STELE

Enciclopedia dell' Arte Antica (1966)

Vedi STELE dell'anno: 1966 - 1997

STELE (στέλη)

G. A. Mansuelli

I problemi vertono a cominciare dalla stessa etimologia del termine, che è stato connesso o con ἵστημι, nel significato di "star ritto" e quindi in rapporto alla posizione verticale del monumento, o con στέλλω (Boissaq) nel senso di "preparare, allestire" e in rapporto quindi all'intenzionalità della collocazione: s. funeraria e s. più genericamente commemorativa. Altri problemi concernono non tanto la molteplicità di significati che tutti più o meno si riportano, ancestralmente, ad una concezione religiosa, quanto la "priorità" dell'uno rispetto all'altro nelle diverse civiltà che conosciamo e gli scambi fra queste civiltà. In parte ciò dipende dal comune equivoco di cercare unilateralmente l'"Origine" di un fenomeno, che in questo caso riveste un interesse speciale, per l'importanza che la s. ebbe quasi dovunque nel mondo antico. Più che a rapporfl di reciproci influssi stilistici, questione che concerne esclusivamente la s. come espressione d'arte e quindi principalmente la sua interpretazione nel mondo greco, importa in via preliminare accennare alle ascendenze più remote della s., della quale il menhir (v.) è considerato generalmente un antefatto, almeno da parte degli studiosi di preistoria e per il continente europeo. In realtà al menhir, certamente caricato di un significato simbologico della sfera magico-religiosa primitiva, competeva la funzione pratica di riconoscimento esteriore della tomba, ma altresì e soprattutto quella di punto di riferimento, di "sede" dello spirito del trapassato, estrinsecato per qualche studioso nell'insistere dell'uccello-anima su un pilastro. Se anche si vuol far risalire ad uno strato più primitivo ancora l'altra funzione di impedimento all'uscita dello spirito dalla tomba, certo in ogni caso la pietrafitta (o il suo succedaneo ligneo, tavola o palo) sono inequivocabilmente connessi col sepolcro.

1. Mesopotamia. Egitto. - L'Oriente ha conosciuto da data remotissima la s. come segnacolo commemorativo, dichiarante la potenza del re e celebrativo della sua vittoria, che, per il carattere delle monarchie orientali, non si presenta estraneo alla sfera religiosa, essendo la potenza del re estrinsecazione in terra di una forza trascendente la sfera umana; il quale concetto si estrinseca visivamente in una rappresentazione figurata e in una dimensione monumentale (s. di Eannatum: circa 2350 a. C., vol. iv, figg. 1251-1252; di Naram Sin: vol. i, figg. 23, 24); poco più tardi la s. contiene scene di culto tributate dal re alle divinità (s. di Ur-Nammu, circa 2050 a. C. da Ur, Philadelphia). La comunicatività visiva si integra più tardi con un significato più speciale, quando alla s. è raccomandato il testo del codice di Hammurapi; nella testata il dio solare conferisce al re le insegne del potere (1728-1686 a. C., altezza m 2,25, al Louvre). Circa nello stesso tempo in un tempio di Biblo una serie di monoliti semplicemente geometrizzati ci riporta ad un valore connesso alla pietrafitta come simbolo religioso-aniconico. La tradizione mesopotamica è continuata nella seconda metà del II millennio a Susa, con evidenti influssi egizî (stele di Melihipak II, circa 1200 a. C. al Louvre). Il significato funerario è in Oriente certamente introdotto molto più tardi, soltanto in Asia Minore, con le s. neo-hittite del sec. VIII, le quali stilisticamente rappresentano una convergenza di influenze mesopotamiche e egiziane (s. di Tarhumpiyas, altezza cm 75, al Louvre) e prescindono da un'affermazione monumentale. È probabile si possa istituire qualche rapporto fra le più antiche s. celebrative mesopotamiche (stele della caccia da Uruk, inizio III millennio) e le "tavolette di vittoria" predinastiche d'Egitto, per quanto l'analogia tematica possa dipendere da analogia di situazione. Certo in Egitto alla stessa alta antichità risale l'accezione funeraria (numeroso gruppo di s. da Abido, della I dinastia, tra cui la piccola s. della principessa Khehen, al Museo Kestner, Hannover; circa 28oo a. C.). E in Egitto ciò è indizio esplicito della coerenza e "globalità" di ogni manifestazione (v. egiziana, arte). Certo in Egitto, nonostante la dimensione eccezionale assunta dai programmi funerarî (v. monumento funerario; tomba) la s. non è mai stata abbandonata e fin dai più remoti esempi presenta quella complementarietà fra corpo, apparato figurale ed apparato epigrafico che è proprio del monumento nel suo completo significato, anche se la sua dimensione generalmente media o piccola, anche minima (riflettente la rigida articolazione della scala sociale-economica) è quasi un'antitesi al megalomorfismo dei monumenti funerari architettonici e ipogei. In epoca arcaica se ne trovano due diversi tipi, l'uno in Alto Egitto (s. abidene) arcuato in alto, l'altro in Basso Egitto (s. memfite) di forma rettangolare. È questo secondo tipo quello che prevale in un primo tempo; ma verso il Medio Regno il modello arcuato riprende importanza; e colloca in genere figurazioni varie (ora simboliche, ora realmente figurative) nella lunetta, mentre in genere serba all'iscrizione la parte sottostante. Questo tipo è in genere adottato anche per le s. commemorative di fatti storici e genericamente regali, mentre il tipo rettangolare resta più legato alle sue funzioni funerarie d'origine. Inutile dire che disposizione di figure e di testo, dimensioni, materiali, son mutevoli, e che numerosissime possono essere le funzioni di tali monumenti.

