Successione necessaria

Diritto on line (2019)

Luigi Ulissi

Abstract

La successione necessaria non deve essere intesa come tertium genus rispetto alla successione legittima e testamentaria, bensì come disciplina di tutela riservata ad alcune specifiche categorie di soggetti. Gli effetti riparatori non operano automaticamente, bensì solo nell’ipotesi in cui il soggetto, a cui la legge riserva una quota fissa dell’eredità, ne sia stato privato in tutto o in parte ovvero perché il de cuius nel testamento ha disposto a favore di altri ovvero perché ha disposto in vita ingenti liberalità, così da lasciare un relictum non sufficiente a soddisfare il diritto dei legittimari ad ottenere la quota di riserva.

Premessa sulla successione necessaria

Per costante orientamento dottrinario e giurisprudenziale la successione necessaria non deve essere intesa come tertium genus rispetto alla successione legittima e testamentaria, bensì come disciplina di tutela riservata ad alcune specifiche categorie di soggetti ai sensi e per gli effetti dell’art. 457, co. 3, c.c. (Grosso, G.-Burdese, A., Le successioni, pt. gen., in Tratt. Vassalli, XII, t. I, Torino, 1977, 85; Casulli, G.V., Successione necessaria, in Nss. D.I., Appendice, VII, Torino, 1987, 631; Tamburrino, G., Successione necessaria - dir. priv., in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, 1377; Bianca, C.M., Diritto civile, 2, La famiglia. Le successioni, Milano, 2001, 587; Bonilini, G., Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2003, 117; Cattaneo, G., La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in Tratt. Rescigno, 5, t. I, Le successioni, II ed., Torino, 1997, 435; Mengoni, L., Successioni per causa di morte, pt. spec., Successione necessaria, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni, IV ed., Milano, 2000; Capozzi, G., Successioni e donazioni, Milano, 2002; Delle Monache, S., Successione necessaria e sistema di tutele del legittimario, Milano, 2008).

La successione necessaria, pur trovando il suo fondamento nella legge al pari della successione legittima, prevede diversi destinatari, diverse quote e non può mai investire l’intero patrimonio del defunto.

Con il termine successione necessaria siamo di fronte a quel particolare regime normativo volto a tutelare la categoria di quei soggetti qualificati come legittimari dall’art. 565 c.c. quali il coniuge, i figli, legittimi, naturali, legittimati, adottivi, e gli ascendenti legittimi, attribuendo loro una determinata quota di eredità o altri diritti nella successione.

La legittima è intesa in dottrina quale diritto ad una porzione di beni, di valore corrispondente ad una certa frazione della massa, costituita dal patrimonio complessivo netto del de cuius individuato con la riunione fittizia. Il testatore è libero sia nell’attribuzione che di stabilire i beni che intende lasciare ai legittimari con il solo limite che deve soddisfare le ragioni dei legittimari con beni che devono essere compresi nell’asse ereditario (Cass., 12.9.2002, n. 13310).

A conferma di tale assunto milita la terminologia utilizzata dal legislatore con il verbo riservare ed il sostantivo riserva (artt. 537, 538, 540 e 548 c.c.) ed ancora con il termine legittima e ciò per distinguere la parte di patrimonio che costituisce la riserva (artt. 551 e 552 c.c. ) da quello che non è riservato per il quale ha adottato i termini di porzione disponibile o, semplicemente, disponibile (artt. 550, 551, 556 c. c.).

Dunque, il presupposto per attivare la tutela normativa in esame è una lesione dei diritti dei legittimari, che non avrà luogo qualora il testatore abbia istituto eredi i legittimari nella quota legittima, oppure quando, nella successione intestata, il concorso tra eredi legittimi e eredi legittimari non provochi una lesione dei diritti successori di questi ultimi (art. 553 c.c.).

Pertanto, detta tutela – da una parte – attesta e limita l’autonomia negoziale espressa dal defunto nelle disposizioni testamentarie, e/o mediante donazioni dallo stesso compiute in vita (art. 555 c.c.) e – dall’altra – garantisce ed attribuisce il livello minimo dei diritti successori in modo inderogabile e imperativo.

Le categorie dei legittimari

La disciplina successoria in esame nel corso di questi anni è stata profondamente influenzata dal cambiamento della definizione di famiglia.

