa e deve la sua individualità principalmente all'essere uno stato alpino e interno, situato fra paesi d'intensi scambî, i quali, in corrispondenza alle Alpi - il maggiore ostacolo che si opponga alle comunicazioni in Europa - sono costretti a seguire alcuni passaggi obbligati. Il primo nucleo dello stato, costituito dai cantoni alpini di Schwyz, Uri e Unterwalden, si formò nel sec. XIII come "stato di passo" a guardia della via scendente dal Passo del Gottardo per la valle della Reuss al Reno, pochi decennî dopo che col famoso Ponte del diavolo sulla gola di Schöllenen, si era aperta la via altrimenti impraticabile dell'alta valle della Reuss. Nel sec. XIV, a queste comunità montane si univano quelle di Berna, Lucerna, Zurigo, centri commerciali sulle strade dall'Italia alla Germania. Se la confederazione si è successivamente estesa fuori del mondo alpino fino al Giura, è stato per assicurarsi lo sbocco delle strade scendenti dalle Alpi nel corridoio interposto fra queste e il Giura e il passaggio obbligato fra il Giura e la Selva Nera (guardato da Basilea) per cui tutte queste strade sboccano nella media valle del Reno, nel cuore dell'Europa.

Non è poi senza significato che la maggior espansione della Svizzera sul versante meridionale delle Alpi sia in corrispondenza al Canton Ticino, dove corrono la strada e la ferrovia scendenti dal S. Gottardo verso la Pianura Padana.

Per questa sua funzione di paese di passaggio, la Svizzera è intimamente legata coi paesi vicini, dai quali del resto è in stretta dipendenza per la sua posizione interna, senza sbocco sul mare. Anche la sua economia si è sviluppata in modo da renderla intimamente legata all'estero, sia per gli acquisti sia per le vendite, mentre la compagine etnica risultante dalla convivenza delle nazionalità dei paesi confinanti, è l'espressione tangibile della sua fisonomia internazionale.

Il punto più settentrionale della Svizzera è a 47° 48′ 32″ nel cantone di Sciaffusa; il più meridionale a 45° 49′ 2″ nel Canton Ticino; il punto più occidentale è a 5° 57′ 26′′ long. E. nel Cantone di Ginevra; il più orientale a 10° 29′40″ nel Cantone dei Grigioni.

Rilievo e morfologia. - La Svizzera è per eccellenza uno stato di montagne, di colline, di altipiani, privo di pianure. Circa il 60% del territorio è compreso nella regione alpina, che ne occupa la parte centro-orientale e meridionale. A NO. s'innalzano le catene del Giura. Fra queste e le Alpi si stende una regione relativamente depressa, formata di colline separate da ampie valli e di altipiani, che occupa circa il 30% dell'intero stato. Essa degrada verso NO. fino a un ampio solco pianeggiante, su cui scende ripida la montagna del Giura, mentre le Prealpi degradano verso la regione centrale senza un confine ben delimitato. Tre regioni naturali si distinguono dunque nella Svizzera, e ad esse corrispondono differente struttura geologica, diversità di paesaggi e di forme di vita.

La Svizzera, che comprende la maggior parte delle Alpi Centrali, e anche un lembo del gruppo del M. Bianco (non inclusavi però la massima cima), abbraccia una delle sezioni del sistema più elevate e complesse. Un carattere morfologico fondamentale è costituito dalla presenza dell'ampio solco longitudinale in cui scorrono gli alti corsi del Rodano e del Reno; l'attraversa per intero con direzione SO.-NE. e ne è caratteristica la dissimmetria dei versanti: a N. le catene montuose scendono quasi a picco su di esso dalle loro massime elevazioni, mentre l'altro versante è formato, almeno alle due estremità, da una serie di catene montuose più o meno ramificate, che si dipartono dalle massime cime culminanti più a S. Il Reno e il Rodano dalla parte centrale e più elevata scendono, l'uno verso NE. e l'altro verso SO., per poi mutare direzione e tagliare ambedue la catena alpina con una valle trasversale. Questo solco longitudinale che esisteva certo già prima che i grandi ghiacciai quaternarî lo sovraescavassero e gli dessero la forma attuale, è molto elevato in corrispondenza alle alte valli del Reno e del Rodano e all'Urseren Tal, che ne costituisce la parte centrale ed è percorsa dalla Reuss, ma il suo fondo s'infossa fino a meno di 500 m. nella valle del Rodano, a meno di 600 in quella del Reno: lo inquadrano specialmente nel Vallese, cime superiori a 3 e 4 mila metri, e le valli laterali, quasi sempre sospese, gli mandano le acque attraverso gole selvagge o pittoresche cascate.

A S. del solco longitudinale ora descritto, la Svizzera comprende anzitutto il versante settentrionale delle Alpi Pennine o Alpi del Vallese, con il M. Rosa (4638 m.), che presentano alla Svizzera un versante più ampio di quello volto all'Italia; ma le dorsali montuose che vi si diramano, separate da selvagge vallate, si mantengono elevatissime (oltre 3-4000 m.) e scendono verso la valle del Rodano a guisa d'imponenti bastioni, mentre è anche da questo lato che si trovano i maggiori ghiacciai. Dal passo del Sempione a quello dello Spluga s'innalzano le Alpi Lepontine, di cui la Svizzera comprende anche la massima parte del versante meridionale. Vi si distinguono i gruppi del M. Leone, delle Alpi Ticinesi col S. Gottardo e dell'Adula. Le montagne che s'innalzano intorno al Passo del S. Gottardo e all'Urseren Tal (Dammastock, gruppo del S. Gottardo, Finsteraar: v. sotto) formano il cuore della Svizzera alpina. Vi si trova il maggior nodo idrografico delle Alpi, donde scendono da ogni parte le acque (Reno e Aar, Rodano, Toce e Ticino). La grande via segnata dalla valle del Ticino-S. Gottardo-valle della Reuss, mette in comunicazione la Pianura Padana col Reno, il Mediterraneo con il Mare del Nord: essa incrocia nel suo punto centrale il ricordato solco longitudinale, la più ampia breccia che si apre nel cuore delle Alpi. Il S. Gottardo e le montagne che lo circondano costituiscono pertanto un nodo orografico, idrografico, commerciale, strategico di primissima importanza.

A E. del Passo dello Spluga, s'innalzano le Alpi Retiche, divise in due parti dall'alta valle longitudinale dell'Inn o Engadina: a NO. scendono precipiti su di essa i gruppi dell'Albula e del Silvretta, che invece mandano verso il Reno lunghe e ramificate dorsali separate da tutta una serie di vallate; a SE. è l'imponente massiccio del Bernina (4052 m.) di cui appartiene alla Svizzera solo il versante nord. Tutta questa sezione orientale delle Alpi Svizzere è ricca di valichi (Bernina, Maloggia, Giulio, Albula, Fluela).

A N. del solco longitudinale Rodano-Reno s'innalzano, nel cuore della Svizzera, fra la valle del Rodano e quella della Reuss, le Alpi Bernesi, con gli aspri gruppi calcarei dei Diablerets, Wildhorn, Wildstrübel, quindi l'imponente gruppo cristallino del Finsteraarhorn, che vanta alcune delle più famose vette della Svizzera (Jungfrau 4166 m., Finsteraarhorn 4273 m., Aletschhorn 4182 m., ecc.), e la più grande area ghiacciata di tutte le Alpi; fra le valli dell'Aar e della Reuss il massiccio del Dammastock, da cui scende il ghiacciaio del Rodano.

A E. della Reuss, le Alpi di Glarona superano ancora i 3500 m. nel gruppo del Tödi (m. 3623).

Le catene alpine vere e proprie sono precedute sul versante settentrionale dalle Prealpi Svizzere. La distinzione fra Alpi e Prealpi è tutt'altro che netta; tuttavia le Prealpi sono meno elevate e formano un paesaggio distinto da quello alpino. Non omogeneo però in tutta la loro estensione, ma con varietà di aspetti e di struttura: alle compatte catene longitudinali delle Prealpi Friburghesi succedono le forme più varie e frammentarie delle Prealpi Centrali, isolate in massicci da valli numerose e ricche di laghi, mentre le Prealpi di S. Gallo o di Thur a NE. sono smembrate da ampie valli trasversali che penetrano fino nel cuore della montagna.

Varia è la struttura geologica delle Alpi Svizzere: a S. del solco longitudinale Rodano-Reno prevalgono i terreni cristallini proprî della zona assiale della catena alpina; a N. i terreni cristallini antichi costituiscono i massicci del Finsteraarhorn, col Dammastock, e del Tödi; poi si stende la zona calcarea esterna, costituita prevalentemente di calcari del Cretacico, ai quali si alternano le arenarie terziarie del Flysch e anche la molassa e la puddinga al margine più esterno del mondo alpino. Ma le Alpi calcaree sono poco estese in Svizzera, in confronto alla sezione orientale della catena, perché una grandiosa opera di demolizione degli agenti esterni ha asportato in gran parte la copertura di strati calcarei del Terziario.

Tettonicamente, le Alpi Svizzere corrispondono ad una delle parti più complicate del sistema, in cui le falde di carreggiamento (v. alpi) si sono accavallate le une sulle altre, interessando fino la zona esterna delle molasse e puddinge terziarie. Nel cuore della regione si trova uno dei massicci erciniani antichi che costituirono la primitiva ossatura delle Alpi: il massiccio dell'Aar-San Gottardo (Finsteraarhorn, Dammastock, S. Gottardo, parte del Tödi).

Fra le Alpi e il Giura, fra i laghi di Ginevra e di Costanza, si stende per una lunghezza di circa 300 km. una regione di basse montagne, di colline, di pianalti, tutta trasformata in prati e campi, ricca di industrie e di traffici. Viene designata con varî nomi: il più adatto sembra essere quello di "Mittelland" cioè "paese centrale", e tale è veramente, non solo perché forma la parte centrale della Svizzera tra le Alpi e il Giura, ma anche perché ne è il centro economico e demografico: qui lo designeremo "Altipiano Centrale".

Geologicamente e geograficamente rappresenta l'avanpaese delle Alpi. Consta essenzialmente di molassa e puddinga del Terziario a cui si alternano depositi alluvionali quaternarî, depositi morenici e terrazze glaciali e fluvio-glaciali.

Durante il Terziario medio, in seno alle acque marine e dolci stendentisi in questa parte della Svizzera, i torrenti che scendevano dalla catena alpina, la quale già aveva subito i primi grandiosi sollevamenti, depositarono i loro detriti che diedero luogo all'attuale formazione di molassa. Nel Terziario inferiore, quando avvenne l'ultimo sollevamento alpino e si formarono le pieghe del Giura, questa zona, che formava quasi un penepiano, fu sollevata e, al margine delle Alpi, anche fortemente piegata. Sopraggiunsero quindi le grandi glaciazioni quaternarie a trasformarne l'aspetto. La glaciazione diluviale antica coperse tutto il paese, spingendosi anche sul Giura. Nel grande interglaciale le acque correnti asportarono quasi totalmente i depositi lasciati dai ghiacciai: intanto, in seguito a un abbassamento del livello di base del Reno nella piana alsaziana, i corsi d'acqua della parte nord-orientale dell'Altipiano, infossandosi per raccordarsi ad esso, scavarono negli strati della molassa ampie e profonde vallate scendenti verso l'Aar e il Reno. Esisteva già il gran solco che si allunga ai piedi del Giura. Grandissima importanza nel determinare le forme del paesaggio ebbe poi la glaciazione diluviale recente, anche se meno estesa dell'antica.

Mentre il Giura scende a guisa di barriera sul solco che è ai suoi piedi, il confine dell'altipiano verso le catene prealpine è incerto, né si può identificare con quella della formazione di molassa perché al margine di questa sono comprese montagne (Rigi, ecc.) che hanno carattere alpino.

Nell'Altipiano Centrale si possono distinguere quattro parti principali: anzitutto il solco sub-giurassico, che si allunga ai piedi del Giura, con direzione SO.-NE., e accoglie i laghi di Neuchatel e di Biel, un tempo molto più estesi e quindi il corso dell'Aar: vi si trovano le uniche zone pianeggianti, un po' estese, della Svizzera, a un'altezza che si può calcolare fra i 400 e i 500 metri; a ovest l'Altipiano friburghese, nel quale la Sarine ha scavato la serie dei suoi profondi meandri.

Nel centro si notano la montagna del Napf, solcata da un ventaglio di profonde valli dai fianchi ripidi (Graben) che irraggiano verso le ampie vallate periferiche dell'Entlebuch e dell'Emmental, e la vallata dell'Aar ricca di depositi glaciali; a NE. infine l'Altipiano Centrale è formato da tutta una successione di valli aventi direzione SE.-NO., colme di depositi glaciali, ampie, spesso occupate da laghi, separate da dorsali parallele.

L'estremità nord-occidentale della Svizzera, dal Lago di Ginevra fino al Reno e all'Aar, fa parte della zona montuosa calcarea del Giura. Appartiene essenzialmente al Giura a pieghe, con la sua caratteristica serie regolare di pieghe parallele aventi direzione SO.- NE. (crêtes), che chiudono delle valli (vals) allargantisi spesso in bacini privi di scolo superficiale perché le acque filtrano attraverso il suolo calcareo; con le combes, alti bacini che l'erosione ha scavato intaccando la cerniera delle anticlinali; con le pittoresche gole delle cluses, che tagliando trasversalmente le creste permettono ai corsi di acqua di uscire dalle valli longitudinali. Le pieghe montuose, che chiudono ampî bacini nell'Alto Giura di Neuchâtel, si presentano più serrate nell'Alto Giura Bernese. La massima altezza del Giura Svizzero è toccata dal M. Chasseral (1650 m.). A S. del Reno, fra Basilea e la confluenza dell'Aar, si stende il "Giura Tabulare": rappresenta la zona sedimentaria che si depositò al piede del massiccio erciniano della Selva Nera. nella quale i corsi d'acqua scavarono ampie vallate, quando, abbassatosi come già si è detto il livello di base del Reno nel grande interglaciale, la loro opera di erosione fu riattivata.

Clima. - Benché estesa solo due gradi in lat. la Svizzera mostra, data la varietà del rilievo, grande diversità di climi. Complessivamente appartiene al territorio di transizione fra i paesi a clima atlantico dell'Europa centro-occidentale e quelli a clima continentale dell'Europa orientale: dall'Atlantico le vengono i venti di O. e di NO., miti e apportatori di abbondanti precipitazioni; da E. e NE., invece, venti continentali freddi e asciutti. Sul versante meridionale delle Alpi (Canton Ticino) si fa sentire l'influenza mediterranea.

Per le caratteristiche generali della zona alpina, v. alpi: Clima; ma alcune peculiarità che assumono particolare risalto nella parte svizzera delle Alpi devono essere qui segnalate. In primo luogo, quanto al regime dei venti, la grande importanza che assume nelle valli del versante esterno il föhn (v.). Si manifesta come violenta corrente discendente, calda e secca, specialmente nelle valli che si aprono sul versante esterno con direzione SE.-NO. o S.-N. (valle del Reno fino al Lago di Costanza, valli della Linth, Reuss, del Rodano, da Martigny al Lago di Ginevra) facendo sentire la sua influenza fino nella regione dell'Altipiano e nel Giura; soffia specialmente nei mesi di marzo, aprile e maggio, ma anche in ottobre e novembre. Se il föhn provoca talora gravi danni, esercita però un benefico influsso su queste regioni, che sotto il riguardo termico si possono considerare come oasi climatiche. In generale, quanto alla temperatura, si notano nella regione alpina differenze locali anche fortissime dovute alla diversa posizione e alla presenza dei maggiori solchi trasversali e longitudinali che determinano nel cuore della montagna condizioni climatiche in contrasto stridente con quelle dei vicini versanti. Come in tutte le Alpi, durante l'inverno si manifesta frequentemente il fenomeno dell'inversione della temperatura.

La distribuzione geografica delle precipitazioni varia molto secondo le condizioni locali (v. cartina). Sono abbondantissime in tutte le Alpi e le Prealpi di NE. fra Reuss e Reno, assai meno nella zona alpina centrale e occidentale, alquanto riparate dai venti umidi dell'Atlantico dal Giura, ma i più alti massicci delle Alpi Bernesi e Pennine ricevono precipitazioni copiosissime. Un po' meno piovosa è la zona alpina dei Grigioni. Il solco longitudinale Rodano-Reno rappresenta una zona di scarse precipitazioni, soprattutto nel Vallese, dove si toccano i valori più bassi di tutta la Svizzera: il fondo pianeggiante del gran solco glaciale riceve meno di 600 mm. annui di precipitazioni, mentre le temperature invernali vi sono relativamente molto miti, tanto che vi può prosperare, sul versante volto a S., la vite.

In tutte le Alpi le precipitazioni avvengono in gran parte sotto forma di neve: il limite delle nevi eterne è tanto più basso quanto maggiore è la quantità annua di precipitazioni, perciò si abbassa a 2450 m. nella Montagna del Säntis, mentre sale a 2800--2900 nell'Oberland Bernese, a 3000-3200 nel Vallese.

Il clima del Canton Ticino è molto più mite di quello del versante s-ttentrionale delle Alpi. Le sue valli sono battute da venti discendenti che spirano da N. specialmente in inverno e primavera, che hanno caratteristiche simili a quella del föhn. Una vera oasi climatica costituiscono le sponde del Lago Maggiore e del Iago di Lugano su cui prosperano le piante mediterranee. Le precipitazioni, che segnano un massino in autunno e un altro secondario in primavera-estate, sono abbondanti, ma si concentrano in un numero di giorni piovosi minore che nel versante settentrionale, e cadono di preferenza sotto forma di violenti acquazzoni; anche le nebbie sono molto meno frequenti.

L'Altipiano presenta, in confronto alle Alpi considerate nel loro complesso e al Giura, un clima relativamente mite. È battuto dai venti miti e umidi provenienti dall'Atlantico, ma anche da quelli freddi e secchi di N. e NE. (localmente bise) che soffiano violenti specialmente quando s'incanalano nella parte occidentale e sud-occidentale della regione. Le temperature vi sono relativamente miti, specialmente verso est: la regione è in gran parte compresa fra le isoterme medie di gennaio di 0° e −2° (temperature analoghe si trovano solo nella valle del Rodano, o nel Canton Ticino), mentre anche le temperature estive non sono eccessive. In autunno e in inverno sono frequenti le nebbie. Le precipitazioni diminuiscono dal margine delle Alpi verso il solco subgiurassico, dove un'ampia zona, a SO., riceve men di 900 mm. di precipitazioni all'anno. Non vi è stagione asciutta, ma l'epoca dell'anno più piovosa è l'estate, verso SO. l'autunno. Una vera oasi climatica è costituita dalle sponde del Lago di Ginevra, specialmente nel tratto fra Losanna e Montreux; ed anche gli altri laghi (dei Quattro Cantoni, di Zurigo, di Costanza) costituiscono zone favorevoli nei riguardi del clima.

Il clima del Giura è aspro, con basse temperature invernali e forte innevamento; in alcune valli si manifesta l'inversione della temperatura. I venti di O. e NO. scaricano su di esso parte della loro umidità, sicché riceve precipitazioni abbondanti benché i loro valori rimangano molto inferiori a quelli della regione alpina. Di un clima particolarmente mite e sereno gode il territorio di Basilea, che il Giura protegge dalle nebbie così frequenti nella zona dell'Altipiano.

A conclusione di quanto è stato detto, ecco i dati climatici di alcune località (medie di lunghi periodi di osservazione):

Idrografia. - Per la sua posizione nel cuore della regione alpina, là dove le acque scendono in tutte le direzioni dando origine a grandi correnti fluviali, la Svizzera possiede l'alto corso di alcuni fra i maggiori fiumi europei. Le sue acque appartengono a quattro principali versanti: del Mare del Nord, del Mediterraneo occidentale, del Mar Nero e dell'Adriatico.

Circa il 67% delle acque della Svizzera defluisce al Mare del Nord per il Reno e i suoi affluenti. Le appartengono il corso del Reno Anteriore, dalle origini nel gruppo del S. Gottardo fino alla confluenza nel Reno Posteriore che scende dallo Spluga entro la selvaggia valle trasversale percorsa dalla famosa Via Mala, e poi ancora il gran fiume fino poco oltre Ragaz: di qui al Lago di Costanza e a valle di questo appartiene alla Svizzera, salvo brevi tratti, solo la sponda sinistra (il percorso del Reno in Svizzera è lungo 375 km., bacino 36.494 kmq.). Il più importante affluente del Reno in Svizzera è l'Aar (lunghezza 295 km., bacino 17.779 kmq.), che è anche il maggior fiume il cui bacino le appartiene interamente. Scende dal nodo idrografico centrale e attraversa le Alpi e l'Altipiano con direzione generale SE.-NO., poi volgendo a NE. scorre nell'ampio solco che si stende al piede del Giura. Un canale ne deriva parte delle acque nel Lago di Biel. L'Aar riceve a sua volta affluenti importanti, quali il Simme e la Sarine-Saane da sinistra, l'Emme e, più importante di tutti, la Reuss (lunghezza 158,5 km., bacino 3425 kmq.), da destra. Questa ha le sorgenti non lontane da quelle dell'Aar e, dopo aver formato l'alta valle longitudinale di Urseren, taglia con una valle trasversale la regione alpina e prealpina: segna la grande strada scendente dal Gottardo al Reno, e attraversa il più tipico dei grandi laghi prealpini della Svizzera, quello dei Quattro Cantoni. Subito a valle della confluenza con la Reuss, l'Aar riceve ancora la Limmat, emissario del Lago di Zurigo, a monte del quale ha nome Linth. Defluisce invece direttamente nel Reno il Thur; presso Basilea il Reno riceve, dal Giura, il Birs. Il Reno Posteriore, prima di unirsi a quello Anteriore, riceve l'afflusso di parecchie vallate dei Grigioni, tra cui quella longitudinale della Landwasser. Circa un sesto delle acque del territorio svizzero defluisce al Mediterraneo occidentale per mezzo del Rodano, che appartiene alla Svizzera dalle sorgenti (al ghiacciaio omonimo scendente dal Dammastock) fino al suo ingresso nel Lago di Ginevra, e poi ancora per breve tratto a valle di questo (in tutto per una lunghezza di 262,6 km. e 10402,9 kmq. di bacino). Fa parte del bacino del Rodano anche il Doubs, che a NO., nel Giura, segna in parte il confine tra la Svizzera e la Francia.

Il versante adriatico scola le acque di 1/12 del territorio svizzero principalmente per mezzo del Ticino e dei suoi affluenti. Del Ticino appartiene alla Svizzera l'alto corso, dalle sorgenti, nel gruppo del Monte Leone-Gottardo, fino all'ingresso nel Lago Maggiore (91 km., 1616 kmq. di bacino); a questo defluiscono direttamente il Maggia, il Verzasca, ecc. Appartiene alla Svizzera anche l'alto corso del Maira, che scende dalla zona del Passo del Maloggia e defluisce nel Lago di Como (bacino dell'Adda). Infine il 4,39% del territorio svizzero manda le sue acque al Mar Nero per mezzo dell'Inn (bacino del Danubio), che attraversa l'Engadina. Il corso dell'Inn in territorio svizzero è lungo 104 km., il suo bacino è vasto 2190 chilometri.

I fiumi della Svizzera che scorrono nel cuore delle Alpi hanno regime alpino o glaciale, cioè sono alimentati principalmente dai ghiacciai e dalle nevi eterne e presentano quindi piene estive al tempo della fusione di questi e forti magre invernali (Reno, Aar, Reuss, Rodano Vallesano). I fiumi della regione prealpina e dell'Altipiano hanno forti piene primaverili al tempo della fusione delle nevi e acque alte in estate per le piogge, basse invece in autunno e in inverno. I fiumi del versante meridionale delle Alpi sono anch'essi alimentati dalla fusione delle nevi e dalle acque di pioggia, ma il massimo delle acque alte provocato da queste si sposta verso l'autunno, e inoltre presentano oscillazioni più forti. La regione del Giura, e in minor grado anche la zona calcarea delle Alpi, sono ricche di fenomeni carsici.

Poiché i fiumi della Svizzera scorrono in alta o media montagna, non hanno generalmente importanza per la navigazione. Solo l'Aar nel solco subgiurassico è stato utilizzato in passato per le comunicazioni e non mancano anche di recente progetti per regolarizzarne il corso e, unendolo ai laghi di Biel e di Neuchâtel, stabilire una via d'acqua dal Lago di Ginevra, e quindi dal Rodano al Reno. Ma d'altra parte le acque dei fiumi costituiscono una preziosa riserva di energia (v. sotto).

Appartengono alla Svizzera le più vaste zone ghiacciate delle Alpi: soprattutto le Alpi Pennine e Bernesi si ammantano di maestosi ghiacciai (v. alpi).

Un'altra caratteristica, veramente mirabile, del paesaggio svizzero è costituita dai laghi, dai piccoli laghi pittoreschi che occhieggiano numerosi nelle solitudini alpine, ai grandi laghi prealpini.

I maggiori sono i laghi vallivi che si trovano all'orlo delle Alpi e occupano solchi già esistenti prima delle glaciazioni quaternarie, ma che da queste furono sovraescavati ed ebbero la forma attuale. Sul versante meridionale la Svizzera divide con l'Italia il possesso del Lago Maggiore, di cui le appartiene solo l'estremità settentrionale, e di quello di Lugano, che le appartiene per la maggior parte; sul versante settentrionale divide, rispettivamente, con la Francia e con l'Austria e la Germania, il possesso dei due grandi laghi di Ginevra e di Costanza. Nella valle dell'Aar si allungano i laghi di Brienz (29,18 kmq.) e di Thun (47,80 kmq.), che un tempo formavano un solo lago, poi diviso in due sezioni dal delta della Lütschine. Ma la zona più ricca di laghi è quella delle Prealpi Centrali, che si adorna del pittoresco Lago dei Quattro Cantoni (113,80 kmq.); un tempo era molto più esteso: vanno considerati come relitti di un suo braccio i laghi di Sarnene e di Lungern.

Fa parte del bacino della Reuss, come il Lago dei Quattro Cantoni, anche il Lago di Zug (38,24 kmq.). Nel bacino della Linth-Limmat si trovano il Wallensee (24,23 kmq.) e il Lago di Zurigo (88,52 kmq.). Ricche di laghi (di Sempach, di Baldegge e Hallwill) sono le ampie vallate della regione nord-orientale del Mittelland. Un'altra serie di laghi, comunicanti fra loro e anche questi un tempo più estesi, si trova nella parte sud-occidentale del solco subgiurassico: il Lago di Neuchâtel (215,81 kmq.), il maggiore dei laghi interamente svizzeri; poi i laghi di Biel (39,20 kmq.), in comunicazione con quello di Neuchâtel per mezzo della Zihl, e in comunicazione con l'Aar; il Lago di Murten (22,82 kmq.), che immette nel Lago di Neuchatel per mezzo del corso del Broye, mentre a valle di Berna l'ampia valle dell'Aar forma due laghi lunghi e sinuosi.

La regione alpina accoglie numerosi piccoli laghi (v. alpi; ricordiamo quello di Marjelen, nel ghiacciaio di Aletsch e quelli di Sils, Silvaplana, St. Moritz in Engadina, formati da conoidi).

Nella regione del Giura infine si trovano laghi carsici, doline, ecc. È molto noto il Lago di Joux; l'Orbe che ne porta le acque al Lago di Neuchâtel, ha dapprima un corso sotterraneo e poi sgorga alla superficie in grosse sorgenti carsiche.

Flora e vegetazione. - La posizione e la costituzione del territorio svizzero, il suo clima rendono molto ricca e variata la flora e la vegetazione della Svizzera.

Si possono distinguere, sotto l'aspetto altimetrico, quattro zone di distribuzione dei vegetali: 1. zona inferiore, che è anche quella della vite e degli alberi fruttiferi e va fino a 550 m. al nord delle Alpi e a 700 m. nella Svizzera occidentale e meridionale: 2. zona delle foreste di latifoglie: nel nord giunge fino a 1350 m. ed è quella del faggio, al sud si spinge fino a 900 metri ed è la zona del castagno; 3. zona delle foreste di Conifere, cioè dell'abete rosso nel nord della Svizzera fino a 1800 m., del larice e del cembro nelle Alpi Centrali e precisamente nei Grigioni fino a 2100 m., e nelle Alpi Ticinesi fino a 1800 m.; 4. zona alpina, che dai limiti della zona precedente giunge fino alle cime delle montagne, poiché non è esatto che le Fanerogame si arrestino al limite delle nevi perpetue, giacché si spingono molto più in alto.

Queste zone hanno subito in tempi storici modificazioni più o meno profonde per l'azione dell'uomo, in seguito specialmente al diboscamento e con tutta probabilità, prima che questa azione si facesse sentire, il limite delle latifoglie doveva giungere a 1350 m. e quello delle Conifere da 2000 a 2400 m. s. m. Conviene ora esaminare particolarmente tali zone.

Zona inferiore. - In essa abbondano i tipi meridionali che sono localizzati nella regione dei laghi insubrici, nella vallata del Rodano, nella depressione del Giura ove si trova il Lago di Neuchâtel, sul versante nord delle Alpi fra i laghi di Thune, dei Quattro Cantoni, di Sarnen, di Wallenstadt (ad altezze che oscillano fra 425 e 560 m.), nella vallata del Reno dal Lago di Costanza a Reichenau. Nelle valli dei laghi insubrici vi è una varietà e ricchezza di forme che la pianura lombarda, quantunque sia collocata più a sud, non presenta.

Vi è una regione (fra Ponte Brolla e l'ingresso della Val Verzasca) la cui flora è simile a quella delle garighe mediterranee: Cistus salviifolius, Erica arborea, Heteropogon Allionii, Andropogon gryllus, Ficus carica selvatico, Celtis australis, cui si mescolano tipi settentrionali, come Asplenium septentrionale, Rhododendron ferrugineum, e nei luoghi umidi Carex punctata, Rhynchospora alba e fusca, Montia fontana, Osmunda regalis. Nel Ticino si trovano tutte le specie svizzere delle Felci meno le quattro settentrionali (due Botrychium, Aspidium cristatum, Cystopteris montana). Numerose specie meridionali trovano nella regione insubrica il loro limite settentrionale e fra queste: Cistus salviifolius, Erica arborea, Fraxinus ornus, Celtis australis, Quercus cerris.

Numerose sono le specie endemiche e la causa di questi endemismi è data dal fatto che si tratta di piante di montagna, le cui stazioni sono circondate da ogni parte da profondissime vallate: specialmente le Grigne di Mandello si possono considerare la patria di queste interessanti specie e costituiscono una delle stazioni più importanti per ricchezza di forme endemiche.

Per il Talweg della vallata del Rodano, la Svizzera è in comunicazione con la flora mediterranea che giunge fino ai dintorni di Montelimart: a mano a mano che si penetra nell'interno si osserva una sensibile diminuzione dell'elemento meridionale. A Sion, nel centro della vallata, il fico d'India, il mandorlo e il melograno sono spontaneizzati sulle rocce. La flora della regione ginevrina è una delle più ricche della Svizzera ed è molto interessante vedere la transizione insensibile della flora campestre dell'Europa centrale a quella mediterranea nella parte inferiore della vallata del Rodano. La pianura di Ginevra è una tappa nella migrazione di molte specie meridionali verso il nord.

La flora palustre e rivierasca è ricca: Viola stagnina, stricta, elatior, pratensis, Lathyrus palustris, Isnardia palustris, Peplis portula, Ceratophyllum submersum, Heliosciadium nodiflorum, Oenanthe fistulosa e Lachenalii, Gladiolus palustris, Cirsium bulbosum, Inula Vaillantii, Chlora serotina, Mentha pulegium, Samolus Valerandi, Cladium mariscus, Najas minor, ecc.

Zona delle foreste di latifoglie. - Questa zona si estende da 550 a 1350 m. s. m. nelle parti settentrionali della Svizzera; è stata diboscata dalla mano degli uomini, e là dove erano vaste foreste vi sono praterie e campi di grano e i boschi si trovano confinati sui colli e sulle alture. Qui dominano le piante dell'Europa centrale e dell'Asia settentrionale, ma questa flora è fortemente modificata dall'influenza di elementi occidentali. Il faggio forma boschi puri fino a 1200 m., mescolato ad altre essenze fino a 1500 m. circa: però, mentre abbonda in certi territorî, come, ad es., nel Giura da 400 a 900 m., manca completamente in altri (in tutta la parte centrale dei Grigioni, nella maggior parte del Vallese, ecc.), perché evita il clima dei grandi massicci montagnosi della Svizzera. In sua compagnia cresce il carpino (Carpinus betulus), che si trova solo nelle regioni inferiori, evita le Alpi Centrali e non sale a più di 800 m. s: m.; manca completamente nei Cantoni Grigioni e Glaris; in vicinanza delle Alpi è un arbusto, mentre nel Giura inferiore è un bell'albero bene sviluppato. L'Acer platanoides è isolato nelle faggete e non supera i 1000 m. d'altitudine e spesso è cespuglioso; l'Ilex aquifolium è il solo sempreverde che si spinge tanto al nord e, mentre è cespuglioso nei luoghi ombrosi, nelle radure si presenta come un alberetto. Nella zona del faggio in talune località della Svizzera crescono anche: Staphylaea pinnata, Evonymus latifolius e nella parte occidentale anche Acer opulifolium e Cytisus alpinus. Fra le erbe che crescono nelle faggete si possono ricordare: Tamus communis, Asperula taurina, Sedum hispanicum, Carex pilosa e polyrrhiza, Melica uniflora, Campanula cervicaria e persicaefolia, Orobus niger, Scilla bifolia, Crepis praemorsa.

La quercia più frequente in Svizzera è la Quercus pedunculata, che è la più comune nel centro d'Europa; la Q. sessiliflora invece si trova meno frequentemente e solo nelle zone più basse. La regione più ricca di querce si grova tra la base orientale del Giura e i laghi di Neuchatel e di Bienne al disotto della zona del faggio o in formazioni alternate con le faggete: questi alberi si trovano in genere sui versanti esposti al sole. Nei querceti crescono: Rosa arvensis, Centaurea nigra, Hieracium boreale, Senecio silvaticus, Melampyrum cristatum, Hypericum pulchrum, Genista germanica e tinctoria, Orobus tuberosus, Luzula albida, Carex brizoides e remota, Aira caespitosa; però tali piante sono qui poco frequenti, mentre sono molto comuni in Germania.

Il frassino (Fraxinus excelsior) è comune ovunque, in gruppi o isolato, ma non supera mai i 1300 m. L'olmo, l'Acer campestris, il tiglio si trovano in tutta la regione fino a 1200 m.; i primi due sono soprattutto legati al clima meridionale (Vallese, Ticino). Il tiglio è rappresentato dalle due specie, Tilia grandifolia e T. parvifolia: quest'ultima è meno comune, per quanto si spinga più a nord. L'Ulmus montana cresce isolato nel Giura e nel Vallese, mentre l'U. effusa, che è una specie orientale, si trova solo nel cantone di Sciaffusa.

Nelle depressioni dell'altipiano, lungo i corsi d'acqua e sui margini delle paludi, cresce l'Alnus glutinosa in forma cespugliosa o arborea. Invece nelle vallate delle Alpi Centrali fino a 1500 m. è diffuso l'A. incana; nei luoghi elevati si accompagna coi Salix incana e purpurea, mentre nelle vallate cresce insieme con S. triandra, alba e fragilis. I Populus alba e nigra crescono in vicinanza delle acque correnti: il P. tremula è diffuso in tutta la Svizzera, ma nelle zone elevate è cespuglioso.

Altri alberi dei boschi sono: il ciliegio, il melo e il pero selvatico, il Sorbus torminalis che in alcune località è un bell'albero di 9-12 m.; anche il S. aria può acquistare sviluppo arboreo.

Le betulle non sono così lussureggianti nel loro sviluppo come in Germania: la Betula verrucosa è sparsa in individui di piccole dimensioni soprattutto nella zona inferiore. Vi è anche la Betula pubescens e nelle torbiere giurassiche anche la betulla delle torbiere, che si trova in montagna sopra i 1000 m., in compagnia del Pinus montana, ed è cespugliosa.

In questa zona vive anche il Pinus silvestris, che però in Svizzera non è così rigoglioso come in altre regioni dell'Europa centrale: di rado sale a più di 1500 m., ma nei Grigioni si spinge anche fino a 1800 m. e cresce insieme con il cembro e il P. montana var. uncinata. Nelle foreste di pino crescono alcune Orchidee (Ophrys, Limodorum, Orchis fusca, Aceras), Genista sagittalis, Euphrasia viscosa, Astragalus excapus, Achillea tomentosa, Viola arenaria, Adonis vernalis, Vicia Gerardi, Koeleria gracilis.

Nelle vallate del mezzogiorno abbonda, fino a 900 m., il castagno, caratteristico specialmente del Ticino; però, meno copioso si rinviene anche in altre parti del territorio svizzero.

Zona delle foreste di Conifere. - Si estende fra 1350 e 1800 m. ed è costituita da boschi che hanno meno sofferto per l'azione dell'uomo. L'albero più importante è l'abete rosso (Picea excelsa) che scende nelle vallate fino a 800 m. e può salire anche sui monti al disopra di 2000, assumendo allora forma nana. Altro albero importante è l'abete bianco (Abies pectinata), che è pianta delle montagne del mezzogiorno, mentre l'abete rosso è del Nord: non presenta mai forme nane, quando vive sulle nude rocce elevate, come fa invece la P. excelsa. Nelle foreste costituite da queste Conifere crescono le seguenti piante erbacee: Dentaria digitata, Mulgedium alpinum, Lunaria rediviva, Polygonatum verticillatum, Rosa alpina e abietina, Goodyera repens, Epipogon Gmelini, Corallorrhiza, Listera cordata, Streptopus, Saxifraga rotundifolia, Ranunculus lanuginosus, Petasites albus, Homogyne alpina, Luzula nivea e flavescens, Achillea macrophylla, Gentiana asclepiadea, Aconitum paniculatum, Galium rotundifolium, Ribes petraeum, Tozzia alpina, Phyteuma Halleri, Senecio nemorensis, Adenostyles alpina, e nella parte occidentale: Campanula latifolia, Pulmonaria montana, Vicia tenuifolia, Mulgedium Plumieri, Aposeris foetida, Rosa montana.

Il larice (Larix decidua) è l'albero caratteristico delle Alpi Centrali: cresce nelle montagne del centro della Svizzera e, salvo un'eccezione a est, evita il Giura e le basse Alpi. Si spinge fino a 1900 m. nel Vallese, 2100 nell'Engadina, nei Grigioni va fino a 2300 m.

Il Pinus cembra è l'albero delle zone superiori e difficilmente costituisce vaste associazioni. Fra le piante caratteristiche della zona del larice e del cembro vi sono: Rosa pomifera, Linnaea borealis, Melampyrum silvaticum, Lychnis flos jovis, Sempervivum arachnoideum, Vaccinium vitisidaea, Rhododendron ferrugineum, Viola pinnata, Ononis rotundifolia, e ad est Laserpitium Gaudini; nell'Alta Engadina: Achillea moschata, Senecio abrotanifolius, Phyteuma hemisphaericum, Chrysanthemum alpinum, Androsace obtusifolia, Azalea procumbens. Mancano completamente le crittogame vascolari.

Il Pinus montana var. uncinata costituisce foreste solo là dove il suolo è roccioso e quivi assume forme raccorciate e tortuose: generalmente a E. è un cespuglio decombente e a O. si presenta di bella forma arborea, mentre nelle zone intermedie vi sono tutte le forme di transizione.

Nelle foreste di Conifere si trovano anche Sorbus aucuparia, Acer pseudoplatanus e Taxus baccata. Fra gli arbusti si possono ricordare: Ribes petraeum e alpinum, Lonicera alpigena e nigra, Salix grandifolia, Sambucus racemosa, parecchie belle specie di rose (R. mollis, Reuteri, rubrifolia, coriifolia, abietina, alpina), nonchè Juniperus nana, Sorbus chamaemespilus Alnus viridis, Pinus pumilio, che crescono al limite superiore della vegetazione arborea.

La flora dei margini dei boschi e dei sentieri è piuttosto ricca e costituita da numerose Leguminose e poi Linaria italica, Dapne alpina, Plantago serpentina, Galium tenerum, Verbascum montanum; nel basso Vallese, Asplenium Breynii, più in alto verso il limite superiore Geranium aconitifolium, Linnaea borealis, Equisetum pratense, Astrantia minor, Viola pinnata, Geranium bohemicum e diverse rose, fra le quali primeggia la R. pomifera con tutte le sue varietà e ibridi.

Zona alpina. - Nell'alta regione alpina della Svizzera si trovano 294 specie di Fanerogame: di queste 64 sono circumpolari, 26 invece abitano solo certi territorî della zona circumpolare; delle 64 specie circumpolari 14 sono comuni in tutte le Alpi (Silene acaulis, Dryas octopetala, Saxifraga oppositifolia, aizoides, stellaris, Erigeron alpinus, Azalea procumbens, Myosotis alpestris, Polygonum viviparum, Salix retusa e herbacea, Phleum alpinum, Poa alpina, Juniperus nana); 28 sono assai sparse senza essere così comuni; 11 non si trovano disseminate che nelle Alpi Centrali. Infine le seguenti sono da annoverarsi fra le più grandi rarità della flora svizzera: Draba incana, Saxifraga cernua, Alsine biflora, Potentilla nivea, Tofieldia borealis, Thalictrum alpinum, Juncus castaneus, Carex Vahlii.

Nella distribuzione delle piante alpine - esaminando il complesso della regione alpina - si osserva la più grande irregolarità dovuta sopra tutto alle speciali condizioni del territorio: alcune contrade delle Alpi sono povere di specie, mentre altre sono invece straordinariamente ricche. La flora alpina spiega tutta la policroma magnificenza della sua fioritura nell'epoca della fusione delle nevi, cioè nel mese di giugno: si osserva allora una gamma di colori che va dal bianco al rosa tenero, al giallo di varie gradazioni, al rosso fuoco, al viola, all'azzurro, al lilacino.

Le stazioni dove crescono le piante alpine sono: praterie, pascoli secchi o umidi, dove abbondano le Graminacee, le Ciperacee, le Leguminose, alcune Composte, Lamiacee, ecc.; torbiere; laghi alpini dove vivono parecchi Potamogeton (P. pusillus, marinus, praelongus, alpinus), Ranunculus aquatilis, Sparganium natans; pendici rocciose dove crescono: sull'ardesia e sul granito Alnus viridis e Rhododendron ferrugineum, sul calcare Pinus montana e Rhododendron hirsutum, su tutti i terreni la bellissima Erica carnea, Juniperus nana, Daphne mezereum, Sorbus chamaemespilus. Al limite delle nevi vivono cespugli decombenti di Azalea procumbens, Juniperus nana, Arctostaphylos alpina, Salix retusa, reticulata e herbacea. Vi sono poi pareti rocciose di varia natura e brecciai, che albergano varie specie caratteristiche, fra le quali va citato in primo luogo il Leontopodium alpinum, quindi sulle cime più elevate della zona glaciale e subglaciale vivono: Erytrichium nanum, Androsace glacialis e helvetica, Anemone vernalis, Phyteuma pauciflorum, Potentilla frigida, Draba Wahlenbergii, frigida e tomentosa, Juncus trifidus, Sesleria disticha, Trisetum subspicatum, Kobresia Bellardi, Carex rupestris, Hutchinsia alpina var. affinis, Petrocallis pyrenaica, Saxifraga muscosa e bryoides. Sui margini delle chiazze di neve si sviluppano: Crocus vernus, Soldanella alpina e pusilla, Primula integrifolia, Anemone vernalis, Gagea Liottardi, Ranunculus alpestris, Alchemilla pentaphylla. Lungo i ruscelli vivono piante di grande statura come Pedicularis recutita e foliosa, Petasites niveus, Aconitum napellus, Cirsium spinosissimum, Adenostyles alpina, Caltha palustris, o piante che formano cuscinetti come Saxifraga aizoides e stellaris. Fra le più belle piante alpine di questa zona si devono ricordare: Eryngium alpinum, Delphinium elatum, Aquilegia alpina. Nelle zone sabbiose che si trovano innanzi ai ghiacciai delle catene granitiche e sui margini dei torrenti crescono: Carex incurva, Equisetum arvense e variegatum, juncus alpinus e arcticus, Campanula cenisia, Tofieldia borealis, Gentiana tenella, Epilobium Fleischeri, Pleurogyne carinthiaca. Infine presso le abitazioni di alta montagna e le stalle là dove abbondano i residui di stallatico: Urtica dioica, Lychnis diurna, Geum rivale, Chenopodium bonus Henricus, Polygonum bistorta, Galeopsis, Lamium, Achillea millefolium, Rumex alpinus, Aconitum napellus.

Fra gli arbusti della zona alpina, i più importanti sono i rododendri che dalla regione delle foreste si spingono alla zona subnivale: vi è poi l'Alnus viridis che nella parte transalpina dei Grigioni e in Valtellina si trova in una forma interessante (var. Brembana); fra i cespugli di questo alno crescono molte piante di montagna, come Astrantia maior, Digitalis ambigua, Pimpinella magna, Centaurea montana, Trollius, Ranunculus aconitifolius, Aconitum variegatum e lycoctonum, Luzula verna, Lilium nartagon, che altrimenti non potrebbero salire così in alto e poi alcune piante alpine come Pedicularis recutita e Achillea macrophylla.

Il Pinus pumilio vive in tutte le stazioni rocciose secche; lo Juniperus nana si spinge da 1800 a 2500 m. d'altezza; la Calluna vulgaris è molto diffusa nella zona alpina e in mezzo ad essa crescono: Arnica montana, Gnaphalium dioicum, Arctostaphylos uva-ursi, Lycopodium, e più in alto Arctostaphylos alpina e Empetrum.

Mentre nella zona dei boschi abbonda il mirtillo (Vaccinium myrtillus), nella regione alpina sono molto diffusi Vaccinium vitis-idaea e uliginosum. L'Erica carnea cresce spesso insieme con Polygala chamaebuxus.

I salici, sparsi qua e là, difficilmente sono riuniti in formazioni: Salix hastata, Hegetschweileri, arbuscula, myrsinites, lapponum, glauca, caesia, e vi sono forme artiche assai ridotte e decombenti come: S. serppyllifolia, reticulata e herbacea.

Nella distribuzione delle specie alpine s'osservano notevoli variazioni altimetriche: alcune scendono spesso a limiti incredibilmente bassi, mentre altre si spingono ad altezze assai considerevoli, come avviene, ad es., al Piz Linard, ove fra 3250 e 3417 m. crescono Androsace glacialis, Ranunculus glacialis, Silene acaulis var. exscapa, Cerastium glaciale, Gentiana imbricata, Saxifraga bryoides e oppositifolia, Draba Wahlenbergii, Chrysanthemum alpinum, Poa laxa. Fra le Crittogame la specie nivale per eccellenza è il Protococcus nivalis, alga unicellulare che determina il fenomeno della neve rossa.

Nella Svizzera per molte piante s'incrociano le linee che segnano i limiti settentrionali o meridionali, orientali o occidentali della loro distribuzione. Un numero notevole di specie mediterranee s'arresta sulle cime secondarie della regione insubrica; un altro gruppo s'avanza fino al Vallese e alla cresta orientale del Giura, un terzo gruppo è disseminato nel versante nord delle Alpi e nella vallata del Reno. Altre piante palustri settentrionali vanno fino al versante nord delle Alpi senza penetrare nelle zone superiori e inferiori della catena. Le piante alpine propriamente dette hanno nella regione alpina circoscrizioni distinte.

I dati statistici sulla flora delle diverse regioni della Svizzera Dimostrano che essa è più ricca verso il sud che verso il nord, come aveva già constatato Haussmann per la flora del Tirolo.

Storicamente, le differenti zone altitudinali presentano vegetali di epoche diverse.

