SPORT

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1981)

SPORT (XXXII, p. 415; App. II, 11, p. 879; III, 11, p. 795)

Gianfranco Colasante
Aldo Bonuti
Carlo Guaraldo
Gianni Melidoni
Baldo Moro
Piero Casucci
Alberto Manetti
Gianfranco Giubilo
Alberto Marchesi
Enrico Medici
Rodolfo Fiorilla
Renato Caporilli
Alberto Giubilo
Antonio Soccol
Gaetano Argento
Rino Tommasi
Giuseppe Sabelli Fioretti
Giacomo M. Fagnano
Alberto Marani Toro
Antonio Venerando

Un grandissimo rilievo, nella vita sociale di ciascun paese, ha acquistato il movimento sportivo che, specie negli ultimi anni, è andato assumendo una dimensione universale. Lo s. costituisce infatti l'unico "alfabeto" comune tra popoli e nazioni di diverse dimensioni economiche, politiche e culturali. Della sua importanza e dei vantaggi che può offrire alla gioventù si sono resi conto i vari governi, approntando provvidenze e strutture per la sua diffusione e la sua pratica. Questa universalità di intenti trova la sua massima espressione nelle competizioni internazionali, prime fra tutte i Giochi Olimpici, estivi e invernali. È tanto sentita questa esigenza, che sono ormai radicate le manifestazioni sportive a carattere regionale: Giochi del Commonwealth, Giochi Panamericani, Giochi Panasiatici, Giochi Panafricani, Giochi del Mediterraneo. Sono inoltre sempre più frequenti le occasioni di manifestazioni internazionali nei singoli s. e nelle varie discipline (campionati del mondo).

In Italia le attività sportive nella loro globalità sono regolate dal CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), i cui organismi obbediscono alla sua legge istitutiva (n. 426 del 16 febbr. 1942) e alle successive sue modifiche. Il CONI è una sezione del grande movimento olimpico che fa capo al CIO (Comité International Olympique); i suoi scopi, sanciti dalla legge istitutiva, che s'ispira all'art. 24 delle regole olimpiche, sono quelli d'incrementare e proteggere l'olimpismo e lo s. dilettantistico, nonché d'incoraggiare e sviluppare l'educazione fisica, morale e culturale della gioventù del paese per migliorarne il carattere, la salute e il senso civico.

In base a tale legge, il CONI è un ente di diritto pubblico, formato dalle società e dalle associazioni sportive raccolte nelle rispettive federazioni nazionali. Come stabilito dalle regole olimpiche, per uno stesso s. non può essere riconosciuta più di una federazione. Ogni federazione sportiva nazionale, da parte sua, deve aderire alla competente federazione internazionale, riconosciuta dal CIO, e applicarne le norme. Le cariche federali e quelle del CONI seguono il ciclo olimpico e si rinnovano ogni quattro anni. Il Comitato Olimpico, che è un ente di erogazione, amministra le proprie entrate secondo le necessità e i bisogni enunciati dal Consiglio nazionale e realizzati dalla Giunta esecutiva. Fra le maggiori voci di uscita rientrano i contributi concessi alle federazioni sportive nazionali.

Il CONI esplica la sua attività interessandosi, oltre che del bilancio delle singole federazioni sportive, delle spese relative a impianti sportivi, alla sua struttura periferica (è presente in ogni regione con le sue delegazioni e in ogni provincia con i suoi comitati), per la propaganda, per l'attività sportiva scolastica, per i Giochi della Gioventù (manifestazione nazionale che avvia all'attività sportiva ogni anno, a partire dal 1969, i giovani in età scolare), per l'attività sportiva nelle Forze Armate, per il credito sportivo, per i centri federali di specializzazione e per i centri di avviamento allo s., per l'assicurazione antinfortunistica, per gli enti di propaganda sportiva, oltre ovviamente ai suoi compiti d'istituto e ai contributi per la partecipazione delle squadre nazionali ai Giochi Olimpici. A queste spese il CONI contribuisce con la sua quota parte sul gettito del concorso pronostici Totocalcio. L'istituzione del concorso pronostici sui risultati delle partite di calcio è stato lo strumento concreto della ripresa sportiva del nostro paese dopo la guerra. Perduti i contributi statali nel 1943, lo s. italiano, privo di mezzi e con il patrimonio-impianti assai decurtato, si trovò a dover ideare qualcosa per continuare la sua vita e svilupparsi. Lo s. italiano è sempre vissuto con la sola quota parte del concorso. Dal 1965, anno della promulgazione della legge fifty-fifty, tale quota stabilisce un più equilibrato criterio proporzionale fra il CONI e l'erario nella ripartizione dei proventi del Totocalcio.

Le federazioni sportive riconosciute dal CONI sono: Aero club d'Italia; Automobil club d'Italia; Federazione italiana atletica leggera; Federazione italiana baseball softball; Federazione italiana della caccia; Federazione italiana gioco calcio; Federazione italiana canottaggio (Commissione italiana canoa); Federazione ciclistica italiana; Federazione italiana cronometristi; Federazione ginnastica d'Italia; Federazione italiana golf; Federazione italiana hockey e pattinaggio; Federazione italiana hockey su prato; Federazione italiana lotta, pesistica e judo; Federazione medico-sportiva italiana; Federazione motociclistica italiana; Federazione motonautica italiana; Federazione italiana nuoto; Federazione italiana pallacanestro; Federazione italiana pallavolo; Federazione commissione italiana per il pentathlon moderno; Federazione italiana pesca sportiva e attività subacquee; Federazione pugilistica italiana; Federazione italiana rugby; Federazione italiana scherma; Federazione italiana sci nautico; Federazione italiana sport del ghiaccio; Federazione italiana sport equestri; Federazione italiana sport invernali; Federazione italiana tennis; Federazione italiana tiro con l'arco; Unione italiana tiro a segno; Federazione italiana tiro a volo; Federazione italiana vela; Unione bocciofila italiana; Federazione italiana gioco handball; Federazione italiana tennistavolo.

Un grosso impegno, che il CONI ha inteso sviluppare nell'immediato dopoguerra, è stato quello della ricostruzione degl'impianti sportivi. Questa attività, con l'allargamento degl'impegni finanziari, ha portato alla costituzione dell'Istituto per il credito sportivo. L'Istituto esercita, sotto forma di mutui a vario termine, il credito a favore di enti pubblici locali e più recentemente a favore di Regioni con le quali stipula apposite convenzioni. L'Istituto per il credito sportivo è stato costituito con la l. 24 dic. 1957, n. 1295, successivamente modificata e integrata. Esso è un ente di diritto pubblico con sede legale in Roma, dotato di personalità giuridica e gestione autonoma; è sottoposto a vigilanza in conformità delle disposizioni del r.d.l. 12 marzo 1936, n. 375 e del d. lgt. 23 ag. 1946, n. 370. I mutui sono concessi per l'importo riconosciuto congruo a giudizio esclusivo dell'Istituto, in relazione alle opere programmate o all'entità e consistenza delle relative garanzie. A seguito del nuovo ordinamento regionale, fra l'Istituto, il CONI e le Regioni sono state stipulate particolari convenzioni che hanno aperto un nuovo corso nell'attività creditizia dell'Istituto per il credito sportivo e di tutto il settore del finanziamento degl'impianti sportivi.

La Sportass (Cassa di previdenza per l'assicurazione degli sportivi) è stata istituita, nell'ambito e per iniziativa del CONI, con emanazione di apposite leggi, fin dal 1934. Recentemente, con il d.P.R. 1° apr. 1978, n. 250, la Cassa è stata dichiarata ente pubblico "necessario" ai sensi della l. 20 marzo 1975, n. 70. Il compito primo della Sportass è quello di tutelare l'infortunistica sportiva in forma assicurativa e assistenziale sanitaria e quindi di studiare e risolvere i problemi previdenziali connessi all'esercizio delle varie discipline sportive inquadrate nelle federazioni nazionali riconosciute dal CONI. Tutti gli sportivi (atleti e ausiliari, e cioè tecnici, allenatori, istruttori, giudici, ecc.) per effetto del loro tesseramento presso la federazione sportiva competente, possono usufruire automaticamente dell'assicurazione Sportass contro gl'infortuni personali che dovessero verificarsi in attività sportive, di gara o di allenamento, durante i viaggi collettivi e durante le azioni preliminari e finali.

I Giochi della Gioventù sono una grande manifestazione sportiva lanciata dal CONI nel 1969 e indetta da quattro anni a questa parte dal CONI e dal ministero della Pubblica Istruzione congiuntamente, per permetterne l'inserimento ufficiale nella scuola, ciò che ha permesso in breve tempo al numero di partecipanti di salire dal mezzo milione del 1974 ai quattro milioni del 1978: questo enorme risultato di adesioni è dovuto all'estensione dell'età di ammissione all'intero arco della scuola italiana, dalla prima elementare alla maturità. I Giochi della Gioventù prevedono anche lo svolgimento dell'edizione invernale, riservata agli s. della neve e del ghiaccio, e dell'edizione primaverile, riservata alla corsa campestre.

Accanto all'attività del CONI va citata l'importante funzione di altri enti, a carattere nazionale, che compiono opera ufficiale e riconosciuta in favore del movimento sportivo. Sono fra questi il CUSI (Centro Universitario Sportivo Italiano), che organizza lo s. universitario e gli enti di promozione sportiva: CSI (Centro Sportivo Italiano); CSN Libertas (Centro Nazionale Sportivo Libertas); UISP (Unione Italiana Sport Popolare); AICS (Associazione Italiana Cultura e Sport); CNS Fiamma (Centro Nazionale Sportivo Fiamma); US Acli (Unione Sportiva Acli); ENDAS (Ente Nazionale Democratico di Azione Sociale); ACSI (Associazione Centri Sportivi Italiani); CSEN (Centro Sportivo Educativo Nazionale). A questi si possono aggiungere alcuni enti che promuovono le attività del tempo libero: ARCI sport (Associazione Ricreativa Culturale Italiana); ENAL (Ente Nazionale Assistenza Lavoratori); ENARS (Ente Nazionale Assistenza Ricreazione Sociale); ENTEL (Ente Nazionale per il Tempo Libero). E infine le seguenti associazioni benemerite: AADI (Atleti Azzurri d'Italia); AMOVA (Associazione Nazionale Medaglie d'Oro al Valore Atletico Italia); UNVS (Unione Nazionale Veterani Sportivi); Panathlon International; PG Salesiane; EPAS (Ente Propaganda ANSPI Sport); FISIAE (Federazione Italiana Sportiva Istituti di Attività Educativa); CSAI (Comitato Sportivo Aziende Industriali); ANSPI (Associazione Nazionale per lo Sport dei Paraplegici Italiani); FIMS (Federazione Italiana Sportiva Minorati); FSSI (Federazione Sport Silenziosi d'Italia); UIC (Unione Italiana Ciechi).

Diamo ora un panorama dei risultati più importanti che si sono avuti nelle diverse specialità dello s. nei diciotto anni che vanno dal 1961 al 1978, rinviando anche, per i risultati ottenuti durante le Olimpiadi, alla voce olimpici, giochi, in questa Appendice.

Aeronautica. - Le imprese aeronautiche, sotto il profilo sportivo, negli ultimi anni hanno cambiato completamente il loro aspetto. Terminata l'epoca dei grandi raid, delle trasvolate, dei voli senza scalo che in passato hanno destato meraviglia ed entusiasmo, si è giunti a limiti per i quali l'impegno tecnico supera nettamente l'aspetto puramente sportivo della conquista. Basta osservare alcuni fra i più significativi record mondiali ufficiali: velocità di 2920,67 km/h su circuito di 1000 km, pilota il sovietico A. Ostapenko, velivolo MIG 25, ottenuta il 27 ottobre 1967; velocità di 2981,5 km/h su circuito di 500 km, pilota il sovietico A. Komarov, velivolo MIG 25, ottenuta il 5 ottobre 1967; quota di 36.240 m, pilota il sovietico A. Fedotov, velivolo MIG 25, raggiunta il 25 luglio 1973; velocità di 3331,5 km/h, piloti gli statunitensi A. Stefens e A. André, velivolo F 111, ottenuta il 1° maggio 1965.

Altre imprese di assoluta eccezione che meritano di essere ricordate sono: il volo alla velocità di 1,2 Mach, corrispondente a 1452,777 km/h, su base di 3 km, a 100 m di quota, piloti gli statunitensi H. Hardisty e A. Esch, velivolo Phantom F 4/A, effettuato il 28 agosto 1961; e il volo New York-Londra del velivolo SR 71/A (SUA) compiuto in 1h45m45s, il 1° settembre 1974; le ascensioni del velivolo F 15 (SUA) effettuate nel periodo dal 16 gennaio al 1° febbraio 1975 con salita a quota 3000 m in 27m57s, a 6000 m in 39m33s, a 9000 m in 48m35s, a 12.000 m in 59m38s.