Il codice del 1942 ha privilegiato la concezione della famiglia patriarcale, basata sui vincoli di sangue a cui hanno fatto eco: la devoluzione del patrimonio ereditario ai parenti in linea retta, il riconoscimento al coniuge superstite del cd. usufrutto uxorio su porzioni del patrimonio del de cuius, l’attribuzione ai figli legittimi di una quota di riserva pari al doppio di quella riconosciuta ai figli illegittimi e, comunque, non inferiore al terzo del patrimonio ereditario.

Sotto il vigore della riforma del 1975 lo scenario è mutato. Il centro di riferimento è divenuto la famiglia fondata sul matrimonio ed è emersa definitivamente la centralità del coniuge dalla posizione marginale cui era stato relegato.

L’evoluzione codicistica ha visto, altresì, l’abolizione del termine «figlio illegittimo» e l’equiparazione nei rapporti genitore-figlio della condizione dei figli legittimi con i figli naturali la cui filiazione si stata riconosciuta o accertata giudizialmente (art. 258 c.c.). Ciò nonostante, l’imponente sforzo normativo ha negato ai figli naturali riconosciuti qualsivoglia legale parentale giuridicamente rilevante con la famiglia del genitore, con ciò ribadendo la necessità del vincolo matrimoniale tra i genitori quale fonte per il conseguimento dello status familiare (Dossetti, M., L’adeguamento delle terminologia legislativa e della sistematica del codice, in Dossetti, M.-Moretti, C., La riforma della filiazione, Bologna, 2013, 76 ss.).

A distanza di quasi mezzo secolo ed a seguito di un lungo processo evolutivo sia dottrinario che giurisprudenziale, è intervenuta con vigore la l. 10.12.2012, n. 219, con la quale è stato recepito il corrente modello familiare; un condensato di matrimonio, di stabile convivenza e di relazione occasionale che amalgama l’unicità dello stato giuridico della filiazione ed il definitivo superamento delle residue distinzioni categoriali fra i figli.

L’affermazione del principio cardine di cui all’art. 315 c.c. in virtù del quale «tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico» – norma anch’essa modificata dalla l. n. 219/2012 – ha determinato il duplice risultato di abbandonare, da una parte, i riferimenti di «figli legittimi» e «figli naturali» e, dall’altra, di riformare il rigido modello istituzionale di famiglia fondata sul matrimonio per introdurre le contemporanee forme mobili di convivenza quali la famiglia di fatto e la famiglia ricomposta a seguito di separazione o divorzio (Sesta, M., L’unicità dello status di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. dir., 2013, 231 ss.). Assumono, dunque, nuova tutela successoria le relazioni del figlio naturale riconosciuto con la famiglia del genitore con l’effetto di determinare la formazione di un diverso nucleo nel quale partecipano sia i figli nati nel precedente matrimonio che quelli scaturiti dalla nuova unione.

Dunque, il riconoscimento della parentela naturale riscrive le categorie dei legittimari ai quali è riservata una quota di eredità o altri diritti nella successione e, precisamente: il coniuge, i figli legittimi, i figli naturali, gli ascendenti legittimi (art. 536 c.c.).

Nonostante l’ultimo intervento normativo, si ribadisce che le disposizioni a favore dei legittimari costituiscono un limite all'autonomia testamentaria, e la loro applicazione presuppone un conflitto tra la volontà della legge e la volontà del defunto. La quota di riserva, dunque, è intangibile e il de cuius non vi può apporre in alcun modo divieti e condizioni (art. 549 c.c.).

La qualità di erede del legittimario

Come è noto nel nostro ordimento un soggetto può addivenire alla successione in tre diverse modalità tutte connesse con la volontà attiva o inerte del de cuius e, precisamente:

- se questi non lascia testamento si applicheranno le norme sulla successione legittima con la devoluzione dei beni ereditari in quote predeterminate;

- se, invece, lascia testamento regolerà integralmente la successione con preferenza rispetto alle norme sulla successione per legge, ferma la disposizione di tutti i beni, altrimenti scatterà per quelli non contemplati la devoluzione secondo le norme sulla successione legittima (Cass., 20.6.2017, n. 15239).