La zona inferiore più calda presenta i residui della flora terziaria uniti ai rappresentanti della flora mediterranea recente. Nella zona media (da 500 a 1250 m.) vi è una flora più recente che ha coperto la pianura dopo la ritirata dei ghiacciai, ma alcune specie si collegano con quelle dell'epoca glaciale. Nelle fredde torbiere dell'altipiano vi sono specie glaciali. Nella zona delle Conifere e nell'alpina esiste la vegetazione dell'ultima epoca glaciale, e nella stessa zona alpina vi è una flora più ricca posteriore all'epoca dei grandi ghiacciai e rappresentata dalle numerose forme endemiche alpine.

Fauna. - Tutto il complesso faunistico svizzero, per la sua posizione geografica e per la natura orografica del paese, ha caratteri prettamente di fauna alpina. Tra i Mammiferi noteremo la presenza della marmotta, l'arvicola nivale, la lepre alpina, il toporagno alpino, varî pipistrelli. È da notare la grande rarità di un tipico abitante delle alte vette: lo stambecco, ora limitatissimo nella sua distribuzione e protetto da particolari provvedimenti, ma che un tempo era frequente sui monti svizzeri.

L'avifauna è molto interessante: di specie tipiche delle zone montuose elevate sono da ricordare il sordone, la cinzia alpina, la muraiola che sale sino al limite delle nevi perpetue, lo spioncello, il fringuello nivale, il rondone alpino, l'avvoltoio barbato, ecc.

I Rettili non offrono specie degne di nota e così gli Anfibî, tranne, questi ultimi, per la presenza della Salamandra atra, la quale molto raramente scende al disotto degli 850 m. s. m. Numerose le forme di Pesci d'acqua dolce. Per gl'Invertebrati noteremo la presenza della pulce dei ghiacciai fra gl'Insetti, del falangio glaciale fra gli Aracnidi e della vitrina glaciale fra i Molluschi terrestri.

Popolazione. - Al censimento del 1° dicembre 1930 vivevano in Svizzera 4.077.099 ab. (popolazione presente; quella residente era di 4.066.400). Nel 1800 si calcola che la popolazione della Svizzera ascendesse a 1.670.000 ab., nel 1850, anno in cui fu eseguito il primo censimento, era di 2.392.740 ab., i censimenti che seguirono le assegnarono rispettivamente 2.507.170 ab. nel 1860, 2.669.147 nel 1870, 2.846.102 nel 1880, 2.933.334 nel 1888, 3.325.032 nel 1900, 3.765.123 nel 1910, 3.886.090 nel 1920, 4.077.099 nel 1930.

L'accrescimento della popolazione, molto intenso nella prima metà del sec. XIX, andò diminuendo nei primi decennî della seconda metà, in seguito al sopravvenire di crisi dell'industria e dell'agricoltura. Ma ecco iniziarsi verso la fine del secolo un periodo di fortunata espansione economica, alla quale si accompagna un molto intenso accrescimento di popolazione, che perdura fino all'inizio della guerra mondiale (10,7‰ in media all'anno nel 1888-1900, 12,5‰ nel 1900-1910); questa lo interrompe provocando l'esodo di moltissimi stranieri, né l'accrescimento riprende, nel dopoguerra, con l'intensità di prima. L'aumento di popolazione non è stato ugualmente intenso nelle diverse regioni della Svizzera: in generale è stato molto più forte che altrove nei distretti industriali. I cantoni che hanno segnato un maggior aumento sono stati quelli di Zurigo, Ginevra, Basilea città e campagna, Soletta, Neuchâtel, Zug. In alcuni cantoni alpini (Appenzell, Uri, S. Gallo) la popolazione è invece diminuita.

La diminuzione della percentuale di accrescimento negli ultimi venti anni è dovuta al fatto che, mentre da un lato è diminuito l'afflusso degli stranieri, che fu invece fortissimo nel periodo 1890-1910 (in questo periodo l'immigrazione superò l'emigrazione), il tasso della natalità ha continuato a decrescere con intensità sempre più preoccupante: fu in media del 30,8‰ nel decennio 1870-80, si mantenne intorno al 2729‰ negli anni dal 1881 al 1900, ma poi ha continuato a diminuire sempre più: 21,2‰ negli anni dal 1910 al 1920, 18,4‰ nel 1920-30; nel 1934 è stato del 16,2‰. È vero che è diminuita fortemente la mortalità (23,5‰ nel 1870-80; 16,9‰ nel 1900-1910; 12,2‰ nel 1920-30; nel 1934, 11,3‰) che ha raggiunto un valore fra i più bassi in Europa: ma negli ultimi anni tale diminuzione non è stata più sufficiente a compensare la diminuzione delle nascite. L'eccedenza dei nati sui morti nel ventennio 1910-30 è stata soltanto del 6,3‰; nel 1934 è stata del 4,9‰ (in Italia 10,1‰).

I movimenti d'emigrazione e d'immigrazione dall'esterno hanno avuto parte importante nel determinare la fisionomia demografica della Svizzera. Gli stranieri, attirati soprattutto dallo sviluppo delle industrie e del commercio, vi immigrarono numerosissimi specialmente negli ultimi decennî del sec. XIX e al principio del XX, ma anche attualmente la Svizzera conta una fortissima percentuale di stranieri, la maggiore in Europa dopo il Lussemburgo; nel 1850 erano 71.570, salirono a 150.907 nel 1870, a 382.424 nel 1900, toccarono il massimo nel 1910: 552.011 (147‰ della popolazione totale); nel 1920 erano 402.385, nel 1930, 359.522. I più numerosi sono i Tedeschi (1930: 134.561; 378,4‰ degli stranieri viventi in Svizzera) e gl'Italiani (127.903; 357‰); seguono Francesi, Austriaci, Inglesi, ecc. Si trovano quasi tutti nelle città e nei distretti industriali. I cantoni con più alta percentuale di stranieri sono quelli di Ginevra (303‰ della popolazione totale: nel comune di Ginevra oltre ¼ della popolazione è costituita da stranieri), Ticino (213‰), Basilea (160‰).

Anche gli Svizzeri hanno emigrato in forte numero all'estero. Si possiedono statistiche solo per gli emigranti in paesi d'oltremare, il cui numero ha oscillato molto: fu in media di 7600 all'anno nel 1885-90; scese a meno di 3000 nel 1896-900; si mantenne fra i 4500-5000 nel quindicennio 1901-1915; sceso a 2950 nel 1916-20, risalì a 5880 nel 1921-25, a 4650 nel 1926-30; negli ultimi anni è stato molto basso (1220 nel 1934). In complesso sono numerosissimi gli Svizzeri stabiliti all'estero, specialmente nei paesi confinanti con la madrepatria: nel 1934 erano 312.375 di cui 227.184 in Europa (Francia, Germania, Italia, ecc.), 73.650 in America (Stati Uniti, Argentina, ecc.).

Quanto alle migrazioni interne, il numero degli abitanti viventi fuori dei comuni e dei cantoni di origine è aumentato sempre più negli ultimi decennî soprattutto per l'attrazione esercitata dall'industria sulla popolazione delle campagne e delle montagne.

Un problema demografico che ha suscitato grave e giustificato allarme nella Svizzera, dove i territorî di montagna sono così estesi, è quello dello spopolamento montano. In taluni cantoni esso ha assunto veramente proporzioni preoccupanti, con l'abbandono parziale o totale delle sedi montane più elevate e deperimento di colture e di pascoli. Le cause sono quelle stesse degli altri paesi alpini e vanno ricercate nelle difficili condizioni di vita dell'alta montagna in confronto alle zone più basse.

Se il popolo svizzero non costituisce una nazione nel senso proprio di questa parola, non si può disconoscere che esso formi una unità ben salda ormai, come ha dimostrato la guerra mondiale (guerra di nazionalità) che l'ha duramente messa alla prova: una tradizione più volte secolare, la coscienza degl'interessi comuni, la certezza che solo nell'unione ogni gruppo può conservare la propria libertà, hanno formato un comune "sentimento svizzero" molto profondamente sentito da tutti gli abitanti, nonostante le differenti nazionalità a cui appartengono, e le libertà di cui ciascun cantone è geloso custode. Quanto alla divisione del popolo svizzero secondo la lingua parlata, nel 1930 il 719‰ parlava tedesco, il 204‰ francese, il 60‰ italiano e l'11‰ ladino (romancio); i rimanenti (6‰) parlavano altre lingue. (La distribuzione geografica dei quattro principali gruppi linguistici è indicata nella cartina a pag. 102).

Densità della popolazione e principali tipi di insediamento. - La Svizzera si divide in 23 cantoni (di cui tre comprendono a loro volta due "mezzi cantoni" ciascuno; dei cantoni di Basilea città e Basilea campagna nel 1936 era in corso la fusione):

Con 98 ab. per kmq., la Svizzera ha una densità inferiore a quella di parecchi stati europei, ma tuttavia elevata se si considera che è uno stato costituito in gran parte da elevate zone montuose. Infatti la superficie del suolo improduttivo abbraccia circa il 22% della superficie totale, e se si considera la densità di popolazione sul suolo produttivo, si ottiene un valore di 127 ab. per kmq. I cantoni più densamente popolati (un posto a parte ha Basilea città, che comprende la sola area urbana e quindi dà un valore altissimo) si trovano nella zona dalle Prealpi al Giura: si calcola infatti che l'Altipiano e il Giura accolgano i 5/6 della popolazione totale. Una vasta zona del tutto disabitata comprende i massicci delle Alpi e le parti più elevate delle Prealpi, coincidendo press'a poco con la zona delle nevi eterne e dei ghiacci (in complesso il 37,9% della superficie totale della regione alpina); al disotto di essa si stende, dove più dove meno ampia, una fascia di territorî abitati solo temporaneamente in estate (24% della superficie totale). Aree abitate solo temporaneamente si trovano anche nel Giura. Il principale fattore fisico che influisce sulla distribuzione della popolazione è l'altezza: secondo un calcolo riferito al 1920, il 54,2% della popolazione della Svizzera vive sotto i 500 m., il 41,3% fra 500 e 1000 m. e il 4,5% sopra i 1000 m.

Ma anche nella zona situata al disotto dei 1000 m. si notano grandi diversità nella distribuzione della popolazione. Vi hanno influito fortemente i fattori umani, principalmente lo sviluppo moderno delle industrie e dei traffici. Le massime densità (oltre 200 e anche oltre 400 abitanti per kmq.) si hanno intorno ai maggiori centri; in una vasta area lungo il solco subgiurassico con ampie appendici nelle vallate trasversali che qui confluiscono nell'Aar; nel territorio di Basilea, e nelle valli del Reno, Lies e Birs; lungo le sponde dei maggiori laghi. Solo in ristretti lembi l'Altipiano ha meno di 50 ab. per kmq. Invece la maggior parte della regione alpina, anche escludendo le zone disabitate, ha meno di 10 ab. per kmq.: fanno eccezione le valli maggiori in cui si trovano zone talvolta anche molto fittamente, popolate, specialmente nel vallese e nella Valle del Reno oltre Coira (fra 100 e 400 ab. per kmq.) e le sponde dei grandi laghi prealpini. Nel Giura la popolazione si infittisce nei bacini e nelle valli maggiori.

La Svizzera si divide in 3118 comuni, e di questi 31 sono "comuni urbani", con più di 10.000 ab. e raccolgono il 30% della popolazione (1930). Dal 1850 a oggi la popolazione urbana è cresciuta con ritmo di gran lunga più intenso che negli altri territorî. Ma fino al 1900 la Svizzera non ebbe nessuna città con più di 100.000 ab.: in tale anno li superavano Zurigo e Basilea: nel 1930 le città con più di 100.000 ab. erano 4 (Zurigo, Basilea, Ginevra, Berna) e raccoglievano il 15% della popolazione totale, altre 3 (Losanna, S. Gallo, Winterthur) superavano i 50 mila ab. Il fenomeno dell'urbanesimo si è manifestato dunque molto tardi: poi, il moderno sviluppo dell'industria e del commercio ha operato il suo effetto e alcuni centri hanno avuto un accrescimento rapidissimo: soprattutto Zurigo (35.466 abitanti nel 1850, 249.820 nel 1930), Basilea (27.844 e 148.063), Ginevra (37.724 e 124.121), Berna (29.670 e 111.783). Una posizione geografica favorevole specialmente rispetto alle comunicazioni (Basilea, Ginevra e anche Zurigo), un grande incremento dell'industria (specialmente a Zurigo e Basilea) hanno determinato lo sviluppo di questi massimi centri svizzeri. Una posizione a sé ha Berna, per la sua funzione di capitale federale (dal 1848).

La grande maggioranza dei centri urbani, considerando come tali quelli con più di 2000 ab., si concentra nell'Altipiano. La zona dove le città grandi più si affittiscono fa centro a Zurigo, che ha intorno a sé tutta una serie di città satelliti, le quali si snodano lungo le due rive del lago, nella valle della Limmat, ecc. Una serie di città si trova lungo il solco subgiurassico; anche le sponde dei laghi e le vallate maggiori hanno costituito zone di richiamo per le città; un'altra area di elezione è quella che gravita intorno a Basilea.

Il Giura conta poche città e ancora più povere ne sono le Alpi: i centri urbani si trovano all'orlo della regione alpina, sulle sponde di laghi prealpini, o nelle maggiori vallate.

Condizioni economiche. - La Svizzera è stata fino dalle sue origini un paese commerciale a guardia d'importanti vie del commercio europeo; e ancora oggi la funzione di paese di transito è in primo piano nella sua vita economica. Ma tutta l'economia dello stato si è organizzata in modo che esso non può vivere senza l'estero, come all'interno le varie regioni non potrebbero vivere l'una senza l'altra. L'agricoltura si è specializzata sempre più verso la coltura dei prati naturali e artificiali e l'allevamento del bestiame, che alimenta una fiorente industria dei latticinî, mentre gli arativi si sono ristretti sempre più, tanto che la Svizzera deve ricorrere per la massima parte della sua alimentazione all'estero, e, sia pure esportando in forte quantità alcuni prodotti dell'allevamento del bestiame, la bilancia commerciale dei prodotti dell'agricoltura, nel complesso, segna un eccesso delle importazioni. In cambio la Svizzera esporta prodotti industriali, generalmente di alto costo, per fabbricare i quali però deve importare dall'estero gran parte della materia prima. Per queste sue strette relazioni con l'estero la Svizzera ha fortemente risentito le ripercussioni della guerra mondiale e delle crisi che ne seguirono, come della tendenza all'autarchia economica degli altri stati.

Agricoltura. - È caratterizzata dall'esigua estensione degli arativi (dei cereali in primo luogo) e da un grande sviluppo dei prati naturali e artificiali, che, insieme con i pascoli di alta montagna, alimentano un fiorente allevamento. Tale stato di cose è la conseguenza di condizioni naturali (suolo generalmente montuoso o collinoso con forti pendenze; temperature troppo basse e insufficiente insolazione in molte zone; intensissima umidità che, mentre non favorisce le colture degli arativi, è invece molto confacente allo sviluppo dei prati), a cui si sono aggiunti anche fattori umani, come l'alto costo della mano d'opera, per cui i prodotti dell'agricoltura indigena, col diffondersi dei moderni mezzi di comunicazione, non hanno potuto sostenere la concorrenza di quelli importati dall'estero, dove si producono a prezzo molto più basso. Le colture foraggiere e l'allevamento richiedono minore impiego di mano d'opera, mentre l'industria dei latticini dà prodotti di prezzo, che si collocano facilmente sul mercato estero. D'altro lato, dalla metà del sec. XIX, l'industria ha acquistato sempre maggiore importanza in confronto all'agricoltura (compresovi anche l'allevamento del bestiame) e le ha sottratto un numero di braccia sempre più grande: nel 1870, delle persone esercitanti una professione, il 42,21% era occupato nella "produzione del suolo" (veramente in questa categoria è compreso anche il numero, però piccolissimo, delle persone occupate nella silvicoltura, caccia, pesca e sfruttamento delle miniere), il 38,08% nell'industria e mestieri, il 5,33% nel commercio, l'1,33% nei trasporti; nel 1930 l'agricoltura dava lavoro soltanto al 21,6%, l'industria invece al 44,6%, il commercio al 14,6%, i trasporti al 4,3%. È da notare però che, con la diffusione di sistemi sempre più perfezionati, è aumentato il rendimento dell'agricoltura e dell'allevamento e che il contadino di oggi si dedica ai lavori agricoli più intensamente che non in passato, quando spesso esercitava anche lavorazioni industriali artigiane.

Poco meno di un quarto del territorio svizzero (il 22%) è costituito da suolo improduttivo. La superficie agraria e forestale (31.938,1 kmq.) è costituita per il 30,7% da foreste, per il 34,8% da pascoli; rimangono: 11.007 kmq. (circa il 34% della superficie agraria e forestale) e di questi l'81% è occupato da prati naturali e artificiali, solo il 10,7% da colture di cereali, il 6,1% da altri campi e l'1,1% da vigneti.

All'estremità settentrionale dello stato, nel cantone di Sciaffusa e in una fascia di territorio a S. del Reno, il territorio è diviso fra le praterie permanenti, a cui si associa la frutticoltura, e i campi di cereali (quasi sempre caratteristicamente disposti in strisce parallele), con avvicendamento di colture sarchiate (patate) e trifoglio. Il bestiame viene tenuto quasi sempre nella stalla. Nella massima parte dell'Altipiano centrale e in alcune vallate del Giura fino a 800-900 m. è diffusa una forma di agricoltura intensiva, a cui si accompagnano un intenso allevamento del bestiame e l'industria dei latticinî. Alla prateria permanente si associa la coltura dei campi, nei quali si avvicendano ai foraggi o praterie artificiali, che sono la coltura fondamentale, cereali e colture sarchiate; anche la produzione cerealicola è in parte destinata al bestiame. Le praterie permanenti, che occupano meno di ¼ della superficie totale nella parte sud-occidentale e centrale dell'Altipiano, acquistano sempre più importanza andando verso NE.; ad esse si accompagna la frutticoltura, specialmente nel territorio di Lucerna. Le zone dove si coltivano di più i cereali si trovano invece nei cantoni di Vaud, Friburgo, Berna, Ginevra. A mano a a mano che ci si addentra nel mondo alpino, i campi cedono sempre più il posto ai prati: in tutte le Prealpi e nelle Alpi fino ai grandi massicci che s'innalzano nel cuore della Svizzera, il mantello verde dei prati costituisce la nota dominante del paesaggio; si pratica intensivamente l'industria dei latticinî, e si esercita l'alpeggio.

Nelle grandi valli alpine e nelle montagne della Svizzera centrale e meridionale - Vallese, Grigioni, Canton Ticino - all'allevamento del bestiame, basato sui prati delle valli e dei pendii meno elevati e sugli alti pascoli di montagna, si accompagna la coltura dei campi, che si trovano anche a grande altezza, e il cui prodotto serve soprattutto al consumo locale. Nelle zone più basse e meglio esposte della valle del Rodano (Vallese) e in quelle del Canton Ticino, si coltivano non solo cereali, patate, legumi, ma anche vite e alberi da frutta. È molto sviluppato nelle valli più elevate il seminomadismo pastorale, e assume importanza nelle zone dei pascoli più magri anche l'allevamento degli ovini e caprini. Fra la zona dove si trovano i villaggi e gli alpeggi veri e proprî, situati al disopra dei limiti del bosco (da 1800-2300 fino a 2800-3000 m.; i limiti più alti si riscontrano nel Vallese e nell'Engadina) s'interpone la zona dei mayens dove le greggi sostano in primavera e in autunno e viene praticato il taglio del fieno in estate.

Nella montagna del Giura si alternano le colture foraggiere, con avvicendamento di cereali, patate, ecc., e i prati nelle valli e nei pendii meno elevati, i pascoli boscati nelle zone più alte.

Ancora verso la metà del sec. XIX si calcola che fossero coltivati a cereali circa 300.000 ha. di territorio; oggi sono scesi a meno di 120.000. È bensì aumentato il rendimento medio per ettaro, ma anche il consumo interno è molto cresciuto, e pereiò l'importazione. Il cereale più coltivato è il frumento (circa il 45% della superficie a cereali; nel 1932-34 su 59.582 ha. in media 1.297.000 quintali di frumento, 21,7 quintali per ha., rendimento molto elevato); lo si trova eccezionalmente in Val Monastero fino a 1400 m., e anche fino a 1600 m. Al frumento seguono la spelta, la segale, l'avena e l'orzo che sono per eccellenza i cereali di montagna.

La coltura delle patate (nel 1932-34: 46.536 ha., 7.773.000 quintali, 167 per ha., rendimento superato solo dal Belgio), provvede quasi per intero al fabbisogno interno; sono impiegate per alimentazione, come foraggio per il bestiame, nell'industria (distilleria).

La coltura domestica dei legumi si pratica quasi dovunque, ma la coltivazione intensiva a scopo di vendita è poco diffusa e la Svizzera deve importarne dall'estero forti quantità: si esercita in vicinanza di grandi centri, o per fornire la materia prima a fabbriche di conserve; è sviluppata nella regione del Seeland (zona un tempo paludosa, che si stende fra i laghi di Neuchâtel e di Biel: fu bonificata nel sec. XIX e ora è una delle più ricche zone agricole svizzere).

Delle piante industriali meritano ricordo soltanto la barbabietola da zucchero (circa 1500 ha.) e il tabacco, ma anche queste non concorrono che in minima parte alla richiesta interna. Sono quasi scomparsi il lino e la canapa, e non sono riusciti i tentativi di diffondere la coltura del gelso e l'allevamento del baco da seta.

Ha invece importanza la frutticoltura la quale alimenta anche una forte esportazione; raramente si esercita come coltura specializzata (intorno ai laghi di Costanza, di Zurigo, dei Quattro Cantoni); di solito gli alberi da frutta si trovano disseminati sui prati, specialmente nella parte centrale e nord-orientale dell'Altipiano, nel territorio di Basilea, nella valle del Rodano, nel Canton Ticino. La specie più diffusa è il melo (41% degli alberi da frutta nel 1929), seguono i peri, poi i ciliegi, susini e pruni, peschi, albicocchi, noci, ecc. Il castagno si trova nel Ticino e nel basso Vallese. La frutta che non si esporta viene in parte consumata allo stato fresco, in parte serve per la fabbricazione del sidro e per la distillazione, o viene preparata nelle fabbriche di conserve (Lenzburg, Saxon, Rohrsbach, Meilen).

La coltura della vite, che si era notevolmente diffusa anche perché i lavori che richiede si associano bene a quelli delle praterie, dalla fine del sec. XIX si è invece molto ridotta per il diffondersi di malattie delle piante, per il rincaramento della mano d'opera, per la concorrenza dei vini esteri, per l'aumento del consumo della birra a scapito di quello del vino, ecc. La superficie a vigneto è diminuita da 30.150 ha. nel 1898-1900 a 12.760 nel 1931-33 (produzione del vino 384.285 ettolitri. Il vigneto si trova sulle sponde dei laghi di Ginevra e di Neuchâtel, nel Vallese (dove è in aumento), in una zona che va dal Lago di Zurigo al Reno e al Cantone di Sciaffusa per le valli di Glatt e della Thur, nel Canton Ticino.

Allevamento del bestiame e industria dei latticinî. - Secondo il censimento del 1866 il patrimonio zootecnico della Svizzera era costituito da: 100.324 cavalli, 5475 fra muli e asini, 993.290 bovini, 304.428 maiali, 447.000 ovini, 375.480 caprini. Nel 1931 si avevano rispettivamente 140.300 cavalli, 4543 muli e asini, 1.609.410 bovini (di cui 868.916 vacche), 926.420 maiali, 187.754 ovini, 237.995 caprini. È dunque molto cresciuto il numero dei bovini e dei suini e sono in aumento anche i cavalli; sono aumentati fortemente anche il peso medio delle bestie, il loro rendimento in latte, carne, ecc.

Il primo posto è tenuto dai bovini: con 39 bovini ogni 100 ab. la Svizzera viene in Europa dopo la Danimarca e a distanza da essa, e ne ha press'a poco un numero uguale a quello dell'Austria e della Francia. Le regioni dove è più intenso l'allevamento sono nell'Altipiano centrale. Il 54% del patrimonio bovino è costituito da vacche da latte, la produzione di latte (compreso anche quello di capra) si aggira sui 28.750.000 litri all'anno (media del 1932-34); di questi 13.176.080 litri vengono adoperati nell'industria dei latticinî, che è fiorente soprattutto nell'Altipiano e nelle vallate delle Prealpi, e si va ora orientando sempre più verso la latteria industriale e cooperativa; è oggetto di svariate cure (istituti per il controllo della produzione, scuole-latteria, ecc.). La produzione più importante destinata all'esportazione essendo quella di formaggi grassi, che richiedono latte non scremato, la produzione di burro ha importanza secondaria, anzi non basta neppure al consumo interno. I formaggi svizzeri - grassi e di pasta dura - Emmenthal, dalla vallata omonima, Gruyère, dalla località omonima, ecc., sono di fama mondiale e, nonostante le difficoltà incontrate sui mercati in questi ultimi anni, la loro esportazione costituisce un importante cespite di guadagno. La produzione di formaggio rappresenta oltre metà della produzione di latticinî; circa il 12% è dato dalla produzione di burro, il rimanente da quella di latte condensato che si prepara soprattutto per l'esportazione o per adoperarlo nella fabbricazione di farina lattea e cioccolato.

La produzione di carne bovina non basta a coprire la richiesta interna, che è molto aumentata. Il valore della vendita degli animali da riproduzione è basso in confronto a quello della produzione dei latticinî e della carne; tuttavia le fiere di bestiame della Svizzera (di Schwyz, Einsiedeln, Alstatten, Erenbach, Ostermundingen, ecc.), già note fino dal sec. XVII, vanno ancora famose e sono frequentate da allevatori dei paesi d'Europa e d'oltremare.

L'allevamento dei cavalli ha importanza secondaria: fa eccezione la zona delle Franches Montagnes, nel Giura, che nei suoi vasti pascoli nutre numerosi cavalli di razza robusta e molto pregiata. I suini di cui l'allevamento si associa bene all'industria dei latticinî, perché si nutrono dei suoi residui, segnano dal 1866 al 1931 il maggiore aumento (tre volte tanto); essi provvedono per oltre il 90%, in carne, ma solo per poco più della metà in grasso, alla richiesta interna. In forte diminuzione sono gli ovini e i caprini che si allevano soprattutto nella zona alpina.

Un maggiore sviluppo dell'avicoltura, che non dà pollame e uova sufficienti al consumo interno, trova ostacolo soprattutto nella penuria di grani, e nella scarsezza di spazio disponibile. Tuttavia il numero dei volatili si calcola che sia aumentato da meno di due milioni e mezzo nel 1918, a circa 5 milioni nel 1931.

L'apicoltura ha carattere domestico e accessorio, ma è tuttavia in progresso (nel 1931 circa 300.500 alveari).

Nel complesso il bilancio dell'importazione ed esportazione dei prodotti dell'agricoltura e allevamento (derrate alimentari, bevande, foraggi, ecc.) si chiude a sfavore della Svizzera; va poi notato che le derrate alimentari che segnano un'eccedenza delle esportazioni consistono in prodotti manifatturati, i quali sono piuttosto prodotti dell'industria alimentare che non dell'agricoltura vera e propria (formaggio, latte condensato, ecc.).

Silvicoltura. - Le foreste che appartengono per 2/3 ai comuni, coprono in Svizzera un'area di 1.003.561 ha. (1935). Le regioni in cui è più sviluppata la silvicoltura, cioè quelle dove si trovano i boschi di maggior rendimento per la produzione del legno, sono nell'Altipiano centrale e nel Giura; invece nelle Alpi non sempre le spese di trasporto sono compensate dai proventi che si ricavano. In complesso l'esportazione di legname dalla Svizzera è fortemente diminuita dal sec. XIX, anzi la Svizzera è costretta a importar legname dall'estero per coprire il fabbisogno interno.

Industria. - Il deficit della bilancia commerciale, segnato dai prodotti dell'agricoltura e dell'allevamento, è in parte colmato dalla vendita di prodotti industriali. La Svizzera è uno degli stati più industrializzati d'Europa (terzo dopo la Gran Bretagna e il Belgio). Se l'industria vanta tradizioni antiche, anche la grande industria moderna vi si è impiantata solidamente dal secolo XIX, e questo stato piccolo e lontano dal mare ha saputo acquistarsi numerosissimi mercati di Europa e di oltremare. Un così fiorente sviluppo sorprende in un paese privo di materie prime (sia combustibili e metalli, sia fibre tessili, ecc.), con una popolazione relativamente poco numerosa e quindi senza un vasto mercato interno. È stato un complesso di fattori naturali, ma soprattutto umani, a determinarlo: la posizione geografica, così fortunata nei riguardi delle comunicazioni, che ha giovato anche allo sviluppo delle industrie; gli scambî e i contatti con i mercanti di tanti paesi d'Europa che prepararono per tempo una borghesia attiva e intelligente; si aggiunga che in passato si trovavano sul posto alcune materie prime (lana, lino, canapa).

Un grande impulso ebbe l'industria nei secoli XVI-XVII dall'immigrazione di rifugiati protestanti venuti di Francia, Fiandre, Italia, mentre giovò alla continuità del suo sviluppo il perdurare della pace, quando gli altri paesi di Europa si trascinavano fra guerre continue. A favorire soprattutto lo sviluppo moderno delle industrie contribuì anche l'abbondanza dei capitali, accumulatisi già da tempo antico, e che mancando, per le condizioni dell'agricoltura, la possibilità d'impiegarli in grandi proprietà fondiarie, furono collocati nell'industria.

La necessità d'importare dall'estero la materia prima, e il fatto che su questa come sui prodotti finiti grava il costo dei trasporti, hanno determinato i caratteri fondamentali della produzione industriale. La quale si dedica anzitutto a lavorazioni per cui occorre poca materia prima, o di poco volume rispetto al valore, e questa venga elaborata in modo da dare prodotti di qualità e di valore molto elevati (orologi, ricami, seterie fini, macchine); tra le materie prime si preferiscono poi quelle provenienti d'oltremare, che arrivano in Europa già gravate del costo di trasporto, perché il loro acquisto non crea condizioni di troppa inferiorità nel confronto con gli altri stati d'Europa (cotone, lana, seta, cacao, ecc.). Dato il costo della mano d'opera si preferiscono lavorazioni in cui se ne richieda poca o altrimenti una mano d'opera specializzata di grande abilità.

L'industria svizzera ha il suo lato debole: lavora in base a materia prima importata, non è legata all'ambiente naturale, e non potendo contare su un importante mercato interno, alcuni suoi rami producono quasi esclusivamente per l'esportazione (orologeria, ricamo, seterie fine, industria chimica, macchine elettriche e in genere meccanica di precisione, che può tollerare anche alto costo di mano d'opera, correlativo all'alto tenore di vita e al costo elevato di essa, a sua volta connesso con fenomeni valutarî). La guerra mondiale e le crisi del dopoguerra hanno dimostrato quanto ciò sia pericoloso: durante la guerra alcune industrie hanno trovato nuovi sbocchi, ma ne hanno perduti altri; un grave danno recano poi all'industria svizzera le barriere economiche innalzate dagli altri stati e l'altezza del corso della valuta, specie rispetto ad alcuni paesi vicini (Francia e Italia). È vero che si sono conquistati nuovi mercati, per es., in Estremo Oriente, ma si deve tuttavia far fronte a gravi crisi, alle quali si cerca di ovviare impiantando filiali all'estero. Dal sec. XIX l'industria si è orientata sempre più verso la grande industria, con grandiosi stabilimenti; tuttavia in alcuni suoi rami ha tenacemente resistito il lavoro in piccoli laboratorî o a domicilio.

Le industrie si concentrano soprattutto nell'Altipiano centrale e particolarmente nella parte nord-orientale e lungo il solco subgiurassico: qui sono i centri industriali di Zurigo, Winterthur, Baden, circondati da una serie di altri minori, e quelli di San Gallo, Biel, Soletta. Anche la regione del Giura conta numerosi centri industriali, specialmente per l'orologeria, mentre un'altra zona intensamente industriale si stende intorno a Basilea: questa e Zurigo costituiscono i due massimi centri industriali della confederazione. Un grande centro industriale è anche Ginevra. Dall'Altipiano le industrie penetrano, lungo le valli maggiori, verso il cuore della regione alpina, che però non ha nessun grande centro industriale.

Nel 1929 (censimento industriale), le industrie occupavano 802.108 addetti, a cui si possono aggiungere 120.120 addetti all'attività alberghiera. I rami industriali che vengono primi per il numero di addetti sono: quello delle macchine e metalli (181.637), quello delle costruzioni (113.592), quello del vestiario e abbigliamento (107.410), le industrie tessili (100.760); seguono le industrie alimentari, quella del legno, quella dell'orologeria e gioielleria. La forza motrice impiegata nelle industrie era nello stesso anno di 856.960 HP (322.070 nel 1905); di cui 209.215 HP impiegati nelle industrie delle macchine e metalli, 151.478 in quelle tessili.

Le industrie minerarie ed estrattive hanno pochissima importanza. È notevole l'estrazione dell'asfalto nel cantone di Neuchatel. Si estrae minerale di ferro nel Giura Bernese presso Delémont e presso Sargans, che alimenta a Choindez l'unico alto forno della Svizzera, mentre una parte del minerale viene esportata grezza. Il più importante prodotto del sottosuolo è costituito dal salgemma, che si ricava dalle miniere e saline di Bex (Cantone di Vaud) e dalle saline del Reno (Rheinfelden, Schweizerhalle, ecc.): nel 1932-34 le prime diedero 8177 tonn. di sale, le altre 73.367 tonn. Soprattutto nel Giura, ma anche nelle Alpi calcaree, si trovano numerose cave di calcare usato sia come pietra da costruzione (marmo di Soletta, pietra gialla di Neuchâtel), sia nelle fabbriche di cemento e di calce. Si estraggono ancora ardesia (che viene anche esportata), gesso, argilla, che fornisce la materia prima a numerose fabbriche di terraglie e porcellanerie; la molassa è stata usata come pietra da costruzione; pregevoli pietre da costruzione (granito, ecc.) dà il Canton Ticino.

Se la Svizzera manca di combustibili fossili, la cui importazione grava sulla sua bilancia commerciale, possiede d'altro lato una grande ricchezza di acque, per cui l'industria elettrica ha potuto prendervi intenso sviluppo. Da tempo antico si è imparato a sfruttare l'energia delle acque dei torrenti. Le centrali si moltiplicano sia nelle Alpi, dove si utilizzano i forti dislivelli e le cascate naturali (tipica la serie di centrali della Valle del Rodano, che utilizzano il salto delle valli confluenti sospese), sia nella regione dell'Altipiano dove si sfrutta l'abbondante portata; si creano bacini artificiali o si utilizzano laghi naturali come riserve d'acqua. L'energia idrica acquista nelle fabbriche sempre maggiore importanza in confronto di quella prodotta dal vapore. La maggiore centrale idroelettrica è quella di La Dixence, nel Vallese (175.000 HP). Alla fine del 1934 la potenza massima utilizzabile nelle centrali esistenti era di 1.802.100 kW (solo 13.130 kW nel 1900, 603.000 nel 1915, 1.192.000 nel 1925). L'energia elettrica, prodotta quasi totalmente da centrali idroelettriche, è stata nel 1933-34 di 5.348.000.000 di kW; dei quali 1140 milioni sono stati esportati, 1228 sono stati utilizzati per usi domestici e nell'artigianato, 731 negli stabilimenti industriali.

Zurigo, Winterthur, Basilea, S. Gallo, sono i centri dell'industria meccanica, che supera per numero di addetti e grandiosità d'impianti la più vecchia industria tessile; il ramo più importante è costituito dalla fabbricazione delle macchine ed è sorto per rispondere alla richiesta degli stabilimenti tessili, i quali dovevano ricorrere all'estero per i loro macchinarî. È l'unica grande industria svizzera che possa contare su un importante mercato interno; pur destinando all'estero una parte notevole della sua produzione, fornisce i macchinarî alle industrie tessili, alle officine elettriche (dinamo, turbine, ecc.), alle industrie alimentari, e fabbrica anche locomotive a vapore (Winterthur), trattori, ecc.

Tipica industria svizzera è quella dell'orologeria: sorta a Ginevra nel sec. XVI e nel Giura di Neuchâtel nel XVII, si è poi estesa a tutta la regione del Giura e fuori di questo fino a Basilea, Sciaffusa, Soletta, Berna. Lavora quasi totalmente per l'esportazione, che ha un raggio vastissimo e un valore molto elevato (109 milioni di franchi nel 1934; 307 milioni nel 1929). Il centro maggiore è La Chaux-de-Fonds nel Giura; tanto grande è stato il suo sviluppo, che le imprese del Giura fanno e più ancora facevano lavorare in passato per proprio conto numerosi operai delle vicine terre francesi. L'orologeria si è conservata a lungo nella forma del lavoro a domicilio, ma ormai anch'essa sente sempre più l'impulso accentratore della grande industria. Questa industria, che dà alla Svizzera un primato mondiale, è fra quelle che maggiormente hanno sofferto della crisi del dopoguerra, onde sono state prese svariate misure per sostenerla. La preparazione tecnica del personale è curata in speciali scuole di orologeria. Industrie derivate dall'orologeria sono l'oreficeria (che si associa alla fabbricazione di orologi di lusso), e anche la fabbricazione di apparecchi radio e di fonografi.

Grande importanza hanno le industrie tessili del cotone e della seta. Importanza secondaria ha il lanificio (il centro maggiore è Friburgo), mentre sono quasi scomparse le antiche industrie del lino e della canapa. Il cotonificio (filatura e tessitura) è sviluppato soprattutto nella parte orientale dell'Altipiano (da Zurigo a Winterthur e Frauenfeld), ma anche nelle vallate dell'Aar (Berna) e dell'Emme (Burgdorf) e nel solco subgiurassico (Soletta, Aarau, Brugg, ecc.). I filati, per la confezione dei quali si dispone di circa 300.000 fusi, si vendono ora molto meno che in passato; maggior valore ha l'esportazione dei tessuti (63 milioni di franchi nel 1934, circa 100 nel 1929), per la confezione dei quali lavorano circa 22.300 telai meccanici (oltre 27.000 nel 1928). Un ramo del cotonificio caratteristico della Svizzera è quello dell'industria del ricamo (ricami grossolani al crochet e ricami fini a punto piatto), sviluppatasi nella regione di S. Gallo dalla seconda metà del sec. XVIII e pervenuta a grande prosperità, tanto che S. Gallo, mercato e borsa internazionale di questa industria, faceva lavorare per proprio conto operai in Austria (Vorarlberg), Germania (Württemberg) e Liechtenstein. Dopo la guerra mondiale è però stata colpita da una crisi gravissima, anche per la perdita di mercati esteri (Stati Uniti): il valore dell'esportazione dei ricami da oltre 400 milioni di franchi nel 1919 era già sceso a 102 nel 1928; nel 1934 fu di soli 11,5 milioni. Ha resistito a lungo in questo ramo d'industria il lavoro a domicilio esercitato da operai disseminati in tutte le vallate delle Prealpi di S. Gallo.

L'industria della seta, che vanta un'antica tradizione, si concentra soprattutto nelle zone di Zurigo (tessitura di stoffe fini) e di Basilea (di cui è caratteristica la confezione di nastri); ma anche essa è stata colpita dalla crisi: il valore dell'esportazione, da oltre 350 milioni di franchi nel 1928, è sceso a circa 94 nel 1934. Da alcuni anni si consumano nelle seterie grandi quantità di rayon, di cui si è impiantata con fortuna la fabbricazione.

Industria caratteristica, che lavora per l'esportazione è quella della confezione di trecce di paglia da cappelli (Bremgarten, nella valle della Reuss). L'industria del vestiario e abbigliamento è per la massima parte industria domestica e artigiana che provvede alla richiesta interna. Industria esportatrice è quella delle calzature.

Un grande sviluppo hanno assunto alcuni rami dell'industria chimica ed elettrochimica. Basilea vanta un'ottima tradizione per la fabbricazione di materie coloranti (colori di anilina) che vi s'impiantò per provvedere alle richieste del setificio; si preparano anche prodotti farmaceutici, profumi, ecc. L'industria elettrochimica fabbrica diversi prodotti primarî e loro derivati. A Neuhausen, Chippis e Martigny si prepara l'alluminio (nel 1929 circa 20.700 tonn. di alluminio grezzo di cui si fa una notevole esportazione). Un gran numero di addetti (113.592 nel 1929) lavora nell'industria delle costruzioni, nella quale si può qui ricordare il contributo portato da lavoratori italiani.

Delle industrie alimentari abbiamo già menzionato quella dei latticinî. Dall'industria del latte condensato deriva quella della farina lattea. Industria esportatrice è quella del cioccolato che vanta prodotti di gran fama. Per il consumo interno si fabbricano birra, paste alimentari, ecc. Si è sviluppata in taluni centri (Leutburg, Saxon) l'industria della preparazione di legumi, frutta, e altri prodotti alimentari, anzi alcune fabbriche svizzere hanno impiantato importanti succursali all'estero. Lavora per il consumo interno l'industria della manifattura dei tabacchi.

L'industria del legno conta segherie meccaniche, fabbriche di mobili e anche di châlets; in alcune regioni alpine si confezionano lavorazioni in legno caratteristiche. La produzione delle cartiere svizzere non basta a coprire il fabbisogno interno. Va ricordata anche l'industria tipografica.

Alla bellezza dei suoi paesaggi, all'aria vivificante delle sue montagne, al benefico clima delle riviere, all'abbondanza di acque minerali, la Svizzera deve un'altra forma di attività, che, nonostante crisi e oscillazioni le ha fruttato ricche entrate e larga fama: quella dell'industria turistica e del forestiero, dalle stazioni di villeggiatura ai sanatori e ai bagni di acque minerali o termali, dalle rive dei laghi all'alta montagna, dove un altro aspetto di questa interessante forma di sfruttamento del paesaggio ha preso grande sviluppo: l'alpinismo e gli sport invernali.

Come veramente ottima va considerata l'organizzazione alberghiera (le persone impiegate nell'industria alberghiera nel 1934 erano 120.120) e quella dei trasporti turistici, che dispongono di una rete di ardite ferrovie e di funicolari, di modernissimi servizî automobilistici, e anche di una flotta di battelli sui maggiori laghi.

Fra i luoghi più famosi sono le stazioni dell'Engadina, Davos nella valle della Landwasser, Zermatt e il Nikolaital, il Lago dei Quattro Cantoni con Lucerna e dintorni, Interlaken, il Lago di Ginevra i laghi Maggiore e di Lugano, Zurigo e dintorni, ecc.

Commercio e vie di comunicazione. - La Svizzera costituisce un vero crocevia internazionale: strade e ferrovie, dall'Italia al Mare del Nord, dalla Francia all'Austria e alla Germania, l'attraversano e vi s'incrociano provocando un intensissimo movimento di viaggiatori e di merci.

Con lo sviluppo dell'automobilismo, hanno riacquistato importanza le strade rotabili, ma ancora le ferrovie assorbono la massima parte del traffico dei passeggeri e soprattutto delle merci. Strade e ferrovie seguono due direzioni principali, trasversale e longitudinale, di cui specialmente la prima d'importanza internazionale. L'Altopiano centrale, soprattutto a NE., è la regione dove più s'incrociano e s'infittiscono; il maggior centro di traffico è Basilea, dove si affollano le correnti provenienti dalle Alpi e dall'Altipiano, per sboccare nell'alta Pianura Renana.

La Svizzera, con 5854,5 km. di ferrovie (1933) è fra gli stati meglio provveduti d'Europa; 3604 km. di linee sono a scartamento normale; 1531 km. a scartamento ridotto (a cui vanno aggiunti 248 km. di ferrovia a cremagliera), più adatte a superare i forti dislivelli delle zone di montagna. Quasi tutte le ferrovie a scartamento ridotto e 1600 km. di quelle a scartamento normale sono elettrificate. Nel 1933 le ferrovie della Svizzera hanno complessivamente trasportato 158.904.000 viaggiatori e 21.356.000 tonn. di merci, quantitativi fortissimi rispetto all'estensione del paese e alla sua popolazione. Il nodo ferroviario di Basilea si arricchisce del traffico che affluisce dalla vallata del Reno e quindi dalle zone della Ruhr e dai porti del Mare del Nord, Ginevra di quello proveniente dalla Francia, Briga e Bellinzona di quello proveniente dalla Pianura Padana e quindi da Genova, dai porti adriatici e dall'Oriente. A E. le ferrovie svizzere si riallacciano con quelle provenienti dalla Germania per Monaco e dall'Austria per l'Arlberg; a NO. le linee ferroviarie che attraversano il Giura si continuano in territorio francese. La linea di maggior traffico, delle trasversali, è quella del Gottardo.

L'aviazione civile dipende dal dipartimento delle ferrovie, sotto la direzione dell'ufficio aereo federale. Le compagnie trasporti aerei sono la Swissair, l'Alpar, l'Ostschweiz-Aëro-Gesellschaft e l'Aëro-Trafic. La Swissair è stata costituita dalle due società Ad Astra Aëro e Balair, ed esercisce le seguenti aviolinee: Basilea-Zurigo-Monaco-Vienna; Ginevra-Basilea-Mannheim-Francoforte-Colonia-Essen-Amsterdam (in unione con la Luft-Hansa tedesca); Ginevra-Berna-Zurigo-Stoccarda-Halle-Berlino (id.); Zurigo-Basilea-Parigi (in unione con la Air-France); Ginevra-Parigi (id.); Basilea-Cherbourg-Le-Havre (id., esclusivamente postale); Lucerna-Zurigo. La compagnia effettua anche voli di piacere sulle Alpi, di caccia, per l'Africa, noleggi di apparecchi a privati, servizio di fotografia aerea, ecc., con monoplani di fabbricazione americana.

L'Alpar esercisce le seguenti aviolinee: Basilea-Berna-Losanna-Ginevra; Berna-(Bienne)-Basilea; Basilea-La Chaux de Fonds-Losanna-Ginevra; Losanna-Berna. Anch'essa effettua servizî speciali e voli privati. L'Ostschweiz-Aëro-Gesellschaft esercisce la linea Altenrhein (S. Gallo)-Zurigo-Berna. L'Aëro Trafic gestisce l'aeroporto di Ginevra per voli di piacere e privati.

Gli aeroporti svizzeri di 1ª classe sono a Basilea (Birnsfelden), Ginevra (Cointrin) e Zurigo (Dübendorf); quelli di 2ª classe a Berna (Belpmoos), Losanna (Blecherette) e Altenrhein (S. Gallo); un aeroporto di 3ª classe è a La Chaux-de-Fonds. Idroscali doganali sono a Ginevra, Losanna-Ouchy, Locarno, Lugano, Rorschach, Romanshorn, Zurigo, Ermatingen, Kreuzlingen, Arbon e Altenrhein. Un aeroporto per traffico interno è a Bienne; un idroscalo per traffico interno è a Horgen. Aeroporti privati sono a Porrentruy, Alle, Gland e Courtelary. Oltre una ventina di altri aeroscali sono accessibili con speciale permesso. Pure con speciale permesso si può accedere agli aeroporti invernali (su laghi gelati) di Arosa e di Saint Moritz.

La Svizzera possedeva, alla fine del 1933, 21.230 vetture automobili, 18.830 camion, 34.514 motociclette. Funzionano numerosi servizî automobilistici pubblici, specialmente a tipo turistico.

Quanto alla navigazione, a parte quella turistica, hanno importanza solo i servizî che si svolgono sul Lago di Costanza. La navigazione sui fiumi non ha oggi più quasi alcuna importanza. Si è già accennato al progetto di sistemazione della via d'acqua Rodano-Reno. Il Reno è risalito fino a Basilea, che possiede un porto fluviale bene attrezzato, da battelli carichi di cereali, metalli, combustibili.

La Svizzera, in cui ha sede, a Berna, l'Unione Postale Internazionale, vanta un ottimo servizio postale, e vi si sviluppano sempre più intensi i servizî telefonici e la radio.

Con circa 850 milioni di franchi all'esportazione e circa 1500 all'importazione (1934), cioè rispettivamente 204 e 346 fr. per ab., la Svizzera è ai primi posti in Europa per l'intensità del commercio. Al commercio speciale si deve poi aggiungere quello di transito diretto e indiretto (al transito diretto circa 2 milioni e mezzo di tonn. nel 1934).