Anche l'Italia, pur non potendo competere in imprese così impegnative, ha conquistato alcuni primati mondiali di categoria. Si ricordano i primati di velocità del velivolo SIAI Marchetti SF 260: velocità 322,52 km/h su circuito di 1000 km, ottenuta a Santa Monica in California il 25 marzo 1969 e la velocità di 369,43 km/h su circuito di 100 km ottenuta il 24 marzo a Los Angeles, primati entrambi omologati nella classe C-1-c; i sei record mondiali della classe C-1-b conquistati nel 1964 dal velivolo Antilope progettato dall'ing. E. Bianchi: velocità su circuiti di 3-100-500-1000-2000 km, rispettivamente con 432,9-436-421-406-379 km/h e il record di altezza di 10.420 m.

In tutto il mondo si disputano ogni anno moltissime competizioni aeronautiche sportive per aerei leggeri. Nel 1969 è stato istituito un campionato mondiale di volo a motore; il titolo è assegnato in base a una classifica a punti relativa ai piazzamenti ottenuti dai partecipanti a gare internazionali predesignate: campione 1969 è stato il francese O. Emnet, per il 1970 l'italiano A. Nustrini.

È stato istituito un campionato mondiale di pilotaggio per aerei leggeri, il cui titolo nel 1978 è stato vinto dallo svedese J. Olof Friskman.

Si disputa anche un campionato d'Europa di volo acrobatico; nella categoria individuale campione per il 1975 è stato il tedesco M. Stroessenreuther e nella categoria a squadre la Cecoslovacchia. Il campionato mondiale di volo acrobatico è invece biennale; campione per il 1974 è stato lo svizzero E. Müller. Si calcola che nel mondo siano in uso 33 tipi di aerei acrobatici.

Al 31 dicembre 1978, gli aeromobili civili sottoposti alla sorveglianza del Registro aeronautico italiano erano 1927, di cui 1473 velivoli (143 di peso superiore a 5670 kg), 141 elicotteri, 312 tra alianti, motoalianti e autogiri, 1 pallone. Dei 1927 aeromobili, 254 erano adibiti al trasporto pubblico, 909 al turismo o alla scuola presso gli aeroclub o altre associazioni sportive, 686 a turismo, lavoro aereo o impieghi speciali da parte di privati, costruttori aeronautici e amministrazioni pubbliche. Alla stessa data, gli aeromobili francesi erano 8456, di cui 6661 velivoli, 281 elicotteri, 1429 alianti e 85 palloni; gli aeromobili britannici 5776, di cui 5103 velivoli (591 di peso superiore a 5700 kg), 455 elicotteri, 213 palloni e 5 dirigibili.

Alpinismo. - Alpinismo europeo. - La prima ascensione della cresta Sud dell'Aiguille Noire de Peuterey (agosto 1930) a opera dei rocciatori della scuola di Monaco di Baviera K. Brendel e H. Shaller, dopo una lunga serie di tentativi delle guide di Courmayeur, riveste l'importanza storica della comparsa per la prima volta del VI grado nelle Alpi Occidentali. Altre tappe fondamentali dell'arrampicata su granito in questo periodo: la prima ascensione della parete Nord del Petit Dru, compiuta nel 1935 dai francesi P. Allain e R. Leininger; la via di v. Ratti e L. Vitali sulla parete Ovest dell'Aiguille Noire de Peuterey (agosto 1939), lungo la quale un diedro strapiombante di 35 m rappresentava certamente la massima difficoltà su roccia affrontata sino allora sul Monte Bianco.

Negli anni Trenta vi è anche la soluzione di quelli che venivano definiti i "tre ultimi problemi delle Alpi": le pareti Nord del Cervino, delle Grandes Jorasses e dell'Eiger. La prima a cadere è stata la parete Nord del Cervino (1931), a opera dei fratelli austriaci F. e T. Schmid, al loro primo tentativo. La "corsa alle Jorasses" inizia di fatto nel 1929 e si conclude solo nel 1935; l'ultimo assalto vide impegnati in parete, in una vera e propria competizione, una cordata francese (A. Charlet e F. Bellin), una italiana (G. Gervasutti e R. Chabod), una svizzera (R. Lambert e L. Boulaz) e una austriaca (R. Peters e M. Meier). Furono gli austriaci a spuntarla lungo lo sperone della Punta Croz, mentre agl'italiani toccava la prima ripetizione. La Nord dell'Eiger, la più alta (1800 m di dislivello) e la più difficile delle tre pareti, è stata conquistata nel luglio 1938 da due tedeschi di Monaco, A. Heckmair (capocordata) e L. Vörg e due viennesi, F. Kasparek e H. Harrer, in due giorni e mezzo di scalata.

Protagonista di alcune delle più prestigiose imprese del tempo sia su calcare sia su granito e misto, è il lecchese R. Cassin. In Dolomiti, la sua scalata della parete Nord della Cima Ovest di Lavaredo (1935) innalza il limite del VI grado superiore; sul granito, vince la parete Nord-Est del Pizzo Badile (1937) e soprattutto lo sperone della Punta Walker (1938), che costituiva il vero problema della parete Nord delle Grandes Jorasses. Altro alpinista completo su ogni terreno è G. Gervasutti, dolomitista per formazione poi grande occidentalista, con all'attivo imprese eccezionali: prima ascensione della parete Nord-Ovest dell'Ailefroide (1936); parete Sud-Ovest del Picco Gugliermina (1938); pilone di destra del Freney al Monte Bianco (1940), forse la sua massima realizzazione, un itinerario che ancora oggi conta pochissime ripetizioni.

Sulle Alpi Orientali, personaggio chiave di questo periodo è il trentino E. Comici, uno dei massimi orientalisti della storia dell'alpinismo, arrampicatore dallo stile elegante e ricercato, iniziatore della scalata in artificiale. Primo italiano ad aprire una via di VI grado in Dolomiti (parete Nord-Ovest delle Tre Sorelle del Sorapiss, agosto 1929), nell'agosto 1933 Comici realizza un trittico di prime ascensioni di valore eccezionale: la parete Nord-Ovest del Civetta (4-5 agosto), la parete Nord della Cima Grande di Lavaredo (12-13 agosto), lo spigolo Sud dell'Anticima Sud della Cima Piccola di Lavaredo (17-18 agosto).

Altre grandi imprese dell'alpinismo dolomitico degli anni Trenta: la scalata effettuata nel 1932 da C. Gilberti e O. Soravito dello spigolo Nord del Monte Agner; la via alla Punta Civetta della parete Nord-Ovest del Civetta, per opera di A. Andrich ed E. Faè (1934); la cosiddetta "via delle guide" sulla parete Nord-Est del Crozzon di Brenta, a opera di B. Detassis ed E. Giordani (1935). Rimaste classiche nella storia dell'arrampicata: la via di Cassin e V. Vitali sullo spigolo sud-Est della Torre Trieste in Civetta (1935); gl'itinerari sulla parete Sud-Ovest della Marmolada, aperti nel 1936 da G. Soldà e U. Conforto alla Punta Penia e da G. Vinatzer e E. Castiglioni alla Punta Rocca, quest'ultima la via più dura e difficile aperta in Dolomiti prima della seconda guerra mondiale.

La figura più rappresentativa dell'alpinismo italiano ed europeo del dopoguerra è il bergamasco W. Bonatti; egli esordisce nel grande alpinismo nel 1949, non ancora ventenne, ripetendo in una sola estate tre prestigiosi itinerari: lo sperone Walker delle Grandes Jorasses, la parete Nord-Est del Badile, la parete Ovest della Noire. Nel 1951 realizza il primo dei suoi eccezionali exploit: la parete Est del Grand Capucin, grandiosa scalata prevalentemente artificiale. Il gruppo del Monte Bianco resta il terreno d'azione preferito da Bonatti. Ricordiamo le imprese più significative: la straordinaria performance solitaria sul pilastro Sud-Ovest del Petit Dru (1955); le tre vie aperte sul Grand Piller d'Angle (sperone Nord-Est, 1957; parete Nord, 1962; parete Est, 1963); la prima invernale della parete Nord delle Grandes Jorasses (via Cassin, 1963); lo sperone Whymper sulla parete Nord delle Grandes Jorasses (1964); la direttissima sulla parete Nord del Cervino, in prima solitaria invernale (1965). Ha partecipato a spedizioni extra-europee conquistando, tra le altre, la cima inviolata del Gasherbrum IV (7980 m) nel 1958, e contribuendo in maniera determinante alla vittoria della spedizione italiana al K2 (8611 m) nel 1954.

Accanto a Bonatti, sulle Alpi Occidentali, opera negli stessi anni un gruppo di forti scalatori francesi, che compie imprese rimaste classiche. Nel primo dopoguerra, G. Rebuffat realizza le prestigiose prime ripetizioni delle vie di Cassin alle Grandes Jorasses e al Badile e della via Ratti-Vitali alla Noire, mentre alla cordata formata da L. Terray e L. Lachenal va la prima ripetizione della via di Heckmair sulla parete Nord dell'Eiger. Il primo vero successo dell'alpinismo francese è la parete Ovest del Petit Dru, conquistata nel 1952 da G. Magnone, L. Berardini, A. Dagory e M. Lainè; un'ascensione eccezionale, che però suscitò vivaci polemiche, sia per l'impiego per la prima volta di alcuni chiodi a espansione, sia per la rottura del canone di unità di tempo e di azione (la scalata infatti era stata portata a termine in due riprese, ripartendo dal punto raggiunto precedentemente). La cordata formata da J. Couzy e R. Desmaison coglie per i francesi altri significativi successi: cresta Nord dell'Aiguille Noire (1956); via diretta sulla parete Nord-Ovest del Pic d'Olan (1956); direttissima sulla parete Ovest della Noire (1957); prima invernale della via Magnone sull'Ovest del Petit Dru (1957).

Desmaison, a differenza di Bonatti, che ha lasciato dopo l'impresa sul Cervino l'alpinismo di punta, è ancora attivo tutt'oggi, con una somma complessiva di realizzazioni che probabilmente non ha rivali in Europa. Altre sue rilevanti imprese sulle Alpi Occidentali sono la conquista del pilone centrale del Freney, con P. Julien, I. Piussi e Y. Pollet-Villard, a ruota delle cordate inglesi Bonnington-Whillans e Clough-Duglosz, nel 1961, pochi giorni dopo la tragedia che, sotto forma di una bufera di eccezionale violenza e durata, aveva travolto, a soli 80 m dalla vetta, una cordata italiana e una francese guidate da W. Bonatti e P. Mazeau, causando la morte di quattro alpinisti su sette; la prima invernale dello stesso pilone centrale con R. Flematty, nel 1967; la Nord-Est della Punta Walker, nel 1973. Sulle Dolomiti, ha aperto una grande via tutta in artificiale sul settore sinistro della parete Nord della Cima Ovest di Lavaredo (1959). Numerose le imprese extraeuropee, tra cui spicca la prima ascensione del difficilissimo Jannu (7710 m) nel 1962.

Attivissimi in campo extraeuropeo - l'assalto all'Everest, in particolare, è quasi loro esclusivo monopolio - gl'Inglesi tornano nel dopoguerra sulle Alpi Occidentali a siglare altre significative prime ascensioni. Nomi di punta sono J. Brown, D. Whillans, Ch. Bonnington, D. Haston. Nel 1954 Brown e Whillans vincono la parete Ovest dell'Aiguille de la Blatière; nel 1961 la cordata Bonnington-Whillans mette piede per prima sulla sommità del pilone centrale del Freney; nel 1966 Haston, Bonnington e Whillans fanno parte di una squadra anglo-americana, diretta da J. Harlin, che, insieme con una squadra tedesca, apre una direttissima invernale sulla parete Nord dell'Eiger.

Gli anni Sessanta vedono un nuovo fenomeno sulle Alpi Occidentali: l'arrivo degli alpinisti americani della scuola californiana (v. oltre). L'esordio nel 1962 è una variante diretta alla via Magnone sulla parete Ovest del Petit Dru, per opera di G. Hemming e R. Robbins; segue nel 1963 una via sulla parete Sud dell'Aiguille du Fou aperta da T. Frost, J. Harlin, G. Hemming e lo scozzese S. Fulton. Nel 1965 Harlin e Robbins aprono una direttissima sulla Ovest del Petit Dru, un capolavoro di arrampicata artificiale, tuttora ritenuta la più dura via artificiale su granito dell'intera cerchia alpina.