In tale ambito, si innesta la terza modalità di chiamata all’eredità costituita dalla successione necessaria – a mio dire con effetti esclusivamente riparatori – poiché non opera automaticamente, bensì solo nell’ipotesi in cui il soggetto a cui la legge riserva una quota fissa dell’eredità ne sia stato privato in tutto o in parte ovvero perché il de cuius nel testamento ha disposto a favore di altri ovvero perché ha disposto in vita ingenti liberalità, così da lasciare un relictum non sufficiente a soddisfare il diritto dei legittimari ad ottenere la quota di riserva. Dunque, volta a sacrificare in via riparatoria l’autonomia privata in capo al de cuius.

Presupposta la lesione della legittima ed assunta la dichiarazione di inefficacia per mano dell’azione di riduzione, si apre la successione necessaria all’interno della quale deve essere inquadrata la posizione del legittimario, leso o totalmente pretermesso, quale erede.

Una prima letteratura di riferimento ha definito la questione in termini generali – senza compiere l’indagine sulla portata della lesione – ed ha ritenuto il legittimario essere un erede assimilabile alla posizione di un legatario ex lege, perché consegue un attivo netto e non già una quota di eredità con proporzionale addebito delle passività (Mengoni, L., Successioni per causa di morte, cit., 76 ss., Grosso, G.-Burdese, A., Le successioni, cit., 85).

Non è ovviamente mancata la tesi contraria afferente l’attribuzione della qualità di erede in capo al legittimario fin dal momento dell’apertura della successione e ciò sull’assunto che la successione legittima e quella necessaria trovano lo stesso titolo costitutivo nella legge e nella tutela della famiglia.

Altra dottrina, assumendo a discrimen la portata della lesione, ha ritenuto erede il legittimatorio pretermesso solo dopo il vittorioso esperimento dell’azione di riduzione e senza necessità di espressa dichiarazione, mentre ha ritenuto erede quello leso nella quota riservatagli dalla legge solo a seguito dell’accettazione della parte insufficiente per cui istituito, conservando il diritto alla reintegrazione della quota di riserva qualora agisca in riduzione (Cass., 9.12.1995, n. 12632, in Corr. giur., 1997, 1138; Cass., 19.10.1993, n. 10333, in Giur. it., 1995, I, 1, 918; in senso contrario Cass., 3.12.1996, n. 10775, in Riv. not., 1997, II, 1302).

La determinazione della quota di riserva

La definizione del contenuto della quota di riserva trova sede nell’art. 536 c.c. laddove il legislatore ha indicato gli ingredienti delle attribuzioni idonee a formarlo, quali: la quota di eredità o gli altri diritti.

Quanto alla misura della quota riservata a ciascun legittimario, il codice si limita ad indicare i fattori di influenza del calcolo a partire dall’esistenza di più categorie dei riservatari e del numero dei presenti in ciascuna categoria, della rinuncia all’eredità di uno dei legittimari o addirittura del mancato esperimento, da parte di qualcuno di essi, dell’azione di riduzione.

Tale statuizione ha radicato negli anni un rilevante orientamento giurisprudenziale della Cassazione sezionale racchiuso nel cd. principio della espansione della quota riservata che, tuttavia, è stato disatteso dalle Sezioni Unite della medesima Corte (Cass., S.U., 9.6.2006, n. 13429, in Corr. giur., 2006, 1711, con nota di Stefini, U., Determinazione della quota di riserva in presenza di legittimari rinunzianti all'azione di riduzione; Cass., 13.2.2008, n. 3471).

Al fine di individuare le quote di riserva spettanti alle singole categorie di legittimari ed ai rispettivi appartenenti nell’ambito della stessa categoria, la Cassazione ha assunto a fattore di confronto la situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non già quella determinata per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o per prescrizione, dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari.

Le argomentazioni della Corte si fondano sul presupposto della successione testamentaria e si basano sulla distinzione dogmatica fra la rinunzia all’azione di riduzione e la rinunzia all’eredità laddove – nella prima – il soggetto rinuncia alla delazione ereditaria con l’effetto di far scattare la regola della redistribuzione della quota rinunciata, mentre – nella seconda – sussistendo una manifestazione di volontà del de cuius idonea e con una delazione ereditaria completa, ancorché suscettibile di impugnazione, non lascia spazio ad alcuna redistribuzione in ragione di detta completezza. I giudici, infatti, hanno ritenuto inopportuno il richiamo agli artt. 521 e 522 c.c. e, in particolare, alla disciplina degli effetti della rinunzia nella successione legittima, poiché l’effetto retroattivo della rinunzia e il conseguente accrescimento trovano ratio nella chiamata congiunta nella quota globalmente considerata.