Nella pluralità delle soluzioni e delle funzioni della S. nelle civiltà orientali manca quella dell'esplicita antropomorfizzazione del segnacolo, proprio delle S. menhiriche della preistoria occidentale più recente, ciò che di per sé deporrebbe per una indipendenza dei due fenomeni. Di conseguenza soltanto in Occidente il menhir sarebbe da considerare la forma precedente della s. e nel significato particolare di incorporazione nel segnacolo dell'individualità del defunto, ciò che è stata altrove la statua funeraria, ma è preferibile forse considerare la cosiddetta s. menhirica come antefatto occidentale, appunto, della statua, pur rimanendo funzionalmente sullo stesso piano del segnacolo steliforme. La cosa non è in effetto chiara né può esserlo, in conseguenza della stessa pluralità di elementi che vi convergono. Comunque il menhir, se pur si voglia considerarlo una pre-forma della s., non è mai un monumento di significato "storico", non contenendo elementi atti a puntualizzare un fatto od un oggetto. Nel significato funerario tuttavia il segnacolo si riconnette comunque con l'affermazione della personalità individuale o dell'autonomia del gruppo. Né si può escludere che il menhir abbia avuto anche valore religioso o di definizione di limite, valori che ebbe la s. specialmente nel mondo greco. Ma il significato storico estensivo, marcato dalle figurazioni e dalle iscrizioni è, in linea cronologica, primamente imposto alla S. dalle grandi civiltà statali dell'Oriente. Nelle quali tuttavia, eccezion fatta per l'Egitto - e non nella più alta antichità - la s. non ha forma architettonica né geometrizzata, ma nella sua rastremazione e nel coronamento subellittico si ricollega alla morfologia naturale del betilo.

2. Grecia. - Il gruppo delle s. di Micene, di dimensioni ridotte (altezza m 1 in media) è caratterizzato dalla forma geometrizzata e da una ripartizione in zone equilibrate quanto a rapporti dimensionali e quindi di significato diverso dalle partizioni zonali delle s. egizie; le figurazioni (di caccia o di guerra) si alternano con campi occupati da motivi a spirale, per cui si è pensato ad un rapporto con la decorazione della Bandkeramik (v.) nella formulazione propria delle civiltà dei Balcani meridionali. La diffusione mediterranea e continentale della spirale micenea si è poi variamente combinata con sottofondi locali anche nella decorazione di monumenti funerari. Le S. della città bassa di Micene furono considerate dal Rodenwaldt approssimativamente coeve (XVI-XIV sec ): la spirale è sostituita da linee spezzate, i soggetti comprendono figure sedute, guerrieri, animali per cui si è pensato a relazioni strette con la pittura ceramica (v. minoico-micena, arte). La s. come complemento del sepolcro è menzionata spesso nei poemi omerici, collocata sopra o presso il tymbos (Il., xi, 371; xiii, 370; Od., xiii, 14) indifferentemente per uomini e donne (Il., xvii, 434) e considerata γέρας ϑανόξτων (Il., xviii, 457 e 674), ma sempre senza ornamento o apparato. In linea cronologica si pongono nell'alto arcaismo lastre piatte come ad Atene e Thera, talora con decorazione (Eleusi, Amorgo) o con il nome del defunto al nominativo. Un rapporto con le s. micenee si può nconoscere in quelle di Creta (circa 700-650 a. C.; figure di guerrieri e di donne) riquadrate a tratto e in quelle della Laconia, una delle quali almeno è assai nota (s. di Chrysapha), di forma irregolare, con il defunto rappresentato come heros e simboli ctoni, poche e distribuite in un'escursione cronologica piuttosto lunga. Un monumento laconico contiene una scena mitologica, l'inseguimento di Elena. Appartiene alla sfera funeraria la s. di Sellasia con i Dioscuri, dedicata intorno al 560 da Plestiadas, uno dei più antichi esempi di s. di forma allungata.

