Sterilizzazione

Universo del Corpo (2000)

Sterilizzazione

Ettore Cittadini
Alessandra Lo Presti
Eugenia De Luca

Il termine sterilizzazione, che designa l'operazione di rendere sterile, l'effetto che ne deriva e anche il modo con cui tale intervento viene effettuato, assume valenze diverse a seconda dell'ambito di riferimento. In biologia indica la soppressione della normale capacità procreativa della femmina e del maschio. In campo biomedico, e nell'industria alimentare e farmaceutica, indica l'eliminazione di tutti i microrganismi viventi, patogeni e no, e delle loro spore, da oggetti (strumenti chirurgici, vetreria, tessuti ecc.) o da sostanze varie (medicinali, alimenti da conservare, terreni di coltura per batteriologia ecc.).

La sterilizzazione femminile e maschile

di Ettore Cittadini, Alessandra Lo Presti 

1.

Aspetti generali

La sterilizzazione può essere definita come la soppressione deliberata e premeditata della fertilità senza che questo atto comprometta le altre funzioni, sessuali ed endocrine, dell'individuo. Essa rappresenta un metodo teoricamente irreversibile di controllo della fertilità, o almeno come tale deve essere prospettata, dato che gli interventi di recupero della fertilità sono di complessità ben maggiore di quelli attuati per la sua soppressione e i loro risultati aleatori. Proprio per questi motivi la sterilizzazione si differenzia dalla castrazione, che annulla la fertilità per asportazione delle gonadi, con conseguenze sull'assetto ormonale e sessuale della donna e dell'uomo, ma anche dalla contraccezione, che sopprime la fertilità solo temporaneamente. La sterilizzazione viene praticata come tecnica di controllo delle nascite da oltre un secolo, ma è solo dagli ultimi trent'anni del 20° secolo che essa ha conosciuto un notevole successo. Si calcola che nel mondo ogni anno vengano praticati almeno 5 milioni di sterilizzazioni con un rapporto uomo/donna di 3 a 1, e questo grazie alle profonde modificazioni verificatesi nelle moderne società industrializzate, alla politica di controllo delle nascite nei paesi in via di sviluppo e al notevole miglioramento delle procedure chirurgiche di sterilizzazione. Solamente dieci anni fa, infatti, la sterilizzazione femminile richiedeva una chirurgia addominale con anestesia generale e un certo numero di giorni di ospedalizzazione. Oggi, l'avvento di nuove tecniche, come la vasectomia nell'uomo e la laparoscopia e la minilaparotomia nella donna, ha fatto della sterilizzazione un importante settore dei programmi di pianificazione familiare. In tutto il mondo vi è stata una notevole liberalizzazione legale della sterilizzazione volontaria; nel 1949, infatti, la British royal commission on population ha riconosciuto la sterilizzazione come un metodo di controllo delle nascite e negli Stati Uniti la sterilizzazione volontaria è considerata legale in 50 Stati su 52, anche se in alcuni di essi è richiesta la presenza di determinate condizioni di base (Quartararo 1995). In Italia, viceversa, questo metodo è proibito dalla legge, anche dopo l'introduzione della l. 22 maggio 1978, nr. 194, sulla tutela sociale e sull'interruzione volontaria della gravidanza; infatti non è stato depenalizzato l'art. 5 c.c. che recita: "gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionano una diminuzione permanente della integrità fisica" e specifica che la sterilizzazione produce una "lesione permanente grave" come la perdita della fertilità.

2.

