Stregoneria

Universo del Corpo (2000)

Stregoneria

Alice Bellagamba

Stregoneria (da strega, a sua volta dal latino striga, variante popolare di strix, "uccello notturno" o "civetta") indica l'arte e la capacità di danneggiare gli altri attraverso poteri ritenuti soprannaturali. Nella lingua italiana la parola ha una diversa sfumatura di significato, a seconda del genere dei soggetti coinvolti: mentre la strega utilizza le proprie conoscenze a danno degli altri, lo stregone è invece dotato di qualità, fra cui anche quella di rimuovere fatture e incantesimi, che non necessariamente sono negative. La nozione di stregoneria ha conosciuto, in epoche e contesti sociali diversi, una pluralità di usi semantici che spaziano dall'enfasi posta sulle qualità negative di chi si dedica, o viene accusato di dedicarsi, a queste attività, fino alla valorizzazione del ruolo assolto dai poteri occulti nei processi di costruzione dell'identità sociale e personale.

1. Fra antropologia e storia

Se nel 1970 lo storico inglese K. Thomas (trad. it. 1980, p. 83) poteva definire la stregoneria una tematica di ricerca piuttosto marginale, oggi l'argomento occupa una posizione di tutto rispetto nella riflessione storica e antropologica (Ginzburg 1989), tale da favorire lo scambio di opinioni e di idee, così come il confronto tra epoche, situazioni sociali, politiche ed economiche fra loro anche piuttosto remote: si può anzi dire che rappresenti uno dei contesti teorici in cui il dialogo fra l'antropologia e la storia è più articolato e complesso (Viazzo 2000). Proprio a partire dagli anni Settanta, infatti, esponenti di entrambe le discipline hanno individuato connessioni, ma anche sostanziali differenze, fra le rispettive esperienze di ricerca: l'attualità della stregoneria in molti dei contesti studiati dall'antropologia ha offerto alla storia la possibilità di cogliere, per somiglianza e per contrasto, quale sia lo spazio effettivamente occupato da questo fenomeno nel tessuto sociale, nella vita e nelle emozioni dei soggetti coinvolti. I dati antropologici, ha sostenuto lo stesso Thomas (trad. it. 1980, p. 117), possono essere utilizzati "per illuminare lo studio dei documenti storici", in quanto "c'è molto da imparare da coloro che sono stati direttamente testimoni di fenomeni simili in altri luoghi" (p. 118). La storia, d'altro canto, ha aiutato l'antropologia a uscire dai limiti teorici di un approccio basato solo sull'analisi del presente: in ogni società le pratiche e le credenze che circondano la stregoneria "cambiano come cambia il mondo cui esse si riferiscono" (Ardener, trad. it. 1980, p. 185): possono attenuarsi e scomparire per poi essere reimmaginate e reinventate sotto la pressione di molteplici fattori economici, storici e sociali; si contaminano in un fitto scambio di ipotesi, suggestioni e inconsapevoli paure; si arricchiscono continuamente nel contatto con altre idee e altre culture. L'Africa, dove dagli anni Trenta del Novecento la discussione antropologica ha affrontato la questione della stregoneria, offre innumerevoli esempi del modo in cui questo fenomeno risorga, in fasi e periodi alterni, nella cultura popolare e nella vita pubblica: l'immagine di streghe e stregoni incorpora le contraddizioni della modernità, le tentazioni, le passioni distruttive che la animano, le tattiche discriminatorie e i suoi costi sociali devastanti (Comaroff-Comaroff 1993). Il contemporaneo fiorire dell'occulto e delle arti mistiche, in Africa e nel resto del mondo, invita a non opporre in modo categorico ieri e oggi, tradizione e sviluppo. Inoltrandosi in questo insieme di discorsi fluidi, abbastanza confusi e disordinati "si aprono sentieri inediti di storie locali, spesso divergenti rispetto alla supposta o imposta strada maestra della modernità" (Remotti 1998, p. 71). Esistono forme e strategie molteplici per vivere, pensare e agire nella contemporaneità. Alcune fra queste, come è il caso della stregoneria, dimostrano di essere piuttosto longeve, manifestando forti legami di continuità con esperienze e idee passate, nonché sorprendenti capacità di adattamento e rielaborazione.