Negli anni Sessanta vengono anche realizzate le prime ascensioni invernali delle tre più classiche pareti Nord delle Alpi. Nel 1961 la via Heckmair sulla parete Nord dell'Eiger è superata in inverno dai tedeschi T. Kinshofer, A. Mannhardt e T. Hiebeler, insieme con l'austriaco W. Almberger. Nel 1962 gli svizzeri H. Von Allmen e P. Etter vincono la Nord del Cervino, mentre la prima invernale della parete Nord delle Grandes Jorasses (sperone Walker) è appannaggio di Bonatti e C. Zappelli (1963). Un'altra prima invernale di rilievo sulle Occidentali - oltre alla già ricordata parete Ovest del Petit Dru (via Magnone) da parte di Couzy e Desmaison nell'inverno 1957, e al Pilone Centrale del Freney, vinto in inverno da Desmaison e Flematty nel 1967 - è quella della via Cassin sulla Nord-Est del Badile, per opera di una cordata mista italo-svizzera, formata da A. Gogna, G. Calcagno, P. Armando, M. Darbellay, D. Troillet, C. Bournissen, che utilizzò una tecnica himalaiana, con uomini in parete alternantisi ad attrezzare la via. Nell'inverno 1973, la cresta integrale di Peuterey al Monte Bianco venne percorsa da una cordata italo-francese composta da Y. Seigneur, M. Feuillarade, L. Audoubert, M. Galy, O. e A. Squinobal. La via Gervasutti-Devies alla parete Nord-Ovest dell'Ailefroide è stata superata in prima invernale da P. Beghin, P. Caubert, O. Challeat e P. Guillet (1975).

La salita del Couloir Nord-Est dell'Aiguille du Dru nell'inverno 1973, a opera di W. Cecchinel e C. Jager, è una prima invernale, ma è anche una prima assoluta e apre una nuova pagina, per la tecnica di arrampicata adottata, nella storia dell'alpinismo sul ghiaccio.

Sono ancora da citare gli ultimissimi exploit sulle tre più classiche pareti Nord delle Alpi. Le prime solitarie invernali delle tre celebri pareti Nord sono state tutte e tre appannaggio dal giapponese T. Hasegawa: la Nord del Cervino nel febbraio 1977; la Nord dell'Eiger nel gennaio 1978; la Nord delle Grandes Jorasses (sperone Walker) nel febbraio 1979. Restavano ancora da percorrere tutte e tre le Nord, in solitaria, nello stesso inverno: è l'impresa riuscita al francese Y. Ghirardini, con la seguente straordinaria progressione: 21 dicembre 1977, Nord Cervino; 7-9 gennaio 1978, Nord Grandes Jorasses (sperone Croz); 7-11 marzo 1978, Nord Eiger.

Sulle Dolomiti, l'impresa più di rilievo degli anni dell'immediato dopoguerra è quella dei marsigliesi G. Livanos e R. Gabriel che nel 1951 vincono il grande diedro della parete Ovest della Cima Su Alto, alzando il livello di difficoltà superato nell'anteguerra, con un più esteso impiego delle tecniche e dei materiali dell'arrampicata artificiale. Nella realizzazione tecnica della salita si avanza per la prima volta la possibilità d'introdurre il VII grado. Di pari difficoltà è l'impresa degli "scoiattoli di Cortina, L. Lacedelli, L. Ghedina e G. Lorenzi, sulla Cima Scotoni, nel 1952. Altre ascensioni significative degli anni Cinquanta sono opera di A. Oggioni, J. Aiazzi, A. Aste. Ricordiamo il grande diedro della parete Est della Brenta Alta, vinto dalla cordata Oggioni-Aiazzi nel 1953; la parete Est della Cima d'Ambiez, superata da Oggioni, Aiazzi, Aste e A. Miorandi nel 1953; la via aperta nel 1954 da Aste con F. Susatti sulla parete Nord-Ovest della Punta Civetta, quasi esclusivamente in arrampicata libera al massimo livello di difficoltà.

Nelle Alpi Giulie, vanno ricordate le significative imprese del grande scalatore I. Piussi; nel 1954 la parete Nord del Piccolo Mangart di Coritenza, con L. Bulfon e A. Perissutti; nel 1955 la parete Nord della Véunza con A. e U. Perissutti, entrambe in arrampicata libera di VI grado.

Nel 1957 viene realizzata sulla parete Nord-Ovest del Monte Civetta l'impresa che segna forse l'estremo limite raggiunto in arrampicata libera: gli austriaci W. Philipp e D. Flamm superano il diedro della Punta Tissi, da molti considerata la più difficile via di roccia non solo delle Dolomiti, ma dell'intera cerchia alpina.

Negli anni Cinquanta comincia ad affermarsi un eccezionale arrampicatore solitario, noto come il "ragno delle Dolomiti": C. Maestri. Egli esordisce con prime ripetizioni solitarie a tempo di record di itinerari famosi, cui farà seguire, inimitato, prime discese assolute in arrampicata libera di vie di VI grado. Nel 1952 in prima solitaria supera la via Dibona al Croz dell'Altissimo in tre ore e mezzo, la via Comici al Campanile Comici in sei ore e mezza, la traversata del Campanile Basso salendo per la via Fehrmann e scendendo per la Preuss in un'ora e mezzo, la Solleder sulla parete Nord-Ovest del Civetta in sette ore e mezzo, senza usare chiodi. Nel 1953 compie la prima salita in quattro ore e la prima discesa solitaria della "via delle guide" sul Crozzon di Brenta. Nel 1955 sale in dieci ore per la via Oppio sul Croz dell'Altissimo, e ne compie la prima discesa solitaria. Sul finire degli anni Cinquanta la tendenza imperante in Dolomiti è quella di vie di totale artificialità, dove la progressione avviene unicamente su chiodi, per lo più a espansione. Maestri, grandissimo liberista, vi si adeguerà completamente. Le sue vie sulla parete Sud del Piccolo Dain (1957) e sulla parete Rossa della Roda di Vael (1960) sono itinerari tracciati con uso larghissimo di chiodi a espansione, riguardo ai quali lo scalatore rivendica una piena libertà di uso illimitato.

Esponenti emblematici della tendenza dell'artificialità totale sono i tedeschi della scuola sassone, che a cavallo degli anni Sessanta aprono direttissime e superdirettissime che sembrano disegnate con la riga sulle grandi pareti. Nell'estate 1958 i tedeschi L. Brandler, D. Hasse, J. Lehne e S. Low tracciano sulla parete Nord della Cima Grande di Lavaredo una via diretta, a sinistra della via Comici. Nel settembre dello stesso anno Brandler e Hasse superano in artificiale la parete Rossa della Roda di Vael. Nel 1959 sono invece i francesi Desmaison, P. Kohlman, P. Mazeaud e B. Lagesse a vincere il grande tetto e gli strapiombi del settore sinistro della parete Nord della Cima Ovest di Lavaredo. Sempre nel 1959, gl'italiani Piussi e G. Redaelli aprono una direttissima sulla parete Sud della Torre Trieste nel Gruppo del Civetta, una delle più complesse arrampicate artificiali di tutte le Alpi.

Forse però la più clamorosa delle imprese in artificiale è la "superdirettissima" aperta nell'inverno 1963 sulla parete Nord della Cima Grande di Lavaredo dai sassoni P. Siegert, R. Kaushke e G. Uhner, con 17 giorni di arrampicata e 16 bivacchi, e rifornimenti inviati dal basso mediante cordino.

Le più significative prime invernali in Dolomiti risalgono agli anni Sessanta. Nel 1963 Piussi, Redaelli e T. Hiebeler superano in prima invernale la famosa via Solleder alla parete Nord-Ovest del Civetta. Lo spigolo Cassin alla Torre Trieste è conquistato nell'inverno successivo da A. Anghileri, A. Cattaneo, P. Negri e E. Arcelli. Nell'inverno 1967 R. Messner vince lo spigolo Nord del Monte Agner e la via Solleder alla Furchetta.

Da ricordare la prima invernale della difficile via Piussi-Redaelli alla Torre Trieste (1968) da parte dei fratelli A. e G. Rusconi; la "via delle guide" al Crozzon di Brenta (1969), da parte dei fratelli Rusconi con R. Chiappa e G.-L. Lanfranchi; una nuova via, anche prima invernale, sulla parete Nord-Ovest del Civetta (1972), aperta dai Rusconi con G. Tessari, G. Villa e G. Crimella; il celebre diedro Phillipp alla Punta Tissi in Civetta vinto nell'inverno 1973 da G. Rusconi, G. Tessari, G. Fabbrica e G. Crimella.

Sul finire degli anni Sessanta, riprende a prevalere l'arrampicata libera, in un contesto che tende sempre più a recuperare il rapporto dell'uomo con la montagna, sostituendo a ogni tecnicismo una serissima preparazione psicofisica. Tra i nomi nuovi citiamo A. Gogna, protagonista della prima invernale alla Nord-Est del Badile (1967), autore della prima solitaria dello sperone Walker delle Grandes Jorasses (1968), della prima assoluta del Naso di Zmutt sul Cervino, con L. Cerutti nel 1969, e di alcune vie nuove di grande respiro e difficoltà estrema in zone che erano state completamente dimenticate dal grande alpinismo (Pale di San Lucano), una dimostrazione di quanto ancora c'era da fare in arrampicata libera per chi aveva fantasia e spirito ricreativo. Ricordiamo E. Cozzolino, caduto a soli 24 anni, dopo una carriera folgorante in cui brilla il suo capolavoro: il grande diedro del Piccolo di Mangart di Coritenza, il diedro più alto, più regolare e l'unico a incidere completamente una parete di tutte le Alpi, scalato con A. Bernardini nel 1970, in arditissima arrampicata esclusivamente libera.

Su tutti R. Messner, unanimemente riconosciuto il migliore alpinista vivente. Messner è fedele a un'etica rigorosa e severa, fondata sulla proposta di un alpinismo creativo, che superi i vecchi limiti ma che nello stesso tempo dia ai concetti di sicurezza in montagna e di arrampicata libera il significato di regole assolute (Messner non è mai "volato", in oltre 1500 ascensioni, né ha mai usato un chiodo a espansione). La levatura, la completezza, la quantità delle sue salite sono al di là di qualsiasi termine di confronto. Ha al suo attivo la ripetizione di tutte le vie più difficili dell'intera catena alpina, su roccia, su ghiaccio, su misto, sempre in tempi eccezionalmente brevi e con limitatissimo uso di mezzi artificiali. Tra le sue prime ascensioni assolute, prime solitarie, prime invernali, imprese extraeuropee, ne citiamo alcune tra le più significative, altrettante tappe fondamentali nella storia dell'alpinismo. In solitaria, in cui eccelle: la prima della parete Nord delle Droites, ritenuta la più difficile ascensione delle Alpi su terreno misto (1969, in sole 7 ore); nello stesso anno, la prima della via Philipp-Flamm alla Punta Tissi e la prima della via Vinatzer-Castiglioni sulla Marmolada di Rocca, con una variante diretta all'uscita. Tra le prime ascensioni: la "via degli amici" sulla parete Nord-Ovest del Civetta (1967); la parete Nord-Est dell'Aiguille de l'Argentière (1967); il pilastro Nord dell'Eiger (1968); una nuova via diretta sulla parete Sud della Marmolada (1968). Tra le prime invernali: lo spigolo Nord del Monte Agner (1967); la via Solleder alla Furchetta (1967). L'attività extraeuropea di Messner è imponente ed è venuta progressivamente a costituire il suo principale terreno d'azione: egli è l'unico uomo al mondo ad aver all'attivo sei ottomila. Nel 1970 supera con il fratello Gunther il versante di Rupal del Nanga Parbat (8125 m) e scende per il versante Diamir (al termine del quale il fratello troverà la morte sepolto da una valanga), compiendo la prima traversata completa del massiccio. Poi è la volta del Manaslu (8126 m), superato nel 1972 per l'inviolata parete Sud. Nel 1975 un'impresa rivoluzionaria nella storia dell'alpinismo himalaiano: la scalata di un ottomila, l'Hidden Peak (Gasherbrum . I, 8069 m) in puro stile alpino, insieme con l'austriaco P. Habeler: senza portatori, né campi intermedi, né uso di ossigeno, i due superano slegati in salita e in discesa la difficilissima parete Nord-Ovest. L'8 maggio 1978 Messner e Habeler segnano un'altra tappa nella storia dell'alpinismo, raggiungendo la più alta montagna della Terra, l'Everest (8847 m), senza l'uso di respiratori a ossigeno. Nell'agosto dello stesso anno una nuova straordinaria performance: la scalata solitaria del Nanga Parbat per il versante Diamir, partendo da un campo base a quota 4000 m ed effettuando tre bivacchi in parete. Nel 1979, venticinquennale della vittoriosa scalata italiana al K2, il sesto ottomila: Messner ripete la scalata della difficilissima vetta, ancora senza far uso dell'ossigeno.