Sterilizzazione femminile

La prima sterilizzazione femminile per ostruzione chirurgica delle tube è stata proposta, ma non realizzata, dall'inglese I. Blundell nel 1824. Solo nel 1880 l'americano S. Lundgren praticò la prima legatura delle tube in una donna che aveva subito il secondo taglio cesareo, e quindi come gesto aggiuntivo a un intervento che aveva un'altra finalità preminente. Nel 1897 la sterilizzazione tubarica venne realizzata come fine unico dell'intervento chirurgico. Nonostante gli enormi progressi della contraccezione classica, la sterilizzazione è sempre più richiesta per una serie di motivi che sono rappresentati dalla notevole sicurezza, dall'assenza di controindicazioni, dalla ottima tollerabilità e, infine, dal fatto che non necessita di ulteriori controlli periodici. Le indicazioni sono di ordine medico, medicosociale, ma soprattutto di convenienza personale. Le indicazioni mediche, sempre più rare, sono relative a gravi malattie della donna, per la quale una gravidanza comprometterebbe la salute o addirittura la vita. Tali indicazioni incidono in una percentuale trascurabile, ma si devono ricordare perché riguardano donne nelle quali la sterilizzazione rappresenta l'unico metodo di avere una vita sessuale tranquilla, in quanto per loro tutte le altre tecniche contraccettive non sono attuabili o sono insufficienti. Tra queste indicazioni figurano le cardiopatie gravi, la vasculopatie severe, l'ipertensione, il diabete in fase di scompenso, le malattie neuropsichiatriche gravi, i tumori in genere, ma in special modo quelli ginecologici e cerebrali. Possono rappresentare indicazione alla sterilizzazione tagli cesarei ripetuti e interventi ginecologici, ma solo per scelta della paziente. Un posto a parte spetta all'indicazione medicosociale che riguarda donne con prole numerosa e nelle quali una gravidanza ulteriore potrebbe rappresentare un evento fortemente negativo sotto il duplice profilo socioeconomico e della salute. In questa indicazione sono comprese le sterilizzazioni praticate nei paesi in via di sviluppo nei quali si pone in termini drammatici il problema della sovrappopolazione. La vera grande indicazione alla sterilizzazione femminile, che incide per oltre il 90% dei casi, è però quella detta di convenienza. Si tratta di donne che hanno già avuto varie gravidanze e che non accettano alcun metodo contraccettivo, specialmente se hanno subito una o più interruzioni di gravidanza. Prima di accedere a una richiesta di sterilizzazione il medico ha il dovere di spiegarne il significato alla donna e alla coppia, chiarire che si tratta pur sempre di un intervento operatorio, di insistere sulla sua irreversibilità e farne firmare un consenso informato. È auspicabile un colloquio approfondito e ripetuto con uno psicologo, durante il quale la donna e la coppia possano avere modo di riflettere sul gesto che stanno per compiere. In linea teorica, la donna 'ideale', cioè quella che può essere sottoposta alla sterilizzazione con minori problemi, è la donna che ha almeno tre figli di sesso differente, un'età superiore ai 35 anni e fa parte di una coppia stabile. La richiesta di desterilizzazione viene fatta da circa il 2% delle donne che si sono sottoposte a sterilizzazione. Tale cifra, bassa in assoluto se rapportata a decine di milioni di sterilizzazioni chirurgiche, rappresenta tuttavia un numero non esiguo di donne, tanto che questo fenomeno potrebbe costituire nei prossimi anni un problema di rilevanza sociale. La domanda di ripristino della fertilità è dovuta a cambiamenti della vita della donna, per es. la perdita improvvisa di uno o due figli, un nuovo matrimonio, oppure a semplici pentimenti. Questi ultimi riguardano donne giovani, operate prima dei 30 anni, nelle quali le motivazioni all'intervento non erano state valutate bene dal medico e forse non consapevolmente dalla donna. È importante, quindi, che la paziente possa discutere con il proprio medico al fine di arrivare a una scelta veramente consapevole. L'operazione deve essere accettata come irreversibile in quanto, anche se in futuro si dovranno creare le condizioni più idonee per rendere la sterilizzazione reversibile, non sarà mai possibile offrire una garanzia assoluta di successo.

Le metodiche con le quali si può procedere alla sterilizzazione della donna sono diverse, ma pressoché tutte le tecniche agiscono sulle salpingi, asportandole totalmente o in parte, oppure occludendole. La sterilizzazione femminile viene generalmente richiesta come atto complementare ai cesarei iterativi, ed è solo in questo caso che si ravvisa ancor oggi l'utilità di eseguirla con le tecniche laparotomiche classiche; in tutte le altre condizioni essa viene realizzata per via laparoscopica o minilaparotomica o, recentemente, anche per via isteroscopica.