Dal VI sec. in Attica il segnacolo funerario si configura come monumento di sostegno per figurazioni plastiche simboliche (leone, sfinge), cui si affiancano intorno al 550 le s. con cimasa a volute. La collocazione delle s. alla base del tymbos è testimoniata epigraficamente (I. G., xii, 974, 995, 1026); in Eretria anche alla sommità (I. G., xii, 9, 285). È questo il momento in cui fra la Ionia, le isole e l'Attica prendono forma, con molte varietà, i tipi che resteranno poi definitivi. Sull'attuarsi di questo processo e sulla coscienza che il problema centrale della s. in quanto espressione artistica concerne principalmente le interpretazioni greche, si imperniano i principali quesiti critici: formazione e determinazione dei coefficienti, valore delle esperienze orientali ed egizie da un lato, europee, occidentali e continentali dall'altro, centri di diffusione e mediazione all'interno dell'ambito ellenico. La trasmissione dalla Ionia, mediatrice di eredità del mondo asiatico, al continente, una formazione cioè per sollecitazioni esterne, è stata contestata in nome della continuità autonoma della civiltà del Geometrico e in parte della tradizione menhirica europea. Fino ad un certo punto e sotto certi aspetti la questione è stata riassunta (Watzinger, Möbius) escludendo il carattere orientale del grande segnacolo funerario e la dipendenza dalle influenze egizie, rivalutando le tradizioni micenea e geometrica e distinguendo il monumento di sostegno dalla s. vera e propria di formazione ionica; la s. greca non è un derivato, ma un parallelo del pilastro (Buschor, Möbius, contra Watzinger). L'ammissione dell'alta importanza dell'aspetto artistico nella configurazione del fenomeno si è inserita nella molteplicità dei quesiti: il riconoscimento delle isole egee come epicentro di diffusione (Buschor, da cui Möbius) è stato opposto alla classificazione stilistica delle scuole (Langlotz). Non può sfuggire l'unilateralità di ciascuna tesi, certo è tuttavia che è fuori discussione l'autonomia delle manifestazioni artistiche d'ambiente greco e che in ogni caso, è stata proprio la mentalità greca a scaricare la s. di una prevalenza degli elementi simbolici e di contenuto e ad accreditarla in una forma definitiva, attraverso un'elaborazione, in linea cronologica, assai più attica che ionica. Gli esemplari ionici del VI sec. e i paralleli attici, hanno affermato, sulla tradizione del pilastro, la forma allungata in altezza, stabilendo in più una gerarchia delle figurazioni, tendente ad affermare la priorità della figura preritrattistica del defunto; punto d'arrivo possono considerarsi la s. di Aristion e quella di Lyseas (con eccezione della s. dell'Oplitodromo, bassa e larga), l'antecedente ionico di Dorylaion, con accenno ad un inquadramento architettonico con elementi pseudoportanti, la s., ora a New York, dell'efebo con la sorella. L'esperienza attica si estende alla Beozia (copia della s. di Aristion dallo Ptoion, s. dell'atleta a Boston) prima del diradamento della produzione attica dall'inizio alla metà del V sec. (che è stata spiegata con una legge suntuaria, forse in rapporto con la costituzione clistenica) e il parallelo intensificarsi invece dell'irradiazione verso N e N-E, con testimonianze rilevanti nelle isole (s. di Paro, della fanciulla con colomba a New York; da Samo, di ragazzo con uccello; da Naxos, da Nisyros, di efebo stante; da Egina, Eretria e dai centri coloniali del Ponto: defunto col cane da Apollonia del Ponto) e in Tessaglia. La prevalenza della figura stante, in rapporto con la statua funeraria o votiva, è in rapporto diretto con la dominante tipologia delle s. allungata, conservata anche in seguito (s. di Alxenor nassio) riducendo le eventuali figure accessorie al ruolo secondario di attributo. Una s. egineta con una donna seduta che stringe la mano ad un uomo eretto, mentre richiama da un lato gli esemplari arcaici laconici, suggerisce il rinvio alle S. attiche con gruppi. Così la s. ha precisato il suo carattere di monumento bidimensionale, destinato a "presentare" il proprio contenuto figurativo-epigrafico. Ciò non prescinde da elementi d'inquadramento, più o meno allusivi; la dilatazione del motivo terminale, che pur configurato a palmette ed elementi vegetali, non esclude la funzione di sostegno: anche una cimasa e un acroterio enfatizzati sono elementi sostenuti rispetto al corpo della stele. Il definirsi più chiaro degli elementi d'inquadramento, il loro progressivo consolidarsi in membri pseudoportanti, il coronamento a frontone o a tetto con antefisse, denunciano una metastasi di concetti architettonici sempre più sentita e attuale, ma in realtà risalente a tempi assai più remoti (s. di Dorylaion): la s. come espressione simbolica e "riassuntiva" dello heroon sembra una più chiara affermazione, non un novicium inventum del V secolo. L'innovazione morfologica che porta alla dilatazione a scapito dell'allungamento non è un fatto assoluto, ma un portato di esigenze figurative che ripristinano tipologie esistenti già nell'alto arcaismo, né il coronamento e l'ornamentazione della s. potranno assumersi come criterî assoluti per la loro classificazione storico-artistica o semantica; l'ampliarsi dell'orizzonte culturale portava del resto necessariamente alla convivenza di diverse tipologie riducibili ad alcune categorie: s. a frontone, a tetto, a kymàtion, a cimasa vegetale, ad acroterio figurato, a naìskos ulteriormente spiegabili anche con preferenze personali, in un campo così soggettivo come quello dei segnacoli funerari, non senza scambi, più tardi, con i rilievi votivi (ad esempio la serie di Eleusi) e con i decreti, nei quali ultimi, ovviamente, la testata figurata non poteva che esser ridotta rispetto alla superficie occupata obbligatoriamente dal testo epigrafico. Le Urkunden S. d'altra parte rivelano un consolidarsi nel mondo greco di una accezione non funeraria, non di rado peraltro connessa con la sfera religiosa, specie in s. relative a trattati fra città la cui sacralità era rilevata dalla collocazione nell'ambito di santuarî. Il mediocre livello delle s. con decreti, se le ha fatte passare in seconda linea rispetto all'alta qualità di molte s. funerarie, non deve farne dimenticare il valore documentario, come è anche il caso delle s. onorarie, dall'esempio della s. di Proxenos di Selymbria, fino alle numerose s. più tarde con le corone.

