Sud Sudan

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Indipendente dal 9 luglio 2011, lo Stato del Sud Sudan costituiva fino a quella data una parte, la più meridionale, del Sudan. Le battaglie per l’autonomia della regione meridionale, storicamente emarginata e oppressa dal governo centrale sudanese, erano culminate nel referendum per l’autodeterminazione del 9 gennaio 2011 che aveva visto il 98% dei cittadini del Sud pronunciarsi per la secessione. Dopo quasi ventidue anni di guerra civile tra le regioni settentrionali e meridionali del Sudan, il referendum costituiva la tappa finale del processo di pace firmato nel 2005 a Nairobi dal governo di Khartum e dai ribelli meridionali del Movimento per la liberazione popolare del Sudan (Splm). La proclamazione dell’indipendenza del 54° Stato africano, salutata con gioia dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, si è tenuta a Juba, capitale del Paese, dove il presidente Salva Kiir Mayardit, ex comandante dei ribelli meridionali, ha giurato fedeltà alla nuova carta costituzionale.

Per il neonato Sud Sudan erano molti i nodi da affrontare, in primo luogo cementare l’unione del Paese, sino ad allora coeso nell’obiettivo comune di sconfiggere il Nord, ma all’indomani dell’indipendenza attraversato da divisioni e contrasti tra gruppi di potere e diverse appartenenze tribali. Appariva ridimensionata, dai primi atti pubblici, la voce della società civile, protagonista invece di una vivace stagione di impegno e partecipazione al fianco delle formazioni politiche. Ma a destare maggiore preoccupazione erano i rapporti con il Sudan, fortemente impoverito per la secessione del Sud che ha significato per Khartum la perdita di circa tre quarti della produzione petrolifera. Per ammortizzare il colpo, il governo di Khartum vuole prorogare gli accordi di spartizione dei proventi petroliferi del Sud Sudan firmati a Nairobi nel 2005, ma il Sud Sudan non appare disposto a cedere, benché sia costretto a non esasperare il suo vicino perché ha bisogno delle infrastrutture petrolifere sudanesi per esportare il suo petrolio. Ulteriori tensioni nascono nelle zone di confine ancora oggetto di disputa e già diventate teatro di scontri. Irrisolta è la questione legata alla città di Abyei e al distretto omonimo, che entrambi gli Stati rivendicano come parte del territorio nazionale, ma che le truppe di Khartum hanno occupato nel mese di maggio. Minacciosa appare la conflittualità strisciante nel Kurdufan meridionale, un territorio del Sudan in posizione strategica: diventato, infatti, zona di frontiera dopo la secessione del Sud Sudan, il Kurdufan è anche la regione dove vivono le popolazioni Nuba, vittime da decenni di un genocidio silenzioso, e confina ad ovest, sempre in territorio sudanese, con il Darfur, dove la guerra civile scoppiata nel 2003 non è ancora risolta. Nel luglio 2011, mentre i due governi si lanciavano reciproche accuse e minacce, proseguiva il processo di costruzione del nuovo Stato e Juba introduceva nel paese la nuova valuta nazionale aprendo un’altra controversia con Khartum che ancora aveva in circolazione in Sud Sudan circa due miliardi di sterline sudanesi. Nel 2013 il vicepresidente di etnia Nuer Riek Machar, estromesso dalla carica a seguito di un rimpasto di governo, ha guidato la ribellione di alcune fazioni dell’esercito, scatenando una nuova guerra civile che ha generato nel Paese un milione di rifugiati interni e una crisi alimentare senza precedenti. Né il conflitto è cessato dopo la firma nell’agosto del 2014 di un accordo di pace e le numerose tregue concordate; solo nel febbraio 2020 il presidente Kiir Mayardit e Machar hanno firmato un nuovo accordo per la formazione di un governo di unità nazionale, scioltosi nel maggio 2021 per dare vita a un nuovo e più ampio esecutivo.

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