L’azione di riduzione

La tutela del legittimario leso si realizza con l’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che in concreto hanno leso la legittima, poiché eccedenti la quota di cui il defunto poteva effettivamente disporre (artt. 554 e 555 c.c.).

L’azione di riduzione ha lo scopo di far accertare giudizialmente la lesione della quota di legittima spettante al legittimario che agisce in riduzione e, conseguentemente, far dichiarare l’inefficacia totale o parziale delle disposizioni testamentarie e delle donazioni eccedenti la quota disponibile del de cuius. Si ricorda, a tale proposito, che la valutazione della lesione deve essere compiuta con riferimento al tempo dell’apertura della successione, e la determinazione della porzione disponibile deve essere eseguita con le modalità stabilite dall’art. 556 c.c. e dagli artt. da 747 a 750 c.c. e, dunque, con la valutazione del relictum detratti i debiti e la riunione fittizia delle donazioni, anche indirette, poste in essere in vita dal de cuius.

È un’azione di natura personale, individuale e non cedibile da esperire nei confronti del coerede, legatario o donatario destinatario delle medesime disposizioni. Conferma in tale ottica è giunta dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale ha precisato che l’azione di riduzione configura un’azione personale diretta a procurare al legittimario l’utile corrispondente alla quota di legittima, e non un’azione reale, perché si propone non contro chi è l’attuale titolare del bene che fu donato o legato, ma esclusivamente contro i beneficiari delle disposizioni lesive. Il legittimario, dunque, non ha un diritto reale sui beni oggetto di tali attribuzioni; egli ha un diritto che può far valere in giudizio nei confronti del donatario e del legatario, cui corrisponde un’obbligazione, per cui costoro rispondono con tutto il loro patrimonio. Dall’azione di riduzione si distingue l’azione di restituzione (o reintegrazione): mentre l’una è un’azione di impugnazione, l’altra è un’azione di condanna che presuppone già pronunciata la prima (Cass., 22.3.2001, n. 4130, in Riv. not., 2001, 1503).

Accertata e dichiarata la lesione, la riduzione rende inefficace – esclusivamente nei confronti del legittimario – la disposizione lesiva della legittima e consente l’applicazione della vocazione necessaria. Il vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, vede il legittimario preterito acquistare la qualità di erede in quanto avrà conseguito, in virtù della successione necessaria, una quota di eredità, mentre, qualora semplicemente leso – cioè chiamato all’eredità per una quota di valore insufficiente a coprire la legittima – aggiungerà alla precedente vocazione, testamentaria o legittima, la vocazione necessaria conseguita con l’azione di riduzione (Amadio, G., Gli acquisti dal beneficiario di liberalità non donative, in Riv. not., 2009, 824 s.; Mengoni, L., Successioni per causa di morte, cit., 80-85; Cass., 15.6.2006, n. 13804, in Notariato, 2006, 670; Cass., 12.1.1999, n. 251, in Giur. it. Mass., 1999).

In merito alle modalità dell’azione, in breve, si evidenzia che la riduzione delle disposizioni testamentarie avviene proporzionalmente senza distinzione fra eredi e legatari (art. 558, co. 1, c.c.). Tuttavia, il testatore può derogare al criterio proporzionale, stabilendo che una disposizione testamentaria abbia effetto con preferenza sulle altre (art. 558, co. 2, c.c.).

Le donazioni si riducono, esaurito il valore dei beni di cui è stato disposto per testamento (art. 555, co. 2, c.c.), in modo non proporzionale e seguendo un criterio cronologico che ha inizio dall’ultima e risale via via verso le anteriori (art. 559 c.c.). Unica eccezione alla proporzionalità è rappresentato dalle donazioni coeve, cioè quelle poste in essere contestualmente dal donante in un unico contesto documentale, che sono soggette a riduzione con il metodo proporzionale, tipico delle disposizioni testamentarie, salvo che il donante con dichiarazione inserita nell’atto di donazione abbia stabilito un ordine di preferenza (Cattaneo, G., La vocazione necessaria, cit., 459). Da segnalare, inoltre, la deroga al criterio cronologico da parte dell’art. 768 quater c.c., introdotto dalla disciplina del patto di famiglia, il quale prevede che i beni produttivi trasferiti ad uno o più discendenti non siano soggetti a collazione e riduzione, con la conseguenza che degli stessi non si terrà conto nella determinazione della massa ereditaria.