Alpinismo extraeuropeo. - Come già per le Alpi, la prima fase dell'alpinismo himalaiano ha visto come protagonisti gl'Inglesi. Quasi tutti i loro tentativi furono diretti alla montagna più alta della Terra, l'Everest (8847 m). Fin dal lontano 1905 gl'Inglesi gettarono le basi organizzative e di studio per una prima spedizione all'Everest, ma la guerra mondiale 1915-18 interruppe la realizzazione dei progetti. La prima spedizione all'Everest (maggio-settembre 1921), diretta dal tenente-colonnello C. K. Howard Bury, giunse fino al Chang La o Colle Nord (7007 m), da cui si apriva la possibilità di una scalata lungo la cresta Nord-Est: la via che tutte le spedizioni seguiranno fino al 1951. Nel corso della spedizione del 1924 (la terza in ordine cronologico), diretta dal colonnello E. F. Norton, gli alpinisti G. Mallory e A. Irvine partirono dall'ultimo campo a quota 8200 m per tentare la conquista della vetta. Furono visti per l'ultima volta fra le nebbie su un nevaio sotto un ripiano della cresta finale, poi di essi non si seppe più nulla. Dopo la seconda guerra mondiale, impraticabile per motivi politici il versante Nord, teatro di tutte le precedenti spedizioni, l'azione degl'Inglesi si spostò sul versante Sud-Ovest dell'Everest, dove venne identificata una possibile via di salita attraverso il ghiacciaio Khumbu, il Colle Sud all'estremità del ghiacciaio stesso, e infine la cresta Sud-Est. I primi ad avventurarsi lungo questo nuovo itinerario furono però questa volta gli Svizzeri, nel 1952, con una spedizione guidata da E. Wyss-Dunant che raggiunse, con gli scalatori R. Lambert e la guida nepalese Tensing Norkay la quota 8550 m circa. Nel 1953 alla spedizione inglese diretta dal colonnello J. Hunt arrideva finalmente il successo: il 29 maggio, la cordata di punta formata dal neozelandese E. Hillary e da Tensing Norkay raggiunse la vetta della più alta montagna del globo.

Se gl'Inglesi si adoperarono in ogni modo per vincere l'Everest, gli alpinisti tedeschi invece avevano scelto come obbiettivo da raggiungere il Nanga Parbat (8125 m). Le spedizioni tedesche che s'impegnarono alla conquista del Nanga Parbat furono numerose (1932, 1934, 1937, 1938, 1939, 1950, 1953). Purtroppo la storia alpinistica di questa montagna è segnata dalla tragedia, fin dal primissimo tentativo, nel 1895, a opera di un gruppetto di rinomati alpinisti britannici, tra cui il famoso scalatore A. F. Mummery. È proprio Mummery che, tentando d'intraprendere da solo l'attacco alla vetta lungo il versante occidentale di Diamir, scomparirà insieme con due accompagnatori gurkha. Nel lungo elenco delle vittime c'è anche il nome di un altro celebre alpinista, W. Welzenbach, l'ideatore della scala dei gradi delle difficoltà alpinistiche. Il 1953 è, anche per il Nanga Parbat, l'anno della vittoria. Questa vittoria porta un solo nome: quello dell'austriaco H. Buhl, autore di una delle più straordinarie imprese di tutta la storia dell'alpinismo: la notte del 3 luglio 1953 Buhl esce solo dalla tendina dell'ultimo campo, alle 2 e 30 di mattina, nel freddo intensissimo dei settemila metri, Buhl ha davanti a sé 1350 m di dislivello, che percorrerà in diciassette ore consecutive di marcia e di arrampicata, senza respiratore d'ossigeno. La conquista solitaria di un ottomila vergine compiuta da Buhl rimarrà una pagina ineguagliata nella storia degli ottomila: "Finché gli uomini scaleranno i monti - e certo lo faranno sempre - si ricorderanno della tua impresa suprema...." scriverà K. Diemberger, altro grandissimo scalatore austriaco (con oggi all'attivo quattro ottomila), che accompagnerà Buhl sugli 8047 m del Broad Peak, il secondo ottomila in prima assoluta di Buhl, e il 25 giugno 1957 sarà con lui nella tormenta sulla cresta del Chogolisa quando Buhl, a trentatrè anni, scomparirà nei precipizî della parete Nord, per il cedimento di una cornice di neve. Di Buhl, alpinista completo, ricordiamo altre ascensioni di prestigio sulle Alpi: la prima invernale della via Soldà alla Marmolada (1950) con K. Rainer; la prima invernale e prima solitaria della parete Est del Watzmann (1953); la prima solitaria della Nord-Est del Badile (1952); la prima solitaria della parete Sud-Est della Cima d'Ambiez (1952); la via diretta sulla Cima Canali nelle Pale di San Martino, capolavoro di eleganza in arrampicata libera.

La prima vittoria su un ottomila, l'Annapurna (8078 m), è stata appannaggio dell'alpinismo francese (3 maggio 1950), a dimostrazione dei notevoli livelli da esso raggiunti nell'immediato dopoguerra. Dopo anni di tentativi, in un solo decennio (1950-60) vengono scalati per la prima volta tutti gli ottomila a eccezione del Shisha Pangma, non avvicinabile per motivi politici e raggiunto poi nel 1964 da spedizioni di varie nazionalità. Ricordiamo in particolare la conquista del K2 (8611 m), la seconda montagna della Terra, per opera di una spedizione italiana nel 1954. Citiamo anche un "quasi ottomila", il Gasherbrum IV (7980 m), vinto nel 1958 dalla cordata italiana Bonatti-C. Mauri della spedizione guidata da Cassin. Nella tabella sono riportati i dati essenziali di queste tappe fondamentali nella storia dell'alpinismo.

Caduti gli ottomila, nell'alpinismo himalaiano sono da ricordare la conquista della Torre Mustagh (7273 m), già ritenuta assolutamente inaccessibile e vinta quasi simultaneamente da due spedizioni, una inglese e una francese nel 1956; la conquista del difficilissimo Jannu (7710 m) a opera di una spedizione francese guidata da L. Terray nel 1962; la recente (1978) vittoria sul Langtang Lirung (7245 m) da parte di una spedizione giapponese, dopo che in precedenti spedizioni ben otto alpinisti vi avevano lasciato la vita; nel 1962 una spedizione tedesca vince il grande versante Diamir del Nanga Parbat, sulle orme del lontano tentativo solitario di Mummery. Nel 1963 una spedizione americana raggiunge l'Everest per l'inviolata cresta Ovest realizzando, con la discesa per la via normale, la prima traversata del massiccio.

L'impresa che segna però una netta evoluzione rispetto a tutte le salite precedenti è la conquista della parete Sud dell'Annapurna, da parte degl'inglesi D.. Whillans e D. Haston della spedizione guidata da Ch. Bonnington, avvenuta nel 1970: mai in Himālaya e a quella quota erano state affrontate difficoltà di quel livello. Nello stesso anno, i fratelli Messner vincono la parete di Rupal del Nanga Parbat. Nel 1971 il verticale pilastro Ovest del Makalu è superato dalla cordata francese Y. Seigneur-B. Mellet, della spedizione diretta da R. Paragot, superando difficoltà estreme su roccia. Un altro grande problema himalaiano, la parte Sud- Ovest dell'Everest, è risolto nel 1975 dalla formidabile cordata inglese D. Haston-D. Scott, della spedizione diretta ancora da Bonnington. Sempre nel 1975 l'impresa, già ricordata, di Messner e Habeler, soli, slegati e senza ossigeno, sulla parete Nord-Ovest di un ottomila, il Gasherbrum I (Hidden Peak). L'evento indubbiamente ridimensiona il mito, e anche la retorica, di un certo tipo di alpinismo himalaiano. Nel 1976 gl'inglesi J. Tasker e P. Boardman (quest'ultimo già sull'Everest per la parete Sud-Ovest) aprono una via sulla parete Ovest del Changbang, una torre di granito che è alta quasi 7000 m, affrontando l'attacco senza portatori e operando su di essa per quasi un mese con difficoltà di V e Vi grado. Altrettanto notevole l'impresa dei due scalatori austriaci E. Koblmüller e A. Furtner che, nell'ottobre 1978, superano la parete Sud di un ottomila, il Cho Oyu, da soli, senza respiratori a ossigeno e senza spedizione di appoggio.

In America Meridionale, la montagna per antonomasia, e anche la vetta più alta del continente, è l'Aconcagua (6959 m). La sua parete Sud, alta quasi 3000 m, è stata vinta nel febbraio 1954 da una spedizione francese composta da L. Berardini, A. Dagory, P. Lesueur, R. Paragot, G. Poulet e E. Denis. Un'altra via, sempre di estrema difficoltà, è stata aperta sulla parete Sud da una spedizione altoatesina guidata da Messner, nel gennaio 1974: la vetta è stata raggiunta in scalata solitaria da Messner, partendo da quota 6100 m.

In Patagonia, i gruppi del Fitz Roy e del Cerro Torre sono tra le montagne più difficili del mondo, anche per le condizioni ambientali sempre durissime, dovute al clima impervio e ai venti che soffiano con violenza inaudita. Il Fitz Roy è stato scalato per la prima volta nel 1951 dai francesi L. Terray e G. Magnone. L'impresa ha richiesto un'arrampicata in libera e in artificiale ed è certamente una delle più notevoli della storia dell'alpinismo. Il pilastro Est del Fitz Roy, immenso sperone di granito rosso alto quasi 1600 m, è stato superato nel 1976 da una spedizione italiana composta dai "ragni di Lecco" e guidata da C. Ferrari.

Il Cerro Torre, giudicato da molti il più arduo problema alpinistico del mondo, è stato vinto nel 1959 da C. Maestri e T. Egger, saliti lungo il versante Est. Egger periva scendendo dalla vetta. Su questa salita sono stati avanzati molti dubbi, anche in mancanza di precise documentazioni in proposito. Per sfatarli, Maestri ritornava nel 1970 e vinceva il versante Sud-Est, facendo un larghissimo impiego di chiodi a espansione, per i cui fori era utilizzato un perforatore meccanico con compressore alimentato da un motore a scoppio. Con mezzi tradizionali veniva invece superato, nel 1973, il versante Ovest, ancora dai "ragni di Lecco" guidati da Ferrari. L'ardua Torre Egger, un satellite del Torre, è stata vinta nel 1975 dagli americani J. Bragg, J. Wilson e J. Donini. Infine l'ultima vetta vergine del Gruppo del Torre, il Cerro Stanhard, è stata scalata per la prima volta nel 1976 dagli americani J. Whittle e B. Hall.

Le Torri del Paine sono un altro gruppo alpinisticamente importante della Patagonia. La Torre Centrale è stata vinta nel 1963 da una spedizione inglese guidata da D. Whillans e Bonnington. Gl'Inglesi hanno preceduto di poco in vetta la spedizione degl'italiani A. Aste, V. Taldo, J. Aiazzi e N. Tusdeo. La Fortezza, la struttura più imponente del gruppo, è stata raggiunta nel 1968 dagli americani J. Gregory, G. Hibberd e D. Nicol. Sempre nel 1968, una spedizione italiana guidata da M. Curnis e M. Dotti ha vinto lo Scudo. Nel 1970 il Cathedral Peak è stato conquistato da una spedizione inglese, mentre nel 1974 la difficilissima parete Est della Torre Centrale veniva superata da una spedizione sudafricana.

Ancora più a sud, nella Terra del Fuoco, il Monte Sarmiento è stato conquistato nel 1955-56 da una spedizione italiana diretta da Padre De Agostini e composta da C. Mauri e guide della Valtournanche. Il Monte Buckland è raggiunto per la prima volta nel 1966 da un'altra spedizione italiana diretta da Mauri.

Nell'America Settentrionale, una spedizione italiana (1961) diretta da Cassin ha superato lo sperone Sud della vetta più alta del Nord America, il Monte Mc Kinley (6178 m). Sempre sul versante Sud del Mc Kinley, una delle pareti più alte del mondo, oltre 4000 m, nel 1976 gl'inglesi D. Haston e D. Scott hanno aperto una nuova via direttissima.

