BARBARESCHI, STATI

Enciclopedia Italiana (1930)

BARBARESCHI, STATI

Francesco Beguinot

. La voce "barbareschi" e le frasi "stati barbareschi, pirati barbareschi" ecc., sebbene etimologicamente possano riferirsi alle popolazioni in genere della Barberia e alle varie epoche della loro storia, sono state specialmente riferite agli ultimi tempi medievali e ai primi secoli dell'epoca moderna, quando cioè nelle dette regioni fiorisce la pirateria che, a partire dal sec. XVI, si organizza diventando principale fonte di vita di alcuni stati; fatto, questo, che coincide con lo stabilirsi dell'autorità turca in Barberia. Mentre nel sec. XV e sul principio del sec. XVI Portoghesi e Spagnoli avevano occupato varî punti dell'Africa settentrionale, l'Impero ottomano, validamente affermatosi nel vicino Oriente e desideroso di espandersi e di avere il dominio del Mediterraneo, si trovava ad essere il naturale difensore dell'Islām africano e quindi a contrastare i progressi degli stati occidentali. Così la Barberia che aveva visto decadere e in parte sparire i principati indigeni formatisi nei secoli precedenti, fu teatro di una lunga e aspra lotta fra Cristiani e Ottomani che se la disputavano: lotta a cui presero parte principalmente gli Spagnoli e il famoso ordine dei cavalieri di S. Giovanni (Cavalieri di Malta), e dall'altro lato gruppi di audaci corsari musulmani e forze ottomane, e che finì col formarsi delle due reggenze di Algeri e di Tunisi sotto la supremazia della Porta, e con la conquista turca della Tripolitania. Il dominio delle potenze occidentali fu quasi per intero eliminato dalla Barberia.

Fondatori del nuovo stato algerino furono i due fratelli ‛Arūǵ e Khair ad-dīn (Barbarossa), famosi corsari, dalle gesta in parte leggendarie; il secondo di essi pose la regione sotto la sovranità della Porta, assicurandole così appoggi materiali e morali (v. algeria e berberi). L'Algeria turca costituiva un pascialicato che comprendeva le provincie di Algeri, di Orano, del Titteri (Tīṭarī), e di Costantina; a capo di esso furono dapprima i beylerbey (bey dei bey "generalissimo") tra i quali sono famosi Khair ad-Dīn, Ḥasan, ‛Ulūǵ ‛Alī (Luccialī), che in parte ebbero autorità anche sui vicini paesi della Tunisia e della Tripolitania, quando furono assogettati alla Turchia. Dal 1587 al 1659 furono a capo dello stato algerino i pascià, funzionarî che la Porta, in vista delle mire ambiziose dei beylerbey, sostituì a questi, nominandoli solo per triennî; dal 1659 al 1671 fu il periodo degli aghā, cioè dei capi della milizia, ai quali essa riuscì a far dare l'effettivo potere; e infine dal 1671 al 1830 quello dei dey (dāy), portati al potere dai capi corsari, e in seguito scelti dalla milizia stessa. Il capo dello stato, come risulta almeno per il periodo dei dey, aveva accanto a sé un gruppo di alti funzionarî che costituivano una specie di consiglio di ministri. Ma oltre tali autorità e spesso al disopra di esse, esistevano come forze preponderanti dello stato, la milizia e i capi corsari. La prima, detta Ügiāq (voce turca che significa "focolare, famiglia, corporazione"), era il corpo dei giannizzeri reclutati in Oriente e specialmente nell'Asia Minore; in parte erano anche rinnegati cristiani. Rappresentavano una forza straniera che dominava il paese, appoggiandosi, quando occorreva, alla Sublime Porta. Erano regolati da norme ispirate a una perfetta eguaglianza.