Quanto agli effetti dell’azione di riduzione – ritenuta l’inefficacia relativa della disposizione lesiva dei diritti del legittimario ed il conseguente acquisto di una quota del bene o dei beni oggetto dell’azione di riduzione – in caso di disposizione parzialmente lesiva della legittima si instaurerà una comunione tra il beneficiario della disposizione lesiva ed il legittimario, mentre, in caso di disposizione totalmente lesiva della legittima, il legittimario agirà in restituzione per recuperare l’intero bene.

La riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni lesive della legittima, prima della riforma attuata dalla l. 14.5.2005, n. 80, era pienamente opponibile anche agli aventi causa dal donatario, intesi quali creditori ipotecari, titolari di diritti reali limitati sul bene, titolari di diritti personali di godimento (Carlini, G.-Ungari Transatti, C., La tutela degli aventi causa a titolo particolare dai donatari: considerazioni sulla l. n. 80 del 2005, in Riv. not., 2005, 777 ss.).

L’intervento del legislatore del 2005 ha modificato gli artt. 561 e 563 c.c. inserendo un termine limite di venti anni che decorre dalla trascrizione della donazione trascorso il quale:

a) i pesi e le ipoteche imposti sul bene dal donatario conservano efficacia anche qualora il donatario subisca la perdita del bene per effetto dell’azione di restituzione. Il legittimario recupererà il bene dal donatario ma dovrà accettare l’esistenza dei diritti reali o personali (ad esempio, ipoteche, servitù, contratti di locazione) che gravano sul bene. Il donatario sarà obbligato a compensare in denaro il legittimario per il minor valore del bene, fino alla concorrenza della quota di legittima;

b) il legittimario perde il diritto di agire con l’azione di restituzione nei confronti dei terzi acquirenti dal donatario. In tal caso, il legittimario avrà ottenuto, con l’azione di riduzione, il riconoscimento della sua quota di legittima ma potrà soddisfarsi unicamente nel patrimonio del donatario.

Il coniuge ed i parenti in linea retta del donante hanno la possibilità di sospendere il termine dei vent’anni nei confronti del donatario e dei suoi eventuali aventi causa e, quindi, di conservare integre le caratteristiche di realità proprie dell’azione di restituzione, mediante la notifica e la trascrizione di un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione che, ove necessario, andrà rinnovato prima che siano trascorsi i venti anni, qualora il donante sia ancora in vita (art. 563, co. 4, c.c.).

La circolazione dei beni mobili donati

Secondo i principi generali, prima dell’apertura della successione, agli eventuali successibili non spetta alcun diritto, né come pretesa sull’eredità, né come aspettativa giuridica. Pertanto, anche la qualità di legittimario assumerà rilevanza giuridica solo con la morte del de cuius, che costituisce il momento in cui si apre la successione.

Tuttavia, a seguito di importanti provvedimenti normativi quali la l. 14.5.2005, n. 80 e la l. 28.12.2005, n. 263, si è data risposta al dibattito dottrinario che ha interessato la letteratura in merito all’operatività della condizione del legittimario prima dell’apertura della successione (Campisi, M., Azione di riduzione e tutela del terzo acquirente alla luce delle LL 14 maggio 2005, n. 80 e 28 dicembre 2005, n. 263, in Riv. not., 2006, 1269; Caprioli, R., Le modificazioni apportate agli artt. 561 e 563 c.c. Conseguenze sulla circolazione dei beni immobili donati, ivi, 2005, 1019; Busani, A., La trascrizione dell’atto di rinuncia all'atto di opposizione alla donazione, in Nuova giur. civ. comm., 2007, 12; Lenzi, C., La circolazione di beni immobili di provenienza donativa: le novità introdotte dalla legge n. 80 del 14 maggio 2005, in Riv. dir. priv., 2007, 643; Castronovo, C., Sulla disciplina nuova degli artt. 561 e 563 c.c., in Vita not., 2007, 994; Bevivino, G., Le aspettative tradite dalla riforma degli artt. 561 e 563 del codice civile, in Notariato, 2007, 573).