Sulle pareti di granito della Yosemite Valley, nella Sierra californiana, è nato un nuovo modo di fare alpinismo, portato, e imitato, sulle Alpi e altrove. I nomi delle vette di questa sorta di "super palestra" sono celebri nel consesso alpinistico mondiale: Sentinel Rock, Lost Arrow, Half Dome, El Capitan, con le sue famose pareti: il pilastro Sud, detto il Naso; la parete Salathè; la parete del Diedro; il pilastro Ovest; la parete Nord America. Su queste pareti si è realizzato un alpinismo fatto di grandissima preparazione atletica e di raffinata tecnica artificiale, supportato da una vasta gamma di attrezzi appositamente studiati. Padre riconosciuto dell'alpinismo californiano è J. Salathè, autore, nel primo dopoguerra, di tutte le più importanti scalate. Il superamento del Naso di El Capitan, forse la struttura più poderosa dell'intera valle, è merito di W. Harding, nel 1958. Altre imprese di Harding: la parete Sud del Monte Watkins (1964); la via diretta sulla Lost Arrow (1968); la parete Sud dell'Half Dome (1970). Il nome più noto degli anni sessanta è R. Robbins, protagonista poi sulle Alpi di grandissime imprese. Robbins vanta l'apertura di 4 nuove vie sulla parete Nord-Ovest dell'Half Dome; le prime ascensioni della parete Salathè, della parete Ovest, e della parete Nord America di El Capitan.

Di particolare significato e portata, le ultime tendenze dell'alpinismo californiano: arrampicate solitarie, di anno in anno più frequenti; arrampicate veloci, alla ricerca di record di scalata, in analogia a quanto praticato da diverso tempo in Unione Sovietica, dove, in Crimea in particolare, si tengono gare di arrampicate su percorsi paralleli o a cronometro, con gli atleti assicurati dall'alto con funi metalliche.

Inoltre, ed è questa la novità della scena alpinistica americana degli anni Settanta, arrampicate "pulite", fatte utilizzando un'attrezzatura tale da non alterare assolutamente la struttura naturale della roccia.

Infine, soprattutto, arrampicate libere su vie già aperte in artificiale e che vengono percorse cercando di utilizzare un numero sempre minore di mezzi artificiali. Sono le cosiddette "superlibere", per l'estremo grado di difficoltà che comportano.

Tendenze dell'alpinismo moderno. - Si può dire sinteticamente che, esaurita la fase più propriamente esplorativa, sia nel senso di scalare per la prima volta una montagna, sia in quello di percorrere ogni versante, ogni cresta, e, in termini più generali, ogni naturale via di salita, l'istinto di esplorazione e di novità, che è la vera molla dell'alpinismo, ha portato a ricercare itinerari anche là dove la conformazione della montagna impediva l'arrampicata libera: strapiombi, tetti, strutture prive assolutamente di appigli. Nasce l'arrampicata cosiddetta "artificiale", in cui il chiodo infisso nelle fessure della roccia è utilizzato non solo come mezzo di assicurazione, ma ora anche come mezzo di progressione. Tra i pionieri di questo genere di arrampicata abbiamo ricordato Comici con le sue imprese sul calcare negli anni Trenta (Nord Cima Grande di Lavaredo) e, nel secondo dopoguerra, Bonatti sul granito (Grand Capucin, Petit Dru). A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta si verifica un fenomeno determinante per il futuro dell'alpinismo, e cioè la tendenza a salire le pareti anche al di fuori delle naturali linee di frattura della roccia. Questo porta alla realizzazione di vere e proprie vie direttissime o "a goccia d'acqua", ma costringe a forare la parete per introdurvi un nuovo tipo di chiodo, il chiodo a espansione, che rende possibile il superamento di qualsiasi ostacolo: l'ignoto e anche l'incertezza, il rischio, in altri termini l'essenza stessa dell'alpinismo, sono cancellati. È chiaro che quello che poteva apparire come un processo logico e naturale, si rivela in effetti un passo indietro. Lentamente si arriva a prendere coscienza di questo: una salita in artificiale con chiodi a espansione richiede molta forza, e molta pazienza ma, spesso, è un buon lavoro di carpenteria, più che una prova di abilità e di coraggio.

Arriviamo così alla fine degli anni Settanta: su roccia e su ghiaccio, sulle Alpi come in Himālaya, è in atto un modo nuovo di fare alpinismo. Su roccia, è riesaltata l'arrampicata libera, nella versione estrema californiana già battezzata "superlibera": al posto del pesante arrampicatore degli anni Cinquanta e Sessanta, gravato da decine di chiodi e di cunei, con staffe appese un po' dovunque, che per giorni e giorni inchiodava pareti progredendo assai lentamente, si contrappone oggi il ginnasta, che volteggia leggero sui passaggi, con pochi blocchetti a incastro appesi alla cintura e con ai piedi le leggere pedule a suola piatta. È chiaro che, facendo una superlibera, si supera automaticamente il vecchio limite del VI grado. Infatti nel 1978 il massimo organismo internazionale di alpinismo, l'UIAA (Union des Associations Nationals de Alpinisme), ha votato la definitiva ammissione del VII grado. È chiaro - e sta qui il vero significato dell'alpinismo degli anni Ottanta - che da oggi è accessibile non solo il VII grado, ma è aperta anche la possibilità per ulteriori sviluppi. Nel Yosemite californiano, ancora una volta, il futuro è già cominciato. Il 3 agosto 1977 R. Jardine supera interamente in arrampicata libera il tetto della via Separate Reality: il passaggio è classificato, secondo la scala americana, pari a quello che per noi sarebbe un IX grado.

L'arrampicata su ghiaccio odierna è caratterizzata dalla ricerca dei più ripidi e nascosti colatoi di ghiaccio sulle pareti Nord, itinerari in precedenza esclusi, sia perché meno caratteristici rispetto a una parete glaciale, sia per la loro difficoltà e lunghezza, che avrebbe richiesto, anche in arrampicata artificiale, un'impossibile lunga permanenza in parete. Vi è anche un'altra ragione: oggi le grandi pareti Nord, vanto dei ghiacciatori del passato, sono diventate terreno d'azione per evoluzioni sciistiche, sia pure ad altissimo livello (ricordiamo S. Saudan, il primo a sperimentare questa forma di sci, e H. Holzer, perito tragicamente nel 1977). Occorreva perciò trovare altri modi d'espressione, cioè sul più ripido e sul ghiaccio vivo, anziché su neve indurita dal gelo. Per questi più difficili obbiettivi è stata affinata una nuova tecnica di ghiaccio: al posto del faticoso procedere intagliando gradini, oggi si adotta il cosiddetto "piolet-traction", che è una progressione sulle punte anteriori dei ramponi, usando due attrezzi d'ancoraggio, la piccozza e il martello da ghiaccio, tenuti a braccio teso, piantati alternativamente e utilizzati in trazione. Il piolet-traction è stato utilizzato per la prima volta da W. Cecchinel e C. Jager, nel dicembre 1977, nella prima ascensione invernale e integrale del Couloir Lagarde-Ségogne sulla parete Nord dell'Aigulle du Plan. Altre rilevanti imprese rese possibili dalla nuova progressione: la prima assoluta e prima invernale del Couloir Nord-Est dell'Aiguille du Dru, forse la più celebre salita di questo genere, realizzata da Cecchinel e P. Gabarrou nel 1973; la risalita del supercouloir del Mont Blanc du Tacul da parte di J. M. Boivin e Gabarrou; la direttissima al Pilier d'Angle, ancora da parte di Cecchinel, il primo ad avere studiato e introdotto non solo la tecnica, ma anche il tipo di nuovi attrezzi da ghiaccio necessari allo scopo.

Vi sono altri due tipici aspetti dell'alpinismo moderno che meritano di essere sottolineati: il nuovo modo di fare alpinismo solitario e l'evoluzione dell'alpinismo himalaiano. L'alpinista solitario degli anni Cinquanta e Sessanta saliva autoassicurato, ridiscendeva a recuperare il materiale e risaliva lungo le corde, oggi sale prevalentemente in arrampicata completamente libera, fidandosi dei propri mezzi e della propria preparazione. Vengono così realizzate delle grandi ascensioni, con una rapidità incredibile. Per quanto riguarda l'evoluzione dell'alpinismo himalaiano, essa è sintetizzata in modo emblematico dalle imprese realizzate da Messner. Il loro significato sta da un lato nel rifiuto della tradizionale tecnica di spedizione, dall'altro nel tentativo di portare sulle più grandi montagne del mondo il modo di scalare le pareti in uso sulle Alpi: ossia la cordata impegnata da sola, senza appoggi, leggera e rapida, con limitato impiego di materiali e senza respiratori a ossigeno. Naturalmente, per applicare quella tecnica in Himālaya occorreva trovare il giusto terreno, sia psicologico che tecnico, sulle Alpi. Le superlibere e il piolet-traction sono in grado di rispondere esaurientemente a questa esigenza.

Atletica leggera. - Negli anni 1961-78 i progressi nel settore dell'atletica leggera si sono avuti più sul piano scientifico che su quello tecnico, e i primati conseguiti, di riflesso, sono scaturiti più dai mezzi innovatori che da una particolare preparazione. I cosiddetti "limiti umani", considerati ogni qualvolta si migliora un record, sono continuamente ripristinabili, così che si è raggiunto il 9,9s sui 100 m. Dalle Olimpiadi di Roma a quelle di Montreal del luglio 1976, passando per Tokyo (1964), Città di Messico (1968) e Monaco (1972), l'atletica si è evoluta per due fondamentali novità: il tartan, che ha sostituito la terra battuta sulle piste e sulle pedane, e le aste di fibra di vetro, che hanno sostituito quelle di metallo. Il tartan è un materiale indistruttibile e impermeabile ma soprattutto elastico, cosicché, restituendo al podista o al saltatore parte della spinta impressa attraverso la corsa o la rincorsa, ne agevola l'azione. Usato per la prima volta alle Olimpiadi di Città di Messico, il tartan ha immediatamente rivoluzionato, nei salti e nelle corse veloci, le tabelle dei primati anche perché alla quota della capitale messicana (oltre i duemila metri), essendo minore la pressione atmosferica, aumenta la penetrazione nell'aria. Tra i primati conseguiti a Città di Messico, quello del salto in lungo dello statunitense R. Beamon (8,90 m) è considerato irripetibile, un vero limite umano, mentre il tempo di Th. Smith nei 200 m (19,8s) è stato eguagliato soltanto dopo sette anni. Inoltre il tartan, favorendo la rincorsa, ha praticamente promosso una nuova tecnica di salto in alto, il Fosbury flop, dal nome dell'inventore, lo statunitense R. Fosbury, che con una lunghissima rincorsa a semicerchio, e voltando le spalle all'asticella al momento del salto, vinse a Città di Messico, con un salto di 2,24 m. La tecnica di Fosbury, da quel giorno, fu applicata ovunque, e l'ex primatista mondiale, lo statunitense D. Stones, che ha detenuto il record per diverso tempo con la misura di 2,30 m, succedendo al connazionale P. Matzdorf e al cinese Ni Chi Chim (2,29 m) che applicavano lo stile ventrale; salta appunto all'indietro. L'altra innovazione, quella delle aste di fibra di vetro, assai flessibili e solide, catapultando il saltatore che abbia avuto la forza di piegarle e l'agilità per sfruttarne il contraccolpo, ha praticamente consentito anche ai mediocri di superare la barriera dei 5 m, che con le aste di metallo, non flessibili, era davvero considerata una misura irraggiungibile. Nel lancio del giavellotto è stato superato il "muro" dei 90 m; nel lancio del martello quello dei 70 m, e tale limite hanno superato anche i discoboli; nel getto del peso sono in molti ormai a raggiungere regolarmente misure oltre i 21 metri. L'uso degli anabolizzanti, che è stato in seguito vietato, ha trasformato atleti robusti in giganti, sviluppando a dismisura le masse muscolari. La chimica e la medicina, di pari passo con la ricerca scientifica, hanno praticamente trasformato l'atleta degli anni settanta, agevolandolo notevolmente. Unico tributo degli atleti di oggi alla scienza è il cronometraggio elettronico, in centesimi di secondo, che ha soppiantato quello manuale, aggiungendo in media due decimi di secondo ai tempi sui 100 m, e tre decimi di secondo a quelli sui 200 m.

Tra gli atleti italiani di spicco internazionale in questi ultimi anni sono da ricordare, in campo maschile, M. Fiasconaro (400 e 800 m), P. Mennea (100 e 200 m; in quest'ultima specialità primatista mondiale con 19,72s, a Città di Messico, 1979), C. Grippo (800 m), F. Fava e V. Ortis (5000 e 10.0000 m) e nel settore femminile R. Bottiglieri (100 e 200 m) e S. Simeoni (salto in alto, di cui detiene il record mondiale con 2,01 m).

Nella tabella è riportato un raffronto tra i record mondiali, europei e italiani di atletica leggera.

Per i vincitori delle diverse specialità di atletica leggera alle Olimpiadi, v. la tabella alla voce olimpici, giochi, in questa Appendice.