Lo specchietto alla colonna seguente dà le statistiche del commercio speciale negli ultimi dieci anni (valore espresso in migliaia di franchi svizzeri).

La bilancia del commercio speciale si chiude quindi a sfavore della Svizzera, la quale nonostante l'esportazione di prodotti industriali di alto costo, non è mai riuscita a equilibrare le spese che incontra per procurarsi gli alimenti e le materie prime industriali. Il deficit è tuttavia colmato dalle entrate provenienti dal commercio di transito, dall'industria turistica, dall'esportazione di energia elettrica, dalle rendite delle imprese impiantate da Svizzeri all'estero e da quelle dei capitali svizzeri impiegati all'estero. Molto più grande è lo squilibrio tra importazioni ed esportazioni se si considera anziché il valore, il peso: la Svizzera infatti importa materie alimentari e materie prime, esporta prodotti industriali di alto costo rispetto al peso e al volume.

Gli articoli che gravano sulle importazioni sono: prodotti alimentari, bevande e foraggi, carbone e olî minerali, ferro e altri metalli, grezzi e già lavorati; seta, cotone, lana, caucciù, come materia prima o già lavorati; legno; vetrerie, prodotti chimici, pelli e cuoi, carta, tabacco, materiali da costruzione.

Le esportazioni consistono per la massima parte in prodotti lavorati delle industrie tessili (tessuti e nastri di seta per circa 100.000.000 di franchi, cotonate e ricami per oltre 100 milioni, trecce di paglia), dell'industria meccanica e orologeria (macchine e apparati, orologi: complessivamente per circa 250 milioni di franchi), dell'industria chimica (123 milioni di franchi), a cui va aggiunto l'alluminio; calzature, prodotti alimentari manifatturati (formaggio, latte condensato, cioccolato, in tutto 63 milioni di franchi, sempre nel 1934).

I paesi con cui il commercio è più intenso sono: Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Italia, ecc. I principali fornitori sono: Germania (388,5 milioni di fr. nel 1934, oltre ¼ del valore totale), Francia (230,4 milioni), Italia (116 milioni), Gran Bretagna, Stati Uniti, Argentina, Belgio, Cecoslovacchia, Olanda, Austria, ecc. Le esportazioni hanno un raggio molto vasto, esteso a tutto il mondo; tuttavia un gruppo di stati ne assorbe la maggior parte e sono: Germania (182,5 milioni di fr. nel 1934; un po' più che 1/5 del totale), Francia (121,6 milioni), Gran Bretagna, Italia, Stati Uniti.

Bibl.: Il M. der ethnogr. Gesellschaft in Zurich ha pubblicato, annualmente, a partire dal 1924, a cura di A. Aeppli, una Geographische Bibliographie der Schweiz. V. anche: Bibliographie der schweizer. naturwissenschaftlichen Literatur, che si è cominciata a pubblicare a Berna dal 1925; Centralkommission für schweizer. Landeskunde, Bibliographie der schweizer. Landeskunde, Berna; Katalog der schweizerischen Landesbibliotek, 1902-20, ivi 1929. V. anche la Bibliografia delle voci alpi; giura, e quella delle voci riguardanti i cantoni, le città, i fiumi, i laghi, ecc., della Svizzera.

Fra le opere di carattere generale sulla Svizzera, v. anzitutto: J. Früh, Geographie der Schweiz (opera fondamentale, 1930 e segg.); O. Flückiger, Die Schweiz, Natur und Wirtschaft, 5ª ed., Zurigo 1934; id., La Suisse à vol d'oiseau, ivi 1928; Département fédéral de l'économie publique, La Suisse économique et sociale, voll. 2, Einsiedeln 1926-1927; G. Michel e A. Wiest, La Suisse. Géographie physique, humaine et économique, Friburgo 1930; Knapp e Borel, Dictionnaire géographique de la Suisse, voll. 6, Neuchâtel 1902-10; Département fédéral de l'Intérieur, Bureau de statistique, Atlas graphique de la Suisse, Berna 1914; Der schweizer Geograph (per opera di varî autori): dal 1924, esce annualmente, a cura del Verein schweiz. Geographenlehrer e della Geogr. Gesell. von Bern, La Suisse: supplem. al numero di novembre 1925 della Vie technique et industrielle; J. Blache, Une excursion géogr. en Suisse, in Revue de Géographie alpine, 1928, pp. 745-83; P. Vosseler, Stand und Aufgaben der Schweizergeographie, in Geogr. Zeitschr., XXXIV (1928), pp. 32-44; Guides bleus: Suisse, 32ª ed., Parigi 1929; La Suisse à travers les âges, in "Je sais tout" universel et économique, aprile 1929; P. Vosseler, Die Landschaften der Schweiz (commento a 20 tavole scelte dal Topogr. Atlas der Schweiz), Berna 1928; K. Baedeker, Die Schweiz, ecc., 38ª ed., Lipsia 1930; Bureau fédéral de Statistique, Annuaire statistique de la Suisse.

Per le carte, v.: Carte Dufour (1 : 100.000; 24 fogli in nero); Atlas Siegfriep (a colori; 1 : 50.000 per le Alpi; 1 : 25.000 per l'Altipiano e il Giura); v. anche: F. Nussbaum, Unsere Landeskarten und ihre weitere Entwicklung, in Der Pionier, nn. 5-6, 1928; R. Schneider, Zur Geschichte unserer Siegfriedkarte, in Die Alpen, V (1929), pp. 103-06; W. Schule, Hypsometrische Karte d. Schweiz, 1 : 1.000.000, in Jahresber d. geogr. Gesell. Bern, XXVIII (1929).

Per la geologia e morfologia, v.: A. Heim, Geologie der Schweiz, voll. 3, Lipsia 1920-22: W. Stauf, Neuere Arbeiten über den Aufbau des schweizer. Mittellandes und der Vorgeschichte seiner Flussläufe, in Zeitschr. Gesell. Erdkunde Berlin, 1928, pp. 331-35; R. Frey, Monographie des schweizer. Deckenschotters, in Beiträge zur geolog. Karte der Schweiz, n. 67; E. Baertschi, Das schweizer. Mittelland, in Neue Denkschr. der shweizer. Naturforsch. Gesell., 1913, pp. 153-309; F. Machatschek, Der schweizer Jura, in Petermans geogr. Mitteil., supplemento 150, Gotha 1905; Matériaux pour la Carte géologique de la Suisse; J. Cadish, Der Bau der Schweizer Alpen, Zurigo 1926; A. de Quervain, Die Seismicität der Schweiz, in Mat. pour l'étude des calamités, III, pp. 245-48; F. Machatschek, Zur Geomorphologie der schweiz. Alpen, in Zeit. Ges. Erdk. Berlin, 1928, pp. 232-273; Soc. Helvét. d. Sciences Natur., Atlas géolog. de la Suisse au 25.000, Berna 1930; W. Staub, Einführung zur geol. Wandkarte der Schweiz in Masstab 1.200.000, ivi 1930; Soc. Géol. Suisse, Guide géolog. de la Suisse (pubbl. in occasione del suo cinquantenario), Basilea 1934; W. Staub, Geolog. Wandkarte der Schweiz und der angrenzenden Gebiete, Berlino 1934.

Per il clima, idrografia, vegetazione, v.: J. Maner, R. Billwillen e C. Gess, Das Klima der Schweiz auf Grundlage der 37. jährigen Beobachtungsperiode 1864-1900, voll. 2, Frauenfeld 1909-10; P. Beck, Eine Karte der letzten Vergletscherung der Schweizer Alpen, Berna 1926; nella rivista del Club Alp. Svizz., Die Alpen (Les Alpes), si pubblicano periodicamente le osservazioni sulle variazioni periodiche dei ghiacciai nelle Alpi Svizzere; W. Staub, Klimaschwankungen, Landschaftsform und Siedlungen, ihre Beziehungen in der Vorgeschichte der Schweiz, Winterthur 1930; R. Billwiller, Temperatur und Niederschlag im schweiz. Alpengebiet während des letzten Gletschertorstosses, in Annalen d., schweiz. met. Zentralanstallt 1930, Zurigo 1931; O. Lutschig, Niederschlagbilanz, Firn und Schneegrenze, ibid., 1929, ivi 1931; J. Maurer, Die Gebiete höchster Jahresniederschläge im schweiz. Alpenland, in Gerlands Beitr. zur Geogr. Leipzig, XXXII (1931), pp. 346-52; M. Moseillon, Pluviosité et taux de boisement du Plateau Suisse, in La Météor., VIII, Parigi 1932; W. Mörkofer ha pubblicato varî articoli sulla bioclimatologia della Svizzera in Schweizer Medizin. Jahrbuch; Lugeon e Jérémine, Les bassins fermés des Alpes Suisses, in Bull. Soc. Vaud. des Scienc. Natur., XLVII (1911), pp. 461-650; Département des postes et des chemins de fer, Annuaire hydrogr. de la Suisse (pubblicaz. annuale, già a cura del Département féd. de l'Intérieur); v. varie pubblicaz. del Service des Eaux, già dipendente dal Département fédéral de l'Intérieur, ora dal Départ. des postes e chemins de fer, tra cui: Les forces hydrauliques de la Suisse, voll. 5, Berna 1915; Statistique des usines hydraul. de la Suisse, ivi 1928; Étude économique sur l'approvisionnement du pays en énergie pendant l'hiver, ivi 1928; O. Lutschig, Zur Hydrologie des Hochgebirges der Schweizeralpen, in Bull. de la Soc. Neuchât. de Géogr., 1933, pp. 263-81; H. Brockmann Jerosch, Die Vegetation der Schweiz, voll. 3, Zurigo 1925 e Berna 1927-29; id., Regenkarte der Schweiz, 1 : 200.000, Berna 1925; id., Vegetations- und Wirtschaftskarte der Schweiz, ivi 1925; E. Furrer, Kleine Pflanzengeographie der Schweiz, Zurigo 1923; E. Zuhof, Die Waldgrenze in der Schweiz, Beiträge zur Geophysik, IV (1900), pp. 241-330; La Suisse forestière (pubbl. della Soc. forestière suisse), 2ª ediz., Losanna 1926; A. Becherer, Beiträge zur Pflanzengeographie der Nordschweiz, Colmar 1925; M. Oeschlin, Der schweizerische Nationalpark, Zurigo 1926; I. Amann, Nouvelles additions et vérifications à la flore des mousses de la Suisse, in Mém. Soc. Vaud. de Sc. Natur., XI (1928), pp. 25-64; U. Simeon, Samenbildung und Samenverbreitung bei den in der Schweiz unterhalb der Waldgrenze wachsenden Pflanzen, Lucerna 1928.

Per la popolazione e i tipi d'insediamento, v.: O. Schloghaufen, Die anthropolog. Untersuchung aus den schweiz. Stellungspflichtigen, in Verhandl. d. schweiz. Naturforsch. Ges. Basel, Berna 1927 e 28; id., Körpergrösse, Kopfform und Farbenmerkmale von 280 schweier. Rekluten, in B. d. schweiz. Gesell f. Anthrop. und Erdk., ivi 1927; R. Reinhert, Die jüngere Steinzeit der Schweiz, Augusta 1926; Weyler, Das Übervölkerungsproblem der Schweiz, in Zeitschr. für schweizer Statistik und Volkswirtschaft, LIX (1933), pp. 3-39; A. Picot, Un problème national, la population étrangère établie en Suisse, 2ª ed., Ginevra 1914; Cl. Raymond Duchosal, Les étrangers en Suisse (Bibl. des Sciences Sociales). Parigi s. a. (1930); Schweiz. Gebirgsentvölkerung, ecc., in Zeit. für schweiz. Staat, LXVIII, Berna 1927; P. M. Arcari, Le lingue nazionali della Confederazione Elvetica e i loro spostamenti attraverso il tempo, Comitato ital. per lo studio dei problemi della popolazione, s. 2ª, II, Roma 1930; P. H. Schmidt, Die Schweiz als Lebensraum, S. Gallo 1934; L. F. Schoel, La langue française en Suisse, in rev. des Deux Mondes, ottobre 1934, pp. 862-92; I. Brockmann Jerosch, Schweizer Volksleben, Sitten, Bräuche, Wohnstätten, J. Erlenbach 1928; K. Zbinden, Die schweizer. Auswanderung, Lucerna 1932; Schweizer Ingenieur- und Architektenverein, Das Bürgerhaus in der Schweiz, voll. 20, Zurigo e Lipsia 1910-1928; I. Hopfner, Keltische Ortsnamen der Schweiz, Berna 1930; C. Berman, L'habitat rural en Suisse, in Bull. Soc. Neuchât. de Géogr., XLI (1932), pp. 5-40; H. Brockmann Jerosch, Schweizerbauernhaus, Berna 1933.

Per l'economia, v.: E. Geering e R. Hotz, Wirtschaftskunde der Schweiz, 8ª ed., Zurigo 1923; A. Struby, Die Alp- und Weidewirtschaft in der Schweiz, Soletta 1914; E. Tissot, L'industrie horlogère suisse, Friburgo 1922: A. Kraemer, Die Landwirtschaft im XIX. Jahrhundert, Frauenfeld 1902; Schneider, Die schweiz. Volksernährung vor und während d. Kriege, in Journal Statist. Suisse, 1919, pp. 7-20; Notices sur les exploitations minérales de la Suisse. Exposition internat. de Genève, 1916; E. Geering, Grundzüge einer schweiz wirtschaftsgeschichte, Berna 1912; A. Masnata, L'émigration des industries suises, Losanna 1924; W. Hunziker, Die schweiz. Baumwollindustrie, Zurigo 1923; E. Geering, Von der Exportstruktur des schweiz. Volkswirtschaft, in Politisches Jahrbuch der schweiz. Eidgenossenschaft, XXVII (1913), pp. 177-203; I. Göttler, Notion sur l'électrification des chemins de fer suisses, Berna s. a.; G. Lecarpentier, La Suisse au travail, Parigi 1925; Schweizer. Industriekarten. Eidgenöss. Volkszählung vom 1. Dez. 1920, Berna 1926; M. Turmann, La question du blé en Suisse, in Revue des Jeunes, 1926, pp. 260-69; Union des Banques Suisses, Les ressources naturelles et les industries de la Suisse, Zurigo 1926; A. Allox, La navigation fluviale en Suisse et les débouchés maritimes, in Les études rhodaniennes, IV (1928), pp. 161-65; P. Balmer, La Suisse et la navigation fluviale. Union génér. des Rhodaniens, IVe Congrès du Rhône, Valenza 1929; P. Fosseler, Wirtschaft, Verkehrs- und Handelsgeographie der Schweiz, Zurigo 1928; M. Gagg, Die Frau in der schweizer. Industrie, Lipsia 1928; E. Paravicini, Die Bodenbenutztungs-systeme der Schweiz..., in Peterm. Mitteil., suppl. 200, Gotha 1928; F. Molino, La houille blanche en Suisse au Ier janvier 1928, in Les études rhodaniennes, VI (1930), pp. 41-50; A. Pinton, Le marché de la soie en Suisse, in Les études rhodaniennes, VIII (1931), pp. 97-98; M. Schadeck, Les routes du commerce extérieur de la Suisse, Parigi 1934; M. Laitzen, Mission et régime des chemins de fer dans l'économie nationale, Berna 1932; La coordination du rail et de la route en Suisse, in Chronique des transports, Parigi, agosto 1933, pp. 3-10; I. Siedentop, Eisenbahngeographie der Schweiz, Halle a. Saale 1933; Hundert Jahre schweizer. Alpenposten, Ginevra 1934.

Ordinamento dello stato.

Ordinamento costituzionale. - La Svizzera è uno stato federale, composto di ventidue stati (cantoni) due dei quali (Appenzell, Unterwalden) suddivisi in due; il cantone di Basilea era anche diviso in Basilea Città e Basilea Campagna (Baselland); ma il 23 febbraio 1936 i due mezzi cantoni hanno votato la riunione. I conflitti di competenza sono decisi dal tribunale federale, quando riguardino i rapporti fra cantoni e fra questi e la confederazione, dall'assemblea federale quando sorgano fra l'una e l'altra autorità confederale.

I cantoni partecipano indirettamente all'attività della confederazione, come organi per l'elezione del consiglio degli stati; direttamente, poiché basta la richiesta di cinque cantoni per far convocare l'assemblea federale; essi hanno il diritto d'iniziativa nell'assemblea e quello di collaborare alla revisione della costituzione federale, aggiungendosi il voto dei singoli cantoni alla votazione popolare.

La confederazione regola giuridicamente e amministra direttamente: posta, telegrafi, telefoni, moneta, dogane, monopolio degli alcoolici, regia degli esplosivi, emissione dei biglietti di banca, affari esteri (i cantoni possono trattare con l'estero direttamente solo per eccezione e per affari di secondaria importanza), sorveglianza delle agenzie per l'emigrazione e di assicurazione privata, proprietà intellettuale, gestione dell'Istituto svizzero di assicurazione contro gl'infortunî. Sono di competenza della confederazione, ma amministrati parte da essa, parte dai cantoni: l'esercito, l'anagrafe, il controllo sugli stranieri (avocato in sempre maggiore misura alla confederazione per quanto riguarda i profughi politici e i disoccupati); mentre è affidata ai soli cantoni l'esecuzione delle leggi confederali riguardanti pesi e misure, igiene, igiene del bestiame, protezione del lavoro, trasporto di alimentari e materie esplosive, assicurazione contro le malattie, sorveglianza sulle opere idrauliche e forestali, genio civile, ecc. Di competenza esclusivamente cantonale, ma previa osservanza di certi principî stabiliti dalla costituzione federale sono: scuola, chiesa, tribunali, diritto di stampa, concessione della cittadinanza, diritti politici. La costituzione interdice assolutamente, fra l'altro, la fabbricazione, importazione e vendita dell'assenzio, la pena di morte per delitti politici, l'istituzione di nuovi conventi e di nuovi ordini religiosi, l'introduzione dell'ordine dei gesuiti, le capitolazioni militari, l'arruolamento per conto di potenze estere, le truppe permanenti, le case da giuoco.

Gli organi politici della confederazione svizzera sono: il consiglio nazionale e il consiglio degli stati, rappresentanti l'uno il popolo svizzero nella sua totalità ("principio democratico"), l'altro i cantoni ("principio tradizionale"). Consiglio degli stati e consiglio nazionale formano insieme l'assemblea federale, ma siedono separatamente, eccetto che per le elezioni del presidente, e per i conflitti di competenza fra autorità confederali; in questi casi decide la maggioranza assoluta. Il consiglio nazionale viene eletto secondo il sistema proporzionale (un rappresentante per ogni 22.000 abitanti); le circoscrizioni elettorali sono i cantoni, che eleggono ognuno almeno un deputato. Elettori sono i cittadini svizzeri di vent'anni compiuti, eleggibili tutti gli elettori, eccetto gli ecclesiastici e i funzionarî statali, confederali o dipendenti dalla confederazione. I membri del consiglio nazionale percepiscono un'indennità. Il consiglio degli stati è composto di 44 membri, due per ogni cantone (uno per ogni semicantone). Non sono eleggibili i membri del consiglio nazionale né quelli del consiglio federale. L'elezione avviene cantone per cantone, o direttamente o attraverso il gran consiglio del cantone. L'assemblea federale ha funzioni legislative, e anche esecutive, e, in alcuni punti, giudiziarie. Di competenza dell'assemblea federale sono: organizzazione e modo d'elezione delle autorità federali, del generale comandante l'esercito, di varî funzionarî; misure belliche e rapporti con l'estero, bilancio, revisione della costituzione, ecc. Nell'uno e nell'altro ramo decide la maggioranza assoluta: per la validità delle decisioni occorre la presenza della maggioranza dei membri del rispettivo ramo.

L'autorità esecutiva suprema è il consiglio federale, composto di sette membri eletti per tre anni dall'assemblea federale fra cittadini svizzeri eleggibili (debbono appartenere tutti a cantoni differenti); esso non dipende da un voto di fiducia dell'assemblea stessa. Il presidente e il vicepresidente del consiglio sono eletti dal parlamento per un anno, e non sono rieleggibili. I privilegi del presidente sono di carattere formale (primus inter pares). Oltre le competenze normali amministrative (esercitate attraverso i dipartimenti: politico [affari esteri], degli interni, della giustizia e della polizia, militare, delle finanze e delle dogane, dell'economia, della posta e delle ferrovie), il consiglio è autorizzato a chiamare le truppe alle armi di propria iniziativa, in caso di necessità. Un cancelliere e due vicecancellieri federali, eletti dal parlamento, sbrigano gli affari di cancelleria del parlamento, del consiglio federale e organizzano le elezioni e i referendum. Il tribunale federale, che non risiede a Berna come le altre autorità federali, ma a Losanna, è composto di 26-28 membri e nove supplenti, eletti dal parlamento per sei anni, tenendo conto delle tre lingue nazionali svizzere, fra i cittadini svizzeri, a eccezione dei membri del parlamento, del consiglio degli stati, del consiglio federale, dei funzionarî; il presidente è eletto fra i giudici federali dal parlamento. Il tribunale federale è composto di cinque sezioni (1ª e 2ª sezione civile, sezione di diritto pubblico e amministrativo, sezione per il diritto fallimentare, sezione per il diritto penale, divisa in quattro sottosezioni).

Oltre che attraverso le elezioni politiche e civili, cantonali e confederali, i cittadini svizzeri esercitano i loro diritti attraverso l'iniziativa costituzionale, per la quale basta una domanda sottoscritta da 50.000 elettori affinché sia posta a referendum la necessità di una revisione totale della costituzione (dal 1896 l'iniziativa popolare è ammessa anche per revisioni parziali; le sottoscrizioni per la revisione devono essere raccolte entro sei mesi; non c'è iniziativa popolare per la proposta di leggi), e attraverso il referendum, per il quale bastano le sottoscrizioni di 30.000 elettori o la mozione di otto cantoni, entro novanta giorni dalla pubblicazione di una legge federale (che non abbia carattere d'urgenza), acciocché si indica la votazione popolare (con voto scritto e segreto) sulla legge stessa; decide la maggioranza semplice.

La competenza dei cantoni è autonoma e assolutamente indipendente dall'autorità federale. Tutti i cantoni hanno costituzioni democratiche; non solo la legislazione cantonale, ma anche la nomina di molti funzionarî e magistrati cantonali procede quindi direttamente dal popolo. Vi sono cantoni rurali (Landesgemeindekantone): Obwalden, Nidwalden, Appenzell-Innerrhoden, Appenzell-Ausserrhoden, Glarus, dove tutti i cittadini esercitano la sovranità direttamente; cantoni con referendum obbligatorio: Zurigo, Berna, Schwyz, Grigioni, Basilea campagna, Turgovia, Argovia, Soletta, Vallese; con referendum facoltativo: Lucerna, Zug, Basilea città, San Gallo, Ticino, Neuchâtel, Ginevra, Friburgo. Il Vaud ha il referendum obbligatorio e quello facoltativo, secondo i casi. Le adunanze dei cantoni rurali hanno conservato il solenne carattere tradizionale (nei cantoni cattolici interviene la Chiesa); tutti gli elettori sono obbligati a parteciparvi: si tengono annualmente in primavera, di domenica; le votazioni avvengono per alzata di mano. Gli altri cantoni hanno come corpo legislativo unicamente il gran consiglio, eletto per votazione segreta, diretta, proporzionale. Il corpo esecutivo è il consiglio del governo. Anche per i cantoni il popolo ha i diritti d'iniziativa e di referendum; questo è differente da quello federale: il popolo può attraverso di esso esprimere il suo voto sulla costituzione, sulle leggi e sulle risoluzioni dell'autorità legislativa. Il referendum cantonale sulla costituzione è prescritto dalla costituzione federale, quello sulle leggi c'è in tutti i cantoni; in alcuni c'è il referendum finanziario, per l'approvazione di decisioni che implichino spese al di sopra di un certo limite. C'è anche il diritto d'iniziativa popolare.

Forze armate. - Esercito. - Tipico esercito di "milizia", a reclutamento obbligatorio, è sprovvisto di forze permanenti, ad eccezione di un nucleo di circa 300 istruttori: organizzazione resa possibile dalla neutralità armata del paese, dallo spirito soldatesco e dalle tradizioni militari del popolo.

Bilancio: franchi 100.475.000. Forza media annuale: ufficiali 660, truppa 12.500.

L'obbligo al servizio militare è generale e personale; la sua durata è di 28 anni per la truppa, 32 per gli ufficiali; non esistono esclusioni, né esenzioni, se non per inabilità fisica. I non idonei pagano una "tassa militare", a titolo di surrogazione e di contributo alla difesa militare della nazione; sono, oltre a ciò, assoggettati a una sovraimposta sul capitale e sul reddito. L'obbligo di servizio viene assolto: 12 anni (10 per la cavalleria) nel servizio attivo; 8 anni nella Landwehr; 8 nella Landsturm.

La raccolta del personale è locale per la fanteria, cantonale per le altre armi e i servizî, nazionale per poche unità non incorporate nelle divisioni. I cittadini compiono, in tempo di pace, i seguenti periodi di servizio: scuola di recluta, della durata di 60 giorni per i servizî, 65 per la fanteria e il genio, 75 per l'artiglieria e il personale delle fortezze, 90 per la cavalleria; corsi di ripetizione, della durata di 13-16 giorni ogni anno di permanenza nell'esercito attivo, 11-13 giorni ogni 4 anni di permanenza nella Landwehr. Le scuole di recluta sono organizzate per arma; ciascuna costituisce un battaglione scuola o reparto corrispondente. Nel febbraio 1935, in seguito a referendum il popolo si è dichiarato favorevole a prolungare la durata del servizio di recluta, portandolo a 3 mesi per la fanteria e l'artiglieria, a 3 mesi e mezzo per la cavalleria; a sottoporre i riservisti della Landwehr a corsi di ripetizione ogni due anni di permanenza nella medesima.

Al termine del servizio di recluta, il militare riceve in consegna, per tutta la durata dell'obbligo di servizio, l'armamento e l'equipaggiamento personale di cui risponde allo stato; ne diviene libero proprietario all'atto dell'invio in congedo assoluto.

Gli ufficiali di milizia sono tratti da sottufficiali, chiamati a compiere, presso scuole ufficiali, corsi della durata minima di 45 giorni per alcuni servizî, massima di 105 giorni per l'artiglieria e il genio.

Il territorio è suddiviso in 3 circondarî di corpo d'armata, 6 circondarî di divisione (Morges, Bienne, Berna, Aarau, Zurigo, S. Gallo).

L'esercito comprende: grandi unità: 3 corpi d'armata, ciascuno di due divisioni di fanteria; 6 divisioni di fanteria, ciascuna di 3 brigate di fanteria (di cui 1 da montagna) e 1 brigata di artiglieria; 3 brigate di cavalleria, ognuna di due reggimenti; truppe dell'esercito attivo e della Landwehr: fanteria divisionale e da montagna; cavalleria (dragoni); artiglieria da campagna, da montagna, pesante campale, motorizzata, da fortezza; genio zappatori, minatori, pontieri, telegrafisti, radiotelegrafisti; servizî: sanità, commissariato, trasporti, ecc.

Aviazione militare. - Dipende dallo stato maggiore generale; è costituita da 18 compagnie d'impiego, 1 compagnia parco, 3 compagnie fotografiche, ed è equipaggiata con velivoli di progettazione estera. Aeroporti militari: Dübendorf (Zurigo), Thun, Losanna.

Per l'addestramento vi sono: una scuola reclutamento, una scuola sottufficiali, una scuola ufficiali, una scuola piloti, una scuola osservatori. L'istruzione del pilotaggio viene impartita durante la seconda metà del corso per ufficiali e continuata nella scuola per piloti e osservatori; ultimato il corso per piloti, gli ufficiali hanno l'obbligo di compiere 100 ore di volo all'anno per 3 anni consecutivi; gli ufficiali subalterni passano nella riserva a 32 anni di età.

Gli effettivi sono di 695 fra ufficiali e sottufficiali, e 2241 comuni. Gli apparecchi in dotazione sono: 150 per pronto impiego bellico; 100 per allenamento e addestramento.

Culti. - Il cristianesimo penetrò nella Svizzera abbastanza presto, e i primi centri furono lungo le vie che traversavano le Alpi; tra la fine del sec. IV e l'inizio del V si hanno i vescovati di Aventicum (Avenches), trasportato poi a Vindonissa (Windisch) e più tardi, verso la fine del sec. VI, a Losanna; di Octodurum (Martigny) trasferito anche nel sec. VI a Sion; di Basilea, di Ginevra, di Coira. Le invasioni barbariche colpirono profondamente questa vita ecclesiastica; ma con la conversione dei Burgundi al cattolicismo essa risorse e i vescovi Costanzo di Octodurum, Massimo di Ginevra, Bubulco di Vindonissa presero parte al concilio di Epaona. In seguito, alle fondazioni monastiche, quali S. Maurizio nel Vallese (che attesta l'antichità del culto della legione tebana) e al vescovato di Costanza, si aggiunse l'azione dei missionarî irlandesi, con la riorganizzazione di Romainmôtier e la fondazione delle abbazie di San Gallo e Disentis, che accettarono poi la regola benedettina, e furono seguite da altre, tra cui Einsiedeln, le quali poi accettarono la riforma monastica, nonché dai canonici regolari di S. Agostino (Gran San Bernardo), dai cisterciensi, dai certosini, e poi dagli ordini mendicanti. È superfluo ricordare i concilî di Basilea e di Costanza; ma meritano breve ricordo il movimento mistico degli "amici di Dio" che si diffuse da Basilea e quello che si sviluppò nei conventi domenicani di Oetenbach, Totz, Katharinental; e, quasi alla vigilia della Riforma, il tentativo di riforma del vescovo di Basilea, Cristoforo di Utenheim (1503).

L'introduzione della Riforma nella Svizzera è strettamente legata a fatti non solo culturali (l'umanesimo cristiano ch'ebbe il suo centro a Basilea, e poi l'impulso dato dall'esempio di Lutero), ma anche politici (per questi, e per i principali avvenimenti, v. sotto: Storia). Qui giova notare il fatto che la Riforma fu attuata nelle diverse città, in stretta relazione tra loro, ma altresì con una certa indipendenza teologica: neppure U. Zwingli fu un caposcuola, tanto meno un fondatore di religione, nello stretto senso della parola; e per quanto potessero accordarsi fra loro in alcune questioni importanti, anche contro Lutero (per esempio, nella controversia sacramentale), un Ecolampadio, un W. Capito, un Bullinger, un Vadiano (J. von Watt) rappresentano tendenze diverse; l'unificazione fu data solo più tardi e gradualmente, dal prevalere della teologia di Calvino; anch'essa non investì ogni aspetto della vita religiosa e fu lungi dal dare ad ogni città la costituzione caratteristica di Ginevra. La prevalenza del calvinismo è completa quando, oltre Ginevra, anche Zurigo, Berna, Basilea e Sciaffusa sono rappresentate al sinodo di Dordrecht (1618-1619). Ma l'uniformità assoluta non fu raggiunta nel culto, benché certo già per la fine del sec. XVI la Svizzera non presenti più l'aspetto che offre verso la metà del secolo, allorché, paese di rifugio, essa accoglie esuli per causa di religione dalla Francia, dall'Inghilterra, dall'Italia e - sebbene non senza persecuzioni - anche anabattisti e antitrinitarî.

Il movimento pietistico si frazionò anche nella Svizzera in diverse correnti; poi l'illuminismo e il razionalismo predominarono, tanto da scalzare l'ortodossia calvinista nella stessa Ginevra, dove - come in altre parti - si oppose a questo indirizzo, nella prima metà del sec. XIX, il movimento del cosiddetto Réveil. Ma anche tale tendenza suscitò una reazione, e il contrasto si attutì soprattutto per l'azione di una corrente intermedia, che riuscì a mantenere quasi ovunque l'unità ecclesiastica, tranne che per le chiese libere della Svizzera francese, dando però ad esse un ordinamento più democratico e minore rigidezza dogmatica. Intanto penetravano nella Svizzera anche altre sette riformate, specialmente metodisti e battisti; nonché l'esercito della salvezza, oltre a mormoni, avventisti, ecc. Nel 1920, sulla base di alcune associazioni preesistenti, si formò l'Alleanza delle chiese evangeliche svizzere (Schweizerischer evangelischer Kirchenbund) cui aderiscono, con le chiese cantonali e le chiese libere della Svizzera francese, anche i metodisti episcopali.

La battaglia di Kappel (1531) segnò senza dubbio una battuta d'arresto nell'estensione della Riforma in Svizzera; ma l'espansione di Berna nel Vallese e l'opera di G. Farel e di Calvino segnarono altri progressi della Riforma. La quale fu combattuta soprattutto in seguito all'azione svolta con mezzi e carattere politici, dai duchi di Savoia e, sul terreno più strettamente religioso, principalmente da S. Carlo Borromeo, assistito dal vescovo di Basilea J. C. Blarer, dai gesuiti a Friburgo (S. Pietro Canisio), Briga, Sion, Soletta, Bellinzona e poi dai cappuccini. La divisione religiosa fu causa di numerose e gravi lotte (v. sotto: Storia). L'illuminismo, con il cosiddetto giuseppinismo, e più ancora la ripercussione della rivoluzione francese, aggravarono molto la posizione dei cattolici; e sebbene la restaurazione, con il riordinamento delle diocesi e il ritorno dei gesuiti modificasse questo stato di cose, in seguito, il prevalere delle dottrine liberali e democratiche e le vicende politiche del sec. XIX aggravarono di nuovo la condizione dei cattolici: la costituzione del 1848 escluse dal territorio elvetico i gesuiti e molti monasteri furono soppressi. Un altro vivo contrasto si ebbe dopo il concilio vaticano, allorché non soltanto si organizzarono le chiese dei Vecchi cattolici (Christkatholische Kirche der Schweiz), ai quali furono assegnate varie chiese e Berna concesse una facoltà teologica (1874), ma si ebbero vivaci contrasti tra le autorità politiche e il vicario apostolico di Ginevra G. Mermillod e il vescovo di Basilea E. Lachat; e si venne alla rottura dei rapporti diplomatici tra la confederazione e la Santa Sede. Nel 1883 questa però sopprimeva il vicariato apostolico di Ginevra trasferendo il Mermillod alla cattedra di Friburgo, mentre il Lachat, rinunciando alla sua sede, era nominato amministratore apostolico della nuova diocesi di Lugano, eretta sottraendo il Canton Ticino alla giurisdizione ecclesiastica di Como e di Milano. Nel 1889 veniva istituita l'università cattolica di Friburgo, nel 1920 ripresi i rapporti diplomatici con la Santa Sede.

La costituzione federale del 1874, mentre garantisce piena libertà di coscienza e di culto, limita i diritti dei cattolici (nessun episcopato può essere istituito senza l'approvazione della confederazione; la compagnia di Gesù e le società ad essa affiliate sono escluse dal territorio elvetico: è proibito fondare nuovi conventi o ordini religiosi, ecc.).

Secondo il censimento del 1930 si avevano:

La gerarchia cattolica comprende le diocesi (tutte immediatamente soggette alla Santa Sede) di Basilea e di Lugano, con residenza a Soletta e un amministratore apostolico per Lugano; Coira; Losanna, Ginevra e Friburgo, con residenza a Friburgo; San Gallo (1823); Sion; oltre alle abbazie nullius di Einsiedeln (934) e S. Maurizio di Agaune (dal 1840). I Vecchi cattolici hanno un vescovo a Zurigo.

Ordinamento scolastico. - La Svizzera ha grandi tradizioni nel campo della scuola, non solo per quanto riguarda l'insegnamento elementare, ma anche per la cultura superiore. Alla grandezza umanistica di università come quella di Basilea, fa oggi riscontro la meritata fama dell'insegnamento tecnico, scientifico e commerciale. La straordinaria fioritura della vita scolastica svizzera si spiega con la grande libertà che vige in quel paese. Tutta la legislazione scolastica vi è infatti lasciata ai cantoni, con le seguenti limitazioni costituzionali (dal 1874, art. 27 della costituzione): i cantoni debbono garantire l'insegnamento primario, che deve essere "esclusivamente statale" (con esclusione quindi dell'insegnamento ecclesiastico, ma non delle scuole private), obbligatorio, gratuito, non confessionale; la legge del 25 giugno 1903, integrata il 15 marzo 1930, prevede la concessione di sussidî ai cantoni da parte della confederazione. Innumerevoli le scuole infantili private di tipo froebeliano, Montessori, scuole all'aperto, ecc. Vi sono (1934) 4362 scuole elementari cantonali dei varî gradi, con 1637 maestri, 471.708 alunni. Nei piccoli comuni la scuola è il più bell'edificio del paese, e serve anche come casa comunale.

La scuola media, regolata interamente dalla legislazione cantonale, è in genere divisa in due parti, inferiore, di carattere uniforme non umanistico (653 scuole cantonali, con 3000 insegnanti, 58.000 alunni) e superiore, differenziantesi in liceo classico, liceo scientifico, scuola di commercio (85 licei, 50 scuole di commercio, 611 insegnanti, 11.325 alunni: in tutte le scuole vige la coeducazione). La differenza fra il liceo umanistico e quello scientifico è attenuata per i provenienti da quest'ultimo dalla possibilità di sostituire certe discipline, e di parificarsi ai provenienti dal classico con esami supplettivi. All'uscita dal liceo l'esame di maturità ammette all'università.

Numerose sono le università, anch'esse cantonali, e di differente entità. Le più antiche sono Basilea (1460), Losanna (1537 accademia, 1890 università), Ginevra (1559 accademia, 1873 università): sono in qualche modo specializzate: Losanna in scienze diplomatiche, Basilea, con una ventina di cliniche e istituti, in medicina, ecc., benché, per es., Basilea sia altrettanto nota per la sua scuola giuridica e per la sua facoltà teologica. A Friburgo c'è l'università cattolica, dove varî insegnamenti sono impartiti in latino. Vengono poi Neuchâtel e Zurigo - dove accanto all'università troviamo l'unico istituto scolastico federale, il Politecnico (ivi tra il 1856 e il 1860 insegnò F. De Sanctis) e che conta ogni anno circa 1500 iscritti; a San Gallo v'è l'università commerciale. Numerose poi le scuole professionali specializzate (di cui 22 a carattere agrario e forestale) e quelle per la preparazione dei maestri, quelle di musica, di belle arti, di arti e mestieri. Fra le private notevole quella per malati di petto a Davos; numerose quelle per i variamente minorati. A Ginevra funziona un istituto universitario per gli studî internazionali.

Finanze. - Bilanci e debito pubblico. - Le conseguenze finanziarie della guerra mondiale furono avvertite anche dalla Svizzera, non ostante la sua neutralità. L'interruzione dei traffici e i grandi rivolgimenti politici e monetarî di molti paesi europei non potevano non ripercuotersi ovunque. Solo nel 1928 il bilancio della confederazione riuscì a chiudersi in avanzo: la crisi mondiale era però alle porte e dal 1932 il deficit è riapparso, come risulta dalle seguenti cifre (in milioni di franchi svizzeri):

Le entrate del governo federale derivano per oltre due terzi dai dazî doganali. Le tasse di bollo e quella per l'esenzione dal servizio militare (il cui gettito spetta per metà ai cantoni) hanno pure notevole importanza. Scarso valore ha invece l'imposizione diretta. Le spese di gran lunga maggiori sono quelle per il servizio del debito pubblico, per sussidî e per la difesa nazionale.

Tutto il debito pubblico della Svizzera, sia consolidato sia fluttuante, è interno. Al 31 dicembre 1935 il debito pubblico della confederazione ammontava a 2064,8 milioni (di cui 1752,8 di consolidato e 311 di fluttuante) e quello delle ferrovie a 2004,7 milioni (di cui 1939,6 di consolidato e 61,1 di fluttuante).

Moneta e credito. - La Svizzera che, fin dal 1850, aveva adottato il sistema monetario francese (basato sul franco diviso in 100 centesimi) e che nel 1865 aveva partecipato all'Unione monetaria latina, conservò la circolazione bimetallica effettiva fino allo scoppio della guerra mondiale. Il 30 luglio 1914 il governo federale si vide costretto a dichiarare il corso forzoso e ad emettere biglietti da 20 franchi in sostituzione delle monete d'oro. Successivamente provvide poi a emettere buoni di cassa da 5, 10, 20 e 40 franchi, a proibire l'agiotaggio in monete d'oro e d'argento dei paesi dell'Unione latina, a vietare l'esportazione d'oro sotto qualsiasi forma (luglio 1915) nonché la fusione o trasformazione delle monete d'oro (febbraio 1918) e anche di quelle divisionali (dicembre 1919). Nel 1920, per porre fine all'invasione dell'argento (che, favorita dal dislivello dei cambî, aveva acquistato proporzioni imponenti e destava preoccupazioni anche a causa del forte ribasso del prezzo dell'argento), le monete divisionali francesi, previa nazionalizzazione reciproca, furono ritirate dalla circolazione, fu vietata l'importazione di scudi d'argento (moneta da 5 franchi) degli altri stati dell'Unione e furono dichiarate fuori corso le monete divisionali belghe. Le modalità per il rimpatrio e il rimborso come per la fusione e trasformazione in moneta svizzera delle monete ritirate dalla circolazione (per la somma complessiva di 232 milioni di franchi) furono stabilite dalla convenzione di Parigi del 21 dicembre 1921.

Si ebbe così di fatto la liquidazione dell'Unione monetaria latina, e con essa il tramonto del bimetallismo. L'Unione restò però nominalmente in vigore fino alla fine del 1926, allorché la Svizzera, a seguito dei varî provvedimenti monetarî adottati dal Belgio, dalla Francia e dall'Italia, dichiarò agli stati interessati (i quali non fecero alcuna opposizione) che a partire dal 1° gennaio 1927 avrebbe considerato sciolta l'Unione. Con ordinanza del febbraio 1927 furono quindi messe fuori corso anche le monete d'oro dei paesi dell'Unione e dal 1° aprile dello stesso anno solo monete svizzere circolano nella confederazione. La legge federale del 3 giugno 1931 ha poi sanzionato lo stato di fatto, abolendo definitivamente il bimetallismo e adottando il regime aureo.

L'unità monetaria è il franco (di cento Rappen o centesimi), la cui parità aurea - prima fissata a gr. 0,29032 di oro fino - deve essere attualmente mantenuta dalla Banca nazionale entro i limiti massimo e minimo di 190 e 215 milligrammi. In connessione con la svalutazione del franco francese, anche il governo federale svizzero ha decretato infatti (27 settembre 1936) di allineare la sua moneta, riducendone il valore aureo di circa il 30% (entro cioè gli estremi del 34½% e del 26%). Con lo stesso decreto è stata sospesa la convertibilità in oro o in divise auree dei biglietti della Banca nazionale, ed è stato decretato il corso legale dei biglietti stessi. Le monete d'oro sono state quindi ritirate dalla circolazione, che al 30 settembre risultava così composta di 1369 milioni di biglietti della Banca nazionale, oltre le monete divisionali.

La Banca nazionale fandata il 20 giugno 1907 (con centrale a Berna e Zurigo) ha il monopolio dell'emissione e l'obbligo di tenere una riserva in oro di almeno il 40%. Al 30 settembre 1936 la riserva ammontava a 1533,7 milioni in oro, oltre 23 milioni di disponibilità a vista sull'estero.

Oltre alla Banca nazionale, alla Centrale delle banche cantonali svizzere per le obbligazioni fondiarie (fondata nel 1931), alla Banca di obbligazioni fondiarie degl'istituti ipotecarî (1931) e alla Cassa di prestiti della confederazione (1932), funzionano in Svizzera 27 banche cantonali, di cui le più importanti sono la Banca popolare svizzera di Berna (1869), la Società di banca svizzera di Basilea (1872), il Credito svizzero di Zurigo (1856) e la Banca federale S. A. di Zurigo (1863).

Bibl.: Le Costituzioni confederale e cantonali sono edite a cura della Cancelleria federale, Berna, come pure la Raccolta delle leggi svizzere, nelle tre lingue federali (ital. ted. franc.), è la Sammlung der Bundes- und Kantonalverfassungen, pubblicata a Zöfingen nel 1910; B. Bertoni e A. O. Olivetti, Le istituzioni svizzere, Torino 1903. Per la bibl., cfr. F. R. e P. Dareste, Les Constitutions modernes, I, parte 2ª, Parigi 1929, p. 535 segg. Grande importanza, dati i complicati rapporti fra cantone e cantone come fra cantoni e confederazione, hanno i commentarî alla costituzione: W. Burckhardt, Kommentare zur Bundesverfassung, 2ª ed., 1914; U. Lampert, Schweizer Bundesstaatsrecht, 1918.

Per le finanze, oltre alle pubblicazioni statistiche di carattere internaz., allo Schweizerisches Finanzjahrbuch (Berna) e alle Jährliche Veröffentlichungen des statistichen Bureaus der schweizerischen Nationalbank (Zurigo), cfr. H. Kurz e G. Bachmann, Die schweizerischen Grossbanken, ihre Geschäftstätigkeit und wirtschaftliche Bedeutung, Zurigo 1928; E. Kellenberger, Theorie und Praxis des schweizerischen Geld- Bank- und Börsenwesens seit Ausbruch des Weltkrieges, Berna 1930; Die schweizerische Nationalbank, 1907-32, Zurigo 1932; C. Steiger e I. Higy, Finanzhaushalt der Schweiz, Berna 1934.

Preistoria.

Le prime tracce di vita umana nella Svizzera ci riconducono all'epoca glaciale. In un'epoca glaciale intermedia, probabilmente in quella di Riss-Würm, orde di cacciatori ricercarono le grotte delle alte Alpi per cacciare la loro preda principale, l'Ursus spelaeus. Sono note come tali le grotte di Wildkirchli nella regione di Santis, il Drachenloch sopra Vättis, il Wildenmannlisloch nel Kurfirsten, lo Steigelfadbalm sopra Vitznau, poi lo Schnurenloch e il Ranggiloch nel Simmental; e finalmente la grotta di Cotencher presso Boudry nel Giura sud-occidentale. Nella maggior parte delle grotte lo strato archeologico è interposto fra due strati di argilla d'epoca glaciale; si riconosce alla colorazione scura e alla presenza di ossa dell'orso delle caverne, della volpe artica, del camoscio e di altri animali dell'epoca glaciale, come anche di strumenti di pietra e di osso, e di focolari. Nel Drachenloch furono ammucchiati in casse di pietra cranî e ossa lunghe dell'orso delle caverne, il che fu interpretato da E. Bächler come un segno di culto primitivo a una divinità della caccia. Egli chiama, questa, civiltà di Wildkirchli, dal nome del principale luogo di ritrovamento, e la fa precedere nel tempo alla civiltà di Chelles (v. chelléana, civiltà). Per l'assenza di strumenti di pietra si può comprenderla, con O. Menghin, nella civiltà europea delle ossa. Cotencher sembra essere un poco più recente, si deve attribuire circa all'epoca glaciale würmiana e corrisponde tutt'al più alla civiltà francese di Le Moustier (v. mousteriana, civiltà). Nell'ultimo periodo del paleolitico più antico troviamo tre centri di residenza umana. Uno sud-occidentale con la grotta distrutta di Veyrier presso Ginevra e la Grotte du Scé, presso Villeneuve, uno nelle grotte di Olten e nel Birstal e il terzo nelle ben note grotte del Giura di Kesslerloch e Schweizersbild. Negli ultimi anni si sono aggiunti i ritrovamenti di Vordere Eiche e di Besetze presso Thayngen, e il riparo sotto roccia di Bönistein presso Zeinigen. L'animale principale in queste località è la renna, di cui si trovano spesso ossa traforate e ormate di figurazioni di animali e di piante. Gli utensili mostrano una prevalenza di lame, per cui si possono attribuire alla civiltà detta da O. Menghin delle lame.