Ed invero, con l’introduzione della nuova disciplina degli effetti della riduzione delle donazioni lesive della legittima (artt. 561 e 563 c.c.) e del patto di famiglia (artt. 768 bis-768 octies c.c.) il legislatore ha riconosciuto poteri e diritti anche prima della morte dell’eventuale dante causa.

Il precedente disposto degli artt. 561 e 563 c.c. prevedeva la restituzione degli immobili liberi da ogni peso e condizione a fronte di positivo esperimento della azione di riduzione; mentre, l’art. 563 c.c. attribuiva al legittimario la possibilità, per l’ipotesi in cui il donatario avesse alienato a terzi l’immobile oggetto di riduzione – previa escussione del donatario – di poter chiedere ai successivi acquirenti la restituzione degli immobili (Busani, A., L’atto di «opposizione» alla donazione (art. 563, comma 4, c.c.), in Nuova giur. civ. comm., 2006, 255 ss.; Petrelli, G., Sulla sicurezza degli acquisti da eredi e donatori, in Notariato, 2005, 211; Massella Ducci Teri, N., Atto di opposizione alla donazione e sua rinuncia, in Fam. pers. e succ., 2008, 733).

Nella nuova formulazione l’art. 561 c.c. dispone letteralmente che «Gli immobili restituiti in conseguenza della riduzione sono liberi da ogni peso o ipoteca di cui il legatario o il donatario può averli gravati, salvo il disposto del n. 8 dell’articolo 2652. I pesi e le ipoteche restano efficaci se la riduzione è domandata dopo venti anni dalla trascrizione della donazione, salvo in questo caso l’obbligo del donatario di compensare in denaro i legittimari in ragione del conseguente minor valore dei beni, purché la domanda sia stata proposta entro dieci anni dall’apertura della successione. Le stesse disposizioni si applicano per i mobili iscritti in pubblici registri. I frutti sono dovuti a decorrere dal giorno della domanda giudiziale».

Dunque, viene in evidenza la purgazione dell’immobile da pesi ed ipoteche, qualora l’azione venga proposta oltre il termine di venti anni dalla trascrizione della donazione nei registri. I terzi, pertanto, non potranno dare corso all’azione decorsi i venti anni dall’atto donativo, mentre i creditori ipotecari ed i beneficiari dei pesi costituiti dall’onorato vedranno consolidato il loro diritto.

Il nuovo disposto dell’art. 563 c.c. recita: «Se i donatari contro i quali è stata pronunziata la riduzione hanno alienato a terzi gli immobili donati e non sono trascorsi venti anni dalla donazione, il legittimario, premessa l’escussione del donatario, può chiedere ai successivi acquirenti, nel modo e nell’ordine in cui si potrebbe chiederla ai donatari medesimi, la restituzione degli immobili. L’azione per ottenere la restituzione deve proporsi secondo l’ordine di data delle alienazioni, cominciando dall’ultima. Contro i terzi acquirenti può anche essere richiesta, entro il termine di cui al primo comma, la restituzione dei beni mobili, oggetto della donazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede Il terzo acquirente può liberarsi dall’obbligo di restituire in natura le cose donate pagando l’equivalente in danaro».

La novella introduce, dunque, un ulteriore limite temporale alla retroattività reale dell’azione di riduzione esperita vittoriosamente dal legittimario nei confronti di una donazione lesiva; l’erede vittorioso potrà agire in restituzione nei confronti del terzo acquirente dal donatario solo entro il termine di venti anni dalla trascrizione della donazione, trascorso il quale non potrebbe più ottenere la restituzione dell’immobile dal terzo, ma solo il pagamento dell’equivalente a carico del donatario.

Infine, viene prevista la possibilità per il legittimario non donatario di opporsi alla donazione, con un apposito atto stragiudiziale, con conseguente sospensione dei termini in favore dell’opponente, nei termini di cui all’art. 563, ult. co., c.c.: «Salvo il disposto del numero 8) dell’articolo 2652, il decorso del termine di cui al primo comma e di quello di cui all'articolo 561, primo comma, è sospeso nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del donante che abbiano notificato e trascritto, nei confronti del donatario, un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione. Il diritto dell’opponente è personale e rinunziabile. L’opposizione perde effetto se non è rinnovata prima che siano trascorsi venti anni dalla sua trascrizione».

