STRABONE

Enciclopedia Italiana (1936)

STRABONE (Στράβων, lat. Strabo)

Plinio FRACCARO

Storico e geografo greco, nato ad Amasia, città del Ponto, poco prima del 60 a. C. (64-63?). Apparteneva a ragguardevole famiglia e ricevette un'educazione accurata; a Nisa sul Meandro frequentò da giovinetto la scuola del grammatico Aristodemo, già maestro dei figli di Pompeo. Trasferitosi quindi a Roma (secondo l'opinione più probabile, al più tardi, nel 44 a. C.), egli udì il peripatetico Senarco di Seleucia e il grammatico Tirannione di Amiso: egli si professava seguace della scuola stoica. In Roma visse parecchi anni. Qualche viaggio egli aveva compiuto da giovane nell'Asia Minore; da Roma si spinse sino a Populonia, di dove contemplò l'Elba, la Corsica e la Sardegna; nel 29 egli navigava ancora l'Egeo, dove toccò Giaro e visitò Corinto; perciò alcuni collocano in quest'anno il suo trasferimento a Roma, mentre altri pensano a un secondo viaggio di Strabone dall'Asia a Roma. Passò quindi in Egitto e al seguito di Elio Gallo, prefetto dell'Egitto e suo amico, visitò nel 25 o 24 la valle del Nilo sino a File. Soggiornò a lungo in quegli anni in Alessandria e ritornò a Roma fra il 20 e il 10 a. C. Si allontanò infine dalla capitale (dopo il 7 a. C.?) ed è incerto dov'egli abbia passato gli ultimi anni della sua vita; secondo alcuni li trascorse in Oriente, in Amasia sua patria, ove avrebbe scritto la Geografia per la regina del Ponto Pitodoride, secondo altri in Campania. Vide i primi anni del regno di Tiberio e morì circa il 20 d. C.

St. fu insieme storico e geografo. Compose prima un'ampia opera storica, intitolata ‛Ιστορικὰ ὑπομνήματα, in 47 libri, dei quali 4 formavano un'introduzione e trattavano sommariamente gli avvenimenti anteriori al 144 a. C., gli altri 43 davano un'estesa narrazione degli avvenimenti cominciando da quell'anno, con il quale cessavano le storie di Polibio, e sono quindi indicati da St. stesso (XI, 9, 3) con il titolo Τὰ μετὰ Πολύβιον. L'opera andò perduta. L'avvenimento più recente, al quale si accenna nei frammenti a noi giunti, è l'uccisione di Cesare nel 44 a. C.; ma forse l'opera giungeva sino al 27 a. C. e alla fine delle guerre civili; perciò si crede che St. l'abbia compiuta fra il 27 e il 25, alcuni credono anzi dopo il 20 a. C. L'interesse dello storico si doveva essere rivolto specialmente agli avvenimenti, che ebbero per conseguenza l'annessione della regione patria di St., l'Asia Minore, all'Impero romano. I pochi (19) e non ampi frammenti certi giunti sino a noi sono quasi tutti riferiti, e pare non direttamente, da Giuseppe Flavio e riguardano quindi la storia ebraica. L'opera dovette essere largamente usata per la ricchezza dei materiali che essa offriva, accompagnati, come nella Geografia, dalla citazione delle fonti, e Plutarco la cita in tre diverse biografie; ma i tentativi di provare la derivazione dalle storie di St. di ampî tratti delle biografie di Plutarco e delle storie di Appiano, non hanno condotto, e forse non potranno mai condurre, a risultati probabili. In ogni modo, anche a giudicare dai tratti di carattere storico della Geografia, non pare che St. sia stato un grande storico. Delle sue fonti, sono citati nei frammenti Timagene, Ipsicrate di Amiso e Asinio Pollione, ai quali sono da aggiungere, per quanto possiamo ricavare dalla Geografia, Posidonio, Apollodoro di Artemita, Metrodoro di Scepsi, Teofane di Mitilene e Q. Dellio.