La produzione più cospicua dalla fine del V sec. in poi, è essenzialmente attica ed ora è evidente che i modelli attici sono stati ripresi ed imitati altrove, in Beozia come nelle isole, a Creta, in Magna Grecia e sul Mar Nero, senza che tuttavia si abbia mai un'intensità di produzione paragonabile a quella attica, sicché la grande s. figurata con scene della vita (s. di Hegesò) o con le imprese del defunto (s. di Dexileos, s. Albani) o con i più generalizzati temi del commiato e del "gruppo di famiglia" è un fatto particolarmente attico e riconnesso con le esperienze artistiche dell'Attica. Altrove si può parlare, ora più che mai, di influenza attica. La gamma dei soggetti, accennati più sopra, è svolta con sensibili varianti ai tipi fondamentali, da una paratassi nelle formulazioni più semplici (s. di Hegesò) ad una composizione più complessa e che accenna ad una pluralità dei piani e ad una disposizione delle figure a semicerchio che mette in risalto il personaggio principale. Dalla tipologia comune si prescinde per soluzioni di particolare impegno artistico, come nella s. dello Ilisso, di profondo contenuto patetico, avvicinata alla personalità di Skopas. In ogni caso ciò che distingue la composizione a più figure è sempre il legame sentimentale che le unisce e che realizza il perfetto equilibrio della composizione e la necessaria ragion d'essere di ogni componente. La composizione s'impernia in genere sulla collocazione di lato (e sempre più progressivamente di scorcio) della figura seduta, a meno che non si risolva il patetico (s. di Ramnunte, s. dell'Ilisso) ove è più intenso, nella contrapposizione di due figure erette. Questo equilibrio non è estraneo alle s., generalmente di livello qualitativo mediocre, decorate con elementi allusivi (lèkythoi, loutrophòroi) e sculture a tutto tondo di animali simbolici. D'altra parte non si può nemmeno considerare la s. in sé, ma nella connessione con il complesso funerario cui appartiene. La complessità dei gruppi e la sostituzione dell'alto al bassorilievo è in stretto rapporto con la trasformazione della s. in naìskos, che in un caso almeno sembra realizzato come protezione di una statua d'impianto spaziale (s. di Aristonautes), ma che ritorna tuttavia anche in redazioni a rilievo altissimo o, in parte a pieno rilievo, dei gruppi familiari di commiato (s. di Prokles, di Demetria e Pamphile) mentre il distacco delle figure può anche essere associato alla s. tradizionale riquadrata, che in questo caso serve di sfondo (s. di Thraseas e Euandria). Al decreto suntuario di Demetrio del Falero (317-6; cfr. Cic., De leg., i i, 26) risale la brusca interruzione della produzione dei monumenti funerari alla fine del IV sec.; il grande sviluppo della scultura funeraria attica è durato poco più di un secolo. Una conseguente diaspora di scultori è in parte ammissibile, sulle vie già percorse dalle sollecitazioni attiche. Queste non sempre si risolvono in ripetizioni di iconografie, ma più che altro in influenze formali, che informano temi periferici (s. con giovinette stanti a New York; Kritó e Timarista di Rodi, efebi seduti di Kandia, con la ripresa anche della figura stante isolata (s. di efebo detta di "Pella" recentemente attribuita all'Asia Minore; s. ionica col defunto a caccia).

Con la diaspora degli scultori attici è spiegata la ripresa della riproduzione ionica durante l'ellenismo. Le forme tuttavia sono particolari e in qualche caso si ha nella sfera orientale del mondo greco la s. a cimasa semicircolare, per cui non è forse eccessivo stabilire un rapporto con le s. microasiatiche più antiche. La s. ellenistica è molto spessa, generalmente a naiskos rastremata, con alto zoccolo, con una sovrabbondanza di elementi simbolici che distrugge la contenuta euritmia dei gruppi attici e le composizioni a più figure tendono col tempo alla paratassi, alla disposizione frontale "in posa" che annulla ogni rapporto compositivo e "sentimentale" fra di esse; e gradualmente si torna al rilievo. Così il naiskos profondo per figure a pieno rilievo d'impianto spaziale (fanciullo col gallo al Louvre) si riduce parallelamente a pseudo naiskos, mediante il semplice accenno allusivo degli elementi architettonici in superficie; tipologia e repertorio tendono a fissarsi e semplificarsi riducendo le varianti. Fra le più interessanti quelle che distinguono il gruppo di Rheneia, a partire dalla prima metà del II sec.: le figure stanno sotto un'arcata retta da paraste, arcata che può essere inorganica (Möbius), inquadrata da paraste. Non è estranea a questa tipologia l'incrocio con la tradizione delle s. tardo-classiche a coronamento centinato e comunque l'elemento pseudoarchitettonico investe il problema dell'utilizzazione dell'arco nell'arte ellenistica (v. arco). Il tipo è altresì in rapporto (di influenza?) con la produzione rinnovata di s. in Attica (dove si adottano le forme ioniche) ciò che rientra nel quadro delle relazioni fra la Ionia, Atene e Delo nell'ellenismo medio e seriore. Alle tipologie ellenistiche si ricollegano certamente le s. laconiche e, morfologicamente, anche quelle tessaliche di Demetriade, databili con sicurezza fra il 293 e il 191, nelle quali sono state ravvisate influenze attiche e che sono decorate con scene dipinte, anche illusive (s. di Hediste), e quella di Larissa. S. dipinte sono state trovate a Sidone e ad Alessandria, dove si affiancano a s. a rilievo in calcare; influenze italiote si sono ravvisate nelle s. del basso Adriatico orientale, specialmente nel gruppo di Apollonia. Certo fra Acarnania ed Epiro è facile ammettere influenze molteplici.

Un fatto analogo e anche più intenso si riscontra nelle aree ellenistiche ed ellenizzate del Mar Nero, con l'innesto della tradizione figurativa greco-scitica sulle tipologie microasiatiche della s., con persistenze ioniche e non senza cadenze "provinciali". L'ellenismo ha moltiplicato con molta frequenza le s. onorarie, più spesso con solo testo epigrafico o con insegne onorifiche (corone), ma anche con figurazione a carattere ritrattistico (s. di Polibio da Kleitor in Arcadia).

3. Italia. Roma. Impero Romano. - Nella varia elaborazione dell'ellenismo e attraverso rapporti con l'Asia Minore, le isole Egee e l'Attica, si innestano gli elementi formativi della s. italico-romana. Anteriormente al I sec. a. C. la s. non è molto comune nell'Italia non greca (e del resto anche in Magna Grecia e Sicilia le s. non sono mai state molto diffuse), meglio essa è caratteristica di alcuni ambienti, fra cui non sempre si possono individuare dei rapporti. Nel VII-VI sec. appare nell'Etruria tirrenica settentrionale (s. di Avle Pheluske, Avle Tite, Larth Ninies ecc.), per influsso e con tipologia ionica, che resta in parte nelle s. del basso Arno (cosiddette s. "fiesolane"); solo a Bologna e nei dintorni si ha una escursione più lunga e una continuità fra le s. villanoviane a disco (una anche antropoide di tipo menhirico) e le caratteristiche s. felsinee a disco ed a sagoma allungata, le quali ultime si scalano fra l'inizio del V e la metà del IV secolo.

Le s. dell'Orientalizzante protofelsineo dichiarano già l'indirizzo simbologico (scena del viaggio agli inferi, animali funerarî: s. Zannoni, s. da via Tofane) che sarà poi comune alle s. felsinee informandosi ad influenze figurative e stilistiche della ceramica attica importata. La s. dell'ambiente nord etrusco ed "etrusco-padano" è in contrapposto, con la sua estrinsecazione figurativa, della vita tutta interna delle tombe a camera dell' Etruria meridionale ricollegandosi non tanto alle s. menhiriche della Lunigiana, quanto al filone adriatico delle s. del Gargano, che fondono la sagoma antropomorfa con le figurazioni simbologiche ed allusive (specialmente quelle scoperte recentemente dal Ferri, v. siponto) e del Piceno (s. di Novilara) le quali ultime, come le etrusche ionizzanti e qualche non antichissima s. del gruppo felsineo, associano alle figurazioni il testo epigrafico con puntuali allusioni alla personalità individuale del defunto. Né si possono tralasciare alcune s. venete di fisionomia locale o con tarde influenze italiote (s. Camin e Loredan di Padova); nessuna peraltro (e nemmeno, ad onta di analogie esteriori, le S. puniche di Lilibeo, di Mozia e della Sardegna), si può considerare antefatto della s. romano-italica, la quale ha le sue più antiche manifestazioni in Campania nelle s. fittili di Cales e soprattutto in quelle a rilievo di Capua, la cui tipologia è poi praticamente trasposta nelle s. romane di età repubblicana tarda e imperiale. Più che nella capitale, la s. è comune nelle aree italiche periferiche centro-settentrionali e nelle province. La tipologia è vastissima e sono frequenti gli scambi dall'una all'altra categoria tipologica, senza che si possa pensare ad una progressione nell'ordine di tempo: esemplari elaborati con forme pseudo-architettoniche sono contemporane a semplici pietre squadrate o centinate, con o senza nicchie per ritratti. La complementarità degli elementi del monumentum: corpo architettonico, iscrizioni, ritratti, apparato simbologico-esornativo è di regola; non di regola invece è la contemporanea presenza di tutti: le varianti sono più legate a fatti di ordine soggettivo che a differenza di tempo o di cultura locale; non così, almeno in parte, le dimensioni del segnacolo, molto grandi in genere fino all'inizio del II sec. d. C. in Italia, mentre le grandi s. provinciali in Europa sono piuttosto del II-III; non però nelle province iberiche, dove la s. non ha l'importanza che ha altrove e conserva non di rado tematiche locali di tradizione protostorica. La dipendenza delle s. galliche, germaniche e reto-norico-danubiane, dall'Italia settentrionale (v. provinciale, arte) non è dimostrabile se non per il puro concetto estrinsecato nel segnacolo verticale, le forme pseudo architettoniche sono in genere diverse e la tipologia del miles diverge sensibilmente da quella del civis togato, presso che generale nell'arte romano-italica. Una descrizione particolare merita la stele di Bordeaux, del II sec. d. C., dedicata da uno scultore locale, Amandus, al fratello Amabilis, pure scultore (Braemer, op. cit. in bibl., n. 34, p. 56). La stele in forma di profonda edicola, presenta all'interno una figura maschile seduta, in abito da lavoro, che, fornita di martello e cesello, è intenta alla decorazione di un capitello della stele: immagine stessa di Amandus che prepara il monumento funebre per il fratello Amabilis. Del resto in Italia stessa si notano varianti ambientali notevolissime: adozione di tipologie ellenistiche, attico-asiatiche nella Venezia, grandi s. architettoniche nelle Marche e in tutta la Padania media, segnacoli prevalentemente aniconici in Piemonte, forme arieggianti a quelle dell'altare in Etruria e nel Lazio, forme peculiari antropomorfe in Campania; tutte fra il I sec. d. C. e l'inizio del II. L'enfatizzazione della s. come nell'area nordillirica ("Pranger" di Ptuj) o la ripetizione in forme più complesse (monumento da Nikenich a Bonn) non trovano confronti in Italia, dove semmai più s. entrano nella stessa area funeraria (Verona) o variamente si combinano con il monumento a recinto (Brescia, Brescello). Comune all'Italia e alle province specialmente danubiane è la s. nella quale l'apparato pseudo architettonico, evidente riduzione allusiva dell'edicola, è sostituito da scorniciature partizionali che confermano la concezione della s. come monumento unifrontale e si pongono in rapporto con la decorazione parietale musiva. Le figurazioni di scene di vita quotidiana sono meno comuni di quanto si creda in Italia (e più caratteristiche anzi di aree meno profondamente romanizzate come il Piemonte). Esse invece sono più comuni oltr'Alpe e appartengono ad aree di cultura mista, dove questo elemento figurale, immediatamente leggibile, si afferma accanto all'apparato epigrafico fino, talora, a sostituirlo; in un'area completamente romanizzata come a Lione non esistono quasi affatto s. figurate, prevalendo pressoché esclusivamente i testi epigrafici.

Altro carattere molto frequente alle s. di età romana, specie dove riprendono evidentemente tipologie ellenistiche attraverso le forme architettoniche, è quello di essere concepite come monumenti di supporto: gli acroteri, specialmente centrali, esorbitano dai rapporti proporzionali dell'architettura costruita e assumono una particolare evidenza che ne mette in risalto il valore simbologico o allusivo (animali ctoni, vasi funerarî). Tale concezione si attenua o non si applica affatto nel caso delle s. riquadrate o centinate e di quelle decorate da semplici elementi partizionali di facciata. Della trasformazione delle s. in segnacolo architettonico (pilier) è trattato altrove (v. monumento funerario). Il ritratto, che solo molto raramente è fisionomico, in genere è presentato nella forma del busto, meno spesso in Italia, più spesso in provincia, sotto quella della figura intera. La serie dei busti è la conseguenza dell'incrocio della tipologia del naiskos con quella delle lastre policoniche comuni a Roma fra la tarda Repubblica e il primo Impero; a Roma si hanno anche contemporaneamente monumenti steliformi e naiskoi a figure intere a tutto rilievo, scarsamente replicati in Italia settentrionale (Aquileia) e più di frequente nell'Europa gallo-germanica, dove anche si vede non di rado (Sens, Soisson, Trier, Arlon) la nicchia a catino nella quale le figure si dispongono a semicerchio.