a) Tecniche laparotomiche. La via laparotomica, la prima a essere utilizzata per la sterilizzazione femminile, consiste nel praticare una laparotomia per raggiungere le tube, che possono essere occluse con una legatura semplice o doppia mediante un filo di materiale non riassorbibile; alla legatura può essere aggiunta la sezione della tuba stessa con o senza asportazione di un tratto di essa. Tra i molti metodi proposti, quelli generalmente più adottati sono rappresentati dai metodi di Pomeroy, di Madlener e di Irving. Il metodo di Pomeroy (asportazione di un tratto della tuba) è quello più frequentemente usato, soprattutto negli Stati Uniti, in quanto più semplice e più rapido. Ad addome aperto la tuba viene afferrata e sollevata nel tratto mediano con una pinza emostatica e l'ansa che in tal modo si forma viene perforata, legata e quindi resecata, con asportazione di almeno 2 cm di tuba. Il metodo di Madlener (schiacciamento con allacciatura della tuba) consiste nell'apporre una sola legatura nel tratto istmico della salpinge con materiale non riassorbibile, nel creare, facendo trazione su di essa, un'ansa, nello schiacciare la salpinge e quindi nell'apporre nell'ansa schiacciata una seconda legatura; quindi con questo procedimento non si taglia il moncone legato e l'occlusione viene prodotta dalla sutura di seta e dallo schiacciamento della tuba. Il metodo di Irving (isolamento, dopo sezione, dei monconi tubarici mediante affondamento) consiste nella transezione tubarica a livello istmico e nell'infossamento di un segmento di tuba nel miometrio del fondo. La sicurezza delle sterilizzazioni laparotomiche è massima perché si agisce con visione completa dell'apparato genitale e incidenti, se presenti, possono essere prontamente riparati. L'eventuale reversibilità di questi interventi dipende dalla tecnica usata e dal tratto di tuba asportato. Esiste poi la tecnica della minilaparotomia, poco usata, secondo la quale si pratica una incisione, sotto anestesia locale, di 2-3 cm al di sopra del pube. Una cannula intrauterina manipola l'utero fino alla posizione desiderata e, identificate le tube, viene effettuato il procedimento di sterilizzazione. Sono necessarie solamente normali attrezzature chirurgiche, e l'intervento è relativamente semplice in pazienti magre.