Atletica pesante.- Dopo 42 anni (dal 1933 al marzo 1974), la sigla FIAP, nella quale si è identificata la Federazione Italiana Atletica Pesante, è scomparsa per lasciare il posto a una sigla più ampia e più completa: la FILPJ, Federazione Italiana Lotta, Pesistica, Judo. La decisione ha consentito d'incorporare ufficialmente nei quadri e nei settori dell'organizzazione federale lo judo che, in pratica, vi era già entrato sin dal 1948.

Lotta greco-romana e stile libero. - Al fine di rendere sempre più veloci, brevi e spettacolari i combattimenti, la Commissione tecnica internazionale ha stabilito, nel 1960, che gl'incontri dovessero svolgersi in due riprese di 5 minuti ciascuna, con un minuto d'intervallo. È stata, nel contempo, abrogata l'obbligatorietà della lotta a terra (4 minuti) per dare maggiore impulso alla lotta in piedi che, alla fine, è più attraente anche dal lato estetico. Queste norme rimasero valide fino alle Olimpiadi di Città di Messico (1968), dopo le quali la Commissione tecnica internazionale ha varato un'altra regolamentazione: gl'incontri dovevano svolgersi su tre riprese di 3 minuti ciascuna, con un minuto d'intervallo. Nel corso delle Olimpiadi di Monaco (1972) fu stabilito che anche il tappeto (la cosiddetta materassina) dovesse uniformarsi al nuovo tipo di lotta. Pertanto, da quadrato il tappeto divenne circolare (per evitare gli angoli e, quindi, i punti morti) con un diametro di 9 m; il tappeto ha una bardatura di colore rosso, larga 1 m, che delimita la cosiddetta "superficie centrale di lotta, che quindi, a sua volta ha un diametro di 7 m. Nell'area delimitata dal cerchio rosso l'atleta non può stare fermo, ma deve obbligatoriamente portare colpi all'avversario, altrimenti è penalizzato.

In campo internazionale, le nazioni più forti nei due tipi di lotta restano l'URSS, la Bulgaria, la Romania e altri paesi dell'Europa orientale. L'Iran s'inserisce molto bene, in particolare, nella lotta stile libero. Buone, negli ultimi anni, le prestazioni dei lottatori giapponesi. Anche gli SUA, che sono presenti soltanto alle Olimpiadi, riescono a piazzare i propri atleti in posizioni di prestigio. Gli atleti azzurri non hanno avuto molta fortuna, in questi ultimi anni. Nei Giochi olimpici, dopo Roma (1960) bisogna giungere a Monaco (1972) per ottenere due medaglie di bronzo con G.M. Ranzi (68 kg) e G. Bognanni (52 kg) nella lotta greco-romana. Nei campionati mondiali del 1962, a Toledo, I. Fabra ha conquistato il secondo posto e ha ripetuto il risultato ai campionati mondiali del 1963, a Helsingbord. Nella lotta stile libero, O. Ferrari, nei leggeri, ai mondiali del 1962 si classificò al quinto posto. Nei campionati europei degli ultimi anni, i migliori risultati sono stati ottenuti a Modena nel 1969: L. Calafiore (minimosca) si classifica secondo; Bognanni (gallo), M. Toma (piuma), G. Marcucci (supermassimo) si classificano terzi. Calafiore si classifica terzo anche ai campionati europei di Berlino Est, nel 1970; agli europei di Madrid (1974) A. Quistelli si è classificato terzo nella categoria 48 kg. Il campo dei valori non cambia, ma nel 1978 la Commissione internazionale apporta ulteriori modifiche ai regolamenti dei due tipi di lotta al fine di renderli sempre più veloci e spettacolari. Si dà facoltà all'arbitro di sollecitare il combattimento con i seguenti inviti convenzionali ai due lottatori: "contatto"; "azione"; "aperto"; "attivo". Qualora i contendenti non si attenessero a codesti inviti, il direttore di gara ha facoltà di comminare punti di penalizzazione.

Pesistica.- I tradizionali tre esercizi - slancio, strappo e distensione - si riducono a due: strappo e slancio, nel 1973, dopo le Olimpiadi di Monaco. Anche senza la distensione, la scena mondiale continua a essere dominata dai pesisti sovietici che alle Olimpiadi di Tokyo (1964) vinsero quattro titoli su sette; alle Olimpiadi messicane (1968), i sovietici vinsero tre titoli su sette. La situazione di predominio si ripeteva, nel frattempo, nei campionati europei e mondiali, per raggiungere il più alto numero di vittorie nei mondiali di Lima (1971), dove all'URSS andarono ben sei titoli su nove (infatti dal 1969 alle originarie sette categorie se ne aggiungevano altre due: quella dei mosca e quella dei supermassimi, cioè oltre 110 kg); conquistarono il titolo mondiale: V. Chetin nei gallo, A. Kanyugi nei medi, J. Pavlov nei mediomassimi, D. Rigert nei massimi leggeri, A. Kozin nei massimi e il grande V. Alexeev nei supermassimi. Poi, alle Olimpiadi di Monaco (1972) accadde il fatto nuovo: l'URSS venne scavalcata dalla Bulgaria nella classifica generale e terza fu la Polonia. Le Olimpiadi di Montreal (1976) ripristinarono comunque la supremazia dell'URSS, che vinse cinque titoli contro tre della Bulgaria; il nono titolo andò alla Polonia.

Intanto la pesistica italiana si avvale degli ultimi sprazzi dell'anziano S. Mannironi per conquistare a Vienna, nel 1961, la medaglia d'oro ai campionati europei e la medaglia d'argento ai mondiali; è sempre Mannironi che nel 1966 conquista la medaglia d'argento nello strappo ai campionati mondiali di Monaco. Debbono trascorrere cinque anni prima di poter registrare soddisfacenti piazzamenti in competizioni a livello internazionale; è soltanto nel 1971, infatti, che ai campionati europei di Sofia troviamo D. Turcato al terzo posto nella categoria dei mediomassimi dopo che nel 1970, ai campionati mondiali di Columbus (SUA), la squadra azzurra aveva ottenuto il quinto posto nella classifica generale, realizzando anche 16 nuovi primati italiani. Sempre nel 1970 si afferma uno dei migliori pesisti, in senso assoluto, che abbia avuto l'Italia: A. Silvino. Ai campionati mondiali di Lima (1971), il giovane atleta di Teramo si classifica al terzo posto ed è ancora terzo ai campionati europei di Costanza (Romania), nel 1972.

Alle Olimpiadi di Monaco (1972) Silvino bissa il successo conquistando la medaglia di bronzo, con un complessivo di tutto rispetto: 470 kg; R. Vezzani, nei massimi, è quinto. Nel 1974 l'Italia organizza a Verona i campionati europei, con la partecipazione di 25 nazioni: l'Italia si classifica dodicesima, dopo una deludente prova degli azzurri. Nella classifica per nazioni è prima l'URSS, seguita dalla Bulgaria, dalla Rep. Dem. Tedesca, dalla Polonia e dall'Ungheria, ma nella classifica delle medaglie è in testa la Bulgaria con otto medaglie d'oro, cinque d'argento e quattro di bronzo. Continua, intanto, la netta supremazia dei pesisti sovietici, che dominano la scena internazionale. Nei campionati mondiali del 1978 a Gattisburg (SUA), i russi si aggiudicano cinque titoli su dieci (si era aggiunta, nel frattempo, una nuova categoria: quella dei massimi pesanti), con K. Osmonaliev nei 52 kg, N. Kolesnilkov nei 60 kg, Y. Vardanian negli 82,5 kg, D. Rigert nei 100 kg e Y. Zaitsev nei 110 kg; due titoli vanno ai cubani e uno ciascuno alla Bulgaria, alla Rep. Fed. di Germania e alla Rep. Dem. Tedesca.

Judo. - Il judo entrò per la prima volta in sede olimpica a Tokyo (1964), non in veste ufficiale bensì come s. dimostrativo, avvalendosi della grande popolarità di cui gode in Giappone; gl'incontri furono disputati dal 20 al 23 ottobre nella Nippon Budokan Hall. Ciò tuttavia costituì il primo passo del judo verso l'ammissione definitiva alle Olimpiadi, che si ebbe, dopo la battuta di arresto di Città di Messico, ai Giochi Olimpici di Monaco del 1972 (per i vincitori nelle varie categorie di judo si rinvia alla tabella della voce olimpici, giochi in questa Appendice). A Tokyo, la squadra italiana era composta da N. Tempesta (classificatosi 6°), B. Carmeni e S. Gamba (eliminati).

Nel periodo 1961-1978 i migliori risultati "azzurri" in campo internazionale sono stati ottenuti ai campionati europei del 1961 e del 1962 con la conquista, in entrambe le edizioni, della medaglia di bronzo nella classifica per nazioni e nel 1961 anche della medaglia d'argento individuale, per merito di N. Tempesta nei quarti dan. Nel 1961 la squadra italiana era composta da N. Tempesta, R. Venturelli, G. Zanchetta, D. Baccianini e R. Polverari; nel 1962 G. Guerriero sostituisce Baccianini. Nel maggio 1967 l'Italia organizza a Roma i campionati europei: deludenti le prestazioni degli azzurri. Vince la squadra tedesca che supera quella sovietica, già campione d'Europa senza soluzione dal 1963 al 1966.

Alla XX Olimpiade (1972), sui tatami di Monaco, i nipponici si confermano i più forti del mondo ma l'Olanda, nelle categorie superiori (massimi e peso libero), emula con W. Ruska l'impresa ottenuta a Tokyo con A. Geesink. L'Italia è presente con due soli atleti: il leggero G. Tommasini e il welter L. Di Palma, e ottiene risultati molto modesti. Nella classifica per squadre, dopo il Giappone, si classificano Francia, Gran Bretagna e Rep. Fed. di Germania. La FILPJ, in seguito a ulteriori insuccessi in campo internazionale, istituisce un Centro di allenamento permanente, a Roma (1975). I risultati sono subito positivi: nei 60 kg F. Mariani, ai campionati mondiali di Vienna (1975), conquista la medaglia di bronzo; lo stesso atleta conquista la medaglia di bronzo anche alle Olimpiadi di Montreal (1976) e il titolo di campione d'Europa nel 1978. Si mettono in luce anche altri atleti: E. Gamba (nei 71 kg), medaglia d'argento ai campionati mondiali juniores del 1976, ai campionati europei juniores del 1977 e del 1978, campione mondiale "militare" nel 1978; S. Rosati, terzo ai campionati europei juniores del 1975 e secondo in quelli del 1977, nella categoria 65 kg; M. Vecchi (categoria 86 kg), campione mondiale "militare" nel 1977 e nel 1978, campione mondiale "universitario" nel 1978.

Automobilismo. - Formula I. - A partire dal 1961, per un periodo di 5 anni (cioè sino al 1965 compreso) le norme relative alla Formula 1 furono mutate limitando la cilindrata massima a 1500 cm3 e quella minima a 1300 cm3, con esclusione del compressore in ambedue i casi. Venne anche imposto un peso minimo della vettura (450 kg), compresi acqua e olio del motore, ma senza carburante a bordo e si fece inoltre divieto di raggiungere il peso indicato mediante zavorra; il carburante doveva essere quello del commercio. La vettura inoltre doveva obbligatoriamente essere munita di starter automatico, non essendo più ammessa la messa in moto a spinta; durante la corsa erano vietati rifornimenti di carburante e di olio. Due norme tendenti ad aumentare la sicurezza del mezzo stabilivano, infine, che l'impianto frenante fosse duplice e che la macchina fosse provvista di centina in modo che, in caso di ribaltamento, il pilota non rimanesse schiacciato sotto di essa.

Con l'avvento di un motore di cilindrata così modesta, la più bassa nella storia del campionato mondiale a tutto il 1978, si tendeva a stabilire un rapporto più diretto fra automobili da corsa e automobili per uso normale. Il timore che le potenze disponibili fossero troppo modeste e che quindi, per tale motivo, il pilota venisse privato di un mezzo di difesa (la pronta accelerazione del motore) in situazioni d'emergenza, si rivelò del tutto infondata. Anzi, questa formula va ricordata per il numero straordinariamente basso di vittime che si son dovute lamentare nei cinque anni durante i quali è restata in vigore. Dal punto di vista tecnico essa ha segnato un'autentica rivoluzione nel settore delle massime corse, e via via di tutte le altre, perché nei cinque anni considerati tutte le monoposto ebbero il motore posteriore. Dopo l'Auto Union tedesca, che per prima mise in pratica questa soluzione tecnica (1934-37), soluzione ripresa dalla Cooper inglese dopo la seconda guerra mondiale, essa veniva messa in pratica da tutti i costruttori di monoposto, a qualsiasi formula esse appartenessero e poi anche sulle vetture sport.