Pertanto, la nuova lettura del combinato disposto delle suddette norme fa emergere che solo a seguito del decorso del ventennio dalla trascrizione della donazione e, sussistendo la condizione della mancata opposizione da parte dei legittimari, l’acquisto potrà ritenersi al riparo da ogni futura azione successoria.

La posizione giuridica del legittimario: il patto di famiglia

La successione mortis causa, come è noto, mira anche a preservare la continuità dell’impresa e la proprietà individuale del de cuius.

Il legislatore con la l. 14.2.2006, n. 55 ha introdotto nel codice civile gli articoli dal 768 bis al 768 octies con i quali ha data vita alla disciplina dei cd. patti di famiglia (Bolano, A., I patti successori e l’impresa alla luce di una recente proposta di legge, in Contratti, 2006, 90; Petrelli, G., La nuova disciplina del «patto di famiglia», in Riv. not., 2006, 401 ss.; Manes, P., Prime considerazioni sul patto di famiglia nella gestione del passaggio generazionale della ricchezza, in Contr. e impr., 2006, 539 ss.; Delle Monache, S., Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia, in Riv. not., 2006, 889 ss.; Amadio, G., Patto di famiglia e funzione divisionale, ivi, 2006, 867 ss.; Oppo, G., Patto di famiglia e «diritti della famiglia», in Riv. dir. civ., 2006, I, 439 ss.; Delfini, F., Il patto di famiglia introdotto dalla legge n. 55/2006, in Contratti, 2006, 513; Rizzi, G., Il patto di famiglia, in Notariato, 2006, 429 ss.; Zoppini, A., Il patto di famiglia (linee per la riforma dei patti sulle successioni future), in Riv. dir. priv., 1998, 255).

Tralasciando una maggiore indagine sull’argomento ad altra sede, per le ragioni in commento, si osserva che l’art. 768 bis c.c. contiene la definizione di patto di famiglia, qualificato come il contratto con cui «l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, a uno o più discendenti» (Di Sapio, A., Osservazioni sul patto di famiglia (brogliaccio per una lettura disincantata), in Dir. fam., 2007, 289).

In merito al tema in esame ed agli effetti legali del contratto si evidenziano le disposizioni dell’art. art. 768 quater, co. 3, c.c. afferente l’imputazione alle quote di legittima delle attribuzioni patrimoniali ricevute e quanto disposto dall’art. 768 quater, co. 4, c.c. in merito all’esclusione da collazione e da riduzione di ciò che è stato ricevuto dai contraenti.

Sotto il profilo formale del patto di famiglia, si evidenzia la necessità di forma dell’atto pubblico prevista dall’art. 768 ter c.c., mentre, sul piano soggettivo, ai sensi dell’art. 768 bis c.c. il soggetto trasferente deve essere imprenditore o, titolare di partecipazioni sociali. Rigore soggettivo risiede anche in capo al beneficiante il quale deve essere un discendente del disponente. Appare evidente, pertanto, l’esclusione della figura del coniuge fra i destinatari della pattuizione e ciò a conferma della peculiare funzione dell’istituto, volta ad escludere soggetti appartenenti alla stessa generazione del disponente.

Nonostante le suddette disposizioni di legge, è interessante ribadire il carattere di eccezionalità che le veste e ciò con l’effetto di escludere l’insorgenza, prima dell’apertura della successione, di qualsivoglia diritto in favore del legittimario e degli altri successibili. Dunque, nessuna tutela anticipatoria può essere attribuita al potenziale legittimario nei confronti degli atti posti in essere dal suo futuro dante causa, indagine che dovrà essere condotta esclusivamente solo al momento dell’apertura della successione.

Fonti normative

Artt. 258, 457, 521, 522, 536, 537, 538, 540, 548, 549, 551-556, 558, 561, 563, 565, 747-750, 768 bis - 768 octies c.c.; l. 10.12.2012, n. 219; l. 14.2.2006, n. 55; l. 28.12.2005, n. 263.

Bibliografia essenziale

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