b) Tecniche laparoscopiche. La via laparoscopica è ormai la tecnica maggiormente utilizzata perché consente di raggiungere lo scopo con un intervento minimo, caratterizzato da estrema semplicità, da una degenza che si può ridurre a poche ore e dall'assenza di cicatrici laparotomiche. Proposta, nel 1962, da R. Palmer che la praticava realizzando una coagulazione-sezione degli istmi tubarici, questa tecnica è stata notevolmente perfezionata in quanto oggi si può eseguire una sterilizzazione impiegando la coagulazione bipolare biattiva, la coagulazione a bassa temperatura e soprattutto applicando sulla tuba degli anelli o delle clip (tecniche meccaniche). L'intervento è effettuato in anestesia generale e la prima parte è del tutto simile a una laparoscopia diagnostica; la realizzazione di una seconda via, in genere nella zona sovrapubica, permetterà la sterilizzazione secondo la tecnica prescelta. L'elettrocoagulazione bipolare biattiva prevede la coagulazione di un piccolo tratto di istmo tubarico che poi può essere sezionato. La coagulazione a bassa temperatura viene realizzata con la pinza a coccodrillo di Semm e permette di coagulare a una temperatura di circa 140 °C per 30 s un tratto di istmo tubarico di 1-2 cm, che può essere sezionato poi con le forbici laparoscopiche. Con queste tecniche si possono avere degli incidenti, talvolta di una certa gravità, legati all'uso dell'energia elettrica e a manovre non perfettamente eseguite. Si possono infatti causare lesioni a carico degli organi endoaddominali, specie l'intestino, e sanguinamenti del mesosalpinge. L'efficacia di queste tecniche di sterilizzazione è altissima ma, a causa delle lesioni provocate su segmenti più o meno estesi della tuba, il loro carattere di irreversibilità deve essere ribadito con forza. Le tecniche meccaniche di sterilizzazione, messe a punto per evitare i rischi legati all'uso dell'elettrochirurgia, consistono nell'occludere la tuba mediante l'applicazione di clip o anelli. Anche queste tecniche sono rapide ed efficaci e comportano sicuramente meno rischi durante la loro esecuzione: i presidi più noti sono le clip di Hulka, le clip di Filshie e gli anelli di Yoon. La via per applicarli è quella laparoscopica e necessita, al pari delle tecniche elettriche, di una seconda via sovrapubica attraverso cui, nel caso delle clip, si introduce una pinza particolare che porta sulla sua punta la clip aperta, che verrà chiusa sulla tuba con un meccanismo a scatto. In tal modo il lume tubarico sarà occluso. Diversa è l'applicazione dell'anello di Yoon, costituito da un anello di silicone elastico. Il suo applicatore è formato da due cilindri: quello interno è provvisto di una pinza che serve per prendere la tuba e sollevarla facendole formare un'ansa; sul cilindro esterno è invece collocato l'anello che ha in questo momento un diametro superiore a quello reale perché dilatato. Quando l'anello viene spinto verso la tuba e la tuba stessa penetra dentro di esso, viene rilasciato. In tal modo l'anello riprende il suo diametro interno originale che è di 1 mm e la tuba viene chiusa. Tali tecniche sono ben tollerate e la loro efficacia è molto alta. Gli unici incidenti sono rappresentati da lacerazioni della tuba o del mesosalpinge; in questi casi è necessaria un'emostasi per elettrocoagulazione. Usando tali tecniche di sterilizzazione si ha una certa possibilità di ottenere una ricanalizzazione della tuba in caso di pentimento della donna. Infatti, il tratto di tuba occlusa non è molto esteso e non si ha distruzione di tessuto (come per i metodi elettrici) e quindi un intervento di anastomosi tubotubarica può avere successo nel 40-50% dei casi se eseguito utilizzando tecniche microchirurgiche. La percentuale di successo è confrontabile con quella della sterilizzazione laparotomica, però non può essere eseguita in puerperio a causa del maggiore spessore del cilindro tubarico. Esiste una via isteroscopica di sterilizzazione, che potrà avere in futuro una notevole evoluzione. Il punto scelto per l'occlusione tubarica è costituito dalla giunzione uterotubarica, che può essere riconosciuta durante l'isteroscopia. Allo stato attuale si può, attraverso il canale cervicale, penetrare nella cavità uterina per visualizzare gli orifizi delle tube. Su di essi si possono tentare diverse soluzioni per occluderli: o l'uso di corrente elettrica per cauterizzarli e quindi occluderli, oppure l'iniezione di soluzioni liquide che si trasformano in loco solidificandosi e realizzando in tal modo un blocco meccanico. Esiste anche la possibilità di applicare per via isteroscopica dei dispositivi intrauterini al silicone (di Hamou) che consentono una 'sterilizzazione temporanea'. Sono tecniche in evoluzione, che meritano però grande interesse per la loro semplicità. Globalmente si riscontrano fallimenti della sterilizzazione con una frequenza dello 0,3% delle pazienti, e questi sono strettamente collegati ai tassi di gravidanza intra- o extrauterina. Sono perlopiù dovuti a interventi che vengono condotti sul legamento rotondo oppure su pliche peritoneali a causa di mancato riconoscimento delle tube, ma sono imputabili anche a un intervento insufficiente sulla tuba (per es., cauterizzazione senza sezione, clip di Hulka con scarsa pressione ecc.). Le metodiche occlusive con l'elettrocoagulazione hanno l'inconveniente della scarsa reversibilità, mentre quelle con le clip metalliche o gli anelli di silastic presentano una percentuale di fallimenti dell'1-3% perché le salpingi si possono ricanalizzare spontaneamente. Le metodiche che utilizzano clip e anelli hanno il vantaggio di una maggiore reversibilità: in questi casi i successi in seguito ad anastomosi con tecnica microchirurgica raggiungono anche il 60-70%. Si è talvolta parlato di sindrome poststerilizzazione, ma in genere i disturbi lamentati da una esigua minoranza delle pazienti non trovano riscontri né anatomici né funzionali, e sono in genere dovuti all'adattamento a una nuova condizione che la donna sa essere irreversibile. Le conseguenze psicosessuali sono invece nettamente positive: secondo i dati, lo stato psicologico è migliorato nel 96% delle donne, mentre più del 50% di esse ha notato una vita sessuale più soddisfacente; il timore di una gravidanza persiste in meno dell'1%. Le ripercussioni psicologiche sono generalmente legate a personalità instabili (di qui l'importanza del counselling psicologico preoperatorio) o a decisioni affrettate (di qui l'importanza del periodo di riflessione).