Dal 1961 al 1965 si ebbe l'iniziale supremazia della Ferrari, che con il pilota americano Philip (Phil) Hill vinceva il campionato mondiale 1961 assicurandosi 5 vittorie contro 2 della Lotus, nelle 7 gare valevoli per il campionato, ma l'annata si concludeva (G. P. d'Italia) con il tragico incidente di cui era vittima il pilota tedesco V. von Trips (Ferrari) che dopo essere entrato in collisione con lo scozzese J. Clark usciva di pista rimanendo ucciso sul colpo; con lui perirono 9 spettatori.

Il campionato 1962 si risolveva con la vittoria dell'inglese G. Hill al volante di una BRM (British Racing Motors), che otteneva 4 primi posti, un 2° e un 3° su 9 gare. La BRM utilizzava un motore 8 cilindri a V, di propria costruzione, della potenza di circa 190 CV a 10.000 giri/min, la stessa sviluppata dai 6 cilindri del motore Ferrari nella stagione precedente.

La stagione 1963 era appannaggio del pilota J. Clark al volante di una Lotus azionata da motore Coventry-Climax (inglese). Clark, uno dei migliori piloti del dopoguerra, s'imponeva in 7 gare su 10, dimostrando così una schiacciante superiorità. Il suo successo era agevolato dalla sua macchina, la Lotus 25, la prima monoposto a struttura monoscocca, altra soluzione tecnica, questa, alla quale tutti i costruttori, salvo la Brabham, finirono per uniformarsi. La Lotus 25 esordì nel G. P. del Belgio del 1962.

Il campionato 1964 si risolse con il contrastato successo dell'inglese J. Surtees, più volte campione mondiale di motociclismo, con una Ferrari azionata da un motore 8 cilindri a V; unica annata in cui la fabbrica italiana si avvalse di un motore di tale configurazione. Quell'anno le gare di campionato furono 10 ed è singolare il fatto che J. Surtees finisse al vertice della classifica con appena due vittorie contro 3 di Clark (Lotus), due di Graham Hill (BRM), due dell'americano Daniel (Dan) Gurney (Brabham) e una dell'italiano L. Bandini (Ferrari). Quest'ultimo, nella gara conclusiva della stagione, il G. P. del Messico, favorì il compagno di scuderia cedendogli, in corsa, il 2° posto assoluto che deteneva, facendosi pertanto sorpassare dall'inglese e consentendogli così di guadagnare il numero di punti necessari (6) per precedere, sia pure di un solo punto (40 contro 39), G. Hill nella classifica finale del campionato stesso. Il motore 8 cilindri a V della Ferrari erogava 210 Cv a 11.000 giri/min e furono la regolarità del pilota inglese e l'affidabilità della vettura a consentire la conquista del titolo a Surtees, che risulta pertanto essere il solo pilota che, a tutto il 1978, sia riuscito nella duplice impresa di raggiungere i vertici mondiali sia con le due sia con le quattro ruote.

Dieci furono anche le gare in cui si articolò il campionato mondiale 1965 nel quale J. Clark diede un'altra dimostrazione d'indiscussa superiorità (6 primi posti) pilotando una Lotus 33, un riuscito sviluppo della Lotus 25. Clark non partecipò a una gara di campionato mondiale, il G. P. di Monaco, perché impegnato nella 500 miglia di Indianapolis, ma la sua non fu davvero una rinuncia inutile perché si assicurò sorprendentemente la vittoria in quella prestigiosa gara.

Nel 1966 entrava in vigore una nuova Formula 1 tuttora in atto, che raddoppiava la cilindrata massima dei motori senza compressore (3000 cm3), rispetto a quella del periodo 1961-65, ammettendo anche, però, motori sovralimentati sino a una cilindrata massima di 1500 cm3. Fu anche stabilito un peso minimo di 500 kg con acqua e olio ma senza carburante, quest'ultimo sempre di tipo commerciale. Dal 1969 il peso minimo fu elevato a 530 kg per le misure di sicurezza richieste (roll-bar, cinture, estintori, ecc.) e nel 1973 a 575 kg, sempre allo scopo di rendere le monoposto di Formula 1 ancora più resistenti. Veniva nello stesso tempo imposto che ciascun serbatoio non potesse contenere più di 80 litri e che la quantità complessiva di carburante a bordo non superasse i 250 litri.

Com'era avvenuto nel 1961, gran parte dei costruttori inglesi si trovò a mal partito nel primo anno di vita della nuova formula, non disponendo di un motore adatto allo scopo. Non così la Ferrari che provvede totalmente e autonomamente alla costruzione di tutte le parti componenti la vettura; ma contro ogni previsione la macchina che si dimostrò più a posto e più pronta ai nuovi impegni fu la Brabham del pilota-costruttore australiano J. Brabham il quale con l'aiuto, per la parte progettativa, del connazionale R. Tauranac e della Repco, anch'essa australiana, fece ricorso a un motore 8 cilindri monoalbero, derivato da un motore americano di serie (Buick). Altra caratteristica originale della monoposto Brabham fu l'adozione di un telaio tubolare a traliccio, mentre tutti gli altri costruttori di auto da corsa si erano orientati verso il telaio scatolare o a struttura monoscocca. Sebbene il motore Repco-Brabham rendesse una potenza modesta (315 CV a 7250 giri/min) rispetto al 12 cilindri Ferrari (375 Cv a 10.000 giri/ min), l'agile Brabham ottenne 4 vittorie assolute sulle 9 gare complessive del campionato mondiale, oltre a un 2° e a un 4° posto. Il titolo di campione venne così conquistato dallo stesso J. Brabham con larghissimo margine sul ferrarista J. Surtees (42 punti contro 28). Quanto mai deludente si rivelò l'utilizzazione, da parte della BRM inglese, di un motore 16 cilindri che per la sua configurazione (due motori a 8 cilindri con angolo a 180°, sovrapposti) fu detto ad "H". Nella carenza di motori, caratteristica del periodo, il motore 16 cilindri della BRM venne messo a disposizione di altri costruttori inglesi (la BRM, come la Ferrari, costruisce le sue macchine in tutte le sue parti). Se ne avvalse anche la Lotus che con J. Clark vinceva il G. P. degli Stati Uniti di quell'anno: costituì l'unico successo di quel motore che al termine della stagione venne peraltro ritirato.

Che il successo della Repco-Brabham, reso possibile dall'abilità del pilota australiano ma anche dal buon rendimento e dall'equilibrio generale del mezzo che egli aveva contribuito a sviluppare, non fosse casuale venne confermato nella stagione 1967 che vide di nuovo una Repco-Brabham, questa volta pilotata dal neo-zelandese D. Hulme, al primo posto. Il motore 8 cilindri australiano-americano dotato nel 1967 delle bielle del motore 8 cilindri inglese Daimler e di doppio albero a camme; acquistò in potenza (330 CV), ma sebbene riuscisse ancora una volta a spuntarla contro tutti gli avversari al termine della stagione apparve chiaro che i suoi giorni erano contati. A determinarne la fine fu, in pratica, il motore 8 cilindri a V approntato dalla Cosworth con l'apporto finanziario della Ford inglese. Sebbene la BRM, abbandonato il suo complicato e pesante motore 16 cilindri, ottenesse buoni risultati da un motore 12 cilindri a V, anch'esso di sua progettazione e costruzione, le altre case automobilistiche britanniche interessate alle corse erano ancora prive di un motore che le mettesse in grado di opporsi validamente sia al motore 8 cilindri a V Repco-Brabham sia al motore 12 cilindri Ferrari. Tale delicata posizione e la prospettiva che l'automobilismo agonistico inglese potesse perdere, nel suo insieme, la supremazia duramente conquistata nel periodo in cui la precedente Formula 1 era rimasta in vigore, spinsero la Ford a patrocinare la costruzione di un motore da corsa affidandone la progettazione alla Cosworth, una ditta inglese specializzata in questo ramo (il nome Coswort nasce dalla contrazione di quelli dei due tecnici che le dettero vita: M. Costin per Cos e K. Duckworth per worth). Dei due, colui al quale spetta, in realtà, la paternità del motore 8 cilindri in parola è K. Duckworth (M. Costin è specializzato piuttosto in problemi aerodinamici), che realizzò tale motore nel 1967. Dapprima istallato sulle Lotus di J. Clark e G. Hill, esso non avrebbe potuto esordire meglio, in quanto la sua prima esibizione coincise anche con la prima vittoria (J. Clark nel G. P. del Belgio di quell'anno). Nella sua versione iniziale tale motore dava una potenza di 408 CV a 9000 giri/min. Successivamente venne reso disponibile a tutti coloro che desiderassero impiegarlo, subendo via via piccole modifiche (aumento del diametro delle valvole d'immissione, modifica delle camme) che ne hanno portato la potenza a 430 CV a 10.000 giri/min e poi a 460 ÷ 470 CV a 10.750 giri/min (stagione 1977) fermo restando il peso complessivo (circa 168 kg), una delle sue qualità più rilevanti. Ma la maggiore potenza ha richiesto, comunque, un sacrificio non modesto sotto forma di un sostanziale maggiore consumo (K. Duckworth ha rivelato che mentre nel 1967 vincendo il G. P. d'Olanda il motore 8 cilindri Ford-Cosworth consumò 127 litri di carburante, nel 1970 J. Rindt consumò 182 litri vincendo a sua volta quella corsa con un motore della stessa marca).

La costante presenza dell'8 cilindri Ford-Cosworth, che ha ottenuto la sua centesima vittoria grazie al successo del pilota sudafricano J. Scheckter al volante di una Wolf nel G. P. di Monaco 1977 (circa 10 vittorie l'anno), è il fatto più rilevante della Formula 1 attualmente in vigore e che scadrà nel 1981. Ovviamente tale motore non è stato il solo a essere impiegato in formula 1, oltre ai tradizionali 12 cilindri Ferrari e BRM, ma è singolare che tutti gli altri gruppi propulsivi messi in campo nel frattempo siano stati dei 12 cilindri anziché degli 8 cilindri a V. A 12 cilindri era il Matra francese, il Maserati (un vecchio motore che la fabbrica italiana, dopo averlo modificato dotandolo di accensione elettronica, iniezione Lucas e di 3 valvole per cilindro, di cui due d'immissione, mise a disposizione della Cooper inglese, che se ne avvalse non senza qualche successo: vittorie di Surtees nel G. P. del Messico del 1966 e di P. Rodriguez nel G. P. del Sud Africa del 1967), l'Eagle-Weslake che il pilota statunitense Daniel (Dan) Gurney montò su una propria vettura e la cui progettazione affidò al tecnico britannico H. Weslake. Nella precedente Formula 1 (1961-65) un 12 cilindri equipaggiò anche la Honda, con la particolarità che nella monoposto giapponese esso era collocato trasversalmente alle spalle del pilota. La comparsa sulla scena delle corse della marca giapponese, fu breve, ma la Honda vanta, comunque, al suo attivo le vittorie ottenute dallo statunitense R. Ginther nel G. P. del Messico 1965 e di J. Surtees nel G. P. d'Italia del 1967, cioè nel secondo anno di adozione della cilindrata 3000 senza compressore, ma nel frattempo quel 12 cilindri aveva cambiato posizione (longitudinale).

Con l'accordo Brabham-Alfa Romeo un altro motore 12 cilindri è stato utilizzato nel campionato mondiale in sostituzione (ma con scarso successo sino a oggi) del motore 8 cilindri Ford-Cosworth che la Brabham ha utilizzato sin dal 1968. Come l'attuale 12 cilindri Ferrari, anche quello dell'Alfa Romeo è del tipo "boxer" a cilindri orizzontali contrapposti, ma quest'ultimo è stato poi sostituito (1979) da un 12 cilindri a V di 60°. A 12 cilindri era anche un motore costruito dalla Tecno, una piccola fabbrica di Bologna, che scomparve ben presto dalla Formula 1 dopo aver ottenuto, al contrario, ottimi risultati, per anni, nelle formule minori. Finalmente, nel campionato mondale 1977, una parola nuova, in questo specifico campo, è venuta dalla francese Renault con un motore 6 cilindri a V turbocompresso, derivato da quello della versione sport 2000. In virtù delle sue caratteristiche (sovralimentazione), la sua cilindrata è di 1500 cm3, con una potenza (oltre 500 CV) paragonabile a quella dei 12 cilindri 3000 cm3 della Ferrari e dell'Alfa Romeo. Una potenza molto vicina a quella di questi tre motori era erogata anche dal motore 12 cilindri Matra, montato sulla Ligier, una giovane marca francese che lo ha impiegato con vantaggio dopo il ritiro della Matra dalle competizioni, ma che ha poi sostituito con il Ford-Cosworth.