Le province europee sud-orientali, l'Asia e l'Africa presentano forme ancora diverse. Le s. traco-macedoni di spessore sottile, riprendono il tema romano dei busti a serie, ma con rendimento di tradizione classicistica; in Asia Minore restano le forme ellenistiche tradizionali per lungo tempo, con il frequente fenomeno della riduzione di dimensioni e della equivalenza della scena figurata rispetto al ntratto. Per le s. della regione sudarabica v. sudarabica, arte.

Le s. dell'Africa settentrionale, accanto a forme accettate dall'ambito ellenistico (s. dell'oliano G. Livio da Cherchel) e italico sono, particolarmente nel II-III sec., di una particolare complessità per le molteplici partizioni contenenti elementi figurati e simbolici, in gran parte eredità punica o conseguenza del sincretismo ideologico religioso del medio Impero. Più di frequente si osservano ripetizioni monotone di figure frontali di modesto livello; più che altrove qui come in Siria, si riconosce il carattere esclusivamente artigianale della s. funeraria in gran parte del mondo romano e la prevalenza dell' interesse simbologico-contenutistico.

L'accettazione del cristianesimo non ha portato particolari innovazioni alle s., le quali in età tardo-antica presentano caratteri comuni: dimensioni ridotte, spessore sottile, trascuratezza per il ductus delle iscrizioni, carenza di rappresentazioni figurate e declino del ritratto; sostituzioni talora della simbologia cristiana a quella precristiana per lo più in rilievo bassissimo o a tratto. In generale nella tarda antichità la s. è sempre meno ricercata. Riappare invece con una conservazione di tematiche pre- e protostoriche nelle lastre dipinte altomedievali di Bro e Hangvar (Gotland), arricchendosi di motivi figurativi: caccia, guerra, navigazione, temi della mitologia nordica come nella s. di Klinte. Nella Svezia i motivi figurativi si accompagnano con iscrizioni in caratteri runici (s. di Rodmund e Gudmund di Väppeby, s. di Ulunda) e infine compongono elementi decorativo-simbolici di tradizione tardoceltica attorno alla figura del Cristo crocifisso (s. di Jellinge, Jütland), estreme continuazioni della tradizione antica della stele (v. Vol. V, fig. 710).

Monumenti considerati. - Dei monumenti citati nel testo, soltanto alcuni vengono considerati qui. Per tutti gli altri, si rimanda alla consultazione della bibliografia. S. di Ur-Nammu: H. Frankfort, The Art and Architecture of the Ancient Orient, Harmondsworth 1954, tav. 53. S. di Hammurabi, Louvre: Enc. Phot. Art (ed. T. E. L.), pp. 258, 259. S. di Melishipak II, da Susa, al Louvre: ibid., pp. 264 e 265. S. hittite dell'VIII sec.: E. Akurgal - M. Hirmer, The Art of the Hittites, Londra 1962, tavv. 130, 138-139. S. da Abido: I. Woldering, Ausgewählte Werke der aegyptischen Sammlung, Hannover 1958, tav. ix. S. di Micene: G. Karo, Die Schachtgräber von Mykenae, Monaco 1931, tav. v-viii; G. Mylonas, Ancient Mycenae, Londra 1957, figg. 41, 45. S. di Creta: H. Diepolder, op. cit. in bibl., pp. 8o-81, fig. 35, 36. S. del Dorylaion: G. Lippold, in Handbuch, iii, Monaco 1950, p. 66, tav. 18, 1. S. di Egina, con donna seduta: H. Diepolder, op. cit., p. 137, fig. 70. S. da Candia: O. Benndoff, in Oesterr. Jahreshefte, vi, 1903, p. 1 ss., tav. 1.

S. fiesolane: F. Magi, in Studi Etruschi, vi, 1932, p. 21 ss.; id., in Arch. Class., x, 1958, p. 201. S. felsinee: P. Ducati, in Mon. Ant. Lincei, xx, 1911, c. 362 ss.; G. A. Mansuelli, in Riv. Ist. Arch. St. Arte, N. S., v-vi, 1956, p. 5 ss. S. del Gargano: S. Ferri, in Boll. d'Arte, 1962, p. 103 ss.

Bibl.: Egitto: G. Jequier, Manuel d'archéologie égyptienne, Parigi 1924, pp. 351-360; J. Vandier, Manuel d'archéologie égyptienne, I, vol. 2, Parigi 1952, pp. 724-774 (il problema delle origini); S. Bosticco, Le stele egiziane, Roma, I, 1959; II, 1966. - Grecia (opere generali): A. Bruckner, Von den griechischen Grabreliefs, Vienna 1888; G. Rodenwaldt, Das Relief bei den Griechen, Berlino 1923; G. Wilke, in Ebert, Reallex. Vorgeschichte, IV, 2, 1926, p. 492 ss., s. v. Grabstele: C. Watzinger, Die griechische Grabstele und der Orient, Stoccarda 1929; H. Möbius, in Pauly-Wissowa, II S., VII, 1931, c. 2307 ss., s. v.; G. Lippold, in Handbuch, III, Monaco 1950, passim; K. Schefold, Zur Deutung der klassischen Grabreliefs, in Museum Helveticum, IX, 1952, p. 107 ss. Sono, inoltre, da consultarsi i cataloghi del Museo Nazionale di Atene (J. N. Svoronos, Das Athener Nationalmuseum, Atene 1908), e di Istanbul (G. Mendel, Catalogue Sculptures, I-II, Costantinopoli 1912-1914). In particolare, per la forma e gli ornamenti: H. Möbius, Die Ornamente der griechischen Grabstelen, Berlino-Wilmersdorf 1929; P. Meyer, Zur Formenlehre und Syntax des griechischen Ornaments, Zurigo (Diss.) 1943. Attica: A. Bruckner, Ornament und Form der attischen Grabstelen, Strasburgo 1886; Die attischen Grabreliefs (A. Conze), Berlino 10 voll., 1890-1922; E. Kjelberg, Studien zu den attischen Reliefs des V Jahrhunderts v. Chr., Uppsala 1926; H. Diepolder, Die attischen Grabreliefs des V und IV Jahrhunderts, Berlino 1931; K. Fr. Johansen, The Attic Grave-Reliefs, Copenaghen 1951; M. Andronikos, Περὶ τῆς στήλης τοῦ "῾Οπλιτοδρόμου", in Arch. Eph., 1953-54 (1958), p. 317 ss.; id., in Arch. Deltion, XVI, 1960 (1962), 46 ss.; G. M. A. Richter, The Archaic Gravestones of Attica, Londra 1961, con bibl. prec. Laconia: H. Dressel-A. Milchhöfer, in Ath. Mitt., II, 1877, p. 307 ss.; M. N. Tod-A. J. B. Wace, A Catalogue of the Sparta Museum, Oxford 1906, p. 99 ss. Beozia: G. Rodenwaldt, Thespische Reliefs, in Jahrbuch, XXVIII, 1913, p. 309 ss. Tessaglia: F. Brommer, Neue Thessalische Bildwerke vorklassischer Zeit, in Ath. Mitt., LXV, 1940, p. 103 ss. Tracia: M. Andronikos, Επιτυμβια στθλθ εκ Ψρακθς, in Arch. Eph., 1956 (1959), p. 99 ss. Samo: E. Buschor, Altsamische Grabstelen, in Ath. Mitt., LVIII, 1933, p. 22 ss.; LXXIV, 1959, p. 6 ss. Ionia: E. Pfuhl, Das Beiwerk auf den ostgriechischen Grabreliefs, in Jahrbuch, XX, 1905, p. 47 ss.; id., Spätjonische Plastik, ibid., L, 1935, p. 9 ss.; id., Eine Lydisch-griechische Grabstele, in Jahrbuch (Arch. Anz.), LI, 1936, c. 65; E. Akurgal, Zwei Grabstelen vorklassischer Zeit aus Sinope, in 111. Winckelmannspr., Berlino 1955. Russia meridionale: G. von Kieseritzky-C. Watzinger, Griechische Grabreliefs aus Südrussland, Berlino 1909. Per le s. dipinte di periodo ellenistico: E. Pfuhl, Mal. u. Zeichn. d. Griechen, II, Monaco 1923, p. 900 ss.; A. Rumpf, Mal. u. Zeichn., in Handbuch, IV, Monaco 1953, p. 156 s. Si vedano inoltre le voci: pittura; alessandria; alessandrina, arte; pagasai; sidone.

Periodo romano: G. A. Mansuelli, Genesi e carattere della stele funeraria padana, in Studi in onore di A. Calderini e R. Paribeni, Milano, III, 1956, p. 365 ss.; G. Chiesa, Una classe di rilievi funerari romani a ritratti dell'Italia Settentrionale, ibid., III, 1956, p. 385 ss. Nord Europa: H. Schoppa, Die Kunst der Römerzeit in Gallien Germanien und Britannien, Berlino 1957, con bibl. prec.; F. Braemer, Les stèles funéraires à personages de Bordeaux, Parigi 1959. Spagna: A. García y Bellido, Esculturas Romanas de España y Portugal, Madrid 1949, p. 285 ss. Europa orientale: Albania e Montenegro: C. Praschniker, in Oesterr. Jahreshefte, XX, 1922, p. 127 ss. Frigia: G. Rodenwaldt, Zeus Bronton, in Jahrbuch, XXXIV, 1919, p. 77 ss.