2. Pluralità semantica

Un punto su cui insistono antropologia e storia è l'esistenza di una tensione irrisolta fra la costanza con cui il fenomeno della stregoneria si presenta nelle diverse società umane e l'incredibile varietà delle sue manifestazioni. È invero difficile, se non impossibile, cogliere un denominatore comune, un nocciolo duro che, invariato in ciascun contesto, permetta di individuare con una certa chiarezza il significato e i confini concettuali di questa nozione. Ci sono invece elementi che compaiono e scompaiono, associandosi e dissociandosi in configurazioni transitorie e mutevoli, discusse e argomentate in una proliferazione continua di significati. Nell'Inghilterra dei Tudor e degli Stuart il termine stregoneria era usato in modo generico e di volta in volta applicato "pressoché a ogni tipo di attività magica o di operazione rituale che agisse con metodi occulti. Gli indovini di villaggio che predicevano il futuro o ritrovavano oggetti perduti erano spesso chiamati 'streghe' e così pure le 'donne sagge' che guarivano le malattie con incantesimi e preghiere. Gli scienziati del tempo, le cui attività sconcertavano gli ignoranti, erano qualche volta sospettati di stregoneria" (Thomas, trad. it. 1980, p. 84). I teologi, a loro volta, tenevano sotto controllo chiunque pretendesse di esercitare un'attività sovrannaturale che la loro religione non consentiva. In un mondo così complesso, in cui vi erano disparità enormi in termini di tenore di vita, livello d'istruzione e interessi intellettuali, l'occhio dello storico, attento alle differenze, deve comunque valorizzare le eventuali connessioni. Per trovare un po' di ordine egli è costretto, secondo Thomas, a imporre "una sua classificazione sulla sbalorditiva varietà di usi semantici offerta dalla letteratura del periodo" (p. 84), restringendo l'uso del termine stregoneria a quelle situazioni in cui dei mezzi spirituali e materiali, generalmente disapprovati dall'insieme della società, provocano effetti negativi sulle vite altrui. Il problema, tuttavia, si complica ulteriormente quando venga affrontato in una prospettiva comparativa. In Africa, per es., parole di derivazione europea come witchcraft e sorcery (che in inglese indicano appunto la stregoneria e la fattucchieria) o il francese sorcellerie traducono più antichi e articolati termini locali, il cui spettro di significati, poteva essere, e in alcuni casi è, leggermente o addirittura totalmente diverso. Fra i maka, popolazione del Camerun orientale, c'è un solo vocabolo - djambe - per indicare la capacità occulta di nuocere agli altri, acquisendo prestigio e potere, e quella di produrre benefici effetti sulla salute dei corpi. Lo stregone e il curatore attingono entrambi a questa forza nascosta che, presente nel ventre di ogni essere umano, dona a chi riesce a sfruttarla la capacità di operare metamorfosi, di uccidere in modo invisibile o al contrario di guarire. Il djambe è sia distruttivo sia costruttivo. Aumenta il prestigio dell'individuo a danno degli altri, ma al tempo stesso legittima l'autorità degli anziani conferendo loro quelle qualità su cui si basa la loro autorevolezza, come la capacità di sostenere efficacemente il proprio punto di vista nelle assemblee pubbliche. Il modo in cui i maka ne parlano rende difficile ricondurre i discorsi che lo circondano a una netta contrapposizione fra il bene e il male (Geschiere 1995, p. 19). Maggiore, in fondo, è la fluidità dei concetti, più incerti sono i loro confini e più sarà rafforzato il loro potere di rappresentazione (Latouche 1997). Così accade per la stregoneria o, per usare una parola meno connotata negativamente, per l'idioma delle forze occulte. Pare proprio che sfumature e incertezze di significato, dubbi e controverse interpretazioni siano uno dei suoi tratti più caratteristici, quello che gli permette di spiegare un'incredibile varietà di eventi evitando, nel frattempo, di essere posto in discussione (Geschiere 1999). Imporre su questa varietà di interpretazioni una definizione precisa può essere una soluzione. Un'altra è quella di valorizzare i significati locali, mettendone in luce le sfumature, le ambiguità e le eventuali relazioni con altri domini discorsivi. C'è, infine, una terza possibilità: la stregoneria è un argomento di studi consolidato e abbandonare completamente l'uso di questa categoria vuol dire mettere fra parentesi secoli di dibattito intellettuale; piuttosto che rinchiudere la varietà delle interpretazioni entro confini ben precisi, la strada più interessante può allora essere quella di percorrerne le ramificazioni, confrontarle una con l'altra considerandole parte di una più ampia conversazione, sempre in fieri, sull'essere umano, le sue possibilità di realizzazione, i rapporti che intrattiene con i suoi simili e con l'ambiente naturale circostante, una conversazione alla quale partecipano, e hanno partecipato, seppure in epoche e contesti diversi, una molteplicità di soggetti, antropologi e storici compresi.