3.

Sterilizzazione maschile

La sterilizzazione maschile viene realizzata attraverso la resezione dei dotti deferenti; tale intervento, denominato vasectomia, ha lo scopo di impedire il passaggio degli spermatozoi nell'eiaculato, rendendo conseguentemente questo liquido privo della capacità fecondante. In linea di massima, la vasectomia viene richiesta perché vi sono molti figli, in particolar modo se coesistono condizioni economiche familiari precarie, oppure per la fondata possibilità di pericoli anche gravi per la partner di fronte a una o a una nuova gravidanza, o per motivi ideologici, oppure ancora in seguito a indicazioni genetiche. Chirurgicamente la vasectomia non costituisce un problema, tanto che può essere generalmente attuata in anestesia locale e in ambulatorio. Delle difficoltà possono semmai sorgere perché, se si vuole agire con correttezza, essa deve essere attuata tenendo sempre presente la possibilità di una successiva richiesta da parte del paziente di un ripristino della continuità del deferente (desterilizzazione, o vaso-vasostomia). La tecnica convenzionale consiste nell'isolamento del deferente attraverso una incisione medioscrotale. Il deferente, nel cui isolamento vanno rispettati al massimo gli elementi vascolari e nervosi, viene resecato per un piccolo tratto (2 cm) sufficiente a impedire una possibile ricanalizzazione spontanea e i monconi vengono legati alle estremità con filo sottile a lento assorbimento. Risultano necessarie un'emostasi e una sterilità del campo perfette, per prevenire le complicanze rappresentate: dalla possibilità di ricanalizzazione spontanea, di solito per cedimento delle legature in concomitanza di una resezione troppo breve del vaso; oppure dalla formazione di un granuloma spermatico, che è una reazione flogistica dovuta alla dispersione dello sperma dall'epididimo o dal deferente nei tessuti circostanti per cedimento delle legature dei monconi. Un'ulteriore complicanza è rappresentata dall'insorgenza di situazioni psicologiche che vengono a instaurarsi nel tempo con riduzione marcata della libido, fino a una vera e propria impotenza. Queste ultime possono essere prevenute attraverso una chiara informazione del paziente e della partner sia sul tipo di intervento che viene attuato sia sull'assenza di reali modificazioni della funzione testicolare in rapporto all'intervento stesso. Una variante a questo tipo di intervento è rappresentata dalla tecnica di Schmidt, la quale, dopo la sezione di 2-3 mm di deferente, non prevede la legatura dei monconi, ma l'introduzione nel lume di entrambi i monconi, per 3-4 mm, di un elettrodo che folgora lo strato di mucosa. A questo punto i due monconi sono separati da uno strato di fascia (Schoysman 1994). L'efficacia di tale procedura è superiore alla semplice legatura dei monconi, sia perché riduce la possibilità che si realizzi la necrosi delle due estremità sezionate, sia perché la corretta esecuzione della vasectomia causerà la perdita di 10-12 mm al massimo di deferente e questo rende più facile una eventuale vaso-vasostomia. Il successo della vasectomia viene valutato dall'esame dell'eiaculato, quindi i pazienti devono essere informati che la condizione di azoospermia non interviene subito dopo l'intervento, ma sono richieste almeno otto settimane, e inoltre che è necessario che vi siano almeno due esami dello sperma negativi prima di abbandonare eventuali altre tecniche contraccettive.

