Sting

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

Sting

Ernesto Assante

Un protagonista del pop

Musicista rock inglese, Sting ha attraversato da protagonista l’ultimo trentennio musicale. Alla guida della band Police ha contribuito a sovvertire la sintassi del rock, poi, come raffinato solista pop, ha sintetizzato una formula di successo comprensiva di elementi jazz, pop ed etnici

Dal gruppo dei Police a solista pop

Sting è il nome d’arte del musicista inglese Gordon Matthew Sumner, nato a Wallsend, in Northumberland, nel 1951. Dopo avere partecipato come bassista e vocalist all’esperienza dei Police, intraprende una carriera in proprio. La passione per il jazz è già rintracciabile nello stile delle prime formazioni delle quali, poco più che ventenne, entra a fare parte a Newcastle: i Phoenix jazzmen e i Riverside men.

La prima prova in proprio, The dream of the blue turtles (1985) avviene quando i Police non hanno ancora terminato il loro percorso artistico, ma il taglio con quel mix di ritmi rock e reggae che aveva caratterizzato la band è ormai netto. Per l’occasione Sting si circonda di jazzisti di grido, come il sassofonista Brandon Marsalis e Omar Hakim alla batteria, e dà vita a un mélange di pop, jazz e canzone d’autore che rimarrà il filo conduttore della sua produzione. If you love somebody set them free e l’inno al disarmo Russians mettono in campo le ambizioni musicali e intellettuali di Sting, che si propone come autore e compositore pop di qualità.

Ambizioni confermate nel doppio album live intitolato Bring on the night (1986), colonna sonora di un documentario-concerto che testimonia la nuova vita artistica di Sting. Nel giugno del 1986 i Police si esibiscono in occasione dell’Atlanta Amnesty International’s all star American tour: è la loro ultima volta e il progetto di un sesto album naufraga poco dopo. L’ultimo capitolo di Sting con la band (a parte occasionali riunioni) è quindi il singolo Don’t stand so close to me.

Tra impegno sociale e riflessione privata

Nel 1987 Sting pubblica Nothing like the sun, avvalendosi ancora di Marsalis, affiancato dal celebre jazzista Gil Evans. Il jazz pop del lavoro viene apprezzato anche dai critici più severi, perplessi dopo la svolta sofisticata come solista. A fianco del singolo We’ll be together compaiono brani come They dance alone (dedicata alle madri di Plaça de Mayo e al dramma dei desaparecidos sotto la dittatura argentina) che rivelavano l’anima politica e impegnata dell’ex Police. È in questi anni che si rafforza anche l’impegno sociale del cantante a favore di Amnesty International e per la causa ambientalista della Rainforest foundation. Nel successivo The soul cages (1991), Sting si serve della stessa formazione del precedente album, ma con un ruolo più decisamente da cantautore. Si tratta di una sorta di riflessione privata sulla sensazione di perdita, ispirata alla recente morte del padre: i toni sono gentili e dimessi, come dimostra il Walzer di Mad about you, ma l’album non riesce a imporsi come campione di vendite.

Due anni dopo arriva Ten Summoner’s tales (1993) che segna l’emancipazione dal jazz, seppure informale e contaminato dal pop come nelle ultime prove. Melodie più convenzionali sorreggono le canzoni dell’album, come la ballata Fields of Gold, che rivela uno Sting riconciliato con il suo passato e in sintonia con una canzone d’autore più moderna e meno pretenziosa.

I successi più recenti

Dopo la prova per il film I tre moschettieri di Stephen Herek (1994) con Rod Stewart e Bryan Adams che frutta il singolo All for love, Sting ritorna sul mercato discografico con Mercury falling (1996), album interlocutorio che cerca una strada verso mete più soul, pur confermando una predisposizione per forme pop meno complesse.

I fasti di vendite della seconda metà degli anni Ottanta rimangono un ricordo fino all’uscita di Brand new day nel 1999, un album dalla produzione patinata che, a partire dal singolo con lo stesso titolo e da Desert rose con la collaborazione del violinista Farhat Bouallagui, mette in campo atmosfere solari e arrangiamenti brillanti. All’album partecipano anche Lyle Lovett e il pianista David Hartley.

La formula di un approccio pop alla world music è ripetuta nel successivo Sacred love (2003), che si avvale dell’apporto vocale di Vincente Amigo, Anoushaka Shankar e della soul singer Mary J. Blige con la quale Sting dà vita al duetto Whenever I say your name.

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