L'evoluzione dalle stazioni di tipo La Madeleine alla civiltà neolitica delle palafitte non è ancora completamente chiarita. Sembra che nel Giura sia avvenuta in modo diverso che nella regione centrale. A Birseck la civiltà neolitica si sviluppa attraverso la civiltà di Mas d'Azil con i ciottoli dipinti e gli arpioni piatti; ad Olten la civiltà di La Madeleine è seguita dalla civiltà detta di Tardenois, che viene poi sostituita da una civiltà tipo Campigny con coltelli e oggetti d'argilla; data la ricchezza di selce nell'Olten, questa civiltà pare che vi sia durata fino all'età del metallo. Nella regione centrale conosciamo soltanto la civiltà di Tardenois, con i suoi piccoli utensili e con una fauna che, con la renna e la volpe artica, si ricollega alla fauna dell'età paleolitica più antica, e col cavallo selvatico e col capriolo già indica una fauna della steppa. Questa civiltà conduce manifestamente al neolitico primitivo, che deve essere stato influenzato dalla civiltà grimaldiana del NO. dell'Italia. Nell'età neolitica (4000-2000 a. C.) è cominciata manifestamente l'indoeuropeizzazione del paese. Perché appare allora quella primitiva civiltà indoeuropea "del contadino", che noi troviamo nelle palafitte, e nella quale una popolazione stabile attende a coltivare la terra e ad allevare il bestiame, porta la tessitura e la ceramica a un alto grado di perfezione, e professa un elevato culto dei morti. Che le palafitte non siano costruzioni su terra asciutta, ma su acqua è dimostrato dalle scoperte botaniche, faunistiche e archeologiche, e può essere corroborato anche con argomenti linguistici.

Le tombe neolitiche della Svizzera si possono distinguere in tombe delle caverne, con scheletri distesi o rannicchiati, sarcofagi di pietra con scheletri nella medesima posizione, e tumuli a incinerazione. I sarcofagi di pietra, da attribuirsi, secondo i punti principali di ritrovamento, alla civiltà di Chamblandes-Glis, tradiscono un'influenza italiana (grimaldiana) e una pirenaica, alle quali si aggiungono ancora influenze della civiltà della Senna e Marna. I menhir del Giura lasciano pensare a un culto delle pietre.

La civiltà del bronzo (2000-1000 a. C.) si sviluppò da una prima fase affine a quella delle tombe di Chamblandes e di Glis, e nella quale appaiono, come elementi caratteristici, chiocciole del tipo della Columbella rustica, uncini di bronzo, spilli a intrecci, pugnali triangolari, asce affilate e oggetti intagliati. Un altro gruppo è formato dai tumuli, che sono seguiti dai campi di urne: questi debbono derivare da un popolo straniero. In connessione con questa civiltà, segue un'ultima fioritura delle palafitte, nella quale hanno grande diffusione i motivi decorativi meridionali e sud-orientali.

Nel contenuto della civiltà non sono avvenuti grandi cambiamenti; tra gli animali domestici appare ora per la prima volta il cavallo, e appare il carro, che acquista anche un'importanza religiosa. Con questo si è dimostrato anche il culto delle sorgenti medicamentose, che ci è testimoniato dal ritrovamento della sorgente di Saint Moritz.

Non è ancora chiaro chi siano stati i portatori della civiltà di Hallstatt (v.), in Svizzera. Sembra dimostrato che gl'Illirici e altre stirpi affini, come forse i Reti, abbiano abitato il paese. Soltanto alla fine di questo periodo sembra che appaiano i Celti. Gli Etruschi poi risiedettero certamente solo nel sud del paese, poiché le oreficerie granulate etrusche, che si ritrovano al nord, devono essere considerate come merce d'importazione. Le abitazioni di questo periodo sono di alta montagna, e già ne conosciamo alcune, come il Dickenbännli presso Olten, il Hemming presso Neunkirch, l'Ebersberg sull'Irchel, e altre. Una più esatta conoscenza di queste abitazioni si è avuta dagli ultimi scavi sul Wittnauerhorn, nel Fricktal e sul Burgenrain presso Sissach. Dietro a potenti mura di difesa, costruite a secco, si mettevano le capanne d'abitazione e le stalle. Ultimamente si sono trovate abitazioni retiche d'alta montagna, tra cui è da annoverare anche il Montlingerberg nella valle del Reno (Cantone di San Gallo). Le testimonianze più importanti della civiltà di Hallstatt sono i tumuli, sparsi a centinaia per tutto il paese, ora isolati, ora in vere necropoli. Se ne trovano sul Seerücken, presso Trüllikon, nel Bärhau presso Unterlunkhofen, sulle alture a est del Lago di Sempach, nel Subingen, Ins e Valengin, mentre invece il tumulo non è mai penetrato nel Vallese e nei Grigioni. Eppure devono essersi esercitati in questo periodo forti influssi dal Sud e dall'Est, poiché in queste tombe si sono trovate ciste italiane a cordoni e idrie greche primitive.

Col periodo di La Tène cominciano i tempi storici. I portatori di questa civiltà sono di razza celtica, e sono soprattutto gli Elvezî. Nel Vallese risiedono i Seduni, i Nantuati, i Veragri, nel Giura gli Allobrogi, i Sequan e i Raurici. Nel centro devono aver vissuto gli Elvezî, dei quali il ramo più importante, i Tigurini, vivevano ad Aventicum. Cesare riferisce degli Elvezî che essi possedevano 12 oppida, 400 villaggi e molti poderi. Oppida indiscutibilmente riconoscibili sono stati tratti alla luce a Ginevra, a Petinesca, nella Penisola di Enge presso Berna, a Vindonissa e a Basilea. In queste località si trovano sempre fortificazioni a terrapieno, fossati difensivi, cimiteri, abitazioni sotterranee e fogne. Non si conosce bene la località celtica di Aventicum, capoluogo dei Tigurini. La località di La Tène, che dà il nome alla civiltà, situata all'uscita del fiume Zihl dal Lago di Neuchâtel, viene diversamente interpretata (v. la tène).

Bibl.: J. Heierli, Urgeschichte der Schweiz, Zurigo 1901; Pfahlbauberichte, in Mitth. antiq. Gesellsch. in Zürich, 1-8 di F. Keller, 9 di J. Heierli, 10-12 di D. Viollier e altri; Jahresbericht der schweiz. Ges. f. Urgeschichte, 1908-1935; O. Tschumi, Urgeschichte der Schweiz, Lipsia 1926; E. Bächler, Das Wildenmannlisloch am Selun, San Gallo 1934; F. Sarasin, Stationen Birstal, 1918; Th. Ischer, Pfahlbauten Bielersee, 1928; D. Viollier, Sépultures du second âge du fer, Ginevra 1916; P. Vouga, Latène, Lipsia 1923.

Storia.

Una vita politica indipendente nacque tra il Giura e le Alpi soltanto verso la fine dell'alto Medioevo, sebbene già il periodo preistorico, celtico, romano e l'alto Medioevo presentino importanti germi di sviluppo. Numerosi luoghi, dove si sono trovate tracce fino dall'età paleolitica (circa 6000 a. C.), provano una colonizzazione che accresce lentamente la sua densità. Sono specialmente notevoli le città lacustri, che nel 1853-54 vennero scoperte - e furono le prime - sul suolo svizzero dallo studioso di Zurigo Ferdinand Keller. Già allora i passi alpini servivano da tramiti per il traffico con i popoli meridionali (Gran San Bernardo, Sempione, passi dei Grigioni, ecc.) e non mancano le scoperte archeologiche, testimonî di vasti influssi mediterranei (v. sopra: Preistoria).

Antichità. - È incerto invece quale fosse l'origine etnica degli abitanti del suolo svizzero, sia per l'età neolitica (sino circa all'anno 2500 a. C.), sia per l'età del bronzo (sino all'anno 800 a. C.), per la più remota età del ferro (sino all'anno 400 a. C.) e perfino per la maggior parte della susseguente età più recente del ferro, il cosiddetto periodo La Tène (fino al 58 a. C.). Ci è sconosciuta la data dell'immigrazione dei Celti. Del tutto incerti sono poi i fattori - spesso supposti - illirico, ligurico, etrusco di questa colonizzazione, sebbene, secondo l'opinione degli studiosi di preistoria, sembri che i Grigioni sin dall'anno 400 a. C. appartenessero alla civiltà illirica.

Si comincia a vedere più chiaro soltanto dopo la comparsa dei Romani (58 a. C.). Gli Elvezî, sconfitti allora da Giulio Cesare presso Bibracte (vicino ad Autun), erano probabilmente venuti solo pochi decennî prima nella regione delle Alpi. Certo è che questa stirpe celtica andava allora arretrando davanti ai Germani, che avevano già varcato il Reno nell'Alsazia. Cesare costrinse gli Elvezî, con quella vittoria, a stabilirsi nuovamente in quei luoghi, tra il Giura e le Alpi, che avevano sgombrato poco prima. Con ciò l'odierno territorio svizzero non cadde soltanto sotto il dominio politico di Cesare e dei suoi successori, bensì divenne nella metà del seguente millennio (fino circa 455 d. C.) terra di colonizzazione latina (come la Gallia, la Rezia, la Vindelicia, il Norico, la Pannonia, la Mesia), senza però raggiungere l'alto grado di civiltà delle altre provincie centrali dell'impero. Ma il popolo degli Elvezî, un tempo così bellicoso, che dopo il 113 a. C. aveva partecipato anche alla spedizione dei Cimbri e dei Teutoni contro la Provenza e contro l'Italia, si trasformò in leale suddito dell'impero. Colonie di veterani romani - Iulia Equestris (Nyon), Augusta Raurica (Augst) - rafforzarono l'unione, sempre più stretta, con i vincitori. Da provincia di frontiera queste terre diventarono, dopo la sottomissione degli agri decumates (tra il Reno superiore e il Meno), per quasi due secoli una provincia interna dell'impero. Una vita culturale più raffinata si sviluppò in modo speciale nell'odierna Svizzera occidentale. La più importante città del paese, Aventicum, con i suoi quasi 50.000 abitanti, con le mura di cinta lunghe 6 km., e l'anfiteatro, era forse venti volte maggiore della odierna Avenches. Se le colonie della valle dell'Aar e del Reno (Vindonissa e Augusta Raurica) hanno avuto un'impronta più militare, non mancavano però neanche là vastissime costruzioni, teatri e templi.

Questo stato di sicurezza, durante il quale fiorivano tutte le possibilità di un'esistenza civile, ebbe fine intorno al 260 d. C., allorquando dovettero essere sgombrati gli agri decumates, fra la Selva Nera e il Meno, a causa dell'avanzata ostinata dei Germani. Verosimilmente Aventicum venne distrutta allora. Durante la seconda metà del sec. III riuscì però agl'imperatori di scacciare da capo gl'intrusi, cioè di salvare almeno la frontiera del Reno. Quando gli Alamanni si stabilirono tanto nell'odierno Württemberg quanto nel Baden, uno stato di pace imperturbata dalla parte meridionale del fiume non fu più possibile. Tuttavia, grazie a fortificazioni accuratamente eseguite e rigorosamente sorvegliate, un'occupazione permanente del paese da parte dei Germani sopravvenne soltanto verso la metà del sec. V d. C. L'imbarbarimento, rapidamente dilagato, non poté essere fermato nemmeno dal cristianesimo che penetrava dalla valle del Rodano: ne seguirono continuamente nuove invasioni, che non finirono neppure con la vittoria di Giuliano l'Apostata sugli Alamanni presso Strasburgo (357 d. C.).

Una certa attenuazione dei contrasti fu tuttavia procurata dalla cristianizzazione del paese, giacché almeno alcune delle stirpi germaniche, che assalivano l'impero, professavano la nuova religione. Gli abitanti della Borgogna che sottomisero grandi parti della Gallia, intorno al 455 d. C., e si stabilirono nel Vaud, nel Vallese, più tardi a Friburgo, a Neuchâtel nel Giura bernese, erano cristiani di confessione ariana. Lo stato del loro re Gundobaldo (circa 500 d. C.) rivela un primo tentativo d'unione di civiltà romana con nuove creazioni germaniche: con ciò, a causa dello scarso numero dei conquistatori, cominciava una loro rapida romanizzazione. In seguito a questo fatto, l'odierna Svizzera occidentale fa parte dell'Europa latina. I vincitori lasciarono quasi inalterate le istituzioni statali o amministrative.

L'influenza della Chiesa facilitava inoltre gli effetti di una certa cultura ecclesiastico-letteraria, poiché in queste regioni si trovavano monasteri di molta autorità (Saint-Maurice), e antichissime suddivisioni diocesane (Vallese, Ginevra, Losanna).

Medioevo. - Ma per la Svizzera del nord e del nord-est, assai più estesa, la civiltà romana andò persa - sia pure non di colpo. Gli Alamanni, che vi facevano irruzione pure verso il 455 d. C. erano pagani non convertiti. Solo i Grigioni hanno conservato, in parte sino al presente, la loro latinità. Il processo di germanizzazione penetrò molto lentamente in tali provincie periferiche. I Latini tennero occupato il paese a nord di Coira sino a dopo il sec. XI. L'odierna capitale del cantone venne germanizzata solo nel sec. XV, altre vallate nel sec. XVI. La lex Romana Curiensis appare redatta su esempio romano, quasi ancora all'epoca di Carlomagno.

Ma per le regioni collinose e dei contrafforti delle valli dell'Aar e del Reno cominciò una ininterrotta opera di distruzione della cultura romana. È vero che alcune isole di civiltà gallo-latina si mantennero, specie dietro le mura delle città, ma il predominio definitivo dell'elemento germanico era qui solo questione di tempo. La germanizzazione, cioè il ritorno a concezioni e usanze pagane, divenne il destino di quelle regioni, che condivisero la sorte del Württemberg, del Baden e dell'Alsazia. La civiltà romana, che era già sempre stata di più debole impronta che nell'ovest o nel sud, continuamente fecondati dalla Gallia e dall'Italia, non venne certo del tutto annientata nel nord e nel nord-est: fattore decisivo fu però l'immigrazione dei Germani non romanizzati, da cui doveva prendere origine tutto il futuro sviluppo.

Il cristianesimo doveva essere nuovamente propagato, al principio del secolo VII, da missionarî irlandesi, come S. Colombano e S. Gallo.

Se nel più antico testo legislativo conservatoci, il Pactus Alamannorum (circa 650), si respira ancora la rozzezza del paganesimo, il libro delle leggi del duca Lantfrid, redatto circa 100 anni più tardi, dimostra la rapidità evidente di tale trasformazione. La Chiesa, che proprio allora completava la sua organizzazione in diocesi anche per la regione alamannica, appare molto favorita. Sia con la fondazione di monasteri, sia con l'attività sociale e politica anche del clero secolare, essa aveva già un'importanza decisiva per la civiltà di tutta la regione. Il monastero benedettino di San Gallo, lentamente sviluppatosi dalla cella e dal sepolcro di S. Gallo fino dal 720, doveva acquistare un secolo più tardi fama europea. Se la tradizione greco-romana fu salvata ciò fu dovuto in gran parte all'opera di questi monaci. Contemporaneamente però essi lavoravano per il dissodamento del terreno delle regioni montuose, in parte ancora quasi inaccessibili. Con il monastero di San Leodegario in Lucerna, fondato intorno al 750 da missionarî della cittadina alsaziana di Murbach, veniva colonizzato l'Unterwalden.

Gli Alamanni, che godevano dapprima di una loro autonomia, governandosi per mezzo di loro duchi, nel frattempo erano stati annessi - intorno al 536 d. C. - come lo stato dei Burgundî, al regno dei Franchi. Simile ad una specie di bacino esso accoglieva in sé molti sparsi rivi germanici dell'Oriente e dell'Occidente. Con l'eredità dei Merovingi anche l'odierna Svizzera passava in gran parte allo stato carolingio, che, dopo la sottomissione dei Longobardi nel 774, comprendeva pure l'Italia settentrionale e centrale. Con ciò il traffico attraverso i passi alpini acquistava un'importanza crescente. Coira, per esempio, diventava già nell'Ottocento una città d'importanza decisiva per il commercio al di là dei monti; il suo vescovo ne ricavava forti introiti doganali. Per la Svizzera occidentale, l'arteria principale era costituita dal Gran San Bernardo, giacché essa garantiva i rapporti delle regioni del Basso Reno e quelli del nord della Gallia con il mezzogiorno; mentre il Gottardo, se pur praticabile, non aveva ancora nessuna importanza internazionale.

L'introduzione della organizzazione franca a base di comitati, anche nella più remota regione alpestre, compresi i Grigioni, levando di mezzo il principato alamanno primitivo, costituì uno degli avvenimenti principali del periodo dei Carolingi. L'altro evento capitale è costituito dalle prime concessioni feudali, che cadono già in quest'epoca. Si sa certo molto poco sull'influenza esercitata da Carlomagno nella vita interna del territorio dipoi svizzero. Ma a lui risale un evento di grande importanza: vale a dire la riunione delle varie terre in un tutto politico. Il mutamento della politica regia verso l'Italia attraverso le guerre longobarde, ridava inoltre al paese dei più importanti passi alpini quell'importanza, che aveva avuta sotto il dominio romano. Certo, la vita propria e autonoma delle stirpi stabilite in Svizzera subì una non lieve interruzione, per il fatto di essere inquadrata in un organismo internazionale.

Dalla morte di Carlomagno (814) cominciò la decadenza. Nella divisione dell'impero, a Verdun (843), la parte orientale della Svizzera, in uno con i Grigioni, sino all'Aar, toccò al nipote di Carlo, Lodovico il Germanico; la Borgogna, insieme con il Ticino, passò invece alla Lotaringia, che comprendeva anche l'Italia. La divisione già esistente dapprima tra organismi prevalentemente romani e prevalentemente germanici venne con ciò nuovamente confermata. Sebbene non mancassero neanche dopo contatti effimeri, ci vollero quasi duecento anni, perché venissero riallacciati rapporti politici più stretti tra la parte orientale e quella occidentale della Svizzera odierna.

Contemporaneamente i territorî tra il Giura e le Alpi si venivano a trovare in critiche condizioni. Mentre la civiltà del monastero di San Gallo si sviluppava sempre più, in modo particolare durante i secoli IX e X (Tutilo, i diversi Notker e Ekkehard I-IV), il regno lotaringio si frantumava (circa 880). Con la usurpazione di potenti nobili nasceva una nuova Alta Borgogna: oltre a regioni della Svizzera occidentale (unitamente a Saint-Maurice, luogo dell'incoronazione), vi appartenevano la Franca-Contea e parti della Lorena e della Savoia. Poiché contemporaneamente irruzioni di Ungheri dall'esterno e conflitti interni mettevano a soqquadro la regione già degli Alamanni, dalla disorganizzazione generale risorse il ducato precedente, precisamente come presso i Sassoni, Franchi, Lorenesi, Bavaresi, ecc. Irruzioni di Saraceni dal Golfo di Tolone completarono quella mancanza di sicurezza già causata dagli Ungheri. Nel 920 i musulmani penetravano assai nel Vallese, nel 936 nella Rezia, distruggendo Coira. Nel 940 risalivano nella vallata del Rodano, per bruciare Saint-Maurice. Soltanto il consolidamento delle condizioni sotto il regno germanico di Ottone il Grande (936-973) pare avere attenuato e finalmente rimosso questi gravi inconvenienti.

Contemporaneamente si preparava la riunione della Borgogna con l'organismo generale dell'impero, da cui nel passato essa era stata strappata. Corrado II veniva incoronato a Payerne nel 1033, trionfando su altri pretendenti, quale sovrano anche dello stato feudale borgognone in decadenza. Sebbene questo stato abbracciasse l'intera regione del Rodano fino al Mediterraneo, la Svizzera occidentale, con Payerne, Basilea, Losanna e Saint-Maurice, vi ebbe una parte assai importante. Con ciò fu forse evitata un'ulteriore penetrazione verso il Nord e l'Oriente della zona di lingua romanica, cioè fu evitato un corrispondente retrocedere della lingua germanica. La cessione del ducato di Svevia, come quella dei territorî della Turgovia allo stesso dinasta, il conte Rodolfo di Rheinfelden - da parte della vedova di Enrico III, l'imperatrice Agnese - doveva far nascere un certo sentimento di unione tra l'oriente e l'occidente della Svizzera attuale. Con un'ulteriore scissione questo sentimento veniva di nuovo spezzato.

Nel frattempo s'erano costituite caratteristiche forme medievali di esistenza: un'organizzazione municipale rinascente dai frantumi dell'invasione barbarica, con una circolazione monetaria lentamente accrescentesi e perfezionantesi; e d'altro lato la definitiva formazione della feudalità. Francesi del mezzogiorno, ma in special modo Italiani introducevano forme moderne di vita commerciale, nonostante tutti i divieti ecclesiastici del prestito a interesse: sono i Caorsini o i Lombardi dei documenti. Che se in questo si trattava piuttosto di germi di sviluppo futuro, l'affermazione del sistema feudale invece caratterizzava tipicamente le condizioni del periodo delle crociate. Dappertutto si erigevano castelli e fortilizî dell'alta e della bassa nobiltà. Il sistema feudale dominò lo stato intero. Riunendo e arrotondando possessi singoli, si creavano grandi signorie private.

L'autorità sovrana diventava il punto di partenza di nuove formazioni, che ben presto davano un aspetto completamente nuovo allo stato in rovina come entità a sé: giacché gl'imperatori non sapevano quasi più difendere la loro superiore autorità. Dappertutto il trionfo di fattori particolari. In modo speciale influì su questo sparpagliamento la lotta delle investiture alla fine del sec. XI. Tra il Giura e le Alpi, la stirpe degli Zäringer acquistò grande potenza; con la fondazione di città (Friburgo 1157; Berna, 1191, ecc.), essa cercò da parte sua di acquistare sostegni contro i nobili minori; ma la sua estinzione (1218) impedì il successo di questi piani preveggenti. Ancora una volta la situazione s'imbrogliò: da una parte alcune città facevano tentativi di mantenere la propria autonomia su basi repubblicane; d'altra parte, una serie di possedimenti degli Zäringer vennero considerati territorî immediati dell'impero. Il processo di concentrazione dinastica che era apparso già molto vicino alla sua meta, doveva ricominciare.

Tra le stirpi rivali emergevano i conti di Kiburg, di Savoia e d'Asburgo. La casata dei Kiburg si estinse nel 1263-1264 per lasciare i suoi possessi per la maggior parte in eredità agli Asburgo: e perciò nacque un vero duello tra questi e i Savoia, i quali nella persona del conte Pietro II, il piccolo Carlomagno, ottennero, combattendo, dei successi, che parevano aprire la via all'espansione sabauda. Il dominio dei Savoia sul Vaud, già prima ottenuto a prezzo di molti sforzi, diventava sempre più incontestabilmente un fatto compiuto, e Pietro cominciava già ad attaccare l'eredità degli Zäringer, a penetrare avanti verso l'Oberland Bernese come anche nel Vallese inferiore. Ma con Rodolfo di Asburgo, il futuro re, era già nato il rivale, che analogamente, anzi ancora più abilmente, seppe trarre profitto per sé dal favore delle circostanze. Se era parso che i Kiburg e i Savoia fossero sulla strada di istituire una potenza stabile tra il Giura e le Alpi, il successo maggiore rimaneva tuttavia riserbato a quella stirpe asburgica, che originariamente era stata inferiore alle altre due. Con l'estendersi degli Asburgo, ha inizio contemporaneamente la storia della confederazione elvetica. Perché, storicamente considerata, essa non è altro che la reazione alla politica dinastica iniziata dal conte e futuro re Rodolfo (1218-1291).

La confederazione sino alla fine delle guerre milanesi (1291-1516). - La cellula germinatrice dello stato elvetico è stata costituita da piccole regioni rurali attorno al Lago dei Quattro Cantoni: Uri, Schwyz, Unterwalden e non in tutta l'estensione del loro territorio odierno. Ad Uri mancava la valle di Urseren, in origine indipendente, aggregata soltanto dalla fine del sec. XIV; a Unterwalden, Engelberg. Schwyz racchiudeva soltanto i territorî ai piedi dei Mythan, e la Valle Muota. Colonizzate in epoca posteriore alla pianura, queste vallate di montagna, alle quali la natura conferì una certa unità, avevano conservato organizzazioni germaniche antiche, come la Markgenossenschaft (cioè il diritto di uso comune di certi terreni). Da quando il passo del Gottardo - prima quasi lasciato fuori dal traffico internazionale - aveva acquistato un'importanza maggiore, cioè, al più tardi, dal principio del sec. XIII, il commercio di transito con l'Italia ebbe un'importanza crescente anche per i destini politici di questi paesi così remoti. Gl'imperatori germanici li favorirono a causa delle loro spedizioni in Italia.

Il figlio di Federico II, Enrico, ricomprava nel 1231 dal conte Rodolfo il Vecchio di Asburgo gli abitanti di Uri, che questi aveva ricevuti dall'eredità degli Zäringer. Schwyz ebbe nel 1240 un privilegio alquanto più incerto dallo stesso Federico II, il quale allora assediava Faenza. Le contese fra papa e imperatore scatenarono poi una lotta, della quale si conosce poco, per quanto riguarda la Svizzera, che però, con la morte di Federico II (1250), terminò a svantaggio dei ghibellini.

Se con ciò riusciva agli Asburgo di mantenere sostanzialmente i loro possessi, essi parevano poi trionfare pienamente con l'elezione a re del loro membro più cospicuo, Rodolfo I (1273). Già come conte il monarca aveva accresciuto immensamente i possessi privati della dinastia. E ora, come imperatore, sembrava dovesse riuscirgli di costituire un vero e proprio principato, a cui dovevano essere sacrificate le regioni alpine attorno al Lago dei Quattro Cantoni. Con la morte del re (1291) cominciava però la difesa ostinata di quei valligiani. Un'alleanza di Uri, Schwyz e Unterwalden, al principio dell'agosto 1291, rinnovava e consolidava una comunanza d'interessi, che dapprima non si poneva lo scopo di fondare uno stato, ma che venne sempre più affermata e spinta verso mete più lontane dalla lotta contro gli Asburgo. L'elezione di Alberto I a re (1298) accrebbe nuovamente il pericolo, giacché il figlio di Rodolfo continuava efficacemente la politica dinastica paterna. Solo il suo assassinio (1308), seguito dall'elezione a re del lussemburghese Enrico VII, offrì la possibilità d'invocare la protezione imperiale contro una stirpe feudale, che, per essersi stabilita in Austria sotto Rodolfo, non poteva più concentrare tutti i suoi sforzi nell'ingrandire i suoi possessi originali nel paese alpino.

Ciò nonostante i confederati del Lago dei Quattro Cantoni dovettero ricorrere alle armi. Allorquando il duca Leopoldo, figlio di Alberto I, a mezzo novembre del 1315, cercò di assoggettarli, il suo esercito di cavalieri venne per la massima parte sterminato al Morgarten dai contadini. Come la loro aspirazione alla libertà appare influenzata dal movimento comunale dell'Alta Italia, che aveva lottato durante il sec. XIII contro vescovi o feudatarî, così essi si servono, ora, a propria difesa, di quell'esperienza militare che hanno acquistata come mercenarî sui campi di battaglia in Germania e in Italia. Essi rinnovarono pertanto la loro alleanza, che si rivolgeva ora manifestamente contro gli Asburgo, e la perfezionarono con l'accessione di Lucerna (1332), confermando un'evoluzione, a cui gli Asburgo assistevano dapprima perplessi. Cittadini e contadini si stringevano in una comunità d'interessi, quale non esisteva altrove.

L'accessione di Zurigo (1351) estese l'ambito della federazione fino nel centro del paese: città imperiale, a causa di sconvolgimenti interni, dovuti al suo trapasso al regime delle corporazioni, Zurigo si era posta in conflitto con gli Asburgo. Si accese una guerra di quattro anni, senza che agli Asburgo riuscisse di piegare la città. E invece Zug, Glarus, e specialmente Berna (1352-53) si univano all'alleanza, che assumeva pertanto una sempre maggior consistenza.

Il suo elemento stabile, il suo fattore più sicuro era certo riposto nelle masse rurali. Ma le città significavano un completamento importante di una tale associazione fra montagna e pianura. Soltanto qui si associavano quei due elementi fondamento dello stato moderno, mentre altrove federazioni di soli contadini e leghe di città prima o dopo andavano in rovina regolarmente, cioè si scioglievano dopo successi effimeri. La struttura dell'alleanza federale era tuttavia ancora assai slegata. Vi mancavano leggi comuni, un capoluogo, un'organizzazione reciprocamente impegnativa, un tesoro comune. Non esisteva nemmeno un atto, che tenesse uniti tutti i membri. Anzi, in certi momenti, alcune tra le città rientravano perfino in relazioni con l'Austria, poiché le relazioni commerciali erano molto danneggiate dalle frequenti guerre.

Ma i Quattro Cantoni, che abbattevano con successo, intorno al 1350, aspirazioni a signoria sorte tra loro, seppero procurare stabilità all'alleanza contro gli Asburgo. Presto essi passarono dalla difesa all'attacco. Dalla lotta di Lucerna con la sua antica signora, l'Austria, nacque la cosiddetta guerra di Sempach, nel corso della quale cadeva, il 9 luglio 1386, presso la cittadina di Sempach, lo stesso duca Leopoldo III. Non si attuò certo la guerra progettata in comune, alcuni mesi prima, dalle città della Germania meridionale contro la più potente dinastia principesca dell'impero: ma con ciò veniva virtualmente deciso quel distacco - più tardi effettuatosi - della Svizzera dall'organismo generale dell'impero, a cui essa apparteneva ancora in quel periodo. Giacché a nord del Reno trionfava il principio monarchico: le città sveve e renane soccombettero nel 1388 di fronte ai conti del Württemberg e del Palatinato; le loro leghe furono sciolte. Invece i confederati nello stesso anno disperdevano, vicino a Näfels un esercito di cavalleria austriaca, che voleva attaccare Glarus. Finalmente, un ordinamento comune per la guerra, il cosiddetto Sempacherbrief del 1393 rafforzò il sentimento dell'unione: già prima, nel 1370, erano stati realizzati accordi (il Pfaffenbrief "lettera dei parroci") sulla tutela della propria competenza giudiziaria nei confronti degli ecclesiastici come dei laici.

Dal punto di vista storico-militare i successi della fanteria svizzera fanno seguito alle vittorie della fanteria fiamminga sulla nobiltà francese vicino a Courtray (1302) e a quelli degli abitanti del Dithmarschen nel Holstein settentrionale, presso Oldenwohrden (1319). Mentre però questi successi rimasero senza effetto politico, i confederati, dopo la conclusione d'una pace di vent'anni con gli Asburgo (1394) estendevano i loro rapporti con regioni al di là delle montagne. Cominciavano infatti intorno al 1400 relazioni più strette con il Vallese superiore, con i Grigioni: cioè con regioni in cui agivano forze democratiche, sull'esempio svizzero. Gli abitanti del cantone di Uri invece si spingevano oltre il Gottardo dopo essere già riusciti, durante il sec. XIV, a mettere sotto la loro tutela la valle di Urseren. Schwyz organizzava una guerra per la libertà degli uomini di Appenzell contro il loro signore, l'abate di San Gallo (circa 1401-1405). Con ciò s'iniziano ulteriori, futuri rapporti di alleanza; perché gli abitanti della Leventina approfittarono della morte del duca di Milano, Gian Galeazzo Visconti (1402), per sfuggire - con l'aiuto dei vicini oltramontani - alla dipendenza dei Visconti. L'intero paese alpino entrava ormai così a contatto reciproco: le falde settentrionali e meridionali delle Alpi, l'oriente e l'occidente.

La conquista dell'Argovia (1415) - in relazione con il concilio di Costanza - dimostrava come il contrasto con l'Austria prevalesse su qualsiasi altro conflitto. La patria di questa dinastia andò perduta per i suoi antichi signori, nonostante che tre anni prima la pace dei vent'anni fosse stata rinnovata per mezzo secolo. Modificando la politica di alleanze seguita sinora, si organizzò la parte orientale della regione conquistata come giurisdizione federale comune, cioè come paese suddito dei vincitori; Berna prese possesso dell'Argovia occidentale, Lucerna e Zurigo occuparono invece altre parti di territorio di maggiore o minore ampiezza. La comunicazione territoriale tra la repubblica dell'Aar, Berna, e gli altri membri della confederazione era con ciò stabilita; la cinta settentrionale dei possedimenti degli Asburgo, che si estendeva da Friburgo sino al Lago di Costanza, era sfondata; era raggiunto il confine del Reno; e si acquistava inoltre terreno adatto alla coltivazione dei cereali.

Una tale ardita politica di espansione non rimase certo senza notevoli ripercussioni. La politica di Uri, volta a impossessarsi della Val d'Ossola, insieme con Domodossola, delle valli Maggia e Verzasca e di Bellinzona, terminava nel 1422 con un grosso insuccesso, dopo una sconfitta a Arbedo, di fronte alle truppe del duca Filippo Maria Visconti di Milano. L'intera regione subalpina andò nuovamente persa fino al valico del Gottardo: tentativi di rivincita fallirono. Il fatto che non si facesse una politica generale, che i tentativi di espansione dei singoli cantoni trovassero solo appoggi insufficienti da parte dei confederati, provocò il momentaneo fallimento di quegli sforzi, che pochi decennî più tardi dovevano essere rinnovati.

Se il fatto che la confederazione fosse composta tanto di cittadini quanto di contadini, rappresentava la sua forza, divergenze d'opinioni tra questi due elementi fondamentali dovevano minacciare lo scioglimento violento della confederazione allora composta di otto cantoni. Dopo che alcuni sintomi di disunione si erano già palesati al principio del sec. XV, essi si aggravarono tra il 1436-50 sino a condurre alla guerra civile. A causa dell'eredità del più potente dinasta della Svizzera orientale, il conte Federico VII di Toggenburg, scoppiò una lotta tra il paese di Schwyz, che aveva sempre fatto valere efficacemente i suoi interessi politici verso il Lago di Costanza, e la città libera di Zurigo, che cercava di compensare la sua diminuita importanza commerciale e industriale con l'estensione territoriale, secondo l'esempio di Berna o di Lucerna. Quando gli sforzi fatti da Zurigo per procurarsi pacificamente l'eredità del Toggenburg fallirono, la città nel 1442 strinse un'alleanza con il nemico mortale dei confederati, l'imperatore Federico III, che perseguiva la politica dinastica di casa d'Asburgo con energia infinitamente più grande di quanto non fosse avvenuto da parecchio tempo. La conseguenza fu lo scoppio di una lotta fratricida, che tendeva ad una distruzione reciproca. Quando poi l'imperatore non fu in grado di prestare aiuto sufficiente a Zurigo, egli si rivolse a Carlo VII re di Francia, che per effetto degli armamenti compiuti nell'ultima fase della guerra dei Cent'anni disponeva di un soprannumero di mercenarî disoccupati. Questi Armagnacchi furono mandati, sotto il comando del figlio del re, il futuro Luigi XI, contro l'Alsazia e la Svizzera, con l'ordine d'impadronirsi di Basilea, che allora non apparteneva ancora alla confederazione. Ma un eroico attacco di circa 1500 Svizzeri, inviati solo per fare una ricognizione, presso S. Giacomo sulla Birs, nelle vicinanze immediate di Basilea, mandò a vuoto quel progetto. L'impressione della battaglia - celebrata poi da Enea Silvio Piccolomini - fu tale sul delfino, ch'egli strinse un patto con i cantoni, che assicurava tanto essi quanto Basilea da ogni ulteriore pericolo. L'Austria protrasse bensì ancora la lotta fino al 1446; ma con l'intercessione del borgomastro di Augusta, Peter von Argun, si riuscì nel 1450 a concludere la pace. Le conquiste fatte durante la guerra vennero in genere restituite; l'alleanza di Zurigo con gli Asburgo fu però dichiarata non valida. Il tentativo di Federico III contro la confederazione, era fallito: rimase invece una profonda diffidenza di fronte alle ulteriori intenzioni dell'imperatore. Con ciò il distacco degli Svizzeri dall'impero era largamente preparato; invece, il contrasto apertosi fra i confederati era sanato.

Le condizioni economiche apparivano molto scosse dalle lunghe guerre: la produzione come i patrimonî erano diminuiti. Ma con la completa sconfitta di Zurigo era eliminato il morbo che aveva minacciato la salute interna della confederazione. Nel 1460 si strappò alla dinastia degli Asburgo la provincia più importante, che le era ancora rimasta a sud del Reno, la Turgovia. Anzi, il signore delle provincie dell'Austria anteriore, il duca Sigismondo del Tirolo, parve perdere anche i punti di passaggio sul Reno superiore: le quattro cosiddette "città della Selva Nera": Rheinfelden, Säckingen, Laufenburg, Waldshut, unitamente con la Selva Nera stessa. E siccome, prevedendo questo pericolo, egli si rivolse al duca di Borgogna, Carlo il Temerario, per sovvenzioni sia finanziarie sia militari, all'improvviso nacque un contrasto del tutto nuovo tra quel grande stato occidentale, ch'era il ducato di Borgogna, e la Magna liga altae Alemanniae, come si chiamava allora la confederazione. Luigi XI di Francia, che odiava nel duca di Borgogna il nemico mortale della sua potenza regia e della sua persona, seppe guadagnarsi Berna, che era preoccupata per le proprie future possibilità di espansione. Lo Schultheiss Nikolaus von Diesbach strinse gli accordi necessarî con il monarca francese. Ad opera di questi due uomini, la riconciliazione tra gli Svizzeri e la casa d'Asburgo venne realizzata nel 1474: e fu la condizione preliminare di una lotta molto promettente contro la potenza borgognona.

All'inizio, se i Bernesi avanzavano per primi sia contro la Savoia - alleata con la Borgogna - sia al di là del Giura, le altre città intendevano partecipare soltanto come ausiliarie a una lotta, che concerneva in fondo più direttamente la casa d'Austria che loro stesse. Ma il giuoco politico, nel quale il Diesbach aveva trascinato la confederazione, dimostrò immediatamente la sua forza irresistibile. Dopo che già a metà del novembre 1474 un esercito borgognone era stato sconfitto a Héricourt sulla Lisaine, Carlo il Temerario si rivolse contro Berna, che aveva tolto all'alleata di Carlo, la duchessa Iolanda di Savoia, il cantone di Vaud. La conquista dell'unico castello ancora difeso, Grandson (fine febbraio), pareva promettente per l'inizio della campagna. Ma l'esercito federale di soccorso, arrivato troppo tardi per liberare il presidio, il 2 marzo 1476 disperse con facilità l'esercito dei mercenarî borgognoni, equipaggiati bene e guidati secondo la tecnica militare fino allora dominante. Il duca concentrò ancora al principio di giugno le sue truppe, appena rimesse in piedi, davanti alla cittadina di Morat, unico ostacolo per la sua marcia su Berna: ma il suo esercito il 22 giugno fu quasi distrutto. Tutta l'artiglieria andò persa: inoltre un bottino di gran valore di altri materiali guerreschi, di gioielli, d'oro e d, argento, cadde nelle mani dei confederati vittoriosi. La potenza del più temuto sovrano dell'Europa centrale aveva ricevuto un colpo mortale dalla disprezzata fanteria svizzera: colpo da cui non doveva più rimettersi.

Il progetto di Carlo il Temerario di creare un regno centrale che si estendesse dalla Manica sino all'Italia, era spezzato. Tutto il sistema politico europeo ne risentì profondamente.

Una comunità organizzata energicamente, dopo tali strepitosi successi politico-militari, avrebbe potuto decidere della gara, che si scatenava tra la Francia e il genero di Carlo il Temerario, Massimiliano d'Austria, nei riguardi dell'eredità borgognona, alla morte del duca Carlo avvenuta a Nancy, il 5 gennaio 1477. Ma la scarsa coesione interna della confederazione non era in grado di far valere unitariamente i suoi interessi. Parevano piuttosto prorompere elementi di dissoluzione, anzi di anarchia. Contrasti tra la parte orientale e quella occidentale, antagonismi sociali tra mercenarî e pensionarî sedenti in consiglio; antica rivalità delle città verso i cantoni rurali, crearono crisi profonde. Poiché fino dalla morte di Nicola di Diesbach (1475) mancava un uomo di stato superiore, la decisione finiva con l'esser lasciata al caso. Si pensava tanto poco alla conquista della Franca Contea di là dal Giura, vagheggiata dal Diesbach, quanto alla riconquista del Vaud, occupato nel 1475, ma nuovamente perso ancora prima della battaglia di Grandson.

Da campagne, che ebbero risonanza europea, che anzi mutarono fondamentalmente le forze della vita internazionale d'allora, la Svizzera uscì dunque con ingrandimenti insignificanti. Anche allorquando gli abitanti del cantone di Uri intrapresero nel 1478, senza un vero motivo, una campagna contro il ducato di Milano - perché aveva dato aiuto alla Borgogna durante le lotte precedenti - si riportò sì alla fine di dicembre, vicino a Giornico nella Leventina, una brillante vittoria contro forze quasi venti volte superiori, ma non si addivenne a ingrandimenti territoriali, eccetto il definitivo acquisto della Leventina, perché i confederati vi si opposero.

Tuttavia, nonostante tutto il disordine, i confederati, diventati consci della propria forza militare, continuarono ad agire ulteriormente. Quando Massimiliano, che nel frattempo era stato eletto re dei Romani, alla dieta dell'impero a Worms, nel 1495, volle costringere i confederati al riconoscimento dei diritti di sovranità effettivi, al pagamento di tributi, a forniture di truppe ausiliarie e di sussidî, al riconoscimento del tribunale supremo dell'impero, essi si rifiutarono senza esitare. Anzi, strinsero un'alleanza con il più accanito nemico del monarca, re Carlo VIII di Francia, e con i Grigioni, che gli Asburgo cercavano di assoggettare. La lotta iniziatasi nel febbraio 1499 - la cosiddetta guerra sveva - cagionò all'aggressore Massimiliano gravi sconfitte una dopo l'altra: nella regione del Lago di Costanza, presso Basilea, davanti a Feldkirch, nei Grigioni meridionali, nel Giura. Anche l'intervento di Lodovico il Moro, non poté evitare al re dei Romani il fallimento dei suoi vasti progetti. La pace di Basilea, conclusa per mezzo del milanese Galeazzo Visconti il 22 settembre 1499, non si occupò neppure di quelle divergenze, che avevano causato la lotta: le pretese di sovranità dell'impero non potevano ormai essere tradotte in atto in nessun modo. La confederazione, che aveva accolto quali membri, nel 1481, Friburgo e Soletta, che doveva accrescersi nel 1501 delle due teste di ponte, Basilea e Sciaffusa, che nel 1513 si associò ancora, come ultimo membro a pieni diritti, Appenzell, era diventata effettivamente indipendente dall'impero germanico.

La forza ammassata nei cantoni, che non trovava sufficiente sfogo entro confini limitati, sfociava invece, al principio del sec. XVI, nella ripresa di quella tendenza all'espansione esterna che era naufragata tre generazioni prima. Se intorno al 1460-90 il centro di gravità della politica europea era nell'Occidente, dalla campagna napoletana di Carlo VIII esso si era spostato verso il Mezzogiorno. Già alla campagna di Carlo VIII avevano partecipato mercenarî svizzeri a migliaia, che ebbero parte decisiva nel salvataggio dell'artiglieria francese durante il passaggio dell'Appennino, prima della battaglia di Fornovo. Durante l'assedio di Novara, ad opera di Luigi d'Orléans (1495) 20-25.000 Svizzeri passavano le Alpi per accorrere nel campo francese. Durante la lotta per il dominio della Lombardia, tra Ludovico il Moro e Luigi XII di Francia, gli Svizzeri appaiono nei due campi. In parte per colpa loro al principio dell'aprile 1500 il figlio infelice di Francesco Sforza cadde in prigionia francese. Contemporaneamente però si rinnovava la tendenza espansionistica di Uri, che, dopo aver assicurato il definitivo acquisto della Leventina, già verso la metà del secolo XV, riusciva ora a impossessarsi di Bellinzona, fervente partigiana degli Sforza e ostile ai Francesi (aprile 1500). Uri, Schwyz e Unterwalden dopo un lungo contrasto nel 1503 ne ottennero la cessione da Luigi XII, che sperava allora nella conquista di Napoli.

Vivere da buoni vicini coi Francesi in Lombardia non era tuttavia possibile. Quando il papa Giulio II cercò di cacciar fuori d'Italia i Francesi, il suo uomo di fiducia, il vescovo Matteo Schiner di Sion, riuscì a concludere un'alleanza degli Svizzeri con la curia (1509-10), dopo che era scaduta l'alleanza stretta un tempo dai cantoni con Carlo VIII e Luigi XII. Due tentativi effettuati per cacciare il re di Francia dalla Lombardia (1510 e 1511), non raggiunsero lo scopo.

Ma nel 1512 12.000 Svizzeri, radunati a Verona con l'autorizzazione dell'imperatore Massimiliano, sin dal principio di maggio, in poche settimane riuscivano a respingere il nemico - quasi senza colpo ferire - dai suoi possedimenti dell'Italia settentrionale. Essi conquistarono Pavia e s'impadronirono di Milano, insieme con truppe veneziane, senza però attendere le truppe papali e spagnole che ugualmente partecipavano alla lotta contro la Francia. Contemporaneamente occuparono Locarno, Lugano, Mendrisio, Balerna unitamente alla Val d'Ossola - cioè tutte le provincie perdute dopo la battaglia di Arbedo del 1422 - mentre gli abitanti dei Grigioni s'impadronivano di Bormio e Chiavenna oltre che della Valtellina, e mentre Berna, Friburgo e Soletta insieme con Lucerna occupavano la contea di Neuchâtel, appartenente a un principe francese.

Fu purtroppo impossibile tenere in vita il ducato indipendente di Milano, ricostituito alla fine del dicembre 1512, sotto il primogenito di Ludovico il Moro, Massimiliano Sforza. I confederati sconfissero bensì al principio di giugno 1513 presso Novara un esercito inviato per riconquistare la Lombardia sotto Luigi de la Tremouille e Gian Giacomo Trivulzio; anzi, poche settimane più tardi passavano perfino all'attacco della Borgogna (assedio di Digione, settembre 1513). Ma essi non poterono poi reggere di fronte alle forze unite della Francia, sotto il suo giovine re Francesco I. Dopo avere strategicamente perduto la campagna dell'estate 1515, anche la battaglia di Marignano il 13 e 14 settembre si tradusse per essi in una grave sconfitta, con grandi perdite di uomini. Riconquistare la Lombardia era ormai impossibile. La pace eterna con la Francia, che fu convalidata soltanto alla fine del novembre 1516, significò la rinunzia svizzera a mantenere il ducato sforzesco di Milano, ricostruito con l'aiuto svizzero. In cambio, i confederati poterono mantenere il possesso dell'odierno Canton Ticino, mentre andava persa, nel 1515, la Val d'Ossola.

La tenacia dei cantoni primitivi, che rifiutarono ogni altra alleanza con la Francia, assicurò così alla confederazione del paese alpino anche territori e sudditi di lingua italiana. Ma una politica indipendente, da grande potenza, di fronte alla Francia, come era stata tentata dal 1512 al 1515, fu da allora in poi inconcepibile. I più erano contenti di poter lottare al servizio del re di Francia, come mercenarî.

Dalla Riforma allo sfacelo degli antichi stati (1519-1798). - Se contrasti d'interessi fra i cantoni occidentali e quelli centrali e orientali avevano causato il fallimento di una politica, per la quale la confederazione non era sufficientemente salda all'interno, una politica indipendente nei conflitti europei divenne però decisamente impossibile solo con la Riforma, che pochi anni dopo la sconfitta di Marignano disunì violentemente la Confederazione. La Riforma, originatasi in Svizzera da quel capoluogo della Confederazione che era allora Zurigo, riuscì è vero a conquistare gli stati-città di Berna e di Basilea, in parte anche Sciaffusa, Appenzell e Glarus e parecchie regioni o sudditi alleati. Ma le regioni storicamente più importanti: la Svizzera interiore, rurale-conservatrice, con Lucerna e Zug, si opposero in modo risoluto all'innovazione. La Confederazione condivise così la sorte dell'Impero, dove veniva in pari modo provocata una scissione interna, sì che l'Impero era paralizzato nel suo sviluppo politico. I mercenarî svizzeri conservarono la loro fama internazionale, benché non potessero evitare, sia presso la Bicocca (1522) sia davanti a Pavia (1525), la sconfitta di Francesco I di fronte ai lanzichenecchi germanici e alla più potente artiglieria imperiale.