3. La ragione degli altri

La fortuna della stregoneria nel dibattito antropologico è legata alle ricerche compiute da E.E. Evans-Pritchard (1937) tra gli azande (o zande) del Sudan. Altri studiosi avevano già affrontato questo argomento: B. Malinowski (1922), nel suo saggio sulle isole Trobriand, aveva descritto il modo in cui veniva concepita la figura della strega e i mezzi adottati per contrastarne i malevoli intenti; R. Fortune (1932) aveva dedicato un'intera monografia etnografica a questo tema, ponendo in luce come fra gli isolani di Dobu investisse la totalità della vita sociale. Questi ultimi, almeno nell'interpretazione di Fortune, credevano poco ai buoni sentimenti: la loro visione del vivere insieme era alquanto disincantata, un gioco continuo di sospetti e velate denunce, invidia e volontà di prevaricare. L'utilizzo di mezzi magici, formule e preparati medicinali, per aggredire o per difendersi dall'aggressione altrui, era un elemento costante: persino la cerchia più ristretta del gruppo di parentela, luogo per eccellenza entro cui pensare delle forme di solidarietà, era potenzialmente oscurata dall'ombra della stregoneria. Fra le donne e gli uomini c'era inoltre una differenza: le prime erano considerate detentrici di un potere spirituale sinistro (causa di incidenti, malattia e morte), i secondi erano più propensi a operare ricorrendo alla magia malefica. In grado e misura diversa ciascuno poteva essere, e spesso era, insieme stregone e vittima, impegnato ad accrescere le conoscenze che gli permettevano di difendersi e di attaccare. Rispetto a queste prime indagini, il merito di Evans-Pritchard fu quello di fornire un'interpretazione assai più sistematica e soprattutto meno cupa. La stregoneria costituiva per gli azande un vero e proprio sistema di pensiero, che consentiva di fare fronte alle incertezze dell'esistenza umana. Le varie pratiche rituali, messe in atto per contrastarne gli effetti negativi, permettevano di ricostituire forme di alleanza e di solidarietà. Avere un carattere invidioso, poco propenso a dividere idee, beni e sentimenti con gli altri, poteva attrarre sul malcapitato l'interesse malevolo di uno stregone, offeso dal suo comportamento. Le accuse di stregoneria, d'altro canto, colpivano proprio coloro che rifiutavano di adeguarsi alle più basilari regole di convivenza, insultando gli altri e dimostrandosi astiosi e iracondi. Era un circolo vizioso che perseguiva un obiettivo preciso: dare forma alla società e alle relazioni, stigmatizzando alcuni comportamenti e favorendone altri. Evitando di considerare la mentalità locale espressione di un livello di sviluppo della mente umana antecedente quello razionale e scientifico, Evans-Pritchard valorizzava le qualità positive del pensiero degli azande, capaci di ragionare benissimo nel linguaggio dell'esperienza sensibile, cioè confrontando ipotesi e fatti; ma la stregoneria aveva ben poco a che fare con questo ordine di discorso. Era, invece, un idioma mistico basato su premesse che non potevano essere logicamente dedotte dall'osservazione. Gli interrogativi e i dubbi, che sollevava inevitabilmente una mentalità di tipo occidentale confrontata con questo tipo di discorsi, andavano posti fra parentesi. Erano due modi diversi e in una certa misura incompatibili di pensare il mondo, l'essere umano e le relazioni causali. In caso di malattia, morte o disgrazia, l'aggressione di uno stregone era rivelata dalle procedure oracolari e il problema risolto ricorrendo all'operato degli antistregoni, quando la vittima era ancora in vita. Se era già deceduta, la morte poteva essere vendicata facendo ricorso alla magia. Interpretazione e gestione della sventura, concetti e pratiche rituali erano strettamente correlati: "una volta appreso l'idioma tutto il resto è facile, perché nella società zande a un'idea mistica ne consegue un'altra, tanto ragionevolmente quanto nella nostra società a un'idea di senso comune ne consegue un'altra" (Evans-Pritchard 1937, trad. it., p. 650).