Un cenno merita una tecnica ancora in fase sperimentale, rappresentata dall'ostruzione chirurgica del deferente in alternativa alla vasectomia, mediante l'inserzione nei dotti deferenti di piccolissimi dispositivi di materiale inerte, come per es. i tamponi in silastic o polietilene, capaci di occludere il lume dei dotti e peraltro facilmente rimovibili in caso di desiderio di fertilità; la loro efficacia è attualmente assai scarsa. Dal punto di vista medico, la vasectomia non comporta alcun inconveniente, a eccezione di alcuni casi di dolorabilità locale; di maggiore rilievo è invece l'eventuale produzione di anticorpi antispermatozoo, che ha rilevanza solamente nel caso che l'uomo desideri avere ripristinata la sua fertilità. La riuscita dell'intervento di desterilizzazione dipende dalle dimensioni del tratto di dotto precedentemente asportato e dall'esperienza del chirurgo. I motivi che portano a chiedere questo reintervento sono rappresentati da un secondo matrimonio dopo divorzio o decesso della coniuge, da un miglioramento delle condizioni economiche, dalla morte di uno o più figli, o da fattori di ordine psicologico sopravvenuti alla vasectomia. Le soluzioni tecniche della vaso-vasostomia consistono nella anastomosi epididimodeferenziale, nell'anastomosi terminoterminale o nella anastomosi laterolaterale. Le cause anatomiche di insuccesso della vaso-vasostomia possono essere la presenza di un granuloma spermatico, l'ostruzione del canale prossimale o dell'epididimo, l'imperfetto allineamento dei lumi dei monconi, la vasectomia su canale contorto o l'ablazione di un segmento troppo lungo. Le cause funzionali di insuccesso sono rappresentate da variazioni morfologiche e funzionali testicolari, da interferenze sul liquido delle ghiandole accessorie, da interferenze endocrine, immunologiche, urologiche, da modifiche psicosessuali, da processi emocoagulatori e infine da postumi chirurgici. La ricomparsa degli spermatozoi nell'eiaculato, dopo vaso-vasostomia, si ottiene nella maggior parte dei casi, ma minore è la percentuale di gravidanza, a causa della perdita della normale motilità dei deferenti e per la comparsa di anticorpi antispermatozoo. In conclusione, la vasectomia è un procedimento di piccola chirurgia che, quando è combinato con adeguati controlli a distanza, permette una contraccezione altamente affidabile. È potenzialmente reversibile in circa il 50% dei casi, purché la vasectomia originale sia stata correttamente effettuata. In realtà esiste una sola indicazione assoluta per la vasectomia: una malattia ereditaria trasmessa dai geni del marito. A prescindere da questi rari casi, le indicazioni sono tutte relative e dipendono da una molteplicità di circostanze familiari.

L'eliminazione dei microrganismi

di Eugenia De Luca

La sterilizzazione di materiali o ambienti ha lo scopo di distruggere qualsiasi forma vivente, ossia tutti i microrganismi patogeni e saprofiti, comprese le spore. I procedimenti utilizzati per la sterilizzazione sono di tipo fisico e chimico. I mezzi fisici sono rappresentati dal calore (il più frequentemente usato), dai raggi ultravioletti e dalle radiazioni ionizzanti. Le sostanze chimiche sono meno utilizzate per una serie di inconvenienti cui possono dar luogo, quali la non garanzia di distruzione delle spore, l'alterazione del materiale con il quale le sostanze vengono a contatto, la persistenza di residui tossici o irritanti nel materiale trattato ecc. L'unica sostanza chimica che viene attualmente applicata è l'ossido di etilene.

1.