Ma la Svizzera come insieme dovette rinunciare a far valere grandi interessi politici; perché né il capo dei riformati, il pastore della cattedrale di Zurigo, Ulrigo Zwingli, poté costringere gli ortodossi ad accedere alle sue convinzioni; né la forza dei cantoni cattolici fu sufficiente per distruggere l'eresia, che per un certo tempo era penetrata, conquistando, perfino nel loro cerchio.

Con la battaglia di Kappel, l'11 ottobre 1531, si venne a creare una situazione paradossale. Le città di Zurigo e Berna, materialmente superiori ai loro avversarî, insieme con Basilea e Sciaffusa, dovettero acconsentire a una pace per loro svantaggiosa, che impedì ogni ulteriore propagazione della nuova dottrina. Le regioni suddite comuni (anzitutto l'Argovia e la Turgovia, il Ticino, ecc.) vennero quasi del tutto sottratte alla loro influenza politica: con ciò fu assicurata la preponderanza degli ortodossi. I vinti tentarono 124 anni più tardi di appellare contro questa situazione giuridica, per loro tanto dannosa quanto indegna, con la cosiddetta prima guerra di Vilmergen, nel 1655; ma la loro azione, militarmente molto imprudente, fallì. Con l'accessione di Friburgo, di Soletta e del Vallese ai tre cantoni forestali e a Lucerna e Zug, s'era già formato, poco dopo la morte di Zwingli, caduto nel 1531 sul campo di battaglia di Kappel, un blocco antiriformatore. Politicamente e militarmente questo venne diretto in modo di gran lunga più efficace di quel che non potessero fare gli avversarî, territorialmente disgiunti, anche se di per sé più capaci e più suscettibili di sviluppo. Certo, con l'attività riformatrice di Calvino e Ginevra (1536-38 e 1541-64) la Riforma non soltanto aveva acquistato una nuova provincia, ma il punto di partenza per la diffusione nel mondo; e anche Berna riformava il Vaud, strappato alla casa di Savoia nel 1536, in modo che ora il suo stato si estendeva dal Reno fino al lago di Ginevra. Ma intanto anche il cattolicismo si rafforzava a sua volta, specie attraverso la Controriforma che, personificata da San Carlo Borromeo, s'irraggiava da Milano: fin dal 1555 i cantoni forestali erano riusciti a mantenere il carattere cattolico del Ticino, allontanando da Locarno i riformati, giacché l'accesso alla Lombardia spagnola e cattolica significava per loro una questione vitale, tanto più che a nord e ad est essi erano bloccati da regioni eretiche nel libero traffico con l'estero correligionario.

Nel frattempo i rapporti con la casa d'Asburgo s'erano certo migliorati, dato che la restaurazione dei possessi dell'Austria anteriore aveva poca importanza per la monarchia mondiale di Carlo V e dato che i cattolici cercavano nell'imperatore ortodosso il loro più importante aiuto. Ancora più significativa di questi rapporti era però l'alleanza con la Francia: alleanza, che solo tra il 1715 e il 1777 subì un'interruzione. Gli Svizzeri fornivano mercenarî alla monarchia francese; per compenso, la loro economia veniva integrata da rimesse più o meno regolari di denaro francese sia ai cantoni sia a privati.

Siccome contatti territoriali cominciarono solo nel 1674 - dopo la conquista della Franca Contea da parte di Luigi XIV - gl'interessi dei due stati si integravano. Per un certo tempo quasi solo questa alleanza, oltre le comuni regioni suddite, tenne uniti cattolici e protestanti. Perché le due confessioni si ostacolavano quanto mai; e spesso solo con grandi difficoltà si poterono evitare guerre di religione. Nel 1560 i 5 cantoni ortodossi conclusero un'alleanza con il duca di Savoia Emanuele Filiberto, di guisa che Berna quattro anni più tardi dovette rinunziare alle sue conquiste del 1536 situate a sud del lago di Ginevra, per non perderle in guerra dato che c'era il pericolo che i suoi confederati la assalissero a tergo. Mentre dal 1562 fino a circa il 1590 i cattolici prendevano entusiasticamente parte alle guerre di religione in Francia, si combatté poi durante decennî per la Ginevra calvinista, che il duca Carlo Emanuele I di Savoia in modo particolare mirava a conquistare. Solo il fallimento di un attacco, tentato impiovvisamente, della cosiddetta Escalade, pose termine nel 1602 a una tale lotta.

Sebbene i confederati paressero partecipare solo indirettamente a queste lotte, dato che gli ortodossi rifiutavano ostinatamente di accogliere Ginevra nella Confederazione, quest'ultima venne scossa dai dissidî confessionali sino al punto da correr pericolo di sfasciarsi. I cattolici conclusero nel 1586 la lega cosiddetta "dorata" o "borromea", per salvaguardare i loro interessi particolari; nel 1587 s'unirono inoltre con Filippo II di Spagna. Il loro uomo di stato più notevole, il sindaco Ludovico Pfyffer di Lucerna, lavorava a tutta forza per la vittoria di casa d'Asburgo: nel 1585 egli sacrificava a questo fine persino la vecchia amicizia con la Francia, senza aver riguardo al fatto che la Svizzera era quasi completamente circondata da territorî asburgici, cioè da territorî dell'antico nemico mortale. Perfino un paesetto come l'Appenzell si divise nel 1597 in due parti perché le due confessioni non riuscivano più a convivere in pace.

La guerra dei Trent'anni doveva perciò tradursi in un vero pericolo per l'esistenza stessa della Confederazione. Solo a stento si evitò che i cantoni riformati marciassero con Gustavo Adolfo di Svezia nel 1631-32, ciò che avrebbe certo sfasciato definitivamente la Confederazione. Una violazione della neutralità svizzera, ad opera degli Svedesi, nella Turgovia (1633) provocò quasi la guerra civile. Le terribili conseguenze della guerra convinsero però i due campi ch'essi con la loro neutralità in parte forzata erano sfuggiti ad una spaventosa distruzione: si era infatti rinunziato, da parte dei cattolici come dei riformati, a prendere partito nella lotta europea, considerando che i rivali sarebbero passati all'avversario, che cioè l'equilibrio complessivo delle forze non sarebbe mutato.

Sotto l'impressione di una terribile miseria al dilà dei confini del paese ci si persuase che solo una neutralità permanente poteva salvare la Confederazione. Nel 1647 si creò poi ancora una legge militare federale, la cosiddetta Defensionale di Wil, per impedire violazioni di territorio da parte di stranieri: 36.000 uomini dovevano assumere la difesa del paese.

I Grigioni, per l'abbandono della Valtellina (1620), per le agitazioni interne tra la fazione veneto-protestante e la fazione cattolicospagnola, furono trascinati in lotte di molti anni, che provocarono la comparsa di eserciti stranieri: il duca Enrico di Rohan venne inviato nel 1631 dal cardinale di Richelieu nei Grigioni. Nel 1635 gli riusciva di riconquistare la Valtellina con l'aiuto del grigione Giorgio Jenatsch. Quando il Richelieu esitò a restituire la valle, strategicamente importante, lo Jenatsch passò dalla parte del nemico e costrinse il Rohan (1637) a capitolare e a ritirarsi. La Valtellina, che fu adoperata dagli Asburgo quale via di passaggio per le truppe e che aveva perso i ¾ dei suoi abitanti, ritornò poi dal 1639 ai Grigioni a cui rimaneva fino al 1797.

La Confederazione invece riuscì in sostanza a preservare il suo territorio da devastazioni belliche. Anzi, in occasione delle trattative per la pace di Vestfalia, al borgomastro di Basilea, Enrico Wettstein, riuscì persino di ottenere la separazione costituzionale dall'Impero, contemporanea alla dichiarazione dell'indipendenza per i Paesi Bassi. La più terribile crisi europea non aveva colpito la Svizzera. Conseguenza ne fu la migliore situazione durante molte generazioni di fronte alla Germania, orribilmente rovinata.

Eppure, non furono risparmiate alla Confederazione dure scosse. Una rivolta di contadini durante l'estate del 1653 provò la difficoltà dei rapporti economici e sociali, senza d'altronde arrecare nessun miglioramento nei rapporti tra signori e sudditi. Un conflitto di religione, la prima guerra di Villmergen (1655), non mutò nemmeno la ripartizione di forza e potenza, che esisteva dal 1531 tra cantoni protestanti e cattolici. Soltanto la seconda guerra di Villmergen del 1712 spostò il predominio a favore dei riformati dopo la sconfitta degli ortodossi, conseguita dai riformati a prezzo di dura lotta. Poco prima della fine della guerra di successione spagnola, riuscì così alla Confederazione di por fine al suo grande contrasto interno senza intromissione straniera. Berna aveva già evitato nel 1707 che Luigi XIV s'impossessasse del principato di Neuchâtel, allo spegnersi di quella dinastia. Assecondando le pretese prussiane, si pervenne a trattenere la Francia al dilà del Giura. La morte del re (1715) impedì poi ch'egli si intromettesse in favore dei cattolici vinti. Da allora in poi rimase stabilito il principio della parità, e fu abolito il compromesso del 1531 che fu sostituito da un ordinamento che trasmise a Berna e a Zurigo la contea di Baden, oltre alla parte settentrionale del Freiamt, insieme con Mellingen e Bremgarten: che stabili cioè il collegamento ininterrotto tra i loro due territorî. Il governo su Rapperswil, ottenuto contemporaneamente, assicurò inoltre il predominio dei riformati sulle terre poste attorno alla parte superiore del lago di Zurigo. Finalmente Berna ottenne di partecipare all'amministrazione della Turgovia, della valle del Reno, di Sargans, e della rimanente parte del Freiamt.

Solo a partire da allora la potenza politica fu ripartita in conformità dell'importanza effettiva dei cantoni. Il principio della tolleranza religiosa, da allora in poi valorizzato, contribuì certamente a una nuova fioritura economica e spirituale della Svizzera durante il Settecento.

Se durante il sec. XVII il paese era rimasto sotto il dominio di una ortodossia oscurantista, ora invece esso generò una serie di studiosi che si possono considerare fra i più eminenti del tempo: i matematici di Basilea Bernouilli e Euler, l'anatomista e fisiologo di Berna Alberto von Haller, il naturalista ginevrino Teodoro de Saussure, insieme con altri. J. J. Bodmer e Breitinger, ambedue di Zurigo, prepararono il periodo classico della letteratura tedesca facendo nuovamente valere, almeno teoricamente, i diritti del sentimento e della fantasia. Se prima gli architetti, scultori, pittori, marmisti, stuccatori della regione dei laghi dell'Italia settentrionale avevano avuto una parte sorprendente nell'arte del Medioevo, del Rinascimento, del Barocco e del Rococò; se la Svizzera interiore era stata per vario tempo sotto un forte influsso artistico meridionale, ora studiosi e letterati di questo territorio di transizione dal Mediterraneo al nord, dall'oriente all'occidente, procuravano alla Germania letteraria la conoscenza di Milton e degl'inglesi, anzi, perfino delle opere letterarie germaniche medievali: dei Nibelungi, dei Minnesänger, del Parsifal. La piccola città di Zurigo aveva in Salomone Gessner il più celebre poeta idillico dell'epoca, in Giovanni Gaspare Lavater lo scrittore e profeta che affascinava tutti. E non si deve dimenticare che in quello stesso secolo con il ginevrino J.-J. Rousseau apparve una figura di risonanza mondiale: una figura che ebbe grande influsso sulla vita pubblica dell'epoca, attraverso il Contrat social, che fecondò la pedagogia con l'Émile e che fece spargere le lacrime dei sentimentali dell'epoca con la Nouvelle Héloïse.

Di un ulteriore sviluppo politico dei singoli cantoni o della Confederazione stessa non si scorge invece traccia. Sin dalla seconda metà del sec. XVI si era invece affermato piuttosto un esclusivismo rapidamente crescente, una pedanteria aristocratica. Mentre la Confederazione veniva esclusa dalla politica estera, dallo sviluppo dei grandi stati europei, nell'interno ci si barricava contro i vicini. Ogni classe cercò non solo di mantenere i suoi privilegi, ma di accrescerli. L'abisso tra governanti e governati s'approfondì in modo che presto non poté più essere questione di democrazia. L'età dell'assolutismo creò anche qui un regime "per grazia di Dio", che produsse un effetto tanto più insopportabile quanto diventavano più precarie le condizioni di vita. La censura opprimeva la vita spirituale. L'Assemblea nazionale, organo collettivo federale, si mostrava incapace di qualsiasi riforma. L'odio confessionale non era affatto scomparso, ma spiava occasioni propizie, per rinnovare antiche pretese. Simile all'Impero, la Confederazione si suddivideva in una serie di singoli stati del tutto indipendenti. Mentre la maggior parte degli stati europei si univa all'interno e si rafforzava, la Confederazione come l'Impero, era degenerata. I cantoni non avevano nemmeno rinunziato in favore della Confederazione al loro diritto di guerra o d'alleanza. Invece, all'Assemblea nazionale mancava ogni mezzo per costringere i cantoni all'adempimento delle sue rare decisioni. Ogni passo doveva essere riferito ai governi locali. Se, come per lo più accadeva, le istruzioni dei varî delegati dei cantoni divergevano, non rimaneva altro da fare che rinviare l'argomento per nuove informazioni o lasciarlo senz'altro cadere. Ogni tentativo di ovviare all'arbitrio locale nel sistema monetario e doganale o di fissare una tariffa monetaria, obbligatoria per tutti, doveva naufragare di fronte all'ostinatezza delle sovranità cantonali. La connessione con i Grigioni o il Vallese era quasi sparita; il diritto federale era difettoso come nel sec. XV; e ora dalle forme imperfette era anche scomparso quello spirito coraggioso, che aveva conferito loro nei giorni dello splendore una così mirabile efficacia.

Non v'era dunque da meravigliarsi se le idee della Rivoluzione francese trionfassero quasi senza incontrar resistenza. Agitazioni e sommosse durante il sec. XVIII a Berna, nella Leventina governata dagli abitanti di Uri, ecc., tradivano un cupo fermento.

La ricostruzione dello stato era diventata un'assoluta necessità. Ma siccome non si era capaci di effettuarla con le proprie forze, vi si fu costretti dall'estero. La decadenza dell'arte militare consegnava queste repubbliche che si sfasciavano nelle mani del primo aggressore. Nonostante l'esempio della spartizione della Polonia, in Svizzera si trovò tutt'al più motivo per declamazioni teoretiche. Inoltre i sudditi insistevano per la liberazione: dal Vaud sino al Lago di Costanza. La Confederazione, i cui membri, per ripetere un'espressione di Napoleone I, un tempo controbilanciavano ciascuno un duca, era crollata. Lo scopo di tutte le aspirazioni era quello di mantenere a ogni costo lo stato di cose esistente.

Ricostruzione dello stato nel sec. XIX. - La Rivoluzione francese, si riversò sulla Svizzera soltanto nel 1798: la repubblica francese, combattuta dalla metà dell'Europa, aveva avuto bisogno per la difesa del suo fianco orientale della neutralità svizzera. Ma dopo che Napoleone Bonaparte ebbe creato nell'Italia settentrionale dal 1796 la repubblica cisalpina, alla quale aggiungeva il 10 ottobre 1797 la Valtellina, fino allora grigione, insieme con Bormio e Chiavenna, il pericolo rivoluzionario crebbe, giacché per la difesa delle conquiste meridionali i passi alpini svizzeri diventavano indispensabili. Dal suo ritorno dalla Lombardia, dopo la pace di Campoformio, il Bonaparte sollecitò perciò l'invasione della Confederazione; siccome alcuni cittadini svizzeri si lasciarono sedurre o lavorarono spontaneamente nello stesso senso, egli riuscì a trascinare seco l'esitante Direttorio parigino. Un esercito francese sconfisse il 5 marzo 1798 Berna, che, una volta così potente, abbandonata dai confederati, oppose ora scarsa resistenza. Già prima era stato strappato il Giura (1792-1793) e rivoluzionato il Vaud (gennaio 1798). Ci si dovette accontentare che al paese venisse imposta una costituzione unitaria, tanto più che il conquistatore, generale Brune, nutriva perfino l'intenzione di dividere la Svizzera in tre piccole repubbliche: Rodania, Elvezia e Tellgovia.

La costituzione, copiata dal modello francese, con il suo rigido accentramento, con l'effettiva esclusione di ogni sovranità cantonale, costituì certo il più grande contrasto con tutte le condizioni prima esistenti. Nella Confederazione essa fu perciò apprezzata solo fin dove giunse la potenza militare dei conquistatori. Moti di opposizione dell'interno della Svizzera vennero però sanguinosamente repressi (aprile e maggio 1798). Ugual sorte toccò a un tentativo di ribellione degli abitanti di Nidwalden nel settembre 1798. Ma lo scoppio della seconda guerra di coalizione nel marzo 1799 fece della Confederazione il teatro della guerra, in cui combatterono eserciti francesi, austriaci e russi. Dall'Italia apparve il Suvarov, che non riuscì però a far vacillare la potenza politica dei conquistatori del 1798. Se il paese era già stato saccheggiato dai Francesi senza riguardo, ora soffrì in un modo incredibile tutte le tribolazioni dello sfruttamento e del saccheggio militare.

Non v'è da meravigliarsi, se naufragarono tentativi ben promettenti di riorganizzazione interna. Il governo elvetico, che sotto il protettorato francese lottava seriamente per superare eccezionali difficoltà, veniva compromesso senza speranza fin dal principio dal governo dispotico degli stranieri. Mentre colpi di stato distruggevano l'autorità, già minima, del direttorio di cinque membri, scoppiava il contrasto tra centralisti e federalisti. Un progetto di costituzione di Bonaparte, divenuto nel frattempo primo console (il progetto della Malmaison), non apportò nemmeno esso una conciliazione, sebbene intendesse sostituire a un'unità tirannica, artificiosa e burocratica, una confederazione sul tipo di quella che venne realizzata nel 1848. Soltanto il crollo della cosiddetta Repubblica Elvetica, nell'estate del 1802, e le energiche misure dittatoriali dell'onnipotente Napoleone posero fine per molti anni a questa lotta.

Secondo la volontà di Napoleone, la Svizzera nel 1803 dovette accettare l'atto di mediazione, che ristabilì di nuovo i cantoni quali stati indipendenti. Nel riconfermare l'uguaglianza davanti alla legge, già dichiarata nel 1798, nel non restaurare l'antica sudditanza, nel riconoscere differenze storiche e locali, Napoleone soddisfaceva ai bisogni del paese. In cambio egli costringeva la Confederazione a un'alleanza militare con la Francia, che aboliva la neutralità di prima ancora più considerevolmente di quanto fosse successo durante la Repubblica Elvetica. Costretta a regolari tributi di truppe di 16.000 (poi ridotti a 12.000) uomini, la Confederazione era uno stato vassallo napoleonico. Fu già molto che il sovrano non annullasse, almeno formalmente, l'indipendenza della Confederazione, che non l'annettesse alla Francia, né la assegnasse ad un sovrano straniero (ad eccezione di Neuchâtel, che il maresciallo Berthier ottenne quale principato titolare).

Napoleone procurò però alla Svizzera la pace tanto interna quanto esterna. La vita cantonale acquistò crescente indipendenza, ciò che fu anzitutto di importanza decisiva per le regioni dell'Argovia, Turgovia, S. Gallo, Ticino, ecc., che nel 1803 da regioni suddite - quali erano state per l'innanzi - erano diventate degli stati. È vero che Napoleone aveva staccato già nel 1803 il Vallese, per farne prima una repubblichetta indipendente, più tardi un dipartimento francese. Ma il resto della Svizzera si unì in un insieme plurilingue; per la prima volta fu data alle parti del paese, di lingua francese o italiana, la possibilità di decidere da sé della propria sorte.

Lo sfacelo dell'impero napoleonico provocò il crollo delle Costituzioni del 1803 nella Confederazione come nei cantoni. Se il blocco continentale napoleonico aveva già molto oppresso economicamente il paese, e se si era dovuto continuamente temere l'annessione del Ticino da parte di Napoleone, ora si apriva un vero abisso. Poiché non ci si era staccati per tempo dall'impero, gli alleati alla fine del dicembre 1813 marciarono contro la Francia sul suolo svizzero. Il desiderio del Metternich di istituire un protettorato austriaco sulla Confederazione, venne impedito dallo zar Alessandro I; ma il riordinamento di tutta la situazione scatenò gravi divergenze d'opinioni, tra le potenze come fra gli stessi Svizzeri. Dappertutto desiderî di restaurazione dell'antico. Venivano minacciati antichi sudditi, che avevano vissuto per dieci anni in piena indipendenza. Per un breve periodo parve che il caos dovesse scoppiare: Berna reclamava le sue regioni suddite del Vaud e dell'Argovia, che le erano state strappate nel 1798; Uri la Leventina; l'abate di San Gallo il suo principato, da gran tempo secolarizzato.

Grazie all'intervento dello zar si riuscì però a tener lontane tali minacce di restaurazione egoistica. Con la cooperazione di diplomatici stranieri, una dieta a Zurigo, durata un anno e mezzo, stese il progetto di un nuovo trattato federale, che rafforzava sostanzialmente l'indirizzo che era stato invece fiaccato sin dal 1803. Si ristabilì una confederazione articolata, analoga a quella che esisteva prima del 1798. Se durante il periodo napoleonico un governatore provinciale, che certo non aveva nessuna importanza per conto proprio, riassumeva il potere esecutivo, ora questo fu di nuovo trasmesso a cantoni principali, che si alternavano ogni due anni. Da allora la vita federale fu dominata quasi incondizionatamente dalla sovranità cantonale. Le classi già predominanti per il passato, s'impossessarono della maggior parte delle cariche, costituendo una vera oligarchia, in modo speciale fra i cantoni storici della Confederazione. Ma non si riuscì ad intaccare i cantoni indipendenti, giacché Alessandro I interpose il suo veto assoluto. La reazione progettata dall'aristocrazia bernese avrebbe infatti potuto sorreggersi soltanto sulle baionette austriache: ora l'interesse politico russo non tollerava alcuna egemonia della casa d'Asburgo sull'Europa centrale.

Il congresso di Vienna, che fissò le condizioni territoriali europee, riassegnò poi alla Confederazione le regioni del Vallese, Neuchâtel e Ginevra, che le erano state strappate un tempo dalla Francia. Dopo lunghe trattative la città di Calvino ottenne non solo la comunicazione territoriale, che le mancava sinora, con il Vaud, ma una serie di comuni cattolici, ceduti dal governo sardo. Certo non si ebbe l'annessione della Savoia settentrionale, prospettata prima, giacché gli stessi Svizzeri non arrivavano a mettersi d'accordo; e così pure non fu possibile arrotondare il territorio della Confederazione verso mezzogiorno: la Valtellina, insieme con Bormio e Chiavenna, venne occupata dall'Austria, che ristabiliva il suo potere sulla Lombardia. Sebbene l'Austria non avesse mai regnato sull'alta valle dell'Adda, questa venne ora amministrata da Milano. Poiché i Grigioni temevano che con il ritorno di questi antichi sudditi della Valtellina i cattolici ottenessero il sopravvento; poiché l'elevazione della Valtellina a cantone indipendente incontrava altre opposizioni, queste provincie strategicamente importanti andarono definitivamente perdute per la Confederazione. Si dovette essere contenti che almeno il Ticino preferisse rimanere con la Svizzera anziché unirsi con il dominio degli Asburgo, nonostante che i balivi cantonali nel passato non sempre avessero governato in modo edificante.

Dopo che la Confederazione ebbe sostenuto una parte quasi ridicola, nell'ultima lotta contro Napoleone I, con l'assedio di Besançon, il 7 agosto 1815 venne solennemente e definitivamente giurata la costituzione, che un anno prima era stata accettata soltanto provvisoriamente. Il 20 novembre - in occasione della seconda pace di Parigi - le potenze riconobbero inoltre che la neutralità e l'indipendenza della Svizzera e la sua integrità territoriale erano interesse reale di tutta l'Europa. Diversamente da quanto avvenne per la neutralizzazione del Belgio nel 1831, qui fu semplicemente riconosciuta una situazione di diritto internazionale, che era il risultato secolare di speciali condizioni d'esistenza del paese, situazione che nel 1798 era stata completamente rovesciata. La Confederazione dei 22 cantoni appariva con ciò conclusa. Certo si era persa contemporaneamente un'occasione, che non si ripeté mai più, di estendere e migliorare i confini del paese, dato che le potenze volevano in un primo tempo fortificare e ingrandire gli stati cuscinetto, posti fra la Germania e la Francia.

Ma anche il trattato di confederazione infine concluso, senza intervento straniero, come necessario compromesso, alla lunga non poteva assolutamente soddisfare. La sua insufficienza fu ben presto compresa almeno dai cantoni più evoluti della Confederazione. Già l'organismo economico dei cantoni si trovava in condizioni depresse: sorvegliati dalle grandi potenze - poiché numerosi fuggiaschi cercavano rifugio sul loro territorio - essi venivano sfruttati da parte dell'industria manifatturiera inglese e francese, giacché per l'incapacità d'azione dell'Assemblea nazionale era impossibile opporsi al protezionismo economico dei vicini. Motivi schiettamente economici spingevano dunque a trasformare il difettoso ordinamento statale. Inoltre, il mondo ideale della rivoluzione non era affatto definitivamente tramontato, e il liberalismo moderno si diffondeva in Svizzera, come nel resto dell'Europa.

Se dunque già tra il 1820 e il 1830 si preparava un vasto mutamento, la rivoluzione parigina del luglio 1830 finì col dare lo spunto a un movimento, che mutò fondamentalmente le condizioni dei cantoni di Zurigo, Berna, Argovia, Turgovia, Soletta, ecc. Al periodo della restaurazione, seguì un periodo di riforma e di rigenerazione. In seguito a sollevazioni popolari e a dimostrazioni venne instaurato il sistema rappresentativo: cioè rappresentanza del popolo per mezzo di parlamenti cantonali a cui spettavano potestà legislativa, approvazione di nuove imposte, sorveglianza sui tribunali e governi, redazione delle istruzioni per l'Assemblea nazionale. Uguaglianza davanti alla legge, libertà di commercio e d'industria, possibilità di petizione, libertà di stampa, di religione e di domicilio venivano accordate, sebbene le città capoluogo dei cantoni serbassero ancor sempre una certa preminenza di fronte alle campagne. Insomma, la decisione spettava al popolo sovrano, con l'attenuazione della sola rappresentanza.

Il tentativo di estendere tale riforma a tutta la Confederazione fallì nel 1832-33. Mentre lotte accanite tra liberali e conservatori cagionavano una scissione nella Confederazione; mentre il cantone di Basilea doveva essere diviso in due parti (Basilea città e Basilea campagna) - la stessa sorte fu evitata dal piccolo cantone di Schwyz quasi solo per caso - anche la diplomazia straniera muoveva obiezioni. Il principe di Metternich sosteneva che la neutralità e l'ingrandimento territoriale erano stati accordati alla Svizzera nel 1815 soltanto a condizione ch'essa non mutasse la sua costituzione per mezzo di una semplice maggioranza di voti. Il movimento di riforma, iniziatosi in modo promettente, si arenava. I contrasti tra la destra e la sinistra, tra cattolici e protestanti, tra unitarî e federalisti erano troppo forti per poter essere superati in un primo assalto.

D'altra parte però la Confederazione era oppressa dalla dipendenza dall'estero, come risultava proprio durante il periodo successivo al 1830 in una serie di conflitti con l'Austria e la Francia. La spedizione di Mazzini contro la Savoia già nel 1834 provocò gravi difficoltà, perché i cantoni non l'avevano impedita in tempo. Quando poi il governo dell'Argovia nel 1841 - contrariamente a una garanzia proclamata nel trattato della Confederazione - abolì i conventi nel suo territorio, sorse un aspro conflitto. Sotto la guida di Lucerna, dove un'onda clericale spazzava via contemporaneamente il regime liberale del 1830, l'elemento conservatore della Confederazione si unì per una difesa decisiva. Già all'inizio del 1830 i liberali avevano concluso una convenzione di garanzia costituzionale reciproca, il cosiddetto concordato dei sette (Siebenerkonkordat); ma i loro avversarî costituirono, dal 1843, una vera e propria federazione separatista (il Sonderbund). E poiché l'Assemblea nazionale si accontentò di restaurare quattro monasteri di monache, il partito clericale insistette per chiamare i gesuiti a Lucerna. Per evitare ciò i liberali intrapresero due spedizioni di corpi di volontarî, che fallirono (1844-45). Di fronte a questo pericolo, i conservatori a metà dicembre 1845 completarono la loro federazione separatista, di cui gli avversarî esigevano lo scioglimento. Non avendo ottenuto quest'ultimo, una maggioranza dell'Assemblea nazionale decise al principio di novembre del 1847 un'azione armata - sebbene Austria, Francia, Prussia e Russia fossero dalla parte dei cattolici e solo l'Inghilterra di Palmerston sostenesse il liberalismo svizzero. Tutta la simpatia delle potenze non poté però evitare alla minoranza ortodossa svizzera una dura sconfitta. Sotto la guida del cittadino ginevrino, G. E. Dufour, eletto generale, con una campagna di 26 giorni si riuscì a schiacciare completamente la federazione separatista e ad aprire con ciò la strada a quella revisione del trattato di confederazione, da lungo tempo necessaria. I gabinetti stranieri minacciarono ancora un intervento militare; ma questo pericolo dileguò allo scoppio della rivoluzione parigina del febbraio 1848. La rivoluzione generale dilagava in Austria, Prussia, Italia, Ungheria, ecc. Un'alleanza offensiva e difensiva, desiderata da Carlo Alberto di Sardegna, nell'aprile 1848, per combattere in comune la casa d'Asburgo veniva respinta a debole maggioranza dall'Assemblea nazionale. Quest'alleanza non avrebbe salvato la sorte del re, mentre avrebbe procurato alla Confederazione gravi complicazioni internazionali. La popolazione del Ticino simpatizzava vivamente con Garibaldi, che combatteva sul Lago di Como e sul Lago Maggiore. Intanto, la Svizzera conciliava le sue divergenze d'opinioni sulla questione della costituzione. In lunghe discussioni condotte con reciproco riguardo per i punti di vista dell'avversario, fu definito il progetto per l'ordinamento della Confederazione.

La Confederazione veniva governata da un potere esecutivo effettivo e con il sistema bicamerale, secondo il modello americano. La distribuzione dei compiti fra potere cantonale e potere centrale non avvenne secondo il pensiero dei radicali; fu invece evitata una centralizzazione eccessiva. Anzi, una delle due assemblee parlamentari, il Consiglio degli "stati", era destinata alla rappresentanza dei cantoni (ogni cantone vi è rappresentato con due membri, ogni semicantone con uno; la votazione non dipende più come nella vecchia Assemblea nazionale da istruzioni cantonali) mentre il Consiglio nazionale doveva rappresentare il popolo (per ogni 20.000 anime un membro; oggi per ogni 22.000). Insomma si costituiva quel governo generale, con sede a Berna, che finora era mancato alla Confederazione (prescindendo dall'esperimento non riuscito della Repubblica Elvetica). Se i singoli cantoni apparivano, ora come prima, elementi fondamentali dello stato federale, e perfino in possesso di parziale sovranità militare, da ora in poi era soltanto il governo comune che poteva dichiarare la guerra e concludere la pace, fare alleanze o trattati politici con l'estero e aver relazioni ufficiali con questo.

Se soltanto con la costituzione accettata il 12 settembre 1848 nacque un organismo d'insieme effettivo, passarono ancora varî anni prima che le potenze cessassero i loro tentativi, sempre rinnovati fin dal 1815, di esercitare una tutela molesta. Mentre il paese economicamente e politicamente diventava finalmente uno stato, con l'uniformità dei dazî, dei pesi e misure, delle poste, ecc., con la creazione d'un unico sistema monetario secondo il modello francese, si dovette difendere continuamente l'indipendenza politica interna ed esterna. Solo con difficoltà si poté evitare che i radicali appoggiassero i loro colleghi di fede politica all'estero, evitare cioè che essi partecipassero alle rivolte della Lombardia e del granducato di Baden degli anni 1848-49. L'Austria decretò perciò nel 1852 una severa proibizione del commercio dei viveri e del traffico col Ticino, che simpatizzava entusiasticamente con i patrioti italiani, e che a mezzo di tipografie, a Lugano e a Capolago, esercitava una forte influenza sul movimento per la libertà del paese vicino, nonostante tutta l'oppressione della censura asburgica. E solo grazie alla discordia delle potenze fu allora evitata un'occupazione del mezzogiorno come dell'occidente della Svizzera. Come durante la guerra del Sonderbund, così anche ora l'Inghilterra liberale fu di grande aiuto ai patrioti minacciati, mentre più di 10.000 Ticinesi espulsi dovettero abbandonare la Lombardia.

In compenso nel 1856-57 si riportò un successo nel dissidio con la Prussia a causa del principato di Neuchâtel, che nel 1848 era diventato effettivamente un pretto cantone svizzero. Minacce di guerra da parte di Federico Guglielmo IV, in occasione di una sommossa dei suoi partigiani nel settembre 1856, ebbero, è vero, per un momento l'apparente appoggio di Napoleone III. Ma siccome all'Europa - immediatamente dopo la fine della guerra di Crimea - non poteva tornare utile un nuovo conflitto delle grandi potenze, la Prussia dovette infine cedere: nella primavera del 1857 essa rinunciò al molto lontano territorio del Giura, il cui acquisto nel 1707 era stato reso possibile da Berna, quando si trattava di impedire a Luigi XIV di avanzarsi, oltre le cime delle montagne, verso il territorio protestante.

Se in questo caso si poté respingere la pretesa straniera, mobilitando l'esercito sotto il comando supremo di Dufour, il tentativo di impedire la cessione della Savoia alla Francia nel 1860, dopo la guerra austro-piemontese del 1859, fallì radicalmente. Da allora Ginevra venne circondata da territorio francese. Il consiglio federale non poté impedire questa svantaggiosa modificazione dello stato di cose territoriale, in quanto essa rappresentava la condizione dell'appoggio di Napoleone ai progetti del Cavour. Voler ottenere per forza la cessione della Savoia settentrionale alla Svizzera, occupando territorî al di là del lago di Ginevra, come il consigliere federale Stämpfli progettava, avrebbe significato lo scoppio di un conflitto con il Secondo Impero, probabilmente anche con il nuovo regno d'Italia.

Un'inevitabile catastrofe avrebbe così posto termine a un'avventura, suggerita da megalomania.

La confederazione non osò esporsi al rischio d'un'impresa simile, tanto più che stava modernizzando il suo sistema economico e commerciale. Sin dal 1852 erano sorte compagnie ferroviarie, dopo che la dieta della Confederazione s'era pronunziata in favore del principio della costruzione privata. E mentre falliva il progetto di un'università federale, rimanendo dunque solo le università cantonali, nel 1854 nasceva il politecnico di Zurigo, da mantenersi con mezzi federali; si costituivano banche e società per azioni anonime; la prosperità del paese aumentava. Errori di politica estera l'avrebbero distrutta.

Il malcontento per la sconfitta subita fu certo grande, e contribuì all'offuscamento dell'autorità del partito liberale che dal 1848 aveva retto quasi dittatorialmente le sorti del paese. Già prima erano stati accresciuti in alcuni cantoni i diritti del popolo. Veto, iniziative, referendum, vennero presto introdotti ora in questo, ora in quel cantone; poi le corti d'assise, l'elezione popolare dei governi ed altro. Dal sistema rappresentativo attuato fino a quel momento si sviluppava con ciò lentamente la democrazia pura. Il referendum facoltativo - cioè l'organizzazione di interrogatorî popolari, ogni volta che questi fossero ordinati dai consiglieri, o richiesti da 30.000 votanti, o da otto cantoni - era accolto nel 1874 nella rinnovata costituzione federale. Mentre due anni prima era fallito un tentativo di creare un esercito unitario e un'organizzazione giuridica parimente unitaria, sotto l'impressione della guerra del 1870 (la Svizzera, che tenne occupata per mesi la sua frontiera, internò il 1° febbraio 1871 circa 90.000 uomini dell'esercito orientale francese sotto il generale Bourbaki, sviatosi verso il suo territorio), nel 1874 la ricostruzione della costituzione riuscì, grazie a concessioni al federalismo.

Anche ora la legge fondamentale del paese rimase un compromesso tra unitarismo e particolarismo. Le attribuzioni del governo centrale di Berna vennero accresciute in fatto di questioni economiche e culturali; venne prevista una legge industriale e pronunziato contemporaneamente l'obbligo dei cantoni di provvedere a un insegnamento elementare sufficiente, obbligatorio e gratuito. Venne anche perfezionato il tribunale federale, già creato nel 1848, e ora soltanto trasformato in un'istituzione permanente con giudici di carriera, che dovevano prendere dimora a Losanna. Ma i singoli stati conservarono per i loro governi e per le loro assemblee parlamentari una serie di notevoli competenze parziali. I contrasti di lingua e di religione, fra montagna e pianura, fra industria moderna e mestieri tradizionali apparivano troppo grandi perché potessero trovarsi formule unitarie eque per abbracciare tali differenziazioni.

Conseguenze di tale decentralizzazione democratica - il self government, che aveva sempre caratterizzato lo stato svizzero - furono una generale ripresa di attività, sino alla periferia, un forte slancio economico. Il fatto che la pubblica istruzione non dipendesse da un ordinamento unitario, ma venisse decisa dai cantoni, rese possibile evitare dissidî di razza o di lingua, mentre andavano lentamente svanendo anche i contrasti confessionali, dopo che il cosiddetto "Kulturkampf" negli anni fra il settanta e l'ottanta aveva provocato ancora una volta forti contrasti con l'espulsione da Ginevra del vicario apostolico, il futuro cardinale Mermillod, con la destituzione del vescovo Lachat di Soletta nel Giura. Non esiste per la Confederazione una questione di minoranze per la ragione che i cantoni romanici (la Svizzera occidentale e il Ticino) possono regolare le loro faccende completamente secondo il proprio volere. Ogni centralismo invece determinerebbe fatalmente attriti, che potrebbero minacciare la stabilità e la vita stessa di una comunità esistente da seicento anni.

L'ulteriore sviluppo non venne perciò pregiudicato da lotte di politica interna. La costruzione della ferrovia del Gottardo, realizzata con energia metodica da Alfredo Escher di Zurigo e inaugurata nel 1882 (sovvenzioni italiane e germaniche facilitarono e resero possibile l'esecuzione dei lavori alla società della ferrovia del Gottardo, diretta, almeno nella fase decisiva, dall'Escher) congiunse meglio il Ticino con la Confederazione. Ma con ciò mutò anche la situazione dal punto di vista dei traffici, di tutto il territorio confederale: esso diventò un nodo centrale di relazioni internazionali.

Al principio degli anni fra il sessanta e il settanta era stata fondata la Croce rossa internazionale per iniziativa di uno svizzero, il ginevrino Enrico Dunant: il primo impulso a ciò fu dato dagli orrori del campo di battaglia di Solferino. Più tardi si stabilirono a Berna l'unione postale mondiale (1865), l'unione telegrafica internazionale (1874), ecc., la cui soprintendenza fu affidata al Consiglio federale svizzero, che nomina i funzionarî di queste organizzazioni centrali, costituite per effetto di convenzioni internazionali.

La Confederazione stessa elaborava però nel frattempo le provvidenze legislative rese possibili dalla sua nuova costituzione. Sebbene quest'ultima non sia mai più stata rinnovata nell'insieme, essa è stata spesso mutata da revisioni parziali. Allorquando la vita moderna ha reso insostenibile il libero scambio, il lasciar fare e lasciar passare del liberalismo, si è reso necessario por limiti alla libertà illimitata di industria e commercio, garantita una volta dalla costituzione. Con la sempre crescente industrializzazione sorse - sebbene relativamente tardi - un movimento operaio, di intonazione socialista, mentre il governo introducendo riforme sociali cercava di fronteggiare per parte sua urgenti necessità. Nel 1911 venne creata la Schweizer Unfallversicherungsanstalt (Compagnia svizzera d'assicurazione contro gl'infortunî) a Lucerna, che sotto forma di compromesso con l'iniziativa privata si serve di contributi dello stato per adempiere agli scopi assistenziali - mentre l'assicurazione obbligatoria per la vecchiaia e l'invalidità, desiderata da molti, è stata respinta nel 1931 da un referendum popolare.

Il modesto grado di unificazione, stabilito dalla costituzione del '74 fu presto superato. Già nel 1898 fu deciso il riscatto da parte dello stato delle più importanti linee ferroviarie: ciò che, per effetto del deficit delle linee stesse, costituisce oggi una grave preoccupazione per le finanze federali. Nel 1897, la polizia delle acque e forestale, che prima era ordinata federalmente soltanto per l'alta montagna, venne estesa a tutto il paese. Nel 1912 entrò in vigore il codice civile unificato. Nel 1916 una legge sulla forza idraulica ha assicurato al paese le sue ricchezze idrauliche di fronte a cessioni non autorizzate all'estero. Così è stata costantemente diminuita la partecipazione dei cantoni alla sovranità militare, nell'interesse di una maggior capacità difensiva. Il sistema, lentamente rinnovato da secoli, della milizia (mancanza di truppe permanenti) corrisponde nondimeno a principî di politica interna democratica. Naturalmente non è facile adattare un tale organismo alle esigenze tecniche rapidamente progredenti del presente.

La guerra mondiale, significò perciò una prova gravissima per la Confederazione. Se la posizione dello stato soprannazionale, neutrale entro un'Europa imperialistica era già difficile di per sé stessa, le difficoltà aumentavano ancora per la sua posizione nell'interno del continente, che lo faceva circondato da soli territorî di paesi belligeranti. Certo, la Germania, l'Austria, la Francia riconobbero nell'estate del 1914 la neutralità svizzera già proclamata nel 1815; lo stesso fece l'Italia durante la primavera del 1915, al momento della sua entrata in guerra. Ma non solo la differenza delle simpatie nelle diverse parti del paese minacciava di diventare un vero pericolo. Per via della lunga durata della lotta un approvvigionamento sufficiente parve spesso impossibile. Sorgeva la sfiducia e il sospetto tra le diverse stirpi linguistiche. Gentaglia di tutta Europa si serviva del terreno neutro per faccende dubbie, per spionaggio o tentativi di sconvolgimenti.

Se la Svizzera diventava preziosa per i belligeranti con la sua attività benefica (attività della Croce rossa, rimpatrio di internati civili, asilo a feriti gravi, istituzione di un servizio d'informazioni su centinaia di migliaia di prigionieri), d'altra parte anche sul suo suolo si determinavano agitazioni sociali, si svolgeva propaganda antimilitaristica.

Le frontiere dovettero essere occupate per più di quattro anni, in certi momenti con estesi richiami alle armi: l'armistizio dell'11 novembre 1918 fece svanire la minaccia in politica estera. Ma nello stesso momento scoppiava uno sciopero generale socialista-comunista. I rappresentanti dell'internazionale rossa non s'erano trovati invano durante la guerra a Zimmerwald, nel cantone di Berna, proprio quando Lenin era corso dalla Svizzera a Pietroburgo in rivoluzione. Ma il progettato soggiogamento della borghesia fallì. L'introduzione, già chiesta prima, del sistema proporzionale per le elezioni al consiglio nazionale (1919), della settimana di 48 ore, ecc. dimostrò tuttavia, che si era propensi ad accontentare le aspirazioni e necessità legittime. La grave crisi economica, che seguì, come nel 1648, la conclusione della guerra, significò un aggravamento della situazione degli anni precedenti. Ma la Confederazione, angustiata in tal modo, si dimostrò propensa ad adempiere anche impegni internazionali. Nel 1920 essa entrò nella Società delle nazioni, dopo violenti dibattiti interni. La dichiarazione di Londra delle grandi potenze del 13 febbraio 1920 tenne conto della neutralità svizzera, in quanto la Confederazione è stata obbligata a partecipare solo alle misure coercitive di carattere commerciale e finanziario contro chi violi il patto della lega, e non invece a misure militari, a concedere passaggio di truppe o a permettere preparativi militari sul suo territorio (nel 1935-36 in occasione delle sanzioni ginevrine contro l'Italia la Svizzera soltanto con difficoltà poté mettere d'accordo la sua neutralità con gli obblighi di membro della Società delle Nazioni). Nonostante tale condizione eccezionale, mercé l'influenza del presidente Wilson, Ginevra venne designata quale sede della nuova organizzazione mondiale. Con la conclusione di numerose convenzioni arbitrali con altri stati, la Confederazione ha cercato di assicurare la sua posizione difficile in un'Europa armata; lo stesso ha fatto sia partecipando ai lavori della Società delle nazioni sia con ulteriore rafforzamento delle sue organizzazioni militari.

Se si riassume lo sviluppo di questa ch'è oggi la più antica repubblica d'Europa, non si può disconoscere la sua alta particolarità. Come essa riunisce quattro lingue, così essa ha cercato nel corso dei secoli la sua propria strada. Specialmente dal 1848 la sua curva di sviluppo si è pronunziata in senso del tutto differente da quella dei paesi vicini. Nell'interno delle sue frontiere si realizza una certa comunione di carattere germanico e latino. Già per la sua posizione geografica la Svizzera appare un paese di transizione, nel quale vengono ad incrociarsi influssi provenienti dai paesi mediterranei con influssi che derivano dal nord, forze che provengono dall'Occidente con forze che provengono dall'Oriente.

Il destino storico ha permesso che si sia formato dal tardo Medioevo in poi un organismo politico, che non è scomparso come altri, ma che si è affermato. Da una confederazione di stati a tendenze separatiste, s'è venuta formando, in particolar modo durante la seconda metà del sec. XIX, una confederazione capace d'imprimere vita unitaria all'azione degli stati che la costituiscono. Confederazione che, nel senso del documento di neutralità del 1815, si può battezzare senza esagerazione parte integrante indispensabile dell'Europa. L'interesse politico si è dimostrato più forte di ogni differenza di stirpe, di lingua, di religione, ecc.

Bibl.: H. Barth, Bibliographie der schweizer. Geschichte (sino alla fine del 1912), Basilea 1914, continuata nella Bibliogr. der Schweizergeschichte che esce ogni anno (in Anzeiger für schweiz. Geschichte e, dal 1922, in Zeitschrift für schweizer. Geschichte). - Fonti: Quellenwerk zur Entstehung der schweizer. Eidgenossenschaft, I, ed. da Trangot Schiess, Aaron 1933 segg.; Amtliche Sammlung der älteren eidgenössischen Abschiede, 1858 segg.; Amtliche Sammlung der Acten aus der Zeit der helvetischen Republik, 1798-1803, a cura di G. Strickler, Berna 1886 segg.; Quellen zur schweiz. Gesch., ed. dalla Allgemeine Geschichtforschenden Gesellschaft der Schweiz, Basilea 1877 segg. - Opere: G. Dicrauer, Geschichte der schweizer. Eidgenossenschaft, voll. 6 (I, 4ª ediz., 1924; II, 3ª ed., 1920; III, 2ª ed., 1921: IV, 2ª ed. 1921, V, 2ª ed., 1922; VI, 1ª parte, che giunge fino al 1874, di H. Schneider, 1931) con ricca bibl.; H. Nabholz, L. v. Muralt, R. Teller, E. Bonjour, Geschichte der Schweiz, I (fino al 1600), Zurigo 1930; E. Gagliardi, Geschichte der Schweiz. Von den Anfängen bis zur Gegenwart, 2ª ediz. ampliata, Zurigo 1933 e 1936; Schweiz. Kriegsgeschichte, ed. dallo Stato maggiore, Berna 1915-36, con bibl. e carte.

In particolare, per il periodo delle guerre d'Italia, cfr. E. Gagliardi, Der Anteil der Schweizer an den italienischen Kriegen, 1493-1516, I (fino al 1509), Zurigo 1918; Ch. Kohler, Les Suisses dans les guerres d'Italie de 1506 à 1512, Ginevra e Parigi 1897; R. Durrer, Die Schweizergarde in Rom u. die Schweizer in päpstlichen Diensten, I, Lucerna 1927 (per le campagne del 1510-1511); E. Gagliardi, Novara u. Dijon, Zurigo 1907 (per la campagna del 1513).

Lingue.

Quando, nel sec. V d. C. (tra il 455 e il 480), dopo ripetuti tentativi anteriori, gli Alemanni riuscirono a fissare definitivamente le loro sedi al sud e all'ovest del Reno, il territorio da essi conquistato, pur conservando - specialmente nella zona settentrionale - tracce celtiche, era già fortemente latinizzato. Una parte della Romània andava dunque perduta e con essa ogni possibilità di comunicazione diretta, per entro al territorio romanzo, tra il territorio alpino e le terre alsaziano-lorenesi. Restava una via di transito interno tra la valle del Rodano e la valle del Reno; ma anche questa fu spezzata dalle successive conquiste dei coloni alemanni, e, a partire dal secolo IX, i rapporti linguistici tra i parlari romani del Vallese e quelli dei Grigioni furono interrotti. Il processo di assorbimento e disintegrazione del territorio romanzo fu naturalmente lento; diverse stratificazioni toponomastiche (i nomi di luogo romanzi sono frequenti non solo nell'alta valle del Rodano, ma anche nell'Oberland bernese da un lato, nello Schwyz, nell'Unterwald e nell'Uri dall'altro) ne dànno tuttora testimonianza sicura. Così, ad esempio, entro i limiti dell'antico vescovato di Coira, la popolazione ancora nel secolo IX era esclusivamente romanza: la successiva - parziale - penetrazione del tedesco nelle terre al sud, sud-est e sud-ovest di Coira (facilitata, in un primo tempo, dal fatto che questo vescovato fu staccato nell'843 dalla diocesi di Milano e annesso all'arcivescovato di Magonza) si svolse pian piano nei secoli seguenti, e ancora oggi, sorretta da forze nuove (germanizzazione dei centri turistici dell'Alta Engadina), non si può dire definitivamente arrestata.

Da questo stato di cose deriva l'attuale configurazione linguistica del territorio svizzero, ove coesistono, qua nettamente distinte, là estremamente aggrovigliate, tre lingue - il tedesco, il francese, l'italiano - e un gruppo dialettale indipendente, il ladino grigione (o romancio o retoromanzo), per i cui rapporti con il ladino dolomitico e con l'italiano, v. ladini. Il confine linguistico fra la zona tedesca e la zona francese (v. cartina) muove da Charmoille al N. del Giura bernese verso E. fino a Monselvier, donde piega a SO. sino al lago di Neuchâtel e da lì direttamente più verso S., tagliando la città di Friburgo e raggiungendo il villaggio di Oldenhorn; qui volge a E. fino al Weisshorn per riprendere, in un arco che lascia nella zona francese la valle d'Anniviers, la direzione sud fino a incontrare alla cima Tête Blanche il confine politico italo-svizzero. Non è necessario precisare dettagliatamente i confini che separano l'italiano dal tedesco e dal ladino. Infatti, ad eccezione dei villaggi vallesani di Gondo e Sempione, tutta la parte della Svizzera che è tributaria del bacino del Po, che si trova sul versante meridionale delle Alpi, usa l'italiano quale lingua ufficiale e culturale (quando si parla di dialetti locali, anziché di lingua letteraria, bisogna fare eccezione anche per quello di Bosco che è tedesco). Ciò vale non solo per la zona più importante della Svizzera italiana, quella costituita dalle terre mesolcino-ticinesi, ma anche per i due nuclei minori: la Val Bregaglia e la valle di Poschiavo. Separate l'una dall'altra, quando le si consideri dal punto di vista svizzero (per cui tra di esse non vi sono relazioni dirette), queste tre zone fanno parte di un'unità nettamente distinta non solo linguisticamente, ma anche geograficamente. La zona ladina (v. grigioni e la cartina annessa sulla "distribuzione delle lingue nei Grigioni") è costituita da una parte del cantone dei Grigioni: nel sistema del Reno dai gruppi di Sopraselva e Sottoselva; nel sistema dell'Inn dalla Bassa e Alta Engadina, ove la popolazione, eccettuata un'oasi tedesca intorno a Saint Moritz, è dappertutto in prevalenza ladina, e dalla Val Monastero.

Com'è naturale in un territorio geograficamente accidentato, grande è la ricchezza, in tutti e quattro i territorî di varianti dialettali. Il territorio tedesco appartiene dialettalmente al gruppo alemannico (che si distingue dallo svevo e dal resto del territorio altotedesco soprattutto per la conservazione delle antiche vocali lunghe accentate: līb per Leib, hūs per Haus, ecc.) e più precisamente, ad eccezione di Basilea ove si parla il basso alemannico, all'alto alemannico, che ha per caratteristica principale il suono x- in posizione iniziale per k- (il basso alemannico ha in questo caso il suono intermedio kh-): vi si ha quindi xind per Kind, xlage per Klage, ecc. Fra le varie suddivisioni dei dialetti della Svizzera tedesca menzoniamo solo quella in un gruppo orientale, ove le desinenze per tutte le tre persone del presente indicativo plurale sono identiche, e in un gruppo occidentale ove tale identità non si riscontra. La Svizzera francese è dialettalmente meno compatta di quella tedesca ed è anche più di questa esposta alla continua corrosione da parte della lingua letteraria. I dialetti che vi si parlano non differiscono in nessuna parte essenzialmente da quelli delle regioni adiacenti della Francia: così, per es., i parlari del Giura bernese si riallacciano ai dialetti lorenesi, mentre quelli di Friburgo, di Vaud, di Ginevra, e del Vallese fanno parte del gruppo franco-provenzale (v. francia: Lingua; franco-provenzale). I dialetti della Svizzera italiana appartengono tutti al tipo lombardo (v. lombardia: Dialetti): del lombardo nel senso ristretto del termine fanno parte i dialetti ticinesi della città di Locarno, della riva sinistra del Ticino e del Lago Maggiore nei distretti di Bellinzona e Locarno, nonché il Sottoceneri; del lombardo alpino, tutte le altre varietà dialettali della Svizzera italiana. La quale, data la dislocazione dei tre gruppi italiani, non ha, com'è naturale, alcun tratto linguistico veramente proprio; tutt'al più si può citare per il gruppo ticinese mesolcino una caratteristica che soltanto ad esso è peculiare: l'esito -w da -l di -ol(o), per es., fasów "fagiolo". Il tratto principale che contraddistingue i dialetti alpini da quelli più schiettamente lombardi delle Prealpi è la palatalizzazione di c e g davanti ad a (per es ćamp, ǵamba). La poca resistenza alle influenze tedesco-alemanniche, lo scarso prestigio delle diverse lingue letterarie tuttora in formazione e infine il grande frastagliamento geografico e l'estensione relativamente grande del territorio di fronte all'esiguo numero di popolazione ladina, hanno per conseguenza una grande ricchezza dialettale del ladino grigione. Due gruppi vi appaiono abbastanza nettamente separati: quello del bacino del Reno (Sopraselva) e quello dell'Engadina, compresa la Val Monastero. Nel primo si ha, ad esempio, i, e dal lat. u, ie da o accentata, nel secondo ü rispettivamente ö: sopras. dir "duro", pievel "popolo"; eng. dür, pövel; per "trovare" si usa nel sopras. anflar, nell'eng. chattar, ecc.

Secondo i dati statistici del 1910 la popolazione svizzera, dal punto di vista linguistico, era divisa in 2.599.154 tedeschi; 796.244 francesi; 301.325 italiani; 39.834 ladini grigioni; il censimento del 1920, mentre segna un aumento per i tedeschi (2.750.622), francesi (824.820) e ladini (42.940), registra una forte diminuzione di italiani: 238.544. Nel 1930 le posizioni relative restano press'a poco immutate: 2.924.314 tedeschi; 831.100 francesi, 241.985 italiani, 44.204 ladini. La forte diminuzione degl'Italiani a partire dal 1910 non si riferisce alla popolazione indigena, ma è dovuta al rimpatrio di Italiani regnicoli e al passaggio di non pochi fra essi in Francia e nel Lussemburgo.

Bibl.: Oltre la bibl. citata nelle voci sopra menzionate, v.: H. Morf, Deutsche und Romanen in der Schweiz, Zurigo 1900; J. Zimmerli, Die deutsch-französische Sprachgrenze in der Schweiz, voll. 3, Basilea-Ginevra 1891-1899; Schweizerisches Idiotikon..., a cura di Fr. Staub, L. Tobler, A. Bachmann ed altri, Frauenfeld 1880 segg. (finora voll. 10); L. Gauchat, J. Jeanjacquet, E. Tappolet, Tableau phonétique des patois suisses romands, Neuchâtel 1925; L. Gauchat, J. Jeanjacquet, Bibliographie linguistique de la Suisse romande, voll. 2, ivi 1912-1920; L. Gauchat, J. Jeanjacquet, E. Tappolet, S. Muret, Glossaire des patois de la Suisse romande, Neuchâtel-Parigi 1924 segg.; è in corso di preparazione il Vocabolario della Svizzera italiana, diretto ora da Cl. Merlo (se ne pubblica intanto, dal 1925, un Bollettino); K. Jaberg e J. Jud, Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, in corso di pubblicazione dal 1928; pure in corso di preparazione è il Dizionari rumantich, a cura di C. Pult, per il ladino grigione; brevi, ma ottime informazioni, sulle condizioni linguistiche della Svizzera si hanno nel Dictionnaire géographique de la Suisse (ediz. ted., Geographischer Lexikon der Schweiz), Neuchâtel 1908, per opera di L. Gauchat, A. Bachmann, C. Salvioni e R. Planta. L'articolo sulla Svizzera italiana del Salvioni va però consultato nella sua forma più ampia e più corretta pubblicata sotto il titolo Lingua e dialetti della Svizzera ital., nei Rendiconti dell'Istituto Lombardo, ser. 2ª, XL, pp. 720-736.

Etnografia e folklore.

La Svizzera, piccola per estensione, ma densa di popolazione, è partecipe delle varie civiltà dell'Europa meridionale, occidentale e centrale. Gli abitanti del Canton Ticino e del Cantone dei Grigioni, di lingua italiana, si sono uniti con le stirpi alemanne della Svizzera tedesca, costituenti il nucleo principale della popolazione, e con quelle occidentali di lingua francese, in una confederazione che trae il suo carattere democratico dalle vecchie tradizioni di autonomia locale popolare. La civiltà del Ticino e delle valli meridionali dei Grigioni è la più affine a quella della zona mediterranea. Il terreno per la vigna, per gli orti e anche per i campi, è sistemato a terrazze; le case sono costruite in pietra e nel Canton Ticino coperte da lastre di pietra o da tegole, a più piani e provviste di logge. Nelle strade laterali dell'Engadina le costruzioni, decorate riccamente di affreschi, palesano pure l'influsso di quella civiltà. I caseggiati disposti in modo irregolare sono addossati l'uno all'altro; la proprietà del suolo è, nel Canton Ticino, molto divisa. L. Rütimeyer trovò che gli aratri a chiodo del Ticino sono simili alle antiche forme etrusche e anche gl'impianti di irrigazione sistemati negli asciutti e scoscesi pendii del Vallese si riallacciano, per il loro arcaico sistema di docce di legno, alla cultura mediterranea. La vita è difficile in queste alte valli alpine. Una volta gli uomini del Ticino usavano espatriare per lavorare da muratori e stuccatori, mentre le donne curavano gli scarsi campi e il bestiame. Esse sogliono in queste alte valli lavorare da sé il terreno con la zappa. Anche presso i Vallesiani, dove non è possibile usar l'aratro, le donne scassano il terreno con le zappe, una forma d'agricoltura forse già rappresentata nelle pitture rupestri dell'età del bronzo in Liguria. Il castagno, che prospera largamente nel Ticino, fornisce ai più poveri un alimento importante. Con la farina di castagne vengono preparate focacce non lievitate, cotte su pietre arroventate. Il costume maschile locale può considerarsi scomparso e anche quello muliebre rivela ormai una certa affinità con le mode italiane del sec. XIX.

L'allevamento del bestiame con l'alpeggio di ovini e bovini e la preparazione di stoffe di lino e di lana per il vestiario rivela un certo carattere unitario nelle alte Alpi svizzere, anche se nel Vallese la filatura e tessitura casalinga fu più che altrove sviluppata dall'introduzione del cotone. La principale risorsa è data dall'allevamenio del bestiame; dal Vallese alla Svizzera orientale lo sfruttamento della montagna è reso più redditizio dall'introduzione di colture primaverili, i cosiddetti maggesi. Mentre nella Svizzera occidentale la pastorizia è una professione individuale, nelle Alpi tedesche l'intera comunità prende attiva parte alla sorveglianza del bestiame. La partenza del bestiame per l'alpeggio si compie in corteo, gli animali di testa vengono abbelliti con ornamenti e, giunti sulle alture, il prete benedice solennemente i pascoli. In questa zona la popolazione è dispersa in piccoli borghi o casali e in case isolate. Nel Ticino e nel Vallese gli ambienti adibiti ad abitazione sono sovrapposti in modo da formare case a parecchi piani. La cucina detta "ca da föc" nel Ticino ha tuttora grande importanza nella Svizzera centrale come stanza d'abitazione e di soggiorno. Nel Canton Ticino sono comuni i camini costruiti secondo l'uso romanico. Quivi generalmente alla cucina in muratura si trovano annesse le camere costruite con travi; ma la massiccia costruzione a tronchi domina tutta la zona montana.

Nella regione tedesca gl'insediamenti sono più dispersi e nelle alte valli prevalgono i casali e le case isolate. È da considerarsi arcaica la consuetudine di elevare varie costruzioni separate per l'abitazione e i diversi servizî, che soltanto più tardi furono riuniti in un edificio di maggiori dimensioni, in cui l'abitazione con il suo focolare e il fienile (deposito di foraggi) ha una parte speciale. Vi si aggiunge il granaio, costruzione particolarmente solida in travatura, che nel Vallese e in altri luoghi poggia su alti pali. Le affinità con i granai su pali della Scandinavia sono evidenti. Altre concordanze con l'Europa settentrionale si rivelano nei disseccatoi per il fieno e il frumento, che nelle Alpi meridionali paiono grandi pallottolieri. Nel Cantone dei Grigioni i villaggi hanno vaste, ampie case, munite di passaggi coperti che dall'abitazione conducono alla stalla e al magazzino. Di pesante muratura all'esterno, la casa è internamente di legno, gli ambienti come in altre regioni svizzere sono resi più graziosi, ricchi e abitabili da rivestimenti lignei. Il tetto è dappertutto a spiovente piatto, ricoperto generalmente da assicelle trattenute da pietre; nell'alta montagna si usano anche lastre di lavagna. In queste regioni si è molto sviluppata la lavorazione del legno. Specialmente gli utensili per il latte sono varî per decorazioni e per forme; vi si aggiungono sgabelli per mungere, collari per le mucche, rocche e altri oggetti, che i pastori intagliano nelle ore libere, senza dimenticare i corni alpini ricavati da piccoli tronchi di pino; vuotatene le due metà si ricongiungono avvolgendole di scorza di betulla. Servono per suonare la Kuhreigen, melodia che ha sempre destata la nostalgia degli Svizzeri residenti in terra straniera. L'arredamento delle vecchie costruzioni con cassoni, tirettini inseriti nei rivestimenti lignei, pomposi letti, culle, sedie, ecc., conferiva loro un carattere patrizio, conservatosi in parte, giacché pezzi con caratteri gotici o di stile Rinascimento sono stati tramandati per secoli. La stufa è un mobile importante nella stanza di soggiorno; nelle case più agiate è ricoperta da piastrelle, nella Svizzera orientale è spesso in maiolica policroma. Winterthur è stato un centro di produzione di enormi stufe del genere. In case meno agiate si trovano stufe in muratura. Caratteristica dell'Oberland bernese è la piattaforma sporgente ad uso di sedile. Ottimo materiale per la costruzione di stufe è dato anche dal talco e dal serpentino, estratti dal massiccio centrale delle Alpi.

L. Rütimeyer ha dimostrato come nell'attività di queste zone montuose persistano tuttora numerosi tratti arcaici.

Si usano ancora, seppur di rado, candele di resina avvolte in scorza di betulla e nelle lampade viene arso, secondo un antico uso proprio al culto, burro o sego. Nel Vallese e altrove tali lampade venivano preparate in forma di scodelle o con piedistallo di serpentino o di steatite, secondo antichissime tradizioni; già Plinio ci dà notizia dell'uso di queste pietre nei dintorni del lago di Como. I bimbi giocano ancora con primitivi giocattoli, animali fatti con pigne di pino, tronconi di rami o pezzetti di legno, foggiati più o meno a forma di mucche, di buoi, di tori. Vengono usati anche astragali di pecore.

L'antico costume si è mantenuto solo in singole regioni, per esempio nel Vallese. Gli uomini portano d'inverno ruvide giubbe e uose di loden, ma le stoffe (lino e lana) sono tessute a casa e anche il taglio ne è antiquato e atto alle dure fatiche. Le donne portano gonne bruno-scuro o nere, a profonde pieghe, e corpetti attillati e accollati con un ruvido camice e un grembiule, a cui aggiungono di domenica una giacca. Vi si addice ben poco il cappello a nastro che ricorda la moda francese del Secondo Impero. Sulle Alpi le donne usano, per il lavoro, come gli uomini, calzoni e corte giacche. Nell'Appenzell i vaccari portano un tradizionale soprabito costituito da una specie di camice in lana di pecora con cappuccio; dell'antico costume indossato nelle festività, per es. quando le mandrie partono per gli alti pascoli, fan parte una camicia ricamata, calzoni corti di pelle gialla, giubba rossa a ricami e bottoni d'argento, bretelle in pelle con placche di ottone, ove è rappresentata una mandria, e un cappello di paglia ornato di fiori, calze bianche e scarpe a fibbia.

Nell'Appenzell, artistici ricami e pizzi di ispirazione settentrionale giungono fin nei villaggi alpini più interni. Son d'uso generale i fidanzamenti notturni (Kiltgang) regolati da norme severe sotto la sorveglianza della gioventù maschile; si tirano a sorte delle coppie, che si devono accompagnare per tutto l'anno nelle feste e nei balli, e inoltre i giovani organizzano fantastiche mascherate. A Flums esistono tuttora intagliatori in legno che preparano maschere di demoni e di visi grotteschi, usate nel carnevale per cortei e scene drammatiche, a cui si accompagnano rime beffarde, ecc. Non mancano figure ornate di fogliame, rami e pigne di abete, nelle feste del maggio e nei cortei invernali, che iniziati per S. Nicola si continuano fino a tutto il carnevale. Il verde albero di Natale si prepara in Svizzera sino dalla festa di S. Nicola. Carattere primitivo rivelano i visi demoniaci che i giovani del Lötschental nel Vallese portano assieme a pelli di capra nei chiassosi cortei notturni dell'inverno.

Nella regione del lago di Costanza viene esercitata ampiamente la pesca con nasse e grandi reti, servite da intere squadre. Anche sulle sponde degli altri laghi fioriscono antiche comunità pescherecce. Nelle zone più favorite si accompagna la coltura della vite a quella dei campi, specie nella Svizzera occidentale, dove la vita del vignaiolo ha dato luogo a numerosi usi. Sono celebri le feste per la vendemmia di Vevey, Montreux, ecc. Le case della regione del lago di Costanza sono del tipo svevo, cioè quasi tutte a scompartimenti di legno e muratura; quelle dei vignaioli hanno al pianterreno cantina e stalla, e talvolta anche un ambiente anticamente destinato alla tessitura. L'abitazione e il magazzino vengono spesso costruiti l'una accanto all'altro. Il tetto è a spioventi. Una casa di tipo alemanno si è andata imponendo nella Svizzera settentrionale, nella regione che dal lago di Costanza si stende verso sud-est; si tratta di un'abitazione sul tipo di quelle della Foresta Nera, nella quale, sotto un imponente tetto di paglia a spioventi, sono riunite abitazione, granaio e stalla. Nella parte adibita ad abitazione si trova, accanto alla cucina e alla stanza, anche il granaio che in molti luoghi sorge invece isolato. Il tetto è sostenuto da gigantesche colonne. Nel cantone di Berna, là ove termina l'alta montagna, le case sono un vero gioiello di architettura lignea, decorate d'intagli, motti e pitture. Altrove le case in muratura sono coperte da tegole. Nel Giura sono pure forme architettoniche romaniche e tedesche. Un numero ragguardevole di colonne sostiene ampî fabbricati coperti da un tetto a spioventi coperto di lastre di pietra. Si tratta di una sottospecie dei fabbricati unitarî alemanni. Singolari anche le vòlte a imbuto delle cucine nelle regioni già appartenenti all'antico regno di Borgogna, imitate poi con tronchi di piramide anche nelle case in legno; possiamo pensare a una influenza sul fabbricato germanico di tipo alemanno della capanna-cucina celtica, che era, come si sa, a pianta circolare. Nelle regioni vinifere dell'occidente s'incontrano piccoli borghi di tipo cittadino. Nel Giura predominano i pascoli, vi prospera anche la metallurgia, ma specialmente l'mdustria dell'orologeria fine.

Nella media Svizzera, che è la regione più aperta al traffico e nella quale sorgono le città più importanti, usi e costumi sono più inclini a feste popolari civiche, in cui compaiono gli antichi costumi di foggia piuttosto borghese. Le vesti femminili a corpetti colorati e molto ornati hanno conservato un carattere più spiccatamente paesano di quelle maschili, quando la professione di vaccari non conferisce loro un carattere locale. Il costume professionale dei vaccari del Bernese e del Friburghese consiste di un corto giubbetto di panno bruno o nero, che nei giorni di festa è ricoperto da ricami.

La Svizzera è molto ricca di canti, di leggende e anche di usi popolari, che rivelano pur oggi - nonostante la maggiore uniformità di vita, conseguenza delle migliorate comunicazioni e delle trasformazioni economiche nel corso del sec. XIX - una grandissima varietà da luogo a luogo, forse accresciuta ancora dal fatto che certi usi sopravvivono soltanto in certe località.

Molte usanze tuttora vive hanno un contenuto superstizioso e si ricollegano con antiche credenze. In particolare, si presta molta attenzione ai presagi e si cercano oracoli; molte superstizioni si riferiscono a malattie e alla loro guarigione. Recenti processi hanno mostrato che è tuttora viva la credenza nella stregoneria: le fatture possono colpire sia gli uomini sia gli animali e contro di esse si ricorre ad amuleti o scongiuri.

La credenza che i bambini nascano perché portati dalle cicogne è oggi diffusissima nel mondo infantile e solo di rado si parla ancora della provenienza dei neonati dall'acqua o da grandi pietre. Sul carattere e sulla sorte del neonato si cerca d'influire in varî modi. L'invito a far da padrino è compiuto talvolta ancora con un cerimoniale determinato e l'impegno del padrino a far dei regali al figlioccio dura fino alla cresima.

La domanda di matrimonio si faceva un tempo attraverso determinate terze persone; l'accettazione o la ripulsa erano espresse con la presentazione di vivande determinate (specialmente vecchio formaggio casalingo). Gli sponsali avvenivano con la stretta di mano e l'acquisto di vino (i promessi sposi mangiavano e bevevano insieme). Come pegno di nozze, lo sposo soleva fare alla sposa un regalo, per lo più una moneta; gli anelli sono d'uso recente. Se lo sposo è di un altro villaggio, deve mediante un regalo riscattare la sposa dalla Knabenschaft (v. sotto). Oggi ancora è uso di portare solennemente nella nuova casa il Brautfuder (il corredo della sposa). Raro è divenuto l'uso di nascondere la sposa o di spinger avanti una falsa sposa. Il corteo nuziale si svolge secondo un ordine e in costumi minuziosamente prestabiliti. Lo sposalizio veniva fatto davanti alla porta della chiesa. Importanti sono il pranzo di nozze e i regali, il cui valore è regolato tradizionalmente.

Innumerevoli presagi annunziano la morte. La salma è spesso vestita completamente. Le puerpere ricevono le scarpe perché devono ritornare dal loro bambino. Ancora recentemente si deponevano vivande nelle bare. Si fa ogni sorta di distinzioni tra morti coniugati e celibi: fino a poco tempo fa soltanto questi ultimi ricevevano fiori, e, anche oggi, talvolta un feretro azzurro o bianco. Dura tuttora l'uso di vegliare il morto e di offrire un rinfresco a chi lo veglia. Durante il corteo funebre si fa attenzione che non accada niente d'insolito, che sarebbe di cattivo augurio. Il banchetto funebre dopo il seppellimento si è conservato ancora in alcuni luoghi.

Le riunioni regolari nelle serate invernali, per la filatura, sono diventate rare. Nel regolare le relazioni tra giovinotti e ragazze avevano importanza le Knabenschaften, di cui sopravvivono residui nella maggior parte dei paesi della Confederazione, specie nei Grigioni. Sono un'organizzazione dei giovanotti scapoli con una presidenza, una cassa e statuti. La loro attività ha soprattutto carattere di tribunale dei costumi; le pene sono schiamazzi ed altri atti della giustizia popolare. Un tempo queste associazioni avevano un carattere più militare ed esercitavano anche un'influenza politica. Soprattutto tenevano lontani dai villaggi i corteggiatori forestieri; in alcuni luoghi sorteggiavano le ragazze. Ai giovani celibi è concesso anche il Kiltgang, cioè la visita serale alle fanciulle da parte di singoli individui o d'intere brigate.

La maggior parte delle usanze popolari riferentisi al diritto, all'agricoltura e alla vita economica in genere si è spenta in conseguenza dello sviluppo economico. Così, mentre un tempo boschi e pascoli comunali riunivano l'intera popolazione di un villaggio a feste comuni, oggi ciò avviene di rado. Anche l'antica usanza delle adunanze del comune all'aperto sopravvive solo in pochi cantoni. Solamente nella vita dei pascoli di alta montagna si sono mantenuti alcuni elementi caratteristici: sia costumanze giuridiche (per es., le tacche), sia usi relativi alla pastorizia. Il bestiame viene ancora ornato e condotto in solenne corteo dai vaccai verso la malga o di nuovo giù alla valle. In singole regioni si hanno all'inizio della stagione del pascolo battaglie di vacche. Nelle regioni cattoliche la malga viene benedetta dal prete, e il vaccaio chiude la sua giornata con un Betruf (una benedizione che viene gridata sulla alpe). Feste di alpigiani dànno occasione a balli e a gare, per es., sollevamento e lancio di pietre.

Il costume è quasi interamente scomparso come abbigliamento quotidiano e sopravvive ancora solo come abito festivo. Le feste religiose o civili dànno ancora luogo a manifestazioni collettive; tra le seconde bisogna ricordare le feste cantonali e federali (feste commemorative di battaglie, festa federale del 1° agosto, ecc.), e quelle di molte associazioni e corporazioni (per es., la festa dei vignaioli a Vevey).

Le feste religiose sono, nelle celebrazioni popolari, congiunte allo svolgimento delle stagioni e ad antiche credenze. Così l'inverno era generalmente considerato come la stagione in cui imperversavano i demonî, che si sperava di cacciare col frastuono e con le maschere; ma come epoca degli spiriti erano considerati soprattutto i dodici giorni (Zwölftagen) intorno al solstizio d'inverno - cioè l'epoca tra il Natale e l'Epifania - e da questi giorni si traggono gli auspici relativi al tempo in ciascuno dei dodici mesi dell'anno veniente. Processioni rumorose incominciano già il giorno di S. Nicola (6 dicembre) che un tempo era il santo che portava i regali ai bambini: usanza ora trasferita al Natale, mentre si è diffusa quasi ovunque, da circa un secolo, la costumanza dell'albero di Natale. Nei diversi giorni di festa sono in uso processioni di bambini, che domandano doni cantando canzoni e pronunciando augurî.

Il carnevale significa l'inizio della primavera. Viene festeggiato ora con conviti, danze e mascherate. In certi luoghi le mascherate sono organizzate da speciali società; forme particolarmente caratteristiche ha assunto il carnevale a Basilea. Soltanto in singoli casi compaiono ancora le maschere tradizionali scolpite nel legno. L'uso di indossar la maschera condusse spesso a vere e proprie commedie carnevalesche, nelle quali, per es., si beffeggiavano le vecchie zitelle. Il chiasso, che è per lo più congiunto con la mascherata, i fuochi sulle alture, il lancio di dischi di legno e il bruciamento di fantocci di paglia (uso ancora sopravvivente a Zurigo) risalgono ad antichi riti agrarî. Anche nella celebrazione della Pasqua e della Pentecoste si notano alcuni elementi folkloristici. Al carbone del fuoco di Pasqua e all'acqua di Pasqua si attribuiscono virtù magiche; generale è l'uso di donare le uova pasquali, che si presumono portate da lepri, e ancora frequenti sono i giuochi, come la corsa con le uova. Il 1° maggio (nei Grigioni il 1° marzo, in altri luoghi soltanto a Pentecoste) fanciulli ornati di fogliame e anche con strumenti fragorosi vanno attorno e raccolgono doni. La festa del Corpus Domini è diventata anch'essa una festa popolaresca della primavera. Mentre l'inverno e la primavera portano con sé numerosi usi, questi sono molto rari nell'estate e nell'autunno; e la festa federale del 1° agosto ha eliminato, lasciandole sopravvivere solo sporadicamente, le feste e le usanze di mezza estate (solstizio d'estate, S. Giovanni).

Materiali e mezzi di studio. - I primi studî sul folklore svizzero risalgono all'inizio del sec. XIX. Le idee di Rousseau e di Haller destarono l'interesse di stranieri e di Svizzeri per la popolazione paesana e si cominciarono a raccogliere canti e leggende. Si destò allora anche l'interesse per i dialetti e la poesia dialettale. Sotto l'impulso dell'indagine mitologica in Germania, si formarono nel corso del sec. XIX raccolte di leggende quasi per ogni cantone; mentre ai primi canti popolari pubblicati alla festa dei pastori di Unspunnen (1805) ne vennero poi aggiunti altri sempre più numerosi fino alle raccolte recenti. Nel 1896 E. Hoffmann-Krayer fondò a Basilea la Schweizerische Gesellschaft für Volkskunde, che cura l'opera di raccolta sistematica del materiale in tutte le regioni e notevoli pubblicazioni; nelle sue collezioni manoscritte si trovano circa 35.000 canti popolari francesi, tedeschi, italiani e retoromani; dal 1932 anche le raccolte della Enquete über schweizerische Volkskunde. Molto materiale prezioso si trova anche nei vocabolarî dialettali. Una vera e propria raccolta di oggetti folkloristici è nella sezione "Europa" del Volkskundliches Museum di Basilea. Dal canto suo la Gesellschaft für Trachtenvereinigung cerca di far rivivere l'uso del costume popolare.

Bibl.: Periodici: Schweizerisches Archiv füf Volkskunde (1897 segg.); Schweizer Volkskunde (1911 segg.); Annalas della Società retoromantscha (1886 segg.). Opere generali: J. Hunziker, Das schweizer Haus, Aarau 1900 segg.; E. Hoffamann-Krayer, Feste und Bräuche des schweizer Volks, Zurigo 1913; H. Schwab, Das schweizer Haus, Aarau 1918; L. Rütimeyer, Urethnographie der Schweiz, in Schriften der schweizer. Gesellschaft f. Volkskunde, XVI Basilea 1924; D. Baud-Bovy, Schweizer Bauernkunst, Zurigo 1926; H. Brockmann-Jerosch, Schweizer Volksleben, voll. 2, ivi 1929; E. Hoffmann-Krayer, Feste u. Bräuche des Schweizervolks, ivi 1913; H. Brockmann-Jerosch, Schweizer Volksleben, 2ª ed., ivi 1933, voll. 2; E. Friedli, Bärndütsch, Berna 1905 segg. (voll. 7 al 1930). - Dizionarî: Shweizerisches Idiotikon, Francoforte 1881 segg. (voll. 9 al 1929); Glossaire des Patois de la Suisse Romande, I, Losanna 1901 segg. Inoltre: J. Heierli, Die Volkstrachten der Schweiz, I-V, Zurigo 1924-1932; E. L. Rochholz, Schweizersagen aus dem Aargau, Aarau 1854; A. Lütolf, Sagen, Bräuche und Legenden aus den fünf Orten, Lucerna 1862; H. Herzog, Schweizersagen, Aarau 1871-1882, voll. 2, e nuova ed. a cura di A. Büchll, ivi 1931; D. Jecklin, Volkstümliches aus Gaubünden, 1874-78, voll. 3; A. Cérésole, Légendes des Alpes vaudoises, Losanna 1885; J. Jegerlehner, Sagen aus dem Unter- u. Oberwallis, Basilea 1909-1913, voll. 2; J. Müller, Sagen aus Uri, ivi 1926-29, voll. 2; C. Decurtins, Märchen aus dem Bündner Oberland, Coira 1874; S. Singer, Schweizer Märchen, Berna 1903-1906; G. Bundi, Märchen aus dem Bünderland, Basilea 1934; L. Tobler, Schweizer Volkslieder, Francoforte 1882-84; A. Tobler, Das Volkslied im Appenzellarlande, Zurigo 1903; A. I. Cassmann, Das Volkslied im luzerner Wiggertal, Basilea 1906; S. Grolimund, Volkslieder aus dem Kanton Solothurn, ivi 1910; id., Volkslieder aus dem Kanton Aargau, ivi 1911; O. v. Greyzerz, Im Röseligarte, Berna 1908 segg. (voll. 6 al 1925); A. Rossat ed E. Piguet, Les chansons populaires recueillies dans la Suisse romande, Losanna 1917-1931, voll. 3; G. Züricher, Kinderlieder der deutschen Schweiz, Basilea 1926.

Arte.

Epoca paleocristiana. - Il cristianesimo era dapprima penetrato nella Svizzera occidentale e nella Rezia (rilievi d'altare di S. Germano a Ginevra circa il 400); poi gli Alemanni, immigrati nelle regioni settentrionali e orientali della Svizzera odierna (l'occupazione dell'altipiano era compiuta verso il 470), fusero solo lentamente la propria cultura con quella già esistente permeata di elementi romani.

Resti di edifici rimangono nella chiesa di S. Pietro a Ginevra, a Romainmôtier e St. Moritz. La rappresentazione del buon pastore, una transenna di ambone (secolo VII) a St. Moritz e un'altra a Romainmôtier sono i primi esempî di sculture cristiane in Svizzera, come dell'oreficeria un reliquiario e un vaso in sardonica a St. Moritz, il reliquiario del vescovo Altheus a Sion. Sulle relazioni con la coeva cultura della regione alemanna dànno luce preziosi ritrovamenti di tombe (soprattutto oreficerie e alcuni rari oggetti di altri rami delle arti minori, in lamelle metalliche, in ceramiche, nel maseo di Basilea) e il prolungarsi dell'esistenza di abitati e città già romane.

Epoca merovingia e carolingia. - Preziose opere d'arte dell'epoca merovingia, in cui il cristianesimo prese nuove radici grazie alla fondazione dei conventi Moutier-Grandval, San Gallo, Disentis, Pfäfers e Lucerna, sono il pastorale di S. Germano a Delsberg, e le lastre in bronzo dorato con busti-ritratti di principi longobardi da Alvaschein in Coira. Tracce più copiose e, nello stesso tempo, più importanti ha lasciato in Svizzera il vigoroso sviluppo della cultura sotto i Carolingi.

Specialmente nel convento di S. Gallo fiorì un'arte di alto livello; dell'aspetto architettonico degli edifici di quest'epoca dànno un chiaro concetto la cripta occidentale di S. Gallo, di stile carolingio seriore, e il progetto ideale d'un convento carolingio eseguito circa l'830 (pianta di pergamena nella biblioteca conventuale di S. Gallo). Sono celebri i manoscritti di S. Gallo; quelli irlandesi e, soprattutto, il salterio di Folchart (872), il Psalterium aureum e l'Evangelium longum, la cui legatura consta di due placche d'avorio riccamente intagliate del monaco Tutilo (morto dopo il 912). Accanto a San Gallo ha grande importanza il monastero femminile di S. Giovanni Battista a Münster (Grigioni), costruito tra il 780 e il 786. Del corpo centrale, originariamente a una sola navata, con coro triabsidato, rimangono ancora i muri perimetrali carolingi; gli affreschi, con scene della vita di Paride e Assalonne, scoperti nel 1908-1909, sono ora nel museo di Zurigo, ma vi si conservano ancora i bassorilievi. Stilisticamente affini all'edificio di Münster sono le chiese, tutte nei Grigioni, di Disentis, Müstail, Pleif e le fondamenta delle absidi del duomo di Coira. Pure dell'epoca carolingia sono i resti della cripta nella collegiata di Zurigo, fondata nell'853, nonché le lastre di marmo nella cripta di Schänis, le transenne del coro a Coira e un reliquiario a Beromünster (Lucerna).

Epoca romanica e gotica. - La separazione della Svizzera odierna, avvenuta in seguito alla divisione dell'Impero carolingio, esercitò un'azione decisiva sull'ulteriore sviluppo della cultura e dell'arte. Tale influsso si manifestò ben presto nell'architettura romanica. L'intensa attività costruttiva ecclesiastica, dovuta alla riforma monastica di Cluny, al moltiplicarsi nel territorio dei benefici ecclesiastici e all'importanza sempre più estesa assunta dalle sedi vescovili cittadine, ebbe rapporti con l'architettura sveva nelle regioni alemanne e retiche allora appartenenti all'Impero germanico, mentre nella Svizzera occidentale l'architettura s'impronta a forme provenienti dalla Francia meridionale e dalla Borgogna e, nel Canton Ticino, dalla Lombardia.

Le prime chiese romaniche conservatesi sono quelle dei priorati cluniacensi di Payerne, di Romainmôtier, di Saint-Sulpice e le chiesette campagnole bernesi di Einigen, Scherzlingen, Ammoldingen, Spiez e Wimmsis, cui seguono, in ordine cronologico, le collegiate di Beromünster (l'interno è stato rifatto in stile barocco) e di Schönenwerd, la chiesa, già monastica, a Stein sul Reno, la chiesa di Ognissanti a Sciaffusa e Saint-Pierre de Clages (Vallese). Nel sec. XII s'iniziò la costruzione delle cattedrali, ancor oggi conservate, di Ginevra, di Losanna, di Sion, di Coira e di Basilea, terminate poi in epoca gotica. Pure al sec. XII risalgono la chiesa di S. Caterina a Valère presso Sion, il duomo di Zurigo, le collegiate di Saint-Ursanne, di Neuchâtel, di Biasca e di Schänis, S. Arbogato a Oberwinterthur, le chiese già benedettine a Schöntal (Basilea) e Grandson (Vaud), di Ravecchia (sec. XIII) e di S. Niccolò a Giornico. Le quali ultime nel Canton Ticino sono evidentemente opera di mestranze lombarde.

Mentre nelle cattedrali lo stile romanico assumeva aspetti singolarmente ricchi ed elaborati, i cisterciensi già attuavano nelle loro costruzioni i nuovi severi principî dell'arte gotica. In dipendenza della chiesa abbaziale di Fontenay (1148, Côte-d'Or) sorse quella monastica di Hauterive (sec. XII, presso Friburgo), cui seguirono le chiese di Bonmont (Vaud), di Frienisberg (Berna), di Wettingen (Argovia; rifatta nell'epoca barocca), di Kappel (Zurigo) e di Maigrauge (Friburgo).

La contemporanea coesistenza di forme stilistiche vecchie e nuove, determinata da un lato dal rapido diffondersi delle nuove idee e, dall'altro, dal tenace attaccamento alla tradizione, è una delle caratteristiche più spiccate dell'arte svizzera di tutti i tempi; e può constatarsi in quasi tutti gli edifici dei secoli XII e XIII. Carattere omogeneo posseggono solo le chiese costruite in breve tempo dai francescani e domenicani nel corso dei secoli XIII e XIV a Basilea, Berna, Friburgo, Losanna, Locarno, Lucerna, S. Gallo e Zurigo.

Carattere dell'arte svizzera del secolo XV fu di essere tipicamente borghese e urbana. Si portò allora a compimento la costruzione delle imponenti torri delle cattedrali di Basilea, di Zurigo e della chiesa di S. Niccolò a Friburgo; e sorsero in stile gotico seriore la chiesa di S. Osvaldo a Zug, la Wasserkirche a Zurigo, S. Giovanni a Sciaffusa, le parrocchiali di Burgdorf, Orbe e Zofingen. Chiude il periodo dell'architettura ecclesiastica medievale la costruzione della cattedrale di S. Vincenzo a Berna e della chiesa di S. Teodulo a Sion.

L'architettura profana del Medioevo è rappresentata, soprattutto nella Svizzera occidentale, da numerose rocche e castelli. Avanzi romanici sono nel castello di Neuchâtel; e costruzioni notevoli sono i castelli di Chillon, Champvent, Grandson, Estavayer, Vufflens, Lenzburg, Regensberg, Moersburg, Leuk, Bellinzona e Locarno. Ancora oggi le porte, torri e mura che appartennero alle antiche fortificazioni urbane o fiancheggiarono le vie medievali, determinano l'aspetto architettonico di Friburgo, di Murten, di Aarau, di Zofingen, di Mellingen e di Bremgarten; ne rimangono resti importanti a Lucerna, a Berna e a Basilea.

Anche la scultura nella Svizzera fu in continuo rapporto, se non in diretta dipendenza coi paesi vicini; nel periodo romanico più particolarmente con la scultura lombarda e francese, nel periodo gotico con quest'ultima e con la germanica, mentre nelle regioni italiane appartenne all'arte della penisola.

Tra le opere d'arte più antiche e notevoli della scultura romanica nella Svizzera sono una Crocifissione (del vescovo basilese Landelous, sec. XII; Aarau); il rilievo degli apostoli e quello di S. Vincenzo nella cattedrale di Basilea e la pala d'altare in oro, probabilmente donata dall'imperatore Enrico II nel 1019 alla cattedrale di Basilea (Parigi, museo Cluny). Ai secoli XII e XIII appartengono la porta di S. Gallo della cattedrale di Basilea, i portali di Saint-Ursanne, di Coira, della cattedrale di Zurigo, i capitelli riccamente scolpiti nelle cattedrali di Basilea, di Ginevra, di Coira, di Zurigo, della chiesa di Valère presso Sion e della parrocchiale di Grandson. Vanno inoltre ricordate le sculture in stucco di S. Giovanni a Münster (Grigioni) e i rari esempî di intagli romanici (per lo più provenienti dal Vallese e dai Grigioni) nel museo di Zurigo.

Relativamente modeste, per numero e importanza, sono le sculture dell'epoca gotica: mancavano i mezzi per uno sviluppo imponente della scultura; inoltre la furia iconoclasta al principio della Riforma distrusse moltissime sculture. Si sono conservati il portale occidentale, le sculture della torre e le figure equestri del duomo di Basilea (sec. XIII-XIV), il portale degli apostoli della cattedrale di Losanna (sec. XIII), i portali (sec. XIV-XV) e il "sepolcro" (secolo XV) di S. Niccolò a Friburgo, il portale occidentale del duomo di S. Vincenzo a Berna (fine del sec. XV) e la decorazione plastica della chiesa di S. Osvaldo a Zug (fine del sec. XV). Testimonianze della cultura feudale del Medioevo sono le lastre tombali, fra cui quella della regina Anna nella cattedrale di Basilea, il cenotafio dei conti di Neuenburg (secoli XIV-XV) nella collegiata della medesima città, la tomba dei conti di La Sarraz nella parrocchiale della cittadina omonima, quella del vescovo Gualdo a Sion, ecc.

La scultura gotica in legno si è conservata sul posto soltanto nelle regioni cattoliche (principalmente nel Vallese: altari a Glis e Münster), nei Grigioni (Coira, Churwalden, Stürvis) e nella Svizzera centrale; collezioni preziose se ne vedono nei musei di Zurigo, di Berna, di Basilea, di Friburgo, di Sion e di San Gallo. Già nel sec. XIV appaiono nella regione alemanna riflessi della contemporanea scultura sveva; nel sec. XV e fino al principio del secolo XVI è anzi accertata, in luoghi remoti dei Grigioni e del Canton Ticino, l'importazione di altari intagliati dalla Svevia (S. Maria Calanca, ora a Basilea, Ossogna, ecc.). All'ambito dell'arte fiorita lungo il corso superiore del Reno appartengono le opere (sec. XV) dei dintorni di Basilea. Abilità tecnica consumata e gusto raffinato palesano gli stalli del coro gotici. Al secolo XIII risalgono quelli di Losanna (cattedrale) e Friburgo (chiesa dei Francescani); al sec. XIV quelli di Kappel, Friburgo (Maigrauge), Losanna (chiesa di S. Francesco); al sec. XV quelli di Basilea (duomo, certosa), Coira, Zug, Friburgo (cattedrale di S. Niccolò), Hauterive, Romont; al sec. XVI quelli di Moudon, Estavayer e Berna.

Sono frequenti in Svizzera gli avanzi di affreschi medievali. Le semplici pareti e vòlte delle chiese romaniche e gotiche erano generalmente decorate con composizioni figurate e ornamentali. Anche nella pittura murale le regioni italiane sono un ramo dell'arte di Lombardia.

Gli esempî più antichi appartengono appunto al Canton Ticino (chiese di Negrentino, di Biasca, di Santa Maria di Torello, di Rovio). A Zillis (Grigioni) si conserva un'opera di pregio singolare: un soffitto di legno romanico (sec. XII) con 150 riquadri dipinti. Del sec. XIII rimangono frammenti di affreschi anche in altri luoghi della Svizzera: a Friburgo (chiesa di S. Giovanni), Kappel, Saint-Sulpice, Saint-Ursanne, Zurigo (duomo); nel castello di Chillon v'è anche un esempio di affresco con soggetto profano. Dal sec. XIV in poi pitture murali si trovano per tutto nella Svizzera, ma la maggior parte di queste pitture non è eseguita nella vera e propria tecnica dell'affresco, e solo raramente è di artisti notevoli.

Nelle arti "minori" ebbe importanza la pittura su vetro: lo dimostrano le vetrate del rosone della cattedrale di Losanna (circa il 1270), le vetrate delle finestre a Wettingen (circa il 1290), quelle donate dagli Asburgo al convento Königsfelden (circa 1320-35), le serie di vetrate a Kappel, Münchenbuchsee, Oberkirch e Staufberg. Lavori d'oreficeria preziosi si conservano nei tesori delle chiese di St. Moritz, di Sion, di Engelberg, di Coira, di Beromünster e di Basilea (quest'ultimo tesoro è stato parzialmente disperso in musei stranieri). La fioritura dell'arte tessile indigena è testimoniata dal paliotto di Königsfelden (Berna, Museo storico) e dalle collezioni di Basilea e di San Gallo. La miniatura fu coltivata soprattutto nei conventi di Engelberg, di Einsiedeln, di Rheinau, e di San Gallo.

Rinascimento. - Il passaggio dalla cultura medievale all'epoca del Rinascimento avvenne attraverso un processo discontinuo e apparentemente confuso, quale si può constatare anche nelle transizioni dello stile carolingio al romanico e al gotico. Tuttavia sin dall'inizio del sec. XV si nota in misura crescente una concordanza di caratteri che corrispondevano a nuove esigenze culturali. Attraverso le lotte con l'Austria, la Borgogna e l'Impero germanico, era sorto un paese, di struttura compatta, indipendente verso l'estero e pacificato nell'interno, la cui popolazione, divenuta cosciente della sua potenza, cercò di soddisfare le sue nuove esigenze spirituali aderendo agl'ideali della cultura profana del Rinascimento. La nuova attività artistica si svolse parallelamente alla persistente azione della tradizione medievale, servendosi anche, al principio, di forme stilistiche gotiche.

Fontane riccamente scolpite s'innalzarono in vie e piazze della città (gli esempî più belli sono a Basilea, Berna, Friburgo e Lucerna), sorsero palazzi comunali (a Basilea, Friburgo, Sursee, Zug); gl'interni vennero sontuosamente decorati con soffitti intagliati (Zurigo, Museo; castelli di Chillon e di Locarno; Sion, Supersaxhaus; palazzi comunali ad Aarau e Zug) e arredati con mobilia e stoviglie in peltro e argento; tutto ciò che servi ad usi domestici fu accuratamente lavorato.

Anche la pittura su tavola fu messa al servizio delle nuove esigenze. Del principio del secolo XV rimangono sole poche opere, per lo più delle regioni vicine al corso superiore del Reno; tra le più antiche e importanti va ricordata la Madonna delle fragole (Soletta). Le città, in continuo sviluppo, sembrano aver offerto condizioni favorevoli agli artisti; al tempo del concilio operava a Basilea il maestro svevo Konrad Witz, le cui opere (in parte conservate a Basilea e Ginevra) sono fra le più importanti della antica pittura tedesca. Una generazione dopo, Martin Schongauer di Colmar (Alsazia) esercitò un'influenza profonda in molte parti della Svizzera; verso la fine del secolo, Alberto Dürer lavorò per qualche tempo a Basilea. Nel 1515 vennero da Augusta a Basilea i giovani fratelli Ambrogio e Hans Holbein (disegni e pitture nel museo di Basilea); accanto a loro lavorarono gli svizzeri Urs Graf (Basilea; noto soprattutto come disegnatore), a Zurigo e altrove i varî maestri anonimi detti "maestri col garofano" Hans Leu padre e figlio (Zurigo), a Berna Niklaus Manuel e a Friburgo Hans Fries. Gli Holbein, il Graf e il Manuel diedero anche disegni per illustrazioni di libri e di vetrate; a loro l'arte tipografica di Basilea deve la sua importanza artistica e la pittura su vetro in buona parte della Svizzera l'ampiezza di stile, svolta poi con caratteri proprî da Lux Zeiner a Zurigo, da Anthoni Glaser a Basilea (Basilea, palazzo comunale) e da Hans Funk a Berna (Berna, museo storico). Altre serie di vetrate nella cappella del castello di Pérolles presso Fiiburgo e nella chiesa di Jegenstorf. Oltre a queste opere vanno ricordate quali espressioni artistiche tipicamente svizzere le illustrazioni della bibbia di Toggenburg, della cronaca di Tschachtlan e delle cronache dello Schilling di Berna e di Lucerna.

Dopo il crollo della politica di grande potenza, in seguito alla battaglia di Marignano (1515), e il rivolgimento spirituale della Riforma, l'arte si limitò a trattare solo soggetti di contenuto borghese-profano nelle regioni riformate ostili al culto delle immagini. La fierezza eroica dei confederati svizzeri e l'accento drammatico della loro arte erano scomparsi; in compenso le arti minori ebbero larghe possibilità di sviluppo, specie la pittura su vetro.

Sono noti molti nomi di artisti (Ringler, Murer, Lindtmayer, Han) e di botteghe del tardo sec. XVI a Basilea, a Berna, a Sciaffusa e Zurigo; molte vetrate e disegni preparatorî si conservano in musei svizzeri e stranieri (Parigi Louvre e Londra). Oltre alle piccole vetrate per case private, per le sedi delle corporazioni e per palazzi comunali (a Stein sul R., Unterstammhein, Losanna), vanno ricordate quelle dei chiostri di Muri (oggi ad Aarau) e di Wettingen. Della pittura su tavola rimangono soprattutto ritratti. Tra i pittori più noti sono Hans Hug Kluber e Hans Bock (Basilea). Hans Asper (Zurigo) e Tobias Stimmer (Sciaffusa e Strasburgo); la vita di quest'ultimo, come pure di Joseph Heinz (di Basilea morto a Praga) e dell'incisore Jost Ammann (di Zurigo, morto a Norimberga) mostra le condizioni sfavorevoli che gli artisti svizzeri avevano allora in patria. Anche nel campo dell'architettura profana e sacra si constata un forte regresso. Nella regione a nord delle Alpi non si possono citare che poche costruzioni: il palazzo della famiglia Ritter a Lucerna, l'Abthof a Wil, la Geldenzunft e lo Spiesshof a Basilea, la certosa di Ittingen. Notevoli pure le fortificazioni di Soletta e di Sciaffusa. Rari esempî di scultura sono le figure di Daniel Heintz nel palazzo comunale di Basilea e sul portale del duomo di S. Vincenzo a Berna.

Nuovi aspetti artistici apparirono nelle altre parti della Svizzera soltanto alla fine del sec. XVI, quando nelle regioni riformate s'affermò, ad opera dei rifugiati, lo sviluppo industriale, e in quelle cattoliche cominciò ad agire la Controriforma, e favorirono le arti le oligarchie e la nobiltà militare arricchitasi in servizio straniero. Ricordiamo la Hofkirche a Lucerna, quella dei Gesuiti a Pruntrut, le chiese a Sursee e Stans, i palazzi comunali a Lucerna e Soletta; inoltre, tra gli edifici privati, la "maison de Marval" a Neuchâtel, la casa Ital Reding a Schwyz, il palazzo Freuler a Naefels e il palazzo Stockalper a Brig. Caratteristici prodotti di quest'epoca sono gli stalli del coro riccamente intagliati a Wettingen, Beromünster, Lucerna e Basilea (museo), ricchi arredamenti di stanze con stufe artisticamente dipinte (fabbriche a Winterthur e Steckborn).

Del tutto a parte fu l'attività artistica delle regioni italiane, che seguitarono a produrre innumerevoli artisti e artigiani - architetti, capomastri e muratori; scultori e lapicidi - specialmente delle terre luganesi, l'attività dei quali si diffuse per tutta Italia e mantenne quelle regioni nell'ambito dell'arte italiana del Rinascimento, cui essi contribuivano con l'ingegno e con l'opera manuale. Basti ricordare fra i monumenti ticinesi l'architettura e le sculture del duomo di Lugano, i dipinti di S. Maria in Selva a Locarno (1400), i tanti affreschi votivi sparsi per le chiese, e le opere di grandi maestri lombardi come il Bramantino e il Luino a S. Maria del Sasso presso Locarno, e a S. Maria degli Angeli a Lugano.

Epoca barocca. - La Svizzera italiana partecipò immediatamente alla fortuna delle forme barocche; vi contribuì con l'opera di Carlo Maderno e del Borromini, da Bissone, con l'attività in Italia, nella Germania meridionale, in Austria di numerosissimi costruttori, scultori, pittori e ornatisti, specialmente provenienti dalla Svizzera tedesca; ebbero importanza in Germania l'incisore Matthaeus Merian e altri. In patria lo stile barocco fu accolto piuttosto tardivamente, anzi soltanto dopo la metà del sec. XVII, allorquando i gesuiti e i cappuccini iniziarono la loro attività costruttiva nelle regioni cattoliche e l'arte barocca vi raggiunse il pieno sviluppo.

I primi esempî sono gli edifici barocchi a pianta centrale della chiesa della Visitazione a Friburgo e della chiesa dei pellegrini a Buttisholz (Lucerna), cui seguono gli edifici suntuosi a pianta longitudinale delle chiese dei gesuiti a Lucerna, a Brig, a Soletta, ecc. Nelle regioni protestanti si sviluppò un tipo speciale di chiese rurali (Sigriswil, Gsteig presso Interlaken, Herrliberg). Nelle città s'innalzarono i palazzi comunali di Zurigo, Lenzburg, Thun, Losanna, Sion e nuove imponenti case signorili (il Markgräflerhof a Basilea, la casa Talacher a Zurigo, la casa Bonnet a Ginevra); a Soletta si terminarono le fortificazioni col bastione di S. Orso; e ricordiamo inoltre, sparsi per la campagna, castelli e palazzi (Waldegg, Soletta, Oberdiesbach, Mauensee, Sizers). L'attività artistica negli altri campi si limita essenzialmente a quella molto sviluppata dell'artigianato. I tesori delle corporazioni, chiese e conventi furono allora arricchiti o rinnovati (musei di Basilea, Berna, Zurigo, sagrestie di Engelberg, Lucerna, Schwyz, Soletta). Noto ritrattista fu Kaspar Meglinger a Lucerna; a Zurigo operarono i disegnatori e incisori Rudolf e Conrad Meyer, a Friburgo il pittore di altari P. S. Wuilleret; a Berna il ritrattista J. Duenz e il pittore di ritratti e di scene storiche Gregor Brandmüller a Basilea. Lavorarono in patria gli scultori Enrico e Melchiorre Fischer (stalli del coro di Beromünster), Peter Spring (Friburgo) e Johann Ulrich Raber (Lucerna). Pittori rinomati all'estero furono Jos. Werner, J. Rud. Huber e I. Rud. Byss.

Al crescente assolutismo rafforzantesi delle autorità laiche e spirituali si devono sin dal principio del sec. XVIII costruzioni monumentali esprimenti una cultura artistica basata sulla ricchezza. Nelle regioni cattoliche, i vecchi conventi benedettini e cisterciensi, giunti a nuova fioritura, accolsero il movimento barocco iniziatosi nella Germania meridionale.

Sorsero per opera di architetti del Vorarlberg, generalmente nello schema del Vignola, largamente decorate di stucchi, le chiese e i conventi di Muri (1696, edificio a pianta centrale del Moosbrugger), di Disentis (1696), Rheinau (1705, Beer), Saint Urban (1711, Beer), Einsiedeln (1717, Moosbrugger), Katharinental (1715, Beer), Bngelberg (1730, Rueff); poi, nella seconda metà del secolo, la chiesa di S. Gallo (1755), le collegiate di S. Orso a Soletta (1762, Pisoni), e di San Marcello a Delsberg (1762, P. F. Paris e Pisoni), e le tipiche chiese rurali barocche a Ettiswil (1773) e Ruswil (1783). Nelle regioni protestanti edifici interessanti sono la chiesa sulla Fusterie a Ginevra (1707, Vennes) e la chiesa dello Spirito Santo a Berna (1722, Schildknecht).

Nell'architettura profana, sin dall'inizio del sec. XVIII, predominò il gusto francese (salvo poche eccezioni, come il palazzo degli Ambasciatori a Soletta e varî edifici a Sciaffusa). Vi si distinguono per particolare leggiadria di forme le case signorili e gli edifici pubblici costruiti allora a Basilea (da Hemeling, Fechter, Werenfels), a Berna (da H. J. Dünz, Stürler, e, soprattutto, da Schildknecht e Sprüngli), a Ginevra (da Fr. Blondel il giovane e Abeille), le case per corporazioni del Morf a Zurigo, le case di campagna di Hindelbark, Thunstetten, Prangins, Coppet, Fernay e i palazzi Besenval, Steinbrugg e Blunsenstein presso Soletta. E fu sempre studiata una fusione armoniosa tra l'architettura nuova e il carattere del paesaggio, persino in regioni remote (case di commercianti nel cantone d'Appenzell e nel Toggenburg). Andava crescendo in tutti i rami l'attività artistica. Il bisogno di animare i numerosi edifici che sorsero allora con una ricca e varia decorazione diede alla scultura nuovi compiti, la cui soluzione fu, al principio, affidata a notevoli artisti chiamati dalla Germania meridionale e dall'Austria (J. A. Feuchtmayer, A. Dirr), mentre più tardi operarono, ad es. nella chiesa di S. Orso a Soletta, scultori svizzeri come J. B. Babel, Francesco e Carlo Pozzi e Doret. Fuori della Svizzera operarono come scultori, fonditori e stuccatori J. J. e J. B. Keller (Parigi), Melchior Kambli (Potsdam), Alexander Trippel (Roma, Copenaghen, Berlino), G. Pedrozzi (Potsdam), C. e G. Rusconi (Roma), il Tencalla-Mazzetti (Venezia, Udine), B. Papa (Inghilterra, Spagna, Venezia, Torino), J. A. Nahl (Cassel) e il celebre incisore di rami e medaglista J. A. Hedlinger.

Le arti minori continuarono a occupare un posto importante. Vanno soprattutto ricordati gli stalli del coro di Saint-Urban (1701-15) e San Gallo (1768), le oreficerie di Basilea, di Berna, di Zurigo di Sciaffusa e, più tardi, le ceramiche a Schooren (Zurigo) e di Nyon. Nella campagna fiorì un'arte rustica, di salde tradizioni, che svolse nei manufatti e nell'architettura, diversa a seconda delle regioni, uno stile proprio. Anche la pittura (ritratto, paesaggio, scene di genere) ebbe nelle singole città un ricco sviluppo, benché per decorare le nuove chiese cattoliche si chiamassero pittori della Germania meridionale (Stauder, Hermann, Spiegler). A Ginevra lavoravano i miniatori Arlaud, Gardelle e Massot, i pittori Liotard, Jean Huber, J.-P. St. Ours e P. L. Delarive. A Zurigo, S. Gessner, Usteri e Heinrich Füssli, in seguito operoso in Inghilterra, diedero impulso alla pittura preromantica. Originarî di Winterthur furono il ritrattista Anton Graff, molto noto all'estero, e J. Ludwig Aberli, che si stabilì a Berna e vi formò, assieme con Freudenberger, König e Mind (tutti e tre scolari di E. Handmann), Lory e Dunker il gruppo dei "Berner Kleinmeister", noti per le loro pitture con paesaggi e scene di genere di piccolo formato. Del centro della Svizzera erano Melchior Wyrsch, direttore dell'accademia di Besançon, Felix Maria Diogg e Joseph Reinhard; di Waadt F. Sablet, pittore di corte di Luigi XVI, e l'acquarellista L. R. Ducros, operoso soprattutto nell'Italia meridionale. A Basilea rappresentano lo stile del tardo sec. XVIII Peter e Samuel Birman, J. J. Biedermann e l'editore von Mechel.

L'arte del sec. XIX e contenporanea. - Come in tutte le altre epoche, così pure alla fine del sec. XVIII è caratteristico, per l'arte in Svizzera, l'affermarsi contemporaneo di diverse correnti. Nella architettura, che perde, insieme con la compattezza imponente delle forme, anche la sua posizione preminente, il classicismo si esprime con purezza stilistica solo in alcuni singoli edifici; dopo il 1815 si diffonde lentamente lo stile Biedermeier; e dalla metà del sec. XIX predomina un miscuglio di diversi stili. Dal 1920, sotto l'influsso di Le Corbusier, avviene una progressiva charificazione delle tendenze moderne. Più importanti sono le affermazioni nel campo della pittura. Lo sviluppo iniziatosi a Ginevra e a Zurigo fu continuato fruttuosamente dopo la più stretta fusione politica e spirituale delle singole regioni. Contemporaneamente si avverte dappertutto un emergere più deciso del carattere nazionale, non tanto attraverso uno stile determinato quanto nel perseguire una tendenza comune. Poiché anche ora la Svizzera rimane collegata ai limitrofi centri di cultura attraverso intensi rapporti reciproci; ma nell'interno i confini delle diverse zone d'influenza si confondono.

A Ginevra, grazie alla attività dell'accademia, si era formata sin dalla fine del secolo XVIII una tradizione artistica ininterrotta; non fu perciò mero caso se al principio del sec. XIX la pittura ricevette nuovi impulsi da questa città in cui operavano allora Adam Wolfgang e Rudolf Töpffer e donde era originario J. L. Agasse, pittore di animali attivo in Inghilterra. Della generazione di pittori nati circa il 1800, Ch. Gleyre e Leopoldo Robert godettero largo favore all'estero; sono inoltre da ricordare in patria, Fr. Diday, J. L. Lugardon, M. de Meuron, Aurèle Robert, Ludwig Vogel, Martin Disteli (notevole disegnatore di caricature politiche), H. Hess, J. J. Ulrich e W. Scheuchzer. Dal gruppo un poco più giovane di A. Calame, Barthélémy Menn e J. G. Steffan derivarono i paesisti seriori; soprattutto pittori di scene di genere e storiche furono A. van Muyden, L. Girardet, A. Landerer; con quadri d'altare si rese noto C. M. Deschwanden. Il nuovo realismo fu rappresentato dopo il 1850 da Robert Zünd, Frank Buchser, Karl Grob, Robert Koller, Albert Ankere, Ernst Stückelberg; da questi provenne Arnold Böcklin. Contemporanei erano E. Castans, A. Lugardon, A. de Meuron, A. Veillon, R. Ritz, B. Vautier, Fr. Bocion. Furono noti come impressionisti O. Fröhlicher e A. Stäbli; accanto a loro vanno ricordati Karl Stauffer, Hans Sandreuter, Albert Welti e E. Burnand. Una nuova epoca cominciò circa il 1880 con Ferdinando Hodler, che fuse caratteri alemanni e meridionali, la correttezza formale francese e l'intensità della vita interiore propria dei Tedeschi in uno stile che si può chiamare svizzero; e nello stesso tempo seguì la via che condusse oltre le conquiste dell'impressionismo. Accanto al Hodler divennero noti Max Buri, Cuno Amiet, Giovanni Giacometti, E. Vallet, Félix Velloton, Wilh. Balmer, Heinrich Altherr, Hans Beatus Wieland e E. Kreidolf. Tra i pittori moderni più giovani emergono H. A. Pellegrini, M. Barrand, P. B. Barth, Hans Brühlmann, N. Stöcklin, H. Berger, P. Bodmer, A. Blanchet, R. Auberjonois. Scarsi sono i rappresentanti della scultura fin nei tempi più recenti. A Parigi J. Pradier giunse nella prima metà del sec. XIX a posizione eminente; in patria operarono dopo il 1850 V. Vela, R. Christen, M. Leu, F. Schlöth, Karl Stauffer, noto anche, durante i suoi ultimi anni, come pittore e incisore. Rodo v. Niederhäusern e Carl Burckhardt si affermarono dopo il 1900; Albrecht Haller occupa nella scultura moderna un posto preminente.

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Letteratura.

1. Caratteri generali. - È evidente che di una letteratura nazionale, nel senso integrale della parola, non si può, almeno fino ad oggi, parlare: il lungo e complicato processo formativo della Confederazione costituì per molto tempo un ostacolo alla formazione di una cultura unitaria: nella mancanza di un centro d'irradiazione comune, la cultura dei singoli cantoni - specialmente di quelli periferici - continuò ancora per secoli ad alimentarsi esclusivamente da modeste tradizioni locali o dalle grandi culture dei popoli vicini, a cui i cantoni stessi etnicamente appartenevano. E anche in seguito - se si giunse a una sempre maggiore fusione entro l'ambito di ciascun gruppo etnico e, fra l'uno e l'altro gruppo, a una più intima saldatura spirituale - continuò a permanere intatta la profonda scissione rappresentata dalla diversità delle lingue.

D'altra parte è anche innegabile che, come un principio estraneo alle forze nazionali è riuscito a conservare la propria vitalità in contrasto con tutta l'Europa circostante, così anche nelle coscienze s'è venuto a poco a poco consolidando un "esprit suisse", che - pur rivelandosi soprattutto in forma di ideologie sociali e di volontà politica - investe in vario modo tutta la vita e traspare anche dalla letteratura.

2. Dalle origini alla fine del Seicento. - Chiaro e consapevole incomincia questo spirito ad apparire nel Settecento. Nelle epoche precedenti ne affiorano tracce, si determinano delle affinità, ma senza che gli animi se ne compenetrino, rendendo le forze attive nella propria coscienza. Tutta la letteratura della "Suisse romande" continuò difatti a restare, fino al Settecento, una "provincia" della letteratura francese; l'unico elemento svizzero della letteratura è rappresentato dalla materia delle composizioni: dalla polemica o apologetica religiosa (nel '500: P. Viret, Th. Beza; nel '600: Th. Tronchin, J. A. Turrettini) o dalla materia locale dell'istoriografia (nel '500: F. Bonivard; nel '600: G. de Montmillin, ecc.). E anche nella letteratura della Svizzera tedesca s'incontra una situazione analoga, malgrado le più lunghe e complesse tradizioni: dal Medioevo (Waltharilied e la letteratura fiorita nel monastero di S. Gallo; i poemi cavallereschi di U. v. Zatzikofen, di K. Fleck, di Rudolf von Ems, il Minnesang di Steinmar e Hadlaub) all'Umanesimo (Niklas von Wyle; S. Brant, H. Glareanus, Erasmo) e alla Riforma (N. Manuel, P. Gengenbach) essa è elemento costitutivo della letteratura tedesca. Né le condizioni mutarono nel secolo seguente: anche in Svizzera il Barocco è contrassegnato, per una parte, da uno sforzo di ripulitura formale e da uno sfoggio di eleganze verbali nella maniera di Opitz e di Rist e di Zesen (H. R. Simler, J. M. Hardmeyer, ecc.), e, per l'altra parte, dal fasto del teatro gesuitico (fiorente tanto nei conventi gesuitici, con centro a Lucerna, quanto nei conventi benedettini, con centro a Einsiedeln) e dal mistico-sensuale colorito della lirica religiosa cattolica (J. K. Weissenbach; M. v. Menzingen, ecc.); la nota più svizzera, se si prescinde dal realismo a color locale di Manuel e dagli epigrammi di A. D. Grob, è rappresentata soprattutto dalla materia locale delle autobiografie (J. Maler, e specialmente Th. e F. Platter) e dell'abbondante letteratura storiografica (J. v. Watt; H. Salat; H. Bullinger; Ae. Tschudi).

3. Il Settecento. - Col Settecento invece la situazione si rovesciò. Nella liberazione sociale, che fu uno dei grandi compiti del secolo, parve alla coscienza svizzera di ritrovare lo spirito stesso che aveva segnato le origini della sua storia; d'altra parte, col cosmopolitismo dell'epoca venne momentaneamente a cadere una delle barriere che potevano impedire al cittadino di sentire, al di sopra delle divisioni nazionali, una propria unità di popolo. Al dilà del patriottismo letterario del secolo precedente, si destò così nella coscienza svizzera, con l'orgoglio della propria storia, l'orgoglio della propria natura. I poeti intitolano ora le loro raccolte: Schweizerlieder o Schweizerische Gedichte o Poésies helvétiennes. Nel 1758 escono i Patriotische Träume eines Eidgenossen, di Balthasar Urs a cura di Iselin che diventa, insieme con J. C. Hirzel, l'anima della Helvetische Gesellschaft, costituita nel 1761. Si vuol essere "Svizzeri" e nient'altro che Svizzeri. E per mezzo secolo collaborano in questo senso al Journal helvétique corrispondenti da tutti i cantoni. Sorgono speciali riviste letterarie: la Schweizerische Blütenlese, lo Schweizerisches Museum; e anche a Losanna il Journal littéraire apre una speciale rubrica: Littérature suisse. Alla grande Encyclopédie viene contrapposta da un avventuroso italiano, F. B. de Felice, con l'appoggio di Haller e di Bonnet, una Encyclopédie d'Yverdon; Ph. Bridel annuncia l'avvento dell'era del "poète suisse"; infine le Geschichten schweizerischer Eidgenossenschaft di Johannes von Müller evocano l'epoca storica formativa della Confederazione.

In realtà - con de Muralt, Bodmer, Breitinger, Haller, Gessner, Lavater, Pestalozzi, J. von Müller nella zona tedesca; con J. J. Burlamacchi, Rousseau, Bonnet, Madame de Staël, Constant, Sismondi, nella zona francese - la Svizzera diventa in questo tempo elemento propulsore della cultura europea, con un'individualità storica ben definita e, sotto molti aspetti, coerente.

Particolarmente sul "carattere svizzero" di Rousseau sono state mosse riserve; ma, nella raffinata e complessa cultura francese dell'epoca, egli compare come una forza di opposizione ed estranea, mentre alla Svizzera egli appare legato originariamente non solo dall'intransigenza dello spirito calvinista o dall'ideologia democratica cara alle tradizioni ginevrine, ma dalla sua stessa posizione verso la società e la cultura. Già un "ritorno alla natura" era stato l'atto medesimo da cui era nata la Confederazione, quando una popolazione montanara si contrappose alle popolazioni più civili che vivevano a valle. E tale bisogno di primitività nella vita continuò a persistere anche nei secoli successivi, come risultato del profondo legame con la natura, da cui gli uomini si sentivano avvinti, in mezzo alla grandiosità del loro alpestre paese. In pieno Umanesimo, mentre il Glareanus stende la sua Descriptio Helvetiae, Ph. Th. Paracelsus riempie di sé l'Europa col suo lampeggiante senso delle arcane potenze della natura. La montagna è a poco a poco percorsa in ogni senso, osservata, scrutata, e dalla letterarietà descrittiva di un Rebmann o di un Ruchat si passa, col Settecento, alla speculazione naturalistica delle Contemplations de la nature di Ch. Bonnet o all'esattezza di osservazione del Voyage sur les Alpes di H. B. de Saussure. Intanto A. v. Haller canta - in Die Alpen - la vita che si sublima nella contemplazione della purità e grandezza delle altitudini. Il Rousseau compie l'ultimo approfondimento: la poesia della montagna e la poesia della passione, la natura e la vita si fondono insieme nella forza unitaria di una nuova sensibilità.

Ma se anche sotto un altro aspetto il "primitivismo" teorico di Rousseau appare significativo per la mentalità svizzera dell'epoca, in quanto esso costituì una reazione non soltanto contro i pericoli della cultura, ma anche contro le strettoie del razionalismo, è un fatto che la Svizzera non possedette un solo "cartesiano" di qualche rilievo. I più notevoli pensatori dell'illuminismo furono Burlamacchi, filosofo del diritto, e Iselin, storico e moralista. La riluttanza verso le astrazioni creò uno stato di diffidenza verso le pure costruzioni razionali. Il problema spirituale fu sentito essenzialmente come un problema di sensibilità (ed è sintomatico che proprio la Svizzera abbia dato all'Europa il più sentimentale di tutti i poeti idillici: Gessner), oppure come un problema di vita pratica: morale, sociale, politica. La stessa vita religiosa, con il neocalvinismo, con Marie Huber, ecc., si orientò verso atteggiamenti di "religione naturale", il cui ultimo sbocco furono le Rêveries d'un promeneur solitaire o le mistiche fantasie di Lavater. Ma soprattutto il pensiero trovò, realisticamente, il suo centro nel problema educativo. Si può dire che tutto quel che di vitale la letteratura del secolo ha prodotto, converge in questa direzione. Ogni scrittore - da Haller a Rousseau, a Pestalozzi, a J. C. Zimmermann - considerò sé stesso come un "educatore del popolo".

La stessa funzione storica che la Svizzera compì come intermediaria fra le grandi culture nazionali dell'Europa si svolse sostanzialmente su questa base. Dalla scoperta di un mondo morale ancora sconosciuto ai suoi concittadini e dalla considerazione del suo "valore esemplare" fu indotto B. de Muralt a quelle Lettres sur les Anglais et les Franåais, che segnarono l'inizio dell'anglomania del secolo. Non altrimenti, dietro i Diskurse der Mahlern di J. Bodmer, sta l'esempio dello Spectator; e anche le esigenze nuove, che il Bodmer pose alla poesia, sono solo mediatamente d'ordine estetico: fu l'entusiasmo per il mondo morale di Milton e di Dante che originariamente spinse il critico ad affermare "i diritti della fantasia oltre i confini della realtà". Secondo una tendenza analoga furono Haller e Klopstock i primi poeti tedeschi che la Svizzera propose, con le traduzioni di Tscharner, all'ammirazione dei Francesi. E negli scambî letterarî che, per vie diverse, si moltiplicarono in ogni senso, è sempre l'interesse moralistico-sentimentale educativo che prevale. Persino Shakespeare - rappresentato a Ginevra fin dal 1741, tradotto in seguito da Wieland a Zurigo e celebrato da H. D. Chaillet nel Journal helvétique - diventa per Ulrich Bräker un "maestro della vita" e "medico dell'anima". E quando alla fine del secolo tutte le correnti del cosmopolitismo letterario europeo confluiscono sulle rive del lago di Ginevra intorno a Madame de Staël, ancora una volta il rinnovamento delle idee estetiche si compie entro il clima di un più vasto rinnovamento delle aspirazioni sentimentali e morali. Persino alla rivoluzione fa la "lezione di morale" il deluso Necker (v.), in un tono patetico che controbilancia l'asprezza aggressiva di un altro svizzero deluso: Mallet du Pan. Dalle "Pagine sparse" della madre della Staël, Madame Necker, traspare una predominante inclinazione pedagogica, non dissimile da quella che ispirerà alla cugina e biografa della Staël, Madame Necker de Saussure, la sua Éducation progressive. Ch. V. von Bonstetten raggiunge - anche negli scritti letterarî - una sua ingenua e commossa consistenza quando indugia in "ammaestranti" analisi e descrizioni di stati d'animo. Sismondi trasfonde il suo robusto civismo nelle sue indagini della storia e interpretazioni della poesia. Solo B. Constant (v.), con il suo gusto per la scherma concettuale, tenta nelle Réflexions sur la poésie di cogliere nella sua essenza il problema dell'arte; ma non riesce a "prendere slancio", e provoca un malizioso epigramma di Goethe. Tutto il tumulto vario di idee, in cui si agitò ed esaltò per anni la "corte di poeti" convenuta a Coppet da ogni parte d'Europa, trova soltanto allora il suo centro, quando - al dilà della prima intuizione di un'Italia - "paese dell'istinto creatore, della passione e dell'arte"- la Staël identifica nella Germania di Goethe "la patria dell'entusiasmo e della vita dell'anima" e, innalzandone l'immagine in luce di mito, la presenta all'Europa come un ideale morale.

4. La letteratura moderna. - L'evoluzione del romanticismo verso una netta accentuazione dei valori nazionali creò nel sec. XIX una situazione nuova. Il sentimento dell'unità del popolo, come forza di coesione nella coscienza civile, sociale, politica, si conservò integro: anzi - divenuta la Svizzera il rifugio degli emigrati e il luogo di convegno delle ideologie rivoluzionarie - esso si irrigidì nel proprio istinto conservativo, opponendo un'immobile compattezza interna a tutte le forze esterne di disgregazione. Invece, nella letteratura, le forze nazionali, ridestate a nuova consapevolezza, s'imposero, rinsaldando i vincoli con le letterature finitime. La comunanza della storia e il comune vincolo con l'alpestre natura determinarono talune generali affinità spirituali e analogie nel modo di pensare e di vivere; ma sebbene gli scambî culturali fra l'una e l'altra parte del paese s'intensificassero, favoriti dall'educazione bilingue e trilingue, il processo formativo dell'unità culturale si allentò. L'unità dello stato accolse in sé una coesistenza di culture nazionali che, pur contemperandosi a vicenda entro certi limiti, permasero distinte.

La letteratura della Svizzera francese. - Un fondamento autonomo era offerto alla letteratura della Svizzera francese, oltreché dalla personalità rivoluzionaria del Rousseau e dagli sviluppi letterarî del pensiero della Stäel, dalle locali tradizioni calviniste. E lo sforzo di conciliare quelle tradizioni con le esigenze del pensiero moderno impegnò difatti per tutto il secolo molti spiriti: da A. Vinet a E. Scherer; da Ch. Sécrétan, sensibile alle nuove idealità sociali (v. Mon utopie) a E. Naville; da Madame de Gasparin, poetessa degli Horizons prochains e delle Tristesses humaines, a Madame de Pressensé; dallo storico di Rousseau e di Zinzendorf, F. Bovet, a A. Bouvier. Ma anche questa forma indigena non poté resistere, nel corso dell'evoluzione letteraria, alla forza d'attrazione di Parigi, e il romanticismo ginevrino fu sostanzialmente un riflesso del romanticismo parigino, anche se trovò nelle argute causeries del geniale caricaturista A. Töpffer e - specialmente - nei Vieux refrains e in Frère Jacques di Juste Olivier una sua vitale espressione (vedi pure Ch. Didier, J. J. Callois, H. Blanvalet, E. Eggis, ecc.).

La stessa attività di mediazione fra la cultura tedesca e la francese ebbe una vicenda singolare. Da Quinet a Renan la penetrazione del pensiero tedesco in Francia si svolse, nelle sue correnti più vive, direttamente. E certo anche la Svizzera vi partecipò - da Vinet a E. Rambert, a V. Cherbuliez, a E. Rod, a P. Seippel, ecc. - senza interruzione. Ma nella posizione intermedia che la Svizzera aveva, il mondo spirituale tedesco e quello francese diventarono, in singoli spiriti, quasi due poli di attrazione opposti che si neutralizzarono a vicenda. E il risultato fu uno stato di perenne irresolutezza interna e, per conseguenza, un continuo cercar rifugio nelle indefinite interiorità del sentimento (vedi la Course à la mort di Rod e il Journal intime di F. Amiel).

In generale però l'affinità col mondo spirituale francese continuò, anche dopo il romanticismo, a prevalere. E, all'infuori del naturalismo - la cui brutalità di tono sollevò, per lo più, tenaci resistenze - tutti i movimenti letterarî francesi trovarono anche in Svizzera una costante ripercussione (cfr., ad es., la raccolta delle annate della Bibliothèque Universelle et Revue Suisse). Particolarmente feconda fu l'influenza parnassiana e simbolista nella lirica (Alice de Chantbrier; H. Warnery, Aux vents de la vie; L. Duchosal, Le livre de Thulé; E. Bussy; e, fra i poeti della nuova generazione, E. Tavan, H. Spiess, ecc.). E anche nella prosa descrittiva e narrativa è bensì vero che già con E. Rambert incominciò a delinearsi una larga corrente d'ispirazioni paesane, con sfondi paesistici alpestri e materia attinta ora alla storia ora alla vita presente (v. E. Rambert, Le chevrier de Praz-de-Fort; F. Rey; Urbain Olivier; E. Rod, L'ombre s'étend sur la montagne; A. Bachelin, Jean-Louis; V. Cherbuliez; A. Gladès; T. Combe; A. Ribaux; L. Dumur; V. Tissot; B. Valloton; J. Cornut, La chanson de Madeline, La trompette de Marengo; V. Rossel, ecc.); ma anche nelle opere d'ispirazione svizzera, svizzero è - per lo più - soprattutto l'argomento, il "color locale" del racconto: lo stile invece richiama quasi sempre i modi e il tono della contemporanea letteratura della Francia. Si comprende perciò che - avendo la "coscienza svizzera" continuato ad affermarsi vigorosamente nell'indagine storica (da Vuillemin a Borgneaud) e storico-letteraria (da Vinet a Ph. Godet, a G. Vallette, a G. de Reynold, ecc.) - si sia fatta sempre più viva l'esigenza di ritrovare un più marcato carattere svizzero anche nella poesia. La prima rappresentazione della Nuit des quatre temps di Réno Morax, con la quale s'iniziò una ripresa di forme teatrali indigene medievali o popolari, costituì perciò, al principio del secolo, un avvenimento. E anche il romanzo trovò allo stesso tempo in Ch.-F. Ramuz (v.) una personalità di eccezione, con vigore di stile ed elementare potenza d'ispirazione.

La letteratura della Svizzera tedesca. - A una maggiore autonomia si sollevò la letteratura tedesca. La Germania non aveva una Parigi, in cui tutto converga e da cui tutto si irradi. Tutte le forze regionali ebbero perciò, anche nella poesia, una più libera spontaneità di sviluppo. E più liberamente poté anche la Svizzera nutrirsi delle proprie tradizioni. Specialmente la più tenace delle tradizioni svizzere - il senso pratico, il gusto all'osservazione della realtà congiunto con la tendenza moralistica - rifiorì dalle radici con spontanea forza. Già al principio del secolo XIX la letteratura svizzera trovò così la sua migliore espressione nel greggio ma sapido umorismo di U. Hegner (Die Molkenkur; Salys Revolutionstage) o nell'umano senso realistico di D. Hess (Der Landvogt von Greifensee; Johann Caspar Schweizer). Anche la lirica - da J. G. von Salis Scewis giù fino a K. R. Tanner - pur continuando a prediligere i toni idillici, si spogliò del sentimentalismo dell'età precedente. Nei racconti di M. Usteri (De Vikari) e nei Lieder di C. J. Kuhn il colore della vita vissuta è ancora accentuato dall'uso del dialetto.

Più che per il romanticismo, il quale ebbe un suo organo nell'Almanacco Alpenrosen, ma, malgrado alcuni romanzi storici e un'abbondante fioritura di ballate, ebbe importanza essenzialmente per lo studio delle fiabe e leggende popolari a cui J. R. Wyss s'ispirò nei suoi racconti, la Svizzera era un terreno adatto per la poesia a fondo civile e politico. Dopo il '30 le lotte locali intorno al principio liberale giunsero difatti a un grande accanimento di passioni; e anche la letteratura divenne strumento di lotta a servizio delle idee (A. E. Frohlich; Th. Bornhauser; J. J. Reithard, ecc.). Ed è in mezzo a queste lotte che Jeremias Gotthelf si elevò al grandioso realismo delle sue potenti narrazioni di vita contadinesca.

Al di là di Gotthelf, con un'esperienza spirituale di vasto respiro e con un'aderenza a tutti i minimi aspetti della vita del popolo, Gottfried Keller (v.) mescolò fantasia e realtà nella verità umana di una poesia nella quale, fra i contrasti ora comici ora tragici delle passioni, la vita s'alza in liberi voli di leggenda.

Ai modi della sua arte s'ispirarono non soltanto i suoi contemporanei (J. Spyri, A. Corrodi, J. Frey, ecc.), ma anche in seguito il realismo svizzero - mantenendosi quasi completamente all'infuori del naturalismo trionfante verso il '90 in Germania - restò fedele al suo congeniale tono agreste-contadinesco o cittadino piccolo-broghese (W. Siegfried, E. Zahn, J. C. Heer, ecc.). Fiorì la poesia delle passioni semplici e della vita rude e forte (oltre Zahn e Heer, v. H. Federer, Isabella Kaiser, ecc.), e anche sui poeti della nuova generazione (J. Bosshart; J. Schaffner; A. Steffen; R. Walsre; P. Ilg; F. Moschlin; A. Haggenberger; e, sopratutto, il poeta dialettale M. Lienert) il Bauernroman e la Dorfgeschichte hanno continuato ininterrottamente a esercitare la loro forza di richiamo.

Contemporaneanente a questa tendenza - nella Svizzera che già all'umanesimo germanico aveva dato due dei suoi massimi centri - incominciarono ad affermarsi altre correnti, le cui origini sono in una ricca esperienza culturale. Già H. Leuthold e F. Schmid - pseudonimo Dranmor - ispirano la loro lirica a un senso classico della forma, ma fu tutta la cultura svizzera che subì in quel tempo un radicale rinnovamento: da J. Bachtold a A. Heusler si rinnovarono gli studî letterarî e filologici (v. anche E. Ermatinger, J. Fränkel, G. Bohnenblast, W. Muschj, ecc.), si rinnovarono al tempo stesso gli studî storici, teologici, filosofici. Con tenace fatica A. Ott tentò di dare alla Svizzera anche un teatro moderno, in senso shakespeariano.

Soprattutto lo spirito umanistico si fuse con il realismo riflessivo proprio della mentalità svizzera. E precisamente di questa condizione spirituale fu potente espressione C. Spitteler (v.), nell'opera del quale la poesia è conquistata a fatica attraverso meandri infiniti di riflessioni incidentali ma sempre sbocca alla fine in una classica e tersa luce di altitudini. E anche oggi la tradizione continua, non solo nella letteratura - con i saggi critici di R. Faesi, E. Corrodi, F. Ernst e con il gruppo di scrittori radunati intorno alla rivista Corona -, ma anche negli studî storici, e rivive, con vasto respiro, nella calma e comprensiva "humanitas" del Richelieu di C. Burckhardt.

L'influenza dell'Italia. - Fra queste correnti umanistiche, la più ricca e feconda fu, forse, quella che si orientò verso l'Italia. Era una corrente che aveva origini complesse e remote: non solo per il vincolo di sangue rappresentato dagli scrittori che appartennero a famiglie svizzere di più o meno lontana origine italiana (Burlamacchi, Turrettini, Diodati, Sismondi; Pestalozzi, De Muralt, M. Manuel); e non solo per gli stretti vincoli culturali che fra l'Italia e la Svizzera si intrecciarono nel Rinascimento, quando Enea Silvio portava a Basilea i primi germi della nuova spiritualità, e a Basilea stessa nel 1459 l'università s'inaugurava con una facoltà giuridica costituita quasi esclusivamente da umanisti italiani, e a Zurigo nel secolo seguente Lelio Socino polemizzava con Zwingli; ma perchè anche nel Seicento - a prescindere dalle influenze del Guarini e del Marino - tutta la cultura cattolica barocca di Lucerna e, più ancora, di Soletta fu intrisa d'italianità; e nel Settecento Bodmer leggeva Gravina, curava la pubblicazione del Paragone della poesia tragica d'Italia con quella di Francia del Calepio, corrispondeva col Calepio sulla Natura del gusto poetico e rivelava ai Tedeschi Dante; e intanto a Neuchâtel sorgeva una Bibliothèque italienne; a Zurigo si traducevano gli scritti del Caffè di Verri; Rousseau "divorava" musica italiana, faceva stampare a sue spese la Serva padrona di Pergolesi e si commoveva sul Tasso; e, nella Einleitung zu Vorlesungen über die neuere Geschichte Italiens (1786), Johannes von Müller dichiarava che "dinnanzi alla storia d'Italia gli s'impallidiva ogni altra storia".

Ma Johannes von Müller è anche, sotto un altro aspetto, significativo: il suo interesse per l'Italia tende a polarizzarsi storicamente sull'età del Rinascimento. Era l'indirizzo che doveva presto prevalere. Mentre nel Voyage sur la scène des dix derniers livres de l'Enéide di Bonstetten la poesia della Campagna Romana traspare per la prima volta, grigia e triste, attraverso i saggi di erudizione e i propinamenti di pathos umanitario, già la Corinne di Madame de Staël presenta un'immagine dell'Italia la quale è nata sostanzialmente da un'esperienza dell'arte del Rinascimento e della poesia italiana dal Trecento al Cinquecento, vedute nella luce del primo romanticismo germanico. Quasi contemporaneamente il Sismondi cominciava a evocare, in concreta sostanza d'indagini documentarie, la Storia delle repubbliche italiane (I, 1807); e l'amico del Manzoni, editore del Tasso e dell'Ariosto, biografo di Lelio Socino - J. K. von Orelli (v.) - precisava, sulle tracce di Carlo de' Rosmini l'importanza del pensiero educativo del Quattrocento in Vittorino da Feltre oder die Annäherung zur idealen Pädagogik im fünfzehnten Jahrhundert (1812). Trent'anni dopo l'architetto-poeta Johann Georg Müller, studiando a Firenze la storia architettonica di Santa Maria del Fiore, ne derivava un progetto di facciata - la cui mancata esecuzione costituì fino alla sua morte precoce il dramma della sua vita - e ne traeva ispirazione per una novella in versi, incompiuta, Filippo Brunelleschi. Nel 1856 Francesco De Sanctis iniziava a Zurigo le sue lezioni di letteratura italiana. Ed è entro questo clima di "contiguità spirituale" e "continuità di consuetudine" con la cultura italiana che i molti rivoli della così multivaga storia dell'idea di Rinascimento, vennero a confluire in una visione unitaria, con quella Kultur der Renaissance (1860) di Jacob Burckhardt che, nell'inesauribilità della sua vissuta ricchezza d'esperienze storiche e nella colorita suggestività della sua drammatica potenza d'evocazione, costituì uno dei grandi avvenimenti della moderna cultura europea. Ma quanto lo spirito svizzero vi si sentisse particolarmente vicino e affine, è mostrato dal fatto che precisamente dalla Svizzera sorse il poeta che, più di ogni altro nell'età moderna, trovò nell'esperienza dell'arte del Rinascimento la forza liberatrice del suo genio: C. F. Meyer: il quale non soltanto evocò momenti della storia italiana in uno stile caldo di colore e monumentale di composizione, che si richiama alle tradizioni dell'arte figurativa italiana, ma, movendo dal pesante senso della morte e dall'austera severità morale della sua coscienza calvinista, intuì nel Rinascimento, al dilà dello stesso Burckhardt, uno stato d'animo unitario nel quale tutti i contrasti si fondono in mescolanza di bene e di male, secondo la natura dell'uomo e l'eterno destino della vita. E fu ancora nell'atmosfera culturale della Svizzera che F. Nietzsche assurse alla sua "visione dionisiaca della Rinascenza".

Fu per la Svizzera un momento di grande storia spirituale. E la sua risonanza nella letteratura fu, naturalmente, immediata e durevole: tale che si estende da A. Frey e H. Federer fino ad alcuni dei giovani scrittori contemporanei, e vi trovò una delle sue forze formatrici anche il poeta di Arnaldo da Brescia e della Musa dell'Aretino, il quale mosse sempre nella sua arte da un'esperienza culturale anche quando si sollevò alla sua più poetica ingenuità come in Der Heilige und die Tiere: J. V. Widmann. Nella stessa Svizzera francese, dove M. Monnier aveva accompagnato il Risorgimento italiano con l'aperta simpatia del suo L'Italie est elle la terre des Morts?, il figlio suo F. Monnier si compiacque d'indugiare, con la sua prosa impressionistica, in evocazioni veneziane e visioni del Quattrocento. Ed è ancora attraverso un'esperienza della "classica arte italiana" che H. Wölfflin è giunto a individuare, per contrapposizione, e a rivelare alla coscienza tedesca, i caratteri speafici delle proprie tradizioni di stile e tendenze d'arte.

La letteratura della Svizzera italiana. - Mentre la cultura italiana si è così direttamente inserita, come elemento costitutivo, nella vita spirituale della Svizzera, la letteratura in lingua italiana presenta invece, per molto tempo, svolgimento limitato. Nel cantone dei Grigioni legato all'Italia da vincoli di razza e affinità di lingua, la scissione religiosa, dapprima, e poi la crescente pressione della cultura tedesca impedirono che una letteratura italiana potesse sorgere: l'istinto di conservazione delle popolazioni s'irrigidì difensivamente nell'orgoglio del proprio linguaggio; e ciascuna delle regioni ladine del Cantone ebbe una propria letteratura nella parlata locale: a un primo poemetto storico di G. Travers e ai varî tentativi drammatici del sec. XVI succedette nell'Engadina una letteratura essenzialmente religiosa e didattica, finché l'epoca romantica segnò con E. de Flugi una vigorosa ripresa, che continuò, con liriche, novelle, drammi, commedie, per tutto il secolo, fino ad oggi (P. Juvalta, Z. Pallioppi, G. Mathis, C. Bardola, G. Barblan, P. Lansel, ecc., e specialmente G. Fadri Caderas); e una sorte analoga ebbe la letteratura anche negli Alti Grigioni, dove le prime composizioni letterarie risalgono con S. Gabriel e Zaccaria da Salò al sec. XVII e, solo dopo il romanticismo (T. di Castelberg, P. A. Latour, ecc.), s'iniziò nella poesia un notevole fervore di opere (G. Caduff, A. Tuor, P. M. Carnot, A. Balletta, F. Camathias, ecc.), che culminò nelle liriche di A. Huonders e nelle ballate e nei racconti in versi di G. C. Muoth. In seguito alla fondazione della Società Reto-Romontscha nel 1885 - sotto l'impulso dei nuovi studî linguistici e filologici (v. G. Ascoli, Saggi ladini, 1873; C. Decurtins, Rätoromanische Chrestomathie, I, 1888, ecc.) - si determinò, con J. A. Bühler e altri, un movimento verso l'unificazione della lingua letteraria; ma restò movimento artificiale, che non trovò presa nella coscienza del popolo.

Presso la popolazione del Canton Ticino l'aderenza spirituale alle origini italiane si mantenne invece costante. Ma basta leggere le relazioni di Johannes von Müller e di R. V. von Bonstetten sullo stato di abbandono in cui la popolazione - malgrado il buon "Landvogt" Wirtz a cui il Parini dedicò l'ode Il bisogno - ancora si trovava alla fine del sec. XVIII, per rendersi conto come in tali condizioni nessuna "bella letteratura" potesse fiorire; al folto manipolo di artisti: pittori, scultori, architetti, che spontaneamente si espresse dalle forze naturali dell'artigianato e di cui F. Chiesa diede recentemente un'interessante rassegna (L'opera dei nostri artisti fuori del Ticino, 1928) la letteratura non ha quasi nulla da opporre fino agl'inizî del sec. XIX. Le prime personalità di qualche rilievo sono F. Soave, noto traduttore del Gessner e narratore moralista, morto al principio del secolo, e L. Lavizzari, autore delle Escursioni nel Canton Ticino. Il primo vigoroso risveglio della vita culturale si produsse, entro il generale risveglio della vita civile e politica, dopoché il Canton Ticino ebbe conseguita nel 1830 la sua riforma costituzionale. Con Stefano Franscini il Canton Ticino incominciò allora a diventare, politicamente e spiritualmente, una delle forze attive e consapevoli entro la vita della confederazione: si creò quella fusione di politica e di cultura, le cui tradizioni dovevano più tardi confluire nella complessa personalità di Giuseppe Motta: si formò nel popolo la coscienza della sua funzione storica e, come ne trassero impulso gli studî storici, dalla Svizzera italiana del Franscini stesso alla Storia del Canton Ticino dal 1803 al 1830 di A. Bolaffio e alla Storia del Canton Ticino dal 1779 al 1802 di P. Peri, così si ridestarono anche gl'interessi letterarî. E le varie vicende della letteratura italiana, dal secondo romanticismo in poi, ebbero anche nel Canton Ticino un'eco. Già sul volger del secolo si era formato un primo gruppo di scrittori che trovarono variamente risonanza anche in Italia (fra i poeti: G. Anastasi, G. Bernasconi, G. B. Buzzi, E. Pometta, G. Somazzi, ecc.; e fra gli studiosi: G. Pizzo, A. Pioda, R. Manzoni, ecc.); e un nuovo gruppo di scrittori - poeti e critici - offre anche la nuova generazione (G. Zoppi, A. Janner, R. Roedel, G. Daini, ecc.): da ormai più di un trentennio sta nel centro del movimento di rinascita Francesco Chiesa, nobile interprete dell'anima della sua gente, maestro d'italianità e di poesia.

Bibl.: E. Jenny e V. Rossel, Geschichte der schweizerischen Literatur, Berna 1910. - Sul problema dell'unità della storia letteraria della Svizzera v. in senso affermativo: G. de Reynold, Histoire littéraire de la Suises au XVIIIe siècle, I, Parigi 1909, II, Losanna 1912; e in senso negativo: J. M. Bächtold, Eine schweizerische Literaturgeschichte, Diss., Zurigo 1915. - Sulla letteratura della Svizzera francese: Ph. Godet, Histoire littéraire de la Suisse française, Parigi 1890; V. Rossel, Histoire littéraire de la Suisse romande, Parigi 1903; G. Vallette, Rousseau genevois, Parigi 1890; G. de Reynold, Jean-Jacques et la Suisse, in Annales de la Société J.-J. Rousseau, 1924; P. Kohler, Madame de Staël et l'esprit suisse, Losanna e Parigi 1916; E. Rambert, Études littéraires: Écrivains de la Suisse romande, Losanna 1890; B. Tissot e S. Cornut, Prosateurs de la Suisse française, Parigi 1910; P. Kohler, La littérature d'aujourd'hui dans la Suisse romande, Losanna 1924. - Sulla letteratura della Svizzera tedesca: J. v. Bächtold, Geschichte der deuschen Lit. in der Schweiz, Frauenfeld 1892; J. Nadler, Literaturgesch. der deutschen Schweiz, Lipsia 1932; E. Ermatinger, Geistesleben u. Dichtung d. deutschen Schweiz, Zurigo 1933; J. Nadler, Von Art und Kunst der deutschen Schweiz, Lipsia 1922; O. v. Greyerz, Schweiz. Dichtung, in Real Lex. der deutschen Literaturgesch., III. - Su singoli aspetti e periodi: I. C. Mörikofer, Die schweiz. Literatur des XVIII. Jahrh., Lipsia 1861; P. Wernle, Der schweiz. Protestantismus im 18. Jahrh., Tubinga 1923-1925; J. Nadler, Der geistige Aufbau der deutschen Schweiz, Lipsia 1924; O. F. Walzel, Die Wirklichkeitsfreude in d. schweiz. Dichtung, Lipsia 1908; R. Faesi, Gestalten u. Wandlungen schweiz. Dichtung, Zurigo 1922; F. Ernst, Die Schweiz als geistige Vermittlerin, Zurigo 1932. - Sulla lett. in ladino e in italiano: C. Decurtins, Die rätorom. Literatur, in Grundriss der romanischen Literatur, II, parte 3ª; A. Pioda, La litt. dans la Suisse ital., in La Suisse au XIXe siècle, Berna 1899; Gli scrittori della Svizzera Italiana, voll. 2, a cura del Dipart. Educazione del Canton Ticino, Bellinzona 1936.

Musica.

La posizione geografica della Svizzera tra le grandi civiltà nazionali e la sua partecipazione alle espressioni etniche tedesche, francesi e italiane spiegano anche l'originalità della sua vita musicale. L'autonomia culturale dei cantoni produce differenze tra lo sviluppo musicale delle singole città; uno speciale sviluppo trova la musica popolare, la quale ha le sue più antiche vie di fioritura nell'uso degli strumenti a fiato (Stierhorn, Alphorn), e nei richiami e nei canti dei pastori, dei cacciatori, dei soldati. Con l'introduzione del cristianesimo s'introduce in Svizzera il canto della Chiesa, e non soltanto direttamente da Roma, ma specialmente attraverso l'opera dei missionarî nordici, i quali presentavano l'originaria figura di quel canto cattolico romano interpretata da un sentimento germanico. Nello stesso tempo penetra nella Svizzera occidentale l'azione di elementi gallicani; cosicché differenti figure di canto corale cristiano poterono stabilirsi nel piccolo territorio svizzero. Le riforme liturgiche conseguenti al concilio di Trento favorirono, sì, una stretta adesione alle figure di tale canto propriamente romane; tuttavia rimangono anche molte vestigia della tradizione originaria. I benedettini svizzeri hanno diffuso fino ai giorni nostri la loro antica maniera corale alemannica. San Gallo divenne un centro ove il canto chiesastico si sviluppò in maniera assai singolare, diffondendosi poi nel resto della Svizzera e nella Germania meridionale. Se non proprio il luogo di creazione, San Gallo può essere indicato come il più importante centro propulsivo della sequenza (Notker o Balbulo) e del tropo (Tutilo). Notazione e teoria musicale trovano nei chiostri del lago di Costanza significative esemplificazioni: Hartker (morto nel 1011) scrive nel sec. X il suo famoso antifonario, Notker o Labeone (morto nel 1022), Bernone di Reichenau (morto nel 1048), Hermannus Contractus (morto nel 1054) dànno importanti trattati musicali.

Insieme con il canto liturgico anche la musica strumentale trova ampia pratica nei monasteri svizzeri del Medioevo; specialmente fiorirono l'arte organaria e l'organistica. Le relazioni culturali dei varî monasteri, con le civiltà del sud, dell'ovest, del nord si rendono tramiti per l'assorbimento delle varie innovazioni musicali europee. La polifonia e il dramma liturgico vi giungono a ricca fioritura. La particolare attrazione che anche oggi si nota tra gli Svizzeri per i grandi spettacoli drammatico-musicali è già visibile nell'ampio sviluppo dei "misteri", che risalgono fino al sec. XI. Minnesang e Meistersang fioriscono tra il sec. XII e il XV (Hadlaub, Singenberg, Landegg, Steinmar, Teschler, Rost, ecc.). Elementi romanzi e germanici convergono in quest'arte del Minnegesang svizzero. Tramiti delle differenti stilistiche erano i cantori e i sonatori ambulanti. Particolarmente intenso fu lo scambio di musicisti con l'Alsazia e la Svevia. Le città avevano le loro organizzazioni di trombettieri e pifferi stipendiati, e speciali corporazioni si curavano della posizione sociale e morale dei musicisti. Ulmann Meyer di Bremgarten nel 1430 era "re dei pifferi" della Svizzera. Lo slancio musicale del popolo trova d'altra parte la sua più forte espressione nella canzone; in essa, che trova la sua fioritura dal sec. XIII al XVI, il popolo coltiva come sue forme più caratteristiche satire politiche, Jodler e Kuhreihen (Ranz des vaches), insieme con canti comuni anche alle altre nazioni. Il canto di canzoni di guerra e il suono di tamburi e pifferi accompagnavano poi gli eserciti svizzeri sulle strade della guerra.

La vita musicale svizzera giunse alla sua più grande importanza nei secoli XV e XVI, durante i quali nelle città influenzate dalla Riforma si nota una grande diffusione di musica organistica e vocale. La massima fioritura dell'elaborazione organistica del Lied come anche l'arte mottettistica si ricollegano ai nomi di E. Koler, a Lucerna e a Berna (circa 1500), I. Heer di Glarona, M. Barbarini (Lupus) di Locarno e S. Gallo, G. Meyer di Soletta e Basilea (morto nel 1576), C. Alder di Berna (morto nel 1550), M. Apiarius di Berna (morto nel 1554), G. Wannenmacher di Friburgo (morto nel 1551), C. Hör di S. Gallo (morto nel 1572) e sopra tutto di L. Senfl (morto nel 1556), il quale ultimo si distinse come maestro della cappella di corte a Monaco. L'opera più importante di H. Herpol di Friburgo consiste nelle intonazioni musicali dei testi evangelici. Il ticinese A. Tadei (morto nel 1667) continuò nel sec. XVII la tradizione del canto a cappella componendo tra l'altro una messa a 16 voci. L'arte organistica, attestata nel sec. XII a Engelberg, trovò la sua maggiore diffusione nei secoli XV e XVI. L'organo di Basilea funzionava già dal 1303, e organi venivano collocati in tutte le grandi chiese da fabbricanti svizzeri e stranieri. Verso la fine del sec. XV erano assai ricercati i fabbricanti H. Tugi di Basilea (morto nel 1519), L. Lauberer di Berna (morto nel 1507), P. Leid di Friburgo. Fino a quando nei luoghi invasi dalla Riforma l'organo dovette tacere, si continuò l'arte organistica durante i secoli XV e XVI per opera di valorosi organisti: Michsner (1431), M. Eigen (1450), A. Soumelin, G. Raps a Basilea, H. Jörger (circa 1480) a Einsiedeln, F. Sicher (1490-1546) a S. Gallo e Koler (circa 1500) a Lucerna e Berna, H. Rosenzweig (morto nel 1490), L. Lauberer (morto nel 1507) a Berna, H. Buchner (morto nel 1538) a Costanza, e alcuni scolari di P. Hofheimer come H. Kotter (morto nel 1541) a Friburgo; nella quale città, dopo il rigetto della Riforma trovò speciale fioritura l'arte organistica nel sec. XVI con L. Herpol e C. Sebastiani. La teoria musicale in questo tempo trova il suo più significativo trattatista nel Glareano (Heinrich Loriti, 1488-1563), il quale esercitò un profondo influsso sulla vita musicale svizzera. Il suo amico B. Amerbach (morto nel 1562) raccolse opere e strumenti musicali e fu in stretta relazione con la maggior parte dei musicisti svizzeri del suo tempo. Del resto la maggior parte delle raccolte di Lieder degli umanisti svizzeri mostrano, nel tempo stesso che la loro istruzione teoretica, anche il loro concreto interesse musicale. L'importante sviluppo raggiunto dalla musica organistica e in genere chiesastica fu annientato, invece, dai riformatori. La nuova musica chiesastica si sviluppò comunque lentamente, dapprima ridotta al canto dei Salmi attraverso l'opera di L. Bourgeois, W. Frank (morto nel 1570), P. Davantes (morto nel 1561) a Ginevra; S. Mareschall (morto nel 1641) a Basilea e più tardi per opera di A. Lardenois (Salmi di David, 1651) a Ginevra, I. W. Simler (morto nel 1672) di Zurigo e altri. Nel territorio ladino dei Grigioni si hanno traduzioni dei Salmi con melodie di Goudimel, e altre ancora nel sec. XVIII pubblicate con nuovi canti chiesastici ladini; così per esempio di Valentin de Nicolai e M. Roner (1762), L. Viezel (1661-1733), C. Planta (1755), J. Grass (1790). In questi stessi paesi, conquistati dalla Riforma, venne invece ad un suo punto cruciale la musica profana. I Collegia musica, società cittadine di dilettanti, coltivavano il canto dei Salmi di Goudimel-Lobwasser, ma soprattutto la musica profana vocale e strumentale. Verso il mezzo del sec. XVII questi collegi musicali avevano raggiunto il loro massimo splendore nella vita musicale privata, mentre la musica strumentale affidava le sue fortune sempre più costantemente a professionisti di gran fama. L'intera produzione, dal Lied di società cinquecentesco fino all'oratorio e alla sinfonia del primo Ottocento, si svolse attraverso i secoli proprio nell'ambiente di tali Collegia. Nel loro repertorio avevano posto, dopo i compositori svizzeri, specialmente i tedeschi, ma anche gl'italiani e i francesi. Nei secoli XVII e XVIII fu praticato soprattutto il Lied svizzero d'arte (A. Schwilge, 1608-1688, I. Schmidlin, 1722-1772; I. Thommen, 1711-1783; I. A. Sulzer, 1752-1828; K. Zollikofer, 1707-1779; L. Steiner, 1688-1761; I. M. Spiess, 1696-1772). Le novità furono poi fatte conoscere dai Neujahrsblätter. Di fronte a questa musica profana così favorita nei paesi riformati, destava invece il massimo interesse in quelli cattolici la musica chiesastica. Grande rinomanza ottengono nel sec. XVII e XVIII cantori e organisti ai quali fa capo l'intera vita musicale (anche scolastica) delle varie città; spettacoli popolari e rappresentazioni scolastiche erano coltivati in particolar modo nelle scuole dei gesuiti e dei benedettini.

Tra i compositori appartenenti alla musica chiesastica concertante sono da ricordare S. Benn (1662), V. Molitor, M. Martini (morto nel 1717), I. P. Zehender (morto nel 1713), I. Schreiber (morto nel 1800), B. Deuring (morto nel 1768), W. Iten (morto nel 1768), A. Marti (morto nel 1794), M. Landwing (morto nel 1813), B. Foresti (morto nel 1851), J. Benninger, K. A. Kaiser (morto nel 1827), D. Stalder (morto nel 1765), K. Reindl e sopra tutti Meyer v. Schauensee di Lucerna (1720-1789), il quale aveva molto viaggiato ed era passato per scuole italiane (del resto molti musicisti di questo tempo operarono all'estero - per esempio, M. Glettle ad Augusta ed altri).

Il canto chiesastico tedesco fu anche molto coltivato e ne restano esempî nell'opera di I. P. Zehender, di K. I. Moos (1713), nel Gesangbuch di S. Gallo (1705) in quello di Einsiedeln (1733), ecc.

Tra i compositori svizzeri dei secoli XVII e XVIII emergono N. Zerleder (1628-1691) a Berna, I. U. Sulzberger (1638-1701) a Winterthur e Berna, Diebold a Zurigo, I. M. Spiess (1696-1772) a Berna, I. L. Steiner (1688-1761) a Zurigo, I. Kyburg (morto nel 1740) ad Aarau, I. I. Pfaff (1658-1729) a Basilea, I. K. Bachofen (1695-1755) a Zurigo, I. C. Deggeler (1695-1777) a Schaffhausen, S. G. Auberlen (1758-1828) a Winterthur, I. H. Egli (1742-1810) a Zurigo, I. I. Walder (1750-1817) a Zurigo. Tra i compositori e virtuosi si fecero notare H. Albicastro che visse in Olanda, I. B. Dupuy (1773-1822), G. Fritz di Ginevra (1716-1783), I. X. Lefèvre (1763-1839), I. Elouis (nato nel 1752 a Ginevra), famoso come arpista. J.-J. Rousseau, svolse opera non soltanto di geniale teorico ma anche di compositore assai dotato.

La naturale musicalità del popolo svizzero, quella che emerge pura nel campo del Volkslied, viene approfondita nella concezione pedagogica (che alla musica dà tanta importanza) di H. C. Naegeli (1773-1836). Il Naegeli, ispirato ai criteri del Pestalozzi, può essere considerato come il fondatore dell'educazione musicale del popolo e della gioventù, e la sua opera ha assunto importanza anche fuori dei confini della Svizzera. Nel 1805 egli fondò la scuola di canto di Zurigo; insieme con M. I. Pfeiffer sviluppò ed elaborò la sua scuola di canto e sulle sue direttive sorsero numerosi istituti, ai quali egli fornì testi con la sua attività editoriale.

La vita musicale cittadina e familiare ebbe dalla costante attività del Naegeli un forte incoraggiamento. Le organizzazioni musicali (Schweizerische Musikgesellschaft, 1808-1867, Eidgenössischer Sängerverein fino dal 1842) ebbero la cura di grandi feste musicali emulandosi nell'arricchimento della vita musicale cittadina. Tali feste musicali svizzere non soltanto furono le prime istituite sul continente, ma anche si valsero dei migliori direttori e solisti del tempo, come K. M. v. Weber, L. Spohr e R. Wagner (il quale visse in esilio in Svizzera e oltre a molti scritti quivi produsse gran parte del Ring e il Tristano. Passarono qui molto tempo anche Liszt e Brahms). Tra i musicisti svizzeri del sec. XIX hanno acquistato la maggiore importanza A. Tobler (1845-1923), W. Baumgartner (1820-1867), Zwyssig (1808-1854), F. F. Huber (1791-1863), K. Attenhofer (1837-1914), Schnyder v. Wartensee (1786-1868), L. Niedermeyer (1802-1861), J. H. Stuntz (1793-1859), K. Greith (1828-1887), ecc. F. Hegar (1841-1927) ha percorso nuove vie nel genere della ballata per coro. H. Huber (1852-1921), H. Suter (1870-1926), F. Brun (nato nel 1878), V. Andreae (nato nel 1879), G. Doret (nato nel 1866) conducono al periodo moderno, il quale ha trovato maestri d'importanza internazionale con A. Honegger (nato nel 1892), e O. Schoeck (nato nel 1886). Giovani forze vengono oggi a contrapporsi, con C. Beck, A. Moeschinger, Müller v. Kulm: E. Ermatinger, G. B. Hilber, R. Blum, Frank Martin, alla generazione più attempata, quella di W. Montillet, G. Bovet, O. Barblan, ecc.

Le scienze musicali sono coltivate, dopo i fondamentali studî di A. Schubiger, soprattutto nelle università, delle quali quelle di Basilea, di Zurigo, di Berna e di Friburgo offrono organizzati ambienti di studio con maestri come E. Bernoulli (morto nel 1927), Peter Wagner (morto nel 1931), K. Nef (morto nel 1935), E. Kurt, J. Handschin, W. Merian e altri. La Schola Cantorum Basiliensis a Basilea e la Menestrandie a Ginevra si occupano, insieme con i Collegia musica delle università, degli studî e dell'esercizio della musica antica. Le scienze musicali hanno del resto trovato la loro organizzazione nella Schweizerische musikforschende Gesellschaft. In Basilea ha sede poi il segretario della Società internazionale di musicologia.

Le maggiori collezioni e raccolte musicali sono possedute dalla Landesbibliothek di Berna, dalla Zentralbibliothek di Zurigo, e dalla biblioteca universitaria di Basilea. Notevoli editori sono Hug a Zurigo, Henn a Ginevra. Gl'insegnanti di musica svizzeri sono riuniti nel Musikpaedagogischer Verband, il quale ha cura anche della dignità artistica dell'insegnamento musicale, mentre il retaggio dell'antica organizzazione musicale svizzera è stato raccolto dallo Schweizerischer Tonkünstler-Verein. Speciale cura trova il canto popolare, cui giovano un istituto centrale di raccolta nel Basler Volkskunde-Archiv ed esperti elaboratori e trascrittori come J. Bovet, G. Doret, A. Stern, W. Schuh e altri, oltre che molte società per la musica popolare, trasmissioni radiofoniche, ecc. Alla . ginnastica ritmica e alla pedagogia musicale dà opera in Svizzera, non senza diffusione del sistema al dilà dei confini, E. Jaques-Dalcroze (nato nel 1865). In ogni grande città agisce una società di concerti con la quale collaborano gl'istituti musicali locali. Tra i direttori svizzeri va ricordato (oltre a quelli citati come compositori) E. Ansermet a Ginevra; fino al 1934 era direttore a Basilea F. Weingartner, cui oggi è successo H. Münch. L'istruzione musicale è curata in tutte le scuole pubbliche e, nelle città maggiori, in conservatorî statali, comunali o privati.

Bibl.: A. Schubiger, Die Pflege des Kirchengesangs in der deutschen kath. Schweiz, Einsiedeln 1873; K. Nel, Die Collegia musica in der deutschen reformierten Schweiz, Lipsia 1897; O. Marxer, Zur spätmittelalterlichen Choralgeschichte v. St. Gallen, S. Gallo 1908; A. Nef, Das Lied in der deutschen Schweiz, Zurigo 1908; K. Nef, Musik in Basel, Basilea 1920; G. Becker, La musique en Suisse (nuova ed. di G. Doret), Ginevra 1923; E. Refardt, Historisch-biographisches Musikerlexikon der Schweiz, Zurigo 1928; M. Fehr, Das Musikcollegium in Winterthur, 1929; A. E. Cherbuliez, Die Schweiz in der deutschen Musikgeschichte, Frauenfeld 1932; La Suisse qui chante, Losanna 1932; A. Geering, Die Vokalmusik in der Schweiz zur Zeit der Reformation, Zurigo 1933; K. G. Fellerer, Mittelalterliches Musikleben der Stadt Freiburg, Ratisbona 1935; Mitteilungen der schweizerischen musikforschenden Gesellschaft, Zurigo 1934 segg.

Diritto.

Dal 1848, la Svizzera è uno stato federale. Ogni valutazione del diritto svizzero deve partire dal dato di fatto che tanto la Confederazione quanto gli stati membri di essa, i cantoni, sono stati perfetti, con diritto a legislazione, amministrazione e giurisdizione proprie. Uno dei compiti più importanti della costituzione federale consiste nel devolvere all'autorità federale i settori che le spettano. Il rapporto può essere spostato in favore dell'autorità federale centrale solo a mezzo di una revisione della costituzione federale, che deve essere approvata dalla maggioranza dei cantoni e dalla maggioranza degli aventi diritto a voto che hanno partecipato alla votazione (Costituzione federale, art. 123). Qui si riscontra il contrasto fra centralismo e federalismo, che lascia la sua traccia in tutto lo svolgimento del diritto svizzero. La vita della Confederazione ha raggiunto un grado così alto di intima solidità solo grazie all'indipendenza lasciata a ogni singolo stato, e alla generale reciproca tolleranza. È chiaro che da ciò deriva una grande sconnessione del sistema giuridico, e derivano, inoltre, innumeri difficoltà nella delimitazione del diritto federale di contro a quello cantonale e viceversa: difficoltà che non si hanno, sotto questo aspetto, negli stati unitarî. I principî che vigono per tale delimitazione, sono i seguenti: dove l'autorità federale legifera nell'ambito della costituzione stessa, i decreti cantonali, che siano in contrasto con l'autorità federale, non sono validi; l'autorità federale stessa vigila a che sia osservata questa linea di demarcazione delle competenze, a mezzo delle proprie supreme autorità, consiglio federale e tribunale federale.

Svolgimento storico della Confederazione (1291-1798). - L'importanza dei cantoni nel diritto pubblico moderno si spiega solo riferendoci allo svolgimento storico della Svizzera (v. sopra: Storia). Nei lunghi secoli della storia svizzera l'attività legislativa nel campo del diritto penale, processuale e privato rimase presso i singoli membri della Confederazione, che hanno fatto sorgere un numero infinito di diritti cittadini e territoriali. Ma anche antiche consuetudini non scritte hanno continuato tenacemente a vivere, specie nei cantoni rurali. Le poche ordinanze generali decise dalla dieta riguardavano il mantenimento della quiete pubblica e i rapporti con l'estero.

Nell'epoca della repubblica elvetica (1798-1802) e in quella seguita fino al 1813, sotto il predominio francese, ci furono numerosi tentativi di legiferare nel campo del diritto penale e civile, ma solo pochissimi riuscirono, perché stavano in contrasto troppo forte con le antiche consuetudini delle popolazioni; dopo la caduta di Napoleone furono subito eliminati. Nel 1815 fu concluso un nuovo patto federale fra i cantoni che allora erano 22: il patto si ricollegava, sotto molti aspetti, alla situazione del 1798. In particolare agli stati membri della Confederazione fu pienamente ridata la facoltà di legiferare, mentre la Confederazione veniva ricondotta ai suoi antichi compiti. Solo la costituzione federale del 12 settembre 1848, raggiunta dopo gravi lotte interne, trasformò l'elastica confederazione di stati in uno stato federale e diede alla Confederazione i poteri necessarî per degnamente rappresentare il paese di fronte all'estero, e per poter assolvere i grandi compiti comuni a tutte le parti del paese.

Già col 29 maggio 1874 la costituzione del '48 fu sostituita da una nuova, ancor oggi vigente, la quale portò un notevole rafforzamento dell'autorità centrale, assieme però a un perfezionamento dei diritti del popolo. In seguito è stata spesso sottoposta a integrazioni, a mezzo di revisioni parziali. Una richiesta di revisione totale e richieste di innumerevoli revisioni parziali formano attualmente oggetto di vive discussioni politiche.

Diritto costituzionale. - Ha per base i testi del patto federale e delle costituzioni cantonali, poiché anche ogni cantone ha la sua propria costituzione, che viene garantita dalla Confederazione. L'accordo sui principî comuni viene raggiunto dalla seguente disposizione della costituzione federale: "I cantoni sono obbligati a domandare per le loro costituzioni la garanzia della Confederazione. La Confederazione assume tale garanzia allorché: a) esse nulla contengano di contrario alle prescrizioni della costituzione federale; b) assicurino l'esercizio dei diritti politici giusta le forme repubblicane rappresentative e democratiche; c) siano state accettate dal popolo e possano essere riformate quando la maggioranza assoluta dei cittadini lo richieda" (art. 6). La costituzione federale contiene principalmente la divisione dei compiti fra la Confederazione e i cantoni, i diritti di libertà dei cittadini garantiti dalla Confederazione (principio di eguaglianza, libertà di credenza e di coscienza, diritto di petizione, diritto di formare associazioni, libertà di stampa, libertà d'industria e commercio, ecc., l'organizzazione della legislazione e delle autorità confederali e, infine, prescrizioni per la revisione della costituzione stessa).

Similmente le costituzioni dei cantoni contengono i principî generali della legislazione, per l'organizzazione amministrativa e per l'attività dei cantoni nel loro proprio dominio, dove non giungono i diritti della Confederazione. In corrispondenza della forma dello stato, che è del tutto democratica, la disciplina delle "libertà" e dei "diritti pubblici" del cittadino ha in tutte le costituzioni un'ampia parte.

Diritto amministrativo. - Il dualismo fra Confederazione e cantoni continua nei particolari dell'attività dello stato. Tanto la Confederazione quanto i cantoni hanno sempre qualche rapporto con qualsiasi ramo dell'attività dello stato. Quindi c'è un diritto amministrativo confederale e un diritto amministrativo cantonale. Vero è, però, che il diritto amministrativo confederale è diventato particolarmente vasto e comprensivo, in seguito al continuo aumento dei compiti devoluti alla Confederazione. D'altra parte, spesso, la Confederazione chiama i cantoni ad assisterla nell'esecuzione dei proprî compiti. Il diritto amministrativo confederale è multiforme, ma quello cantonale è addirittura sterminato. Inoltre, bisogna rilevare che in molti cantoni i comuni hanno un'estesissima autonomia, onde si deve tener conto anche delle ordinanze dei comuni. Il cittadino svizzero, che è destinato a dare il suo voto anche per tutte le grandi questioni nella Confederazione e nel cantone (referendum, iniziativa popolare), fa le sue prime armi occupandosi degli affari del comune.

Diritto privato. - Nel diritto privato si ha la più chiara espressione della lenta opera con la quale il diritto confederale attira a sé poco per volta il diritto cantonale. La costituzione del 1848 non imponeva ancora nessun compito di diritto privato alla Confederazione. Ma nella costituzione del 1874 questa riceveva il diritto di legiferare "su tutti i rapporti di diritto relativi al commercio e alla circolazione mobiliare". Questo costituì la base per l'importante legge federale del 1881 sul diritto delle obbligazioni, la quale regolava non solo i rapporti creditizî civili, ma anche tutto il diritto delle società e del commercio. Così in Svizzera non c'è nessun codice di commercio particolare. Solo dopo che questa legge federale ebbe fatto buona prova, e si fece sentire sempre più forte il desiderio di una più completa unità del diritto, un mutamento della costituzione (1898) conferì alla Confederazione il diritto alla legislazione "anche nelle altre materie del diritto civile".

Così era aperta la via alla creazione del codice civile, la più celebre delle leggi svizzere moderne. Il progetto è scaturito dalla penna di un solo redattore, E. Huber. Il codice civile è stato accolto il 10 novembre 1907 dall'assemblea federale; poiché non fu richiesto il referendum, la legge poté entrare in vigore col 1° gennaio 1912. Il codice civile svizzero non contiene una parte generale vera e propria: dopo dieci disposizioni introduttive, vengono il diritto delle persone, il diritto familiare, il diritto successorio e i diritti reali. Il diritto delle obbligazioni del 1881 è stato rielaborato con una legge speciale del 30 marzo 1911 che lo ha adattato al codice civile. Tuttavia, venne mantenuta la vecchia numerazione degli articoli, passata nella prassi. Gli ultimi titoli del diritto delle obbligazioni, che trattavano il diritto commerciale e il diritto delle società, non si poterono allora rielaborare ex novo. Solo recentemente è stata ripresa l'opera di rinnovamento di quelle parti.

Anche nel campo del diritto civile confederale è rimasto, del resto, ai cantoni un ampio margine per un lavoro legislativo integrativo. In specie essi debbono istituire le magistrature necessarie all'esecuzione delle norme del diritto civile e debbono organizzarne la procedura. Così le leggi cantonali per l'introduzione del codice civile, che debbono venire approvate dal consiglio federale, acquistano una grande importanza pratica.

Il codice civile non regola tutto l'ambito del diritto privato; così, esso viene integrato da importanti leggi federali; p. es., quella sulle patenti d'invenzione, sui marchi di fabbrica e sui marchi commerciali, sul diritto d'autore, sul diritto di assicurazione, ecc.

Processo civile. - Probabilmente il popolo svizzero avrebbe devoluto alla Confederazione, nel 1898, il diritto sovrano alla legislazione su tutto il diritto privato, se nello stesso articolo della costituzione non fosse stato disposto: "L'ordinamento dei tribunal, la procedura giudiziaria e l'amministrazione della giustizia restano di competenza dei cantoni" (cfr. art. 64, modificazione del 1898). In realtà i cantoni hanno istituito tribunali autonomi, e hanno emanato proprî regolamenti per il processo civile.

L'organizzazione dei tribunali va d'accordo con le antichissime tradizioni della democrazia. In specie, i giudici vengono eletti solo per un periodo relativamente breve di permanenza in carica, in linea di principio. L'elezione spetta o al popolo stesso - direttamente nella "Landsgemeinde" o attraverso l'urna elettorale - o alla rappresentanza popolare. Negl'innumerevoli tribunali collegiali inferiori, si trovano quasi dappertutto giudici che esercitano la loro funzione accanto alla loro professione civile.

Dopo il celebre codice di procedura civile di Ginevra, del 1819 (Code Bellot), i legislatori cantonali hanno emanato più di 60 codici di procedura civile (un numero rilevante dei quali è uscito solo dopo l'introduzione del codice civile svizzero) che, nonostante tutte le differenze nei particolari, hanno anche tratti fondamentali e distintivi comuni. Peculiare a tutti è la tendenza a una procedura semplice e avversa a ogni vuoto formalismo. Anche l'organizzazione dell'avvocatura è cantonale, e vi sono rilevanti differenze; ma dappertutto le parti hanno diritto a sostenere la propria causa davanti al tribunale anche senza avvocato. Così pure non si conosee la cooperazione di avvocati e procuratori: quando vien chiamato un avvocato, questi deve rappresentare il suo cliente in ogni caso e nei confronti di chiunque.

Accanto al diritto processuale cantonale v'è sempre quello federale, e per notevole estensione. La stessa costituzione federale contiene importanti regole generali sulla protezione legale, per es. l'obbligo dei cantoni a dare esecuzione ai giudizî civili, legalmente validi, di altri cantoni (art. 61). Dal 1848 la Confederazione ha assunto, a mezzo del suo tribunale federale, e in misura sempre crescente, varî compiti dell'amministrazione della giustizia civile. Così, c'è un numero limitato di liti giudiziarie che sono decise dal tribunale federale in unica istanza. Molto più importante dal punto di vista pratico è la possibilità di appellare (ricorso di diritto civile) contro la decisione della suprema istanza cantonale se il valore in contestazione raggiunge l'importo per lo meno di fr. 4000, e se si afferma esistere infrazione del diritto federale. Infine, molte leggi federali contengono prescrizioni singole che appartengono al campo del diritto processuale civile, come, per es., le disposizioni sulla competenza locale dei tribunali.

La procedura del sequestro è regolata dal 1892 soprattutto dal diritto federale. Vige la legge federale sull'esecuzione e sul fallimento, che è applicabile a ogni "pagamento di danaro". Per altre esecuzioni (come, p. es., la consegna di un oggetto, il compimento di prestazioni personali) vige il diritto cantonale.

Diritto penale. - Come per il diritto civile, nel 1898 venne ceduta alla Confederazione la legislazione sul diritto penale nel suo insieme. Già nel 1893 era apparso un primo progetto di codice penale federale dovuto allo Stooss, ma solo nel 1918 il consiglio federale ha presentato il proprio progetto all'assemblea federale, progetto che è tuttora in discussione.

Fino alla promulgazione del nuovo codice rimane in vigore l'odierno complicatissimo sistema. A eccezione di due, tutti i cantoni hanno proprî codici penali, che dipendono tuttavia da modelli stranieri molto più - per esempio - che non i codici di procedura penale. Anche negli ultimi anni due cantoni (Friburgo, Waadt) si sono dati nuovi codici penali: però si sono serviti molto del progetto federale. In relazione con le differenze religiose e culturali sopraricordate, anche i codici penali cantonali rivelano notevoli contrasti, che offrono difficoltà grandissime anche per l'unificazione del diritto. Ricorderemo il problema della pena di morte (conservata in 10 cantoni, per lo più dei minori; negli altri abolita), e i delitti contro la moralità e contro la religione.

Accanto alla legislazione penale cantonale, la Confederazione ha pur sempre affermato, a cominciare dal 1848 e sempre estendendola, una propria sovranità per il diritto penale. Fin dal 1853 è stato promulgato il codice penale federale, oggi ancora in vigore, il quale stabilisce le pene della Confederazione contro attacchi alla propria esistenza di stato. Si tratta, in specie, di delitti contro la sicurezza interna ed esterna della Confederazione, contro stati stranieri, contro l'ordine costituzionale, contro la sicurezza interna, delitti di funzionarî federali e contro di essi, falsificazioni di atti federali, ecc.

Molto più estese, e in continuo aumento, sono le leggi penali che la Confederazione emana in rapporto con i suoi compiti speciali. Si tratta di una quantità di casi penali specifici, che si trovano sparsi per tutta la legislazione confederale, e sono molto difficili a considerarsi nel loro insieme. Dal 1849 il campo del diritto penale militare spetta completamente alla Confederazione; oggi è in vigore il codice penale militare del 13 giugno 1927.

Processo penale. - Come per la procedura civile, la costituzione federale garantisce il mantenimento dei codici cantonali di procedura penale, anche dopo che il diritto penale materiale dovesse venir unificato (cfr. art. 64 bis). I cantoni, dunque, nominano essi stessi i loro tribunali penali. Ci sono ancora notevoli differenze: un esempio ne può essere il fatto che in alcuni cantoni vi sono le corti d'assise, in molti altri, no. Così pure multiformi sono le prescrizioni cantonali in vigore sull'istruzione del processo penale, sulla procedura giudiziaria e sull'esecuzione della pena.

In quanto la Confederazione si è fatta creatrice di diritto per la protezione delle proprie istituzioni, doveva istituire anche proprî organi per la persecuzione penale, e regolarne la procedura. Questo avvenne prima col codice di procedura penale federale del 1851, che ora è stato sostituito dalla legge del 15 giugno 1934, che porta lo stesso nome, e che è entrata in vigore col 1° gennaio 1935. Qui si trova, in specie, la competenza e la procedura dei due tribunali penali istituiti dalla Confederazione, le assise federali e il tribunale penale federale, che stanno entrambi in connessione col tribunale federale. Certo, non tutti i delitti contro leggi federali sono portati alla sentenza del giudice federale; anzi, spesso l'istruzione e il giudizio di tali casi vengono devoluti agli organi cantonali, parte per legge federale, parte per disposizione speciale del consiglio federale, con la riserva di un ricorso in cassazione per la violazione del diritto federale e delle sentenze federali. Il diritto penale militare viene applicato da speciali tribunali militari, nominati dalla Confederazione; fa norma a questo proposito la legge federale sull'ordinamento dei tribunali militari, del 28 giugno 1889.

Diritto internazionale pubblico. - La cura degli affari esteri è affidata alla Confederazione (cfr. art. 8). La massima politica, non scritta ma seguita per secoli, della neutralità costituisce il principio seguito dalla Confederazione nei suoi rapporti con l'estero. Essa è riconosciuta espressamente dalle potenze che nel 1815 hanno concluso il trattato di Vienna ed è stata confermata dai firmatarî del trattato di Versailles (art. 435), infine dalla dichiarazione di Londra del consiglio della Società delle nazioni del 13 febbraio 1920 per il caso dell'entrata della Svizzera nella Società delle nazioni stessa. Accanto alle massime non scritte dello ius gentium, vi sono molti importanti trattati politici, conchiusi dalla Confederazione con più o singoli stati stranieri. Particolarmente importanti sono gl'innumerevoli trattati d'accordo e d'arbitrato, sulla base dei quali lo stato svizzero intende trovare pacifiche e giuste soluzioni delle questioni di politica estera che lo riguardano.

Diritto internazionale privato. - Dopo l'unificazione del diritto privato i conflitti, prima importantissimi, fra i diritti cantonali, hanno perduto il loro significato. La limitazione dell'applicazione del diritto federale nei confronti di ordinamenti giuridici stranieri è compito della Confederazione; ma anche in Svizzera manca una regolamentazione giuridica esauriente. Nei primi progetti del codice civile ne erano stati fatti alcuni tentativi; ma il compito si dimostrò particolarmente difficile, cosicché ci si accontentò di un ordinamento provvisorio. Questo consisteva di alcune aggiunte alla vecchia legge federale del 25 giugno 1891, col titolo peculiare: "Legge federale sui rapporti di diritto civile dei domiciliati e dei dimoranti", e aveva a scopo principale l'ordinamento dei conflitti tra i differenti diritti cantonali. Le posizioni giuridiche degli Svizzeri all'estero e degli stranieri in Svizzera erano considerate solo in sottordine e indirettamente. Inoltre questa legge, con le aggiunte annessevi nel titolo conclusivo del codice civile, riguarda solo il diritto personale, familiare e successorio, affidando anche in questi settori del diritto molte questioni particolari al giudice. Nei settori dei diritti reali e delle obbligazioni le norme di legge mancano del tutto, eccezion fatta per il diritto cambiario. Tutta questa materia è lasciata alla dottrina e alla prassi. Il tribunale federale ha formulato in proposito, in una serie di decisioni, alcuni principî che hanno acquistato valore di norma anche per tutti gli altri tribunali.

Non bisogna dimenticare una serie di trattati politici su problemi pratici isolati: ricordiamo, p. es., gli accordi dell'Aia sul diritto processuale civile, sul matrimonio, sulla tutela dei minorenni, o i trattati sull'esecuzione delle sentenze, conclusi dalla Svizzera con la Francia, con la Spagna, con l'Austria, con la Cecoslovacchia, con la Germania e con l'Italia.

Bibl.: I. B. Bertoni e A. O. Olivetti, Le Istituzioni svizzere, Torino 1903; R. C. Brooks, Government and Politics of Switzerland, New York 1927. - Varî autori svizzeri nel libro La vie juridique des peuples: Suisse, Parigi 1935; Historisch-polit. Lexicon der Schweiz, s. v. Tessin. Per lo svolgimento storico vedi in particolare: Sammlung der Rechtsquellen, edita dal 1894 in poi dallo Schweizer. Juristenverein; A. Heusler, Schweiz, Verfassungsgeschichte, Basilea 1920; E. His, Geschichte des schweizerischen Staatsrechts: I, Helvetik und Vermittlungsakte, Basilea 1920; II, Restauration und Regeneration, ivi 1929. Per il diritto costituzionale: Eidgenössische Gesetz-Sammlung; Schweiz. Bundesblatt (Public. ufficiale); Entscheidungen des schweiz. Bundes-Gerichts (Bollettino ufficiale); A. Tarchini, Raccolta delle leggi usuali del Canton Ticino compilata per incarico del Consiglio di Stato, Lugano 1931-34 (contiene anche le più importanti leggi federali); Zeitschrift für schweiz. Recht, Bsailea 1852 segg.; Schweiz. Juristen Zeitung, Zurigo 1905; Repertorio di giurisprudenza patria cantonale e federale, Bellinzona 1866 segg. (contiene molte traduzioni di decreti federali in lingua italiana).

Il testo della Costituzione federale del 1874, con le modificazioni posteriori è edito a parte in edizione ufficiale della cancelleria federale: Sammlung der Bundes- und Kantonalverfassungen, herausgegeben von der Bundeskanzlei mit Nachtrag, Zurigo 1914; Costituzione del cantone Ticino del 23 giugno 1830 con modificazioni, v. Raccolta cit. di A. Tarchini, I, p. 53. - W. Burkhardt, Kommentar der schweiz. Bundesverfassung, 3ª ed., Berna 1931; Z. Giacometti, Die Verfassungsgerichtsbarkeit des schweiz. Bundesgerichts, Zurigo 1933.

Per il diritto amministrativo: Z. Giacometti, Das öffentliche Recht der Schwiez. Sammlung der wichtigeren Bundesgesetze, Bundesbeschlüsse und Bundesverordnungen staatsrechtlichen und verwaltungsrechtlichen Inhalts, Zurigo 1930; W. Burckhardt, Schweiz. Bundesrecht, Staats- und Verwaltunsgrechtliche Praxis des Bundesrates und der Bundesversammlung seit 1903, voll. 5 (trad. francese di G. Bovet); Verwaltungsentscheide der Bundesbehörden, Berna 1929; J. Schollenberger, Grundriss des Staats- und Verwaltungsrechts der schweiz. Kantone, voll. 3, Zurigo 1899-900; E. Ruck, Schweiz. Verwaltungsrecht, I, Zurigo 1934.

Per il diritto privato: Sul codice civile: numerose edizioni del testo, p. es. l'edizione nelle tre lingue nazionali svizzere, a cura di A. Franke, Berna 1908; E. Huber, Erläuterungen zum Vorentwurf, 2ª ed., Zurigo 1914; ed. francese, Berna 1901-1902. Due grandi opere di commentario: Zürcher Kommentar (Zurigo 1911 segg.), redatto da E. Egger, A. Escher, C. Wieland, R Haab, A. Reichel; Berner Kommentar (Berna 1911 segg.), redatto da E. Hafte, M. Gmuer, A. Silbernagel, P. Waeber, J. Kaufmann, P. Tuor, F. Ostertag, P. Mutzner, E. Beck; P. Tuor, Das schweiz. Zivilgesetzbuch, 3ª ed., Zurigo 1934; E. Huber e P. Mutzner, System und Geschichte des schweiz. Privatrechts, 2ª ed. dell'opera di E. Huber dallo stesso titolo (1886-1893, voll. 4), in preparazione dal 1932; A. Homberger, Das schweiz. Zivilgesetzbuch, Zurigo 1933; V. Rossel e F. H. Mentha, Manuel du Droit Civil Suisse, voll. 3, 2ª ed., Losanna 1922.

Leggi d'introduzione: Legge di applicazione e di complemento del codice civile svizzero del cantone Ticino (18 aprile 1911); Sämtliche Einführungsgesetze, Zurigo 1915-27, voll. 3.

Per il diritto delle obbligazioni del 1911 v. numerose edizioni del testo; commentarî di F. Fick, G. Bachmann, F. Götzinger, L. Siegmund e H. Zeller, voll. 2, Zurigo 1915, anche in francese; di H. Becke, Berna 1917 segg.; H. Oser, Kommentar z. schweiz. Zivilgesetzbuch, V, 2ª ed., a cura di W. Schönenberger, Zurigo 1928-30. Tra i manuali: A. von Thur, Allgemeiner Teil des schweiz. Obligationensrechts, Tubinga 1925-1926 (trad. francese, Losanna 1929-31; 3ª ed., ivi 1933); V. Rossel, Manuel de droit fédéral des obligations, 4ª ed., Losanna 1920, T. Guhl, Das schweiz. Obligationenrecht mit Einschluss des Handels-, Wechselund Versicherungsrecht, Zurigo 1933.

Riguardo alla revisione del diritto commerciale si veda: Botschaft des Bundesrats an die Bundesversammlung zu einem Entwurf über die Revision der Titel XXIV-XXXIII des schweiz. Obligationenrechts, del 21 febbraio 1928.

Diritto processuale civile, esecuzione e fallimento. Diritto cantonale. Nel Canton Ticino sono in vigore: la Legge organica giudiziaria civile e penale, del 1910-24, e il Codice di procedura civile, del 24 giugno 1924 (ed. ufficiale, Bellinzona 1925); A. Tarchini e A. Bader, Manuali forensi per il cantone Ticino, I, Lugano 1933. Diritto federale: Legge federale sull'organizzazione giudiziaria federale, del 1893, con le posteriori modificazioni; Codice di procedura civile federale, del 1850. E. Schurter e H. Fritzsche, Das Zivilprozessrecht der Schweiz, I, Bundeszivilprozessrecht, Zurigo 1924; II, Die kantonalen Rechte, parte 1ª e 2ª, ivi 1931-33; Th. Weiss, Die Berufung ans Bundesgericht im Zivilsachen, Berna 1908; C. Jaeger, Kommentar zum Schuldbetreibungs- und Konkursgesetz, 3ª ed. 1911; in seguito sono apparsi quattro Ergänzungsbände; l'ed. francese di R. Petitmermet e H. Bovay è uscita a Losanna e Ginevra 1920.

Per il diritto penale e processo penale. Oltre le leggi federali ricordate nel testo: Codice penale per il Cantone del Ticino (25 gennaio 1873, ed. ufficiale, Bellinzona 1926); Codice di procedura penale (3 maggio 1895, ed. ufficiale, ivi 1918); C. Stooss, Die schweiz. Strafgesetzbücher, Basilea 1890; id. Die Grundzüge des schweiz. Strafrecths, voll. 2, Basilea 1892-93; E. Hafter, Lehrbuch des schweiz. Strafrechts, Berlino 1926; G. F. von Cleric, Leitfaden der strafrechtlichen Rechtssprechung des Bundesgerichts, Zeitschrift fuë schweiz. Strafrecht, Berna 1888 segg. La bibl. sui progetti si trova in E. Hafter, op. cit., p. 24 segg.

Diritto internazionale pubblico: P. Schweizer, Geschichte der schweiz. Neutralität, Frauenfeld 1895; Botschaft des Bundesrats an die Bundesversammlung vom 4 aug. 1919 betr. den Beitritt der Schweiz zum Völkerbund, in Foglio uff., 1919, IV; W. Rappard, La politique de la Suisse dans la Société des Nations 1920-25, Ginevra 1925; P. Marx, Register zu den Staatsverträgen der Eidgenossenschaft, Zurigo 1918, con un Nachtrag der Eidgen. Justizabteilung, 1934.

Per il diritto internazionale privato: W. Stauffer, Das internationale Privatrecht der Schweiz, Aarau 1925; E. Beck, Kommentar zu d. Art. 51-63 des Schlusstitels zum Zivilgesetzbuch, Berna 1932; M. Petitpierre, Droit international privé de la Suisse, Répertoire de Droit International, VII, Parigi 1930; W. Schoeneberger, Internationales Obligationenrecht, Einleitung, pp. XXX-XXXVII segg. della 2ª ed. di H. Oser, Kommentar zum schweiz. Obligationenrecht, cit.

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