La sua seconda opera, quella a noi giunta quasi per intiero (17 libri, dei quali il settimo lacunoso verso la fine) e alla quale è raccomandata la fama dell'autore, è la Geografia, Γεωγραϕικά, o, com'egli stesso dice (XVII, 1, 36), ‛Υπομνήματα τῆς γεωγραϕίας. Essa pare fosse in sostanza compiuta nel 7 a. C. e l'autore vi avrebbe fatto in seguito solo poche aggiunte e apportato qualche aggiornamento; così si spiegherebbe il silenzio sugli avvenimenti posteriori al 7 a. C. e nello stesso tempo i rari accenni a fatti del 18 d. C. e di qualche anno dopo. L'opera è un vasto trattato generale di geografia, nel quale la materia è così disposta: i libri I-II contengono un'introduzione generale, nella quale si trattano questioni di geografia fisica e matematica e di storia della geografia; il libro III è dedicato alla Spagna; il IV alla Gallia, alla Britannia e ad altre isole settentrionali (Irlanda, Tule) e alla regione alpina; i libri V e VI all'Italia e alle isole italiane; il VII alla Germania, alla Scizia e alla Penisola Balcanica settentrionale (Illirico, Tracia); i libri VIII-IX-X alla Grecia e alle isole egee compresa Creta; l'XI ai paesi oltre il Tanai, a nord e a sud del Caucaso sino all'Asia Minore e alla Mesopotamia, e alle regioni settentrionali dell'Iran; i libri dal XII al XIV all'Asia Minore; il XV all'India, alle regioni meridionali dell'Iran e alla Persia; il XVI all'Assiria, alla Babilonia, alla Siria e Palestina e all'Arabia; il XVII all'Egitto e alle altre regioni dell'Africa settentrionale.

St. dichiara (II, 5, 11) che le sue informazioni derivano e da quanto egli stesso ha visto per terra e per mare e da quanto egli apprese dai discorsi e dagli scritti di altri. Egli enumera pomposamente i suoi viaggi: "Verso occidente ci siamo spinti dall'Armenia ai luoghi dell'Etruria prospicienti alla Sardegna, verso mezzogiorno dal Ponto Eusino ai confini dell'Etiopia". E per quanto egli assicuri che fra gli altri geografi difficilmente si potrebbe trovare chi abbia viaggiato molto più di lui, dobbiamo dire che i suoi viaggi furono troppo pochi e limitati per essere una sorgente importante di notizie per una geografia universale, e inoltre non furono in genere da lui intrapresi a scopo di osservazione scientifica. È strano che egli, risiedendo tanti anni a Roma, non abbia trovato occasione e modo di spingersi oltre Populonia per conoscere l'Occidente, e singolare è pure che egli non abbia cercato di conoscere di più la Grecia. Quindi la sua Geografia è molto più il frutto dei suoi studî sui libri, studî ampî e condotti con intelligenza, che di osservazioni personali dirette sulle cose e sugli uomini. Inoltre non ha tendenze naturalistiche, ma storiche e filosofiche; e perciò molto spesso egli non bada tanto alle condizioni attuali delle regioni descritte, come avrebbe dovuto fare un puro geografo (cfr. VI, 1, 2), ma al passato. La sua descrizione della Grecia e di parte dell'Asia Minore, ad es., deriva largamente dal commentario di Apollodoro di Atene al catalogo omerico delle navi. E perciò alcuni moderni, non senza ragione, dissero l'opera di St. una geografia storica, ch'egli avrebbe composta come complemento e sussidio della sua opera storica, alla quale spesso si richiama anche nella Geografia: e questa opinione è suffragata da quanto egli dichiara (I, 1, 23), che cioè, dopo avere composto l'opera storica ad ammaestramento di filosofia morale e politica, credette di aggiungervi la Geografia, ch'egli dice dello stesso aspetto dell'opera storica e destinata agli stessi lettori, soprattutto a coloro che occupano uffici elevati.