Negli anni Sessanta e Settanta del 20° secolo queste considerazioni alimentarono un cospicuo dibattito sulle caratteristiche del pensiero tradizionale africano. Mentre alcuni autori si concentravano sugli effetti che le accuse di aggressione occulta avevano sul tessuto sociale (esplorando lo strutturarsi delle accuse lungo le linee di tensione fra i sessi, le generazioni e i gruppi sociali), R. Horton (1967), riprendendo la distinzione di K. Popper (1945) fra società 'chiuse' e 'aperte', propose di considerare le varie forme di religiosità praticate in Africa, stregoneria inclusa, come espressione di una mentalità sostanzialmente 'chiusa', cioè una forma di pensiero che non contemplava "alternative rispetto al corpus di credenze stabilito" (p. 165). Mancando della possibilità di immaginare altrimenti il mondo erano esenti da ogni critica, e quindi anche refrattarie a qualsiasi processo endogeno di modificazione o adattamento. La scienza occidentale, al contrario, disposta a discutere le proprie premesse e sensibile alle smentite dell'esperienza, era un sapere in continuo divenire. Il più ampio dibattito intellettuale, sul cui sfondo leggere questi fenomeni, stava però cambiando. Proprio negli anni Settanta antropologi e storici, studiando le pratiche terapeutiche e religiose che in epoca precoloniale avevano contraddistinto diverse culture africane, cominciarono a parlare di pluralismo, cioè di un atteggiamento sostanzialmente flessibile nei confronti della salute e dei problemi del corpo. Per uno stesso disturbo potevano essere invocate una pluralità di cause e ciascuna causa offriva la possibilità di intraprendere un diverso corso terapeutico. Fra le varie credenze gruppi e soggetti costruivano vari percorsi, manipolando e adattando alle proprie esigenze idee, conoscenze e tipi di sapere. Era un mondo assai più plastico di quanto fino a quel momento l'antropologia avesse voluto riconoscere (Feierman-Janzen 1992). Prestiti e scambi erano stati numerosi, prima ancora della conquista europea. L'idea che la stregoneria, come altri aspetti della religiosità africana, fosse espressione di un sistema chiuso, che poteva modificarsi solo grazie all'intervento di forze esterne, lasciava così il posto a una concezione essenzialmente dinamica e storica di questo fenomeno, inaugurando una serie di nuove ricerche, mirate a cogliere i suoi sviluppi in epoca antica e contemporanea.