I militari raggiungevano i varî gradi per anzianità, fino a quello di aghā, che potevano tenere solo per due mesi; poi diventavano membri del dīwān, cioè del consiglio di governo, che si occupava di questioni militari, politiche, amministrative, ecc., e che spesso era in contrasto col pascià. Oltre a queste milizie regolari di origine straniera, il governo disponeva di forze locali e specialmente delle tribù makhzen, cioè di governo, che in compenso di esenzioni di tasse gli fornivano soldati e apprestamenti guerreschi, e servivano specialmente per tenere a posto le popolazioni dell'interno e per riscuotere da esse le tasse. Vi era poi la corporazione dei capitani delle navi corsare, detta ṭā'ifat ar-ru'asā', ricca e potente, che costituiva un altro potere entro lo stato, ed era in contrasto con la milizia, spesso in aperta lotta. La corsa era regolata con minute disposizioni e costituiva la forma più saliente di attività di questo curioso stato. Per comprendere il fenomeno, non basta tener presente lo stato di accanita lotta fra l'Islām e la Cristianità, ma bisogna riferirsi al principio religioso-giuridico del gihād, cioè della guerra santa, che presso i musulmani giustifica, anzi glorifica, il perenne stato di guerra e il saccheggio a danno di popolazioni infedeli. Le navi corsare erano comandate da un ra'īs, che otteneva tale titolo in seguito a esame in cui doveva dimostrare praticamente la sua capacità. Le navi appartenevano al governo, o a privati o ad associazioni di privati. A ogni modo il governo percepiva, in applicazione del diritto musulmano, un quinto del bottino; ad esso appartenevano anche le navi nemiche catturate. Il resto andava al proprietario della nave, all'equipaggio e ad alcuni funzionarî. L'occupazione francese del 1830 pose fine allo stato che i fratelli Barbarossa avevano fondato.

Vicende in parte analoghe, in parte diverse ebbe la Tripolitania. Tripoli che nel 1510 era stata conquistata dagli Spagnoli, e nel 1530 data in feudo da Carlo V all'ordine dei Cavalieri di San Giovanni, perché ne facessero loro base nella lotta contro i Musulmani, fu nel 1551 conquistata dai Turchi, e per qualche tempo governata da un pascià nominato dalla Porta che v'inviava anche altri suoi funzionarî. Verso la fine del sec. XVI si determinò nella reggenza un certo movimento di autonomia per opera dei giannizzeri, ivi come altrove potentissimi, e quindi desiderosi di avere una parte preponderante nel governo. Ottennero che il loro dīwān dovesse esaminare le più importanti questioni politiche e amministrative, riducendo così a ben poco i poteri del pascià. Presidente del dīwān era il comandante del corpo dei giannizzeri che stava in carica per 6 mesi. A tale periodo di oligarchia militare fece seguito ben presto quello dei dey, che durò, pur con interruzioni, fino ai Caramanli; erano veri e proprî capi della reggenza eletti dalla milizia, con poteri ampî, che talvolta erano divisi col pascià nominato da Costantinopoli, talvolta esercitati in modo assoluto riunendosi nella stessa persona le cariche di dey e di pascià. Il primo dey fu Ṣafar, il quale dopo breve periodo di saggio governo cadde in eccessi tirannici, che provocarono l'intervento della Porta e la sua impiccagione. Altri dey o dey-pascià che lasciarono per fasti o nefasti qualche nome nella storia della Tripolitania furono Muṣṭafà Sherīf, Moḥammed es-Sāqizlī, ‛Othmān es-Sāqizlī, Moḥammed al-Imām Qarādāghlī, ecc. In tutto questo periodo vi era a Tripoli la corsa organizzata come nelle altre reggenze, ed essa procurava ai governanti e ai privati lauti guadagni, e talvolta dimostrazioni navali e bombardamenti da parte delle potenze danneggiate; tra i quali sono da ricordare quelli degli ammiragli francesi Duquesne (nel 1683) e d'Estrées (nel 1685). Nei rapporti con Costantinopoli la popolazione locale e anche l'elemento turco acclimatosi in Tripolitania tendeva ad acquistare sempre maggiore autonomia; attraverso complicate vicende di elezioni e destituzioni di pascià e di dey, e sottili intrighi di avventurieri d'ogni natura, si vede chiaramente l'impotenza della Turchia dei secoli XVII e XVIII a tenere saldamente sotto il suo dominio quelle regioni. Tale tendenza sboccava nell'instaurazione del principato quasi autonomo dei Caramanli, che tennero la Tripolitania dal 1711 al 1835, e pur in mezzo a crudeltà e delitti fecero qualche tentativo per risollevare il paese dall'estrema decadenza a cui era giunto. La ripresa del dominio diretto della Turchia a partire dal 1835 fu caratterizzata da un tenace sforzo militare che portò, in un certo numero di anni, a una relativa pacificazione delle popolazioni, ma quanto ad opere vere e proprie di colonizzazione, è difficile esprimere l'essenza di quest'ultimo periodo delle vicende tripolitane più compendiosamente di quanto il mudīr del paese berbero di Timezghūra faceva con questa frase: "i Turchi erano dei viaggiatori".