Calore

Può essere utilizzato sia il calore secco sia il calore umido. Il calore secco può essere applicato come fiamma viva per il flambaggio di superfici e oggetti (per es. le anse da batteriologia) oppure per l'incenerimento di materiali contaminati che si vogliono distruggere (per es. rifiuti speciali ospedalieri), ma può essere applicato anche come aria calda. Si utilizzano, a tale scopo, appositi armadi-stufa a doppia parete (stufa a secco o di Pasteur), i quali possono raggiungere temperature fino a 200 °C. In genere, al fine di distruggere le spore termoresistenti e sterilizzare vetreria di laboratorio, siringhe, aghi, polveri, oli, strumenti chirurgici di piccole dimensioni, vengono impiegate temperature di 180 °C per almeno 30 min oppure 160 °C per almeno 60 min. Il calore umido viene di solito utilizzato come vapore saturo sotto pressione, che costituisce senz'altro il migliore metodo di sterilizzazione poiché l'aumento di pressione consente di ottenere temperature superiori ai 100 °C, capaci di distruggere ogni forma vivente. Infatti sia il vapore fluente sia l'acqua in ebollizione, la cui temperatura non supera i 100 °C, sono assai meno efficaci in quanto non assicurano l'eliminazione delle spore termoresistenti. Il calore saturo sotto pressione viene applicato mediante particolari apparecchiature a perfetta tenuta, le autoclavi; ne esistono diversi tipi (di forma cilindrica, cubica o parallelepipeda; a disposizione verticale od orizzontale; con generatore di vapore distaccato o incorporato ecc.) e devono essere sempre provviste di manometro e di termometro per controllarne il funzionamento. Le autoclavi verticali hanno di solito dimensioni modeste e servono per il trattamento di piccole quantità di oggetti o materiali, mentre negli ospedali vengono utilizzate le grandi autoclavi di tipo orizzontale, costituite da un robusto cilindro metallico munito alle due estremità di sportelli a chiusura ermetica. Con il tempo tuttavia si sono realizzate apparecchiature altamente sofisticate e a elevata automazione, destinate all'uso sanitario e industriale. L'autoclave può essere impiegata per sterilizzare materiale tessile (lino, cotone, materassi, coperte, biancheria, abiti usati ecc.), strumenti metallici, materiale da medicazione, oggetti di gomma (guanti, drenaggi ecc.). Nel corso della fase di sterilizzazione la temperatura e la pressione vengono mantenute ai livelli desiderati per un periodo che viene calcolato sommando i tempi di penetrazione del calore, di esposizione e di sicurezza. Anche alcuni alimenti di origine animale e vegetale, particolarmente quelli in scatola, confezionati in contenitori chiusi ermeticamente possono essere sterilizzati in autoclave a una temperatura superiore a 120 °C per almeno 15 min. In tal modo si ottiene la distruzione delle spore e la possibilità di conservare gli alimenti per alcuni anni a temperatura ambiente. Di notevole importanza è il controllo della sterilizzazione, distinguibile in: controllo strumentale (verifica della corrispondenza tra temperatura e pressione come rilevati da termometro e manometro); controllo fisico-chimico (introduzione di fialette con sostanze che fondono o cambiano colore a determinate temperature); controllo biologico (introduzione di confezioni di spore termoresistenti che, se inattivate, provano l'efficacia del trattamento).

2.

Radiazioni

I raggi ultravioletti sono ottenuti da particolari lampade a vapori di mercurio rarefatti (lampade germicide) e utilizzati alla lunghezza d'onda di 2500 Å, dotata della maggiore attività battericida. La loro azione antimicrobica è molto rapida (agiscono danneggiando il DNA); tuttavia, il loro scarso potere di penetrazione ne limita l'azione alle superfici direttamente esposte. Vengono pertanto utilizzati per la sterilizzazione dell'aria e dei piani di appoggio in ambienti protetti, quali cabine per lavori di alta sterilità (manipolazione di farmaci e di materiali biologici: virus, colture di cellule ecc.) e per ridurre il più possibile la contaminazione dell'aria in camere operatorie, reparti per immaturi, ambienti di industrie alimentari ecc. Fra le radiazioni ionizzanti, si utilizzano i raggi γ per la loro potente e rapida azione sterilizzante. Sono ottenuti da sorgenti di cobalto 60 e la loro elevata capacità di penetrazione li rende indicati per la sterilizzazione dei presidi medicochirurgici, in particolare di quelli a perdere (per es., siringhe di plastica, cateteri, fili di sutura, guanti ecc.), che possono essere trattati nelle confezioni già sigillate.

3.

Ossido di etilene

L'ossido di etilene è molto attivo contro tutti i microrganismi comprese le spore batteriche e può essere impiegato per uso ospedaliero. Tuttavia, essendo un gas irritante e tossico deve essere utilizzato con molta cautela e per la sterilizzazione di materiali e strumenti delicati (sonde, tubi endotracheali ecc.), che non possono essere sottoposti all'azione del calore in autoclave o in stufa a secco. L'effetto sterilizzante dipende dalla concentrazione del gas (500-1000 mg/l), dal tempo di esposizione (3-6 ore), dalla temperatura (50-60 °C) e dall'umidità relativa (20-60%). La sua capacità di penetrazione è notevole e può determinare l'assorbimento del gas da parte del materiale sottoposto a sterilizzazione. Pertanto, per evitare fenomeni tossici e nocivi è richiesto un prolungato tempo di conservazione (che può andare da 24 ore fino a 15 giorni a temperatura ambiente) del materiale sterilizzato per garantire l'assenza di residui del gas.

bibliografia

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