4. Trasformazioni contemporanee

Per l'antropologia degli anni Sessanta e Settanta, ma più in generale per una serie piuttosto estesa di osservatori esterni, dai missionari agli specialisti dello sviluppo, le credenze e le pratiche che in Africa circondavano la stregoneria si sarebbero dissolte sotto l'influsso della modernità. In Europa esse erano quasi scomparse e lo stesso sarebbe accaduto nel resto del mondo. P. Geschiere (1995) riporta l'opinione dei sacerdoti olandesi che proprio in quel periodo incontrò in Camerun: la luce elettrica avrebbe definitivamente sconfitto streghe e stregoni. L'istruzione di tipo occidentale e la promozione di adeguate politiche sanitarie dovevano segnare la fine della stregoneria, che era uno dei tratti costitutivi di una 'sindrome della tradizione', un modo di considerare il mondo in termini personalistici, logicamente coerente, ma destinato a estinguersi. Le credenze tradizionali potevano prosperare e riprodursi solo fintantoché fosse sopravvissuto anche l'ambiente economico e culturale da cui si erano originate. L'incremento degli scambi e dei contatti, la diffusione della scrittura e i fenomeni di urbanizzazione, da cui si sarebbe originata una mescolanza di soggetti e culture, dovevano innescare una transizione, che poteva anche essere dolorosa, verso modalità più scientifiche e oggettive di rappresentazione della realtà, ponendole definitivamente in crisi (Horton 1967). Nell'Africa contemporanea le pratiche che circondano la questione della stregoneria sono nella maggior parte dei casi estremamente diverse rispetto ai discorsi che circolavano neanche un secolo fa. M. Douglas (1999) sottolinea come fra i lele del Congo la stregoneria fosse una tradizione antica, in grado di mantenere in equilibrio i rapporti di potere fra le generazioni. Gli anziani accumulavano ricchezza grazie al lavoro dei giovani, ma questi ultimi, quando le richieste si facevano ingiuste o esorbitanti, potevano accusare gli anziani di essere degli stregoni, costringendoli dunque a modificare il proprio comportamento. Alla metà del 20° secolo questo sistema era ancora all'opera. Alla fine degli anni Ottanta lo scenario era radicalmente cambiato. Un tempo erano sospettati solamente gli uomini anziani, che in virtù della loro iniziazione alle società di culto erano considerati detentori di un potere potenzialmente distruttivo. Ora le accuse colpivano indiscriminatamente qualsiasi categoria di soggetti, donne e bambini compresi. Nel mondo dei lele si era verificata una sorta di vuoto intellettuale: le forme di religiosità locale spiegavano bene l'origine del male e della sventura, offrendo degli strumenti rituali per consolidare le relazioni sociali. Il cristianesimo, oltre a demonizzare i culti più antichi, ancora non aveva elaborato una risposta altrettanto efficace per affrontare e risolvere le tensioni del vivere comunitario. I violenti episodi di caccia alle streghe, che colpirono la società lele negli anni Ottanta, vanno interpretati su questo sfondo. In altre regioni dell'Africa il problema della stregoneria si è dimostrato altrettanto suscettibile di sviluppi imprevisti, i quali smentiscono l'ottimismo in una sua veloce scomparsa. Nelle province orientali del Camerun, agli inizi degli anni Ottanta, le accuse di stregoneria hanno cominciato a essere giudicate in tribunale (Fisiy-Geschiere 1997). Nello stesso periodo, in Sierra Leone, streghe e stregoni erano descritti (Shaw 1997) come membri di un'associazione, che a turno mettevano a disposizione parti delle vittime per poi consumarle insieme ai loro colleghi. Fallire gli obblighi imposti da questa forma di nefasta reciprocità comportava la morte. Come se non bastasse, l'essenza dei loro corpi, la parte invisibile che è in ciascun essere umano, partecipava a una sorta di vita urbana, una città globale delle streghe con i palazzi scintillanti, automobili potenti, cibi esotici e pressoché sconosciuti alla gente comune. Nel Sudafrica degli anni Novanta si è assistito a una vera e propria globalizzazione dell'occulto, con immagini provenienti da altri luoghi che si radicano nei contesti locali, contagiando idee più antiche e sovrapponendosi a esse in un caleidoscopio di paure e interpretazioni, dai corpi smembrati per essere venduti sulla piazza del mercato e diventare ingredienti d'incantesimi agli animali che attaccano gli esseri umani con i loro poteri stregoneschi, fino agli uomini d'affari le cui fortune sono imputate alle relazioni sospette che intrattengono con il demonio (Comaroff-Comaroff 1999). Leggere questi e altri fenomeni come espressione di una generalizzata crisi africana è riduttivo. Piuttosto essi esprimono una più generale tendenza, che vede il fascino delle arti mistiche e dell'occulto colpire, oggi come un tempo, l'immaginazione di una pluralità di soggetti. Ogni epoca ha i suoi stregoni, figure che danno corpo e forma a immagini di disumanità. Esse parlano di malesseri nella società, di forme di aggressione senza volto che colpiscono, con effetti nefasti, individui spesso innocenti e inconsapevoli, generando discorsi al tempo stesso terrificanti ed eccitanti. In tale prospettiva più ampia "è difficile considerare i punti di contatto fra stregoneria e modernità come un altro segno della alterità dell'Africa" (Geschiere 1999, p. 213) rispetto ad alcune delle forme di pensiero che l'Occidente, nella sua storia, ha elaborato. Più che retaggio di un passato che sopravvive nel presente, il linguaggio della stregoneria mostra di essere uno dei principali strumenti intellettuali che aiutano a vivere e comprendere difficoltà e incertezze contemporanee, intrecciandosi con i problemi originatisi dal diffondersi di nuovi beni di consumo e di forme inusitate di individualismo e violenza.

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