Un altro famoso stato barbaresco ebbe il suo centro a Tunisi, di cui Khair ad-dīn si era impadronito nel 1534. La spedizione di Carlo V nell'anno successivo pose la regione sotto il protettorato spagnolo; ma dopo varie vicende, nel 1574 fu definitivamente conquistata dai Turchi, che ne fecero un pascialicato organizzato in forma consimile a quello di Algeri, con un pascià-bey, un consiglio, e un corpo di giannizzeri. Tra le sue vicende è da ricordare, nell'ultimo quarto del sec. XVI, la formazione di un nuovo consiglio eletto dalla milizia, sotto la presidenza di un capo supremo (dey), che riduceva ai minimi termini l'autorità del pascià rappresentante della Porta; il sorgere, in prosieguo di tempo, e cioè nella seconda metà del sec. XVII, di uno stato di antagonismo tra i dey e i comandanti delle truppe detti bey, che tendevano a soppiantare i primi, finché nel 1705 la carica di dey fu privata di ogni effettivo potere fondandosi, per opera di Ḥusain ben Alī un principato di fatto autonomo sebbene nominalmente vassallo della Porta. Tale principato con la sua dinastia ereditaria dei bey ḥusainiti, che risaliva al fondatore, venne trasformato in un protettorato con l'occupazione francese del 1881, continuando sempre la detta dinastia a regnare con limitati poteri.

Altro stato barbaresco fu anche il Marocco le cui vicende nei rapporti con l'Europa presentano qualche analogia con gli altri, sebbene esso rimanesse al di fuori della Barberia turca propriamente detta. Già nel sec. XIV, regnando la dinastia dei Merīnidi, la pirateria marocchina arrecava danni ai vicini paesi cristiani. Tuttavia nel detto secolo e in parte del sec. XV vi furono anche pacifici rapporti commerciali tra il Marocco e gli stati europei mediterranei. Nella seconda metà del sec. XV e nel sec. XVI le cose si mutarono profondamente in seguito all'estendersi delle conquiste portoghesi e spagnole nel Maghrib, che determinavano la reazione musulmana contro i Cristiani; e più ancora per effetto della cacciata dalla penisola iberica dei Mori che, rifugiatisi in varie regioni dell'Africa del Nord, nutrivano odio profondo contro i Cristiani e propositi di feroci vendette contro di essi. I secoli XVI e XVII videro la grande pirateria organizzata al Marocco come nella vicina reggenza di Algeri. Parecchie città della costa atlantica, e principalmente Salé, erano basi della corsa; quest'ultima città fu più volte bombardata, ma la pirateria continuò ad annidarvisi fino al principio del sec. XIX.

Per l'abbondanza degli schiavi e dei rinnegati cristiani che, attraverso l'apostasia e la vita d'avventura, riuscirono a occupare alti gradi e ad avere notevole parte nella storia degli stati barbareschi, si diffuse sulle coste della Barberia un gergo noto col nome di lingua franca. Esso consisteva in un miscuglio di lingue mediterranee, con prevalenza d'italiano da Tunisi verso est, e di spagnolo da Algeri verso ovest (cfr. H. Schuchardt, in Zeitschrift für Roman. Philologie, 1909, pp. 441-461).

Bibl.: A prescindere dalle storie dei singoli stati barbareschi (per cui v. algeri, marocco, tripoli, tunisi, ecc.), e da quelle dell'Impero ottomano, v. le relazioni dei viaggiatori, dei missionarî redentoristi (P. Dan, Histoire de Barbarie et des corsaires, Parigi 1673), e i più recenti studî del Guglielmotti, Storia della marina pontificia, Roma 1886-1893; E. Mercier, histoire de l'Afrique septentrionale, III, Parigi 1891; S. Lane-Poole, Barbary Corsairs, Londra 1890; C. Manfroni, Storia della marina italiana dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia di Lepanto, Roma 1897; Masson, Histoire des établissements et du commerce français dans l'Afrique barbaresque, Parigi 1903; E. Rossi, Storia della marina dell'ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta, Roma 1926; C. A. Nallino, Venezia e Sfax nel sec. XVIII, in Centenario della nascita di Michele Amari, II, Palermo 1910; J. Dény, Chansons des janissaires d'Alger, in Mélanges René Basset, Parigi 1925.

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