Quantunque St. dica l'opera sua tracciata secondo la tecnica delle statue colossali (κολοσσουργία), badando alle grandi linee e non ai particolari, essa è non di rado ineguale: si diffonde proprio su cose di scarsa importanza e ad altre importanti appena accenna. Un certo disordine, che fece credere ad alcuni moderni ch'egli avesse lasciata incompiuta l'opera, non dipende solo dalle aggiunte che vi apportò più tardi. Tuttavia, se noi non possiamo confermare a St. la fama di geografo per eccellenza che ebbe nei secoli, dobbiamo riconoscergli meriti insigni; in primo luogo di avere letto e spogliato con sano criterio un numero rilevante di autori, di avere spesso citato onestamente le sue fonti e di averci quindi conservato le dottrine di parecchi importanti suoi predecessori, le cui opere sono andate perdute. Fra le sue fonti principali vengono in prima linea: Posidonio di Rodi (opera sull'Oceano e Storie) e Polibio, ai quali deve molte nozioni generali e in particolare le sue conoscenze sull'Occidente; quindi i geografi Eratostene, Ipparco ed Artemidoro di Efeso; i filologi e antiquarî Demetrio di Scepsi e Apoillodoro di Atene sopra ricordato; Apollodoro di Artemita in Assiria, alle cui opere sulle guerre pontiche e partiche egli deve notizie su quelle regioni; Teofane di Mitilene, nella cui storia delle guerre di Pompeo in Oriente trovò notizie sulle regioni del Caucaso; Nearco e Onesicrito, sue fonti per l'India, A tioco siracusano e Eforo. Ad altre fonti, che per brevità non ricordiamo, egli ricorse per singole notizie. A certi autori che cita, e alle volte anche a qualcuno di quelli ora ricordati, pare abbia attinto di seconda mano. Uso piuttosto limitato fece di fonti latine.

La lingua e lo stile di St. sono quelli del greco comune postclassico (κοινή), ma la forma è spesso disuguale per l'influenza delle fonti dalle quali egli dipende. Personalmente si avvicina molto per il lessico e per lo stile a Polibio, rifugge in genere da ornamenti retorici e cerca di esprimersi con chiarezza e semplicità. Non gli si può negare una certa vivacità ed efficacia d'espressione.

La Geografia ebbe nei primi secoli dell'era volgare molto minore risonanza dell'opera storica di St.; né Plinio, né Tolomeo la ricordano. Essa comincia ad essere citata da autori della fine del sec. II d. C., ma la sua grande fortuna cominciò con il sec. VI e durò sino all'età moderna. La Biblioteca Vaticana conserva 65 fogli e altri tre sono a Grottaferrata (in tutto circa 1/7 dell'intero codice) di un palinsesto di St. che è al più tardi del sec. VI d. C. Esso risaliva a un archetipo del sec. II-III, dal quale derivano anche l'epitome palatina del sec. X e l'originale del codice A (Parigino 1397), contenente i libri I-IX, e di un gruppo di altri codici contenenti i libri X-XVII. Da un esemplare gemello dell'originale di A deriva un altro gruppo di codici contenenti i libri I-IX. L'edizione principe è l'aldina del 1516. La prima traduzione latina di St. fu opera di Guarino Veronese e uscì a stampa nel 1471, a Roma.

Ediz.: I frammenti dell'opera storica in C. Müller, Fragmenta Hist. Graec., III, p. 490, e in F. Jacoby, Die Fragmente der griech. Historiker, II A, p. 430, e II C, p. 291, Berlino 1926.

Edizioni più notevoli della Geografia: del Casaubon, Ginevra 1587; nuova ed. Parigi 1620, con commento classico: secondo le pagine di questa ed. molti citano ancora il testo di St.; ediz. critica di G. Kramer, in 3 volumi, Berlino 1844-52; di A. Meineke, 1852-53, voll. 3, Lipsia 1866-77; di C. Müller nella collezione Didot, Parigi 1858-77; di W. H. S. Jones e J. R. S. Sterret nella Loeb Classical Library, con trad. dello Sterret, Londra-New York 1917. A una nuova edizione critica si era accinto B. Niese per conto dell'Accademia di Prussia; la continuazione del lavoro fu assunta da W. Aly. Vers. ital. di F. Ambrosoli, voll. 5, Milano 1827-35; la descrizione dell'Italia fu tradotta da G. Sottini, I, Pisa 1882, e da O. Zuretti, in Pubol. dell'Atene e Roma, Sez. di Milano, Milano 1923.

Bibl.: E. Pais, Straboniana, in Riv. di filologia, XV (1886), p. 97; id., Intorno al tempo e al luogo in cui St. compose "La geografia storica", in Mem. Accad. scienze Torino, XL, e in ediz. riveduta in Ricerche storiche e geografiche sull'Italia antica, Torino 1908; M. Dubois, Examen de la géographie de St., Parigi 1891; E. Honigmann, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV A, col. 76, con scelta della copiosissima letteratura.