A parte la supremazia del motore 8 cilindri sul motore 12 cilindri (confermata dal numero di vittorie ottenute dal primo) nei 18 anni che vanno dal 1961 a tutto il 1978, si possono delineare alcuni motivi tecnici fondamentali nella Formula 1. Anzitutto l'importanza crescente dei pneumatici ai fini della tenuta di strada, grazie al progressivo aumento della loro sezione. L'obiettivo che si è voluto raggiungere è di assicurare una maggiore area di contatto col terreno; a tal fine, essi sono divenuti sempre più bassi in senso verticale e mancano del battistrada su superfici stradali asciutte per ridurre le perdite di contatto con l'asfalto e ottenere un maggior grado di aderenza. Per lo stesso motivo si è dato luogo a pneumatici con caucciù a grande isteresi e a bassissima pressione di gonfiaggio, sempre allo scopo di realizzare la massima uniformità di contatto e di assorbire le piccole asperità stradali, lasciando alle sospensioni solo il compito di adeguare l'assetto della vettura. Per tali motivi si fa risalire alla tecnologia instaurata nel settore dei pneumatici il principale fattore d'evoluzione nella Formula 1 negli ultimi anni. Degno di nota il fatto che la possibilità di allargamento delle sezioni e di abbassamento del profilo dei pneumatici si deve all'abolizione della camera d'aria. In altre parole, il pneumatico è divenuto determinante nel comportamento di una monoposto da corsa al punto di influenzarne sia l'aerodinamica sia soprattutto le sospensioni. La nuova tecnologia di costruzione dei pneumatici da corsa crea allo stesso tempo problemi di difficile soluzione in quanto i pneumatici devono avere i fianchi rigidi per resistere alla deriva, ma la rigidezza, da un lato indispensabile, mal si accorda con i cambiamenti d'inclinazione delle ruote determinati dalla geometria delle sospensioni. Il progettista è condizionato a tal punto da queste regole da vedersi costretto a modificare continuamente le sospensioni stesse, e ciò costituisce il suo maggior problema durante la stagione di corse.

Un altro interessante motivo tecnico è stato il ricorso alla trazione integrale tentata anzitutto (1961) dalla inglese Ferguson e, dal 1969, dalla McLaren con la M9A, dalla Lotus con la 63 e dalla Matra con la MS84, senza alcun risultato apprezzabile; pertanto ben presto tale soluzione fu abbandonata anche perché assai costosa.

La ricerca di mezzi atti a ottenere forti carichi verticali per aumentare l'aderenza al suolo faceva nascere nel 1968 (G. P. del Belgio) i profili alari rovesciati (i cosiddetti "alettoni"), la cui disordinata utilizzazione veniva regolamentata dalla Commissione sportiva internazionale al fine di evitare incidenti. Il motore a turbina, che tante speranze ha fatto sorgere in chi si preoccupa di ridurre i consumi, e non solo per fini sportivi, ha fatto una fugacissima apparizione in Formula 1: in realtà è stata la sola Lotus a occuparsene, ma anche in questo caso senza alcun frutto.

Un'altra sorprendente novità è stata la comparsa di una vettura a 6 ruote di cui le 4 anteriori sterzanti di sezione notevolmente più piccola rispetto alle posteriori. Questa soluzione, tendente ancora una volta ad aumentare l'aderenza al suolo, è stata tentata dal tecnico inglese D. Gardner per conto della Tyrrell (1976 e 1977). L'obiettivo di accentrare attorno al posto di pilotaggio la maggior parte del peso ha indotto la Ferrari a montare il cambio trasversalmente al motore, ottenendo risultati interessanti che le hanno valso la conquista, con N. Lauda, di due campionati mondiali (le Ferrari con cambio trasversale sono contraddistinte dalla sigla "T") che sta, appunto, per "trasversale").

Nel 1978 un'autentica rivoluzione veniva determinata dalla Lotus 79 nella quale è stato sfruttato aerodinamicamente il principio del tubo di Venturi. Tale principio, che ha dato luogo alle cosiddette "wing-car", o vetture-ala, veniva fatto proprio nel 1979 da tutti i costruttori di vetture di Formula 1 (in misura minore dalla Ferrari con la sua T 4, a causa della configurazione del 12 cilindri contrapposti tipo "boxer"). Il fatto saliente del 1979 sono stati, a parte le "wing-car", i primi successi da parte della Renault con la sua monoposto equipaggiata da motore turbocompresso. Se si scorre l'elenco dei campioni mondiali dal 1968 a oggi si ha la conferma del successo costante del motore Ford-Cosworth.

Campionati mondiali marche e sport. - Contemporaneamente al campionato mondiale di Formula 1 istituito nel 1950, ha continuato a essere organizzato, a partire dal 1953, anche quello per vetture sport sotto la denominazione di "campionato mondiale marche". La limitazione della cilindrata a 3000 cm3, dal 1957, ha disciplinato notevolmente tale campionato, riportando potenze e velocità entro limiti ragionevoli, tenuto anche conto del fatto che la carenatura delle vetture di tale categoria consente loro, in assoluto, velocità massime superiori a quelle ottenibili dalle monoposto di Formula 1 di pari cilindrata, ma a ruote scoperte; dal 1960 al 1964 tale campionato è stato largamente dominato dalla Ferrari. Ma poi la Ford, giudicando opportuno (più a fini pubblicitari che tecnici) un suo inserimento nel settore sport, direttamente o indirettamente, si assicurava con la Cobra, una sua marca associata, il campionato mondiale 1965. Direttamente la marca americana vinceva anche quelli del 1966 e del 1968, mentre era la Ferrari a imporsi nuovamente nel 1967.

Il minor interesse della Ferrari verso questo tipo di competizioni e la scomparsa della Ford, evidentemente paga dei risultati raggiunti, portavano in primo piano la tedesca Porsche, che vinceva il titolo nel 1969,1970 e 1971. Con una macchina molto indovinata, azionata da un motore derivato da quello della Formula 1, la Ferrari dominava la stagione 1972, assicurandosi ancora una volta il titolo, ma nel 1973 (a causa di una partecipazione molto limitata alle gare di questo campionato) veniva superata dalla francese Matra-Simca, che vinceva anche nel 1974. Nel 1975, assenti le Ferrari e le Matra-Simca, era l'Alfa Romeo a porsi in luce, inserendo per la prima volta il suo nome nell'albo d'oro del campionato marche.

Nel 1976 si dava luogo a due distinti campionati ("marche" e "sport") che venivano ambedue dominati dalla Porsche; nel 1977 la Porsche limitava la sua partecipazione al solo campionato "marche", vincendolo, mentre l'Alfa Romeo prendeva parte al campionato "sport" che faceva suo. Nel 1978 la Porsche vinceva di nuovo il campionato marche, mentre il campionato sport veniva abbandonato non essendo stato disputato il numero di gare previsto.

Nel 1962 veniva introdotta a titolo sperimentale, una suddivisione per classi che non veniva più ripetuta (sino a 1000 cm3 la vittoria andava alla Fiat-Abarth, da 1001 a 2000 cm3 alla Porsche e nella classe oltre 2000 cm3 alla Ferrari).

L'interesse crescente dei maggiori costruttori per la Formula1, il numero sempre in aumento delle gare di campionato nell'ambito di questa (si è passati da 7 prove nel 1961 a 16 prove nel 1979) hanno tolto ai campionati mondiali "marche" e "sport" gran parte dell'importanza che essi avevano negli anni Cinquanta e sessanta com'è dimostrato, d'altra parte, dal fatto che il numero di spettatori presenti è stato via via di gran lunga inferiore a quello relativo alle corse di Formula 1. Dal punto di vista tecnico è però importante notare che le prime applicazioni del turbocompressore sono state tentate, e con successo, proprio in tali campionati (Porsche e Renault), inducendo anche l'Alfa Romeo a battere la stessa strada, ma solo a titolo sperimentale.

Formula 2 e Formula 3. - Le Formule 2 e 3 hanno mantenuto in questi ultimi anni il ruolo di "trampolino di lancio" per le nuove leve dell'automobilismo agonistico, ma il campionato di Formula 2 ha acquisito una reale importanza a partire dal 1967, anno in cui venne istituito il "campionato d'Europa conduttori di Formula 2 che ha messo in mostra nuovi giovani talenti, poi confermatisi guidatori di statura internazionale in Formula I. Il campionato 1967 è stato vinto a J. Ickx su Matra, quello del 1968 da J.-P. Beltoise (Matra), nel 1969 da J. Servoz-Gavin (Matra), nel 1970 da C. Regazzoni (Tecno), nel 1971 da R. Peterson (March), nel 1972 da M. Hailwood (Surtees), nel 1973 da J. P. Jarier (March), nel 1974 da P. Depailler (March), nel 1975 da J. Laffitte (Martini-BMW), nel 1976 da J.-P. Jabouille (Elf-Renault), nel 1977 da R. Arnoux (Martini-Renault) e nel 1978 da B. Giacomelli (March-BMW).

In Italia, un campionato di Formula 2 è esistito sin dal 1948, ma in modo discontinuo. Nel 1948 fu campione F. Bonetto, nel 1949 P. Taruffi, nel 1950 A. Ascari, nel 1951 F. Cortese, nel 1952 N. Farina, nel 1953 ancora N. Farina; ripreso nel 1965, esso è stato vinto da C. Franchi e dopo una sospensione di altri 11 anni reinserito nell'albo dei campionati italiani mettendo in luce M. Flammini (1975), G. Martini (1976), R. Patrese (1977) e B. Giacomelli (1978).

Nel 1975 venne varato un "campionato d'Europa conduttori di Formula 3". Campioni sono stan: A. Perkins nel 1975, R. Patrese nel 1976, P. Ghinzani nel 1977 e J. Lammers nel 1978.

Rallies. - Soprattutto a partire dal 1968, anno in cui si dava luogo a un "campionato del mondo rallies", gare di questo genere hanno assunto grande importanza impegnando direttamente le case costruttrici che vi partecipano e che ne traggono utili indicazioni anche ai fini di un progresso tecnico della produzione di serie. Dopo l'iniziale supremazia delle case inglesi e francesi, quelle italiane si sono imposte anche in questa specialità. Il campionato è stato vinto nel 1968 e 1969 dalla Ford inglese, nel 1970 dalla Porsche, nel 1971 dalla Alpine-Renault, nel 1972 dalla Lancia, nel 1973 dall'Alpine-Renault, nel 1974,1975 e 1976 dalla Lancia, nel 1977 e 1978 dalla Fiat.

Campioni deceduti. - L'inadeguatezza dei circuiti dal punto di vista della sicurezza ha reso i piloti molto più coscienti dei pericoli cui essi sono esposti, al punto di rifiutare la loro partecipazione a gare organizzate su tracciati da loro giudicati insicuri (per es., il Nurburgring nella Rep. Fed. di Germania), ma la morte è sempre in agguato e dal 1960 al 1978, limitatamente alla Formula 1, si è lamentata la scomparsa (in prova o in corsa) degl'inglesi C. Bristow e A. Stacey, ambedue durante il G. P. del Belgio 1960, del tedesco occidentale V. von Trips (G. P. d'Italia 1961), dell'olandese C. Godin de Beaufort (prove del G. P. di Germania 1964), dell'inglese J. Taylor (G. P. di Germania 1966), dell'italiano L. Bandini (G. P. di Monaco 1967), del francese J. Schlesser (G. P. di Francia 1968), dell'inglese P. Courage (G. P. d'Olanda 1970), del tedesco occidentale J. Rindt (prove del G. P. d'Italia 1970), dell'inglese R. Williamson (G. P. d'Olanda 1973), del francese F. Cevert (prove del G. P. degli SUA 1973), dello statunitense P. Revson (prove del G. P. del Sud Africa 1974), dell'austriaco H. Koinigg (G. P. degli SUA 1974), dello statunitense M. Donohue (prove del G. P. d'Austria 1975), dell'inglese T. Pryce (G. P. del Sud Africa 1977), dello svedese R. Peterson (G. P. d'Italia 1978).

Baseball.- Dal 1961 in poi il baseball italiano, in ascesa progressiva, ha compiuto un vistoso salto di qualità sollecitato da un'attiva dirigenza. Tanto che nel 1978 ai vari campionati indetti dalla FIBS (Federazione Italiana Baseball e Softball) hanno partecipato tra seniores, juniores e ragazzi circa 50.000 atleti tesserati presso 367 società affiliate, per un complesso di 663 squadre che disponevano di 83 terreni di gioco, di cui 16 in esclusiva e con impianto d'illuminazione.

Assai diffusa l'attività internazionale: l'Italia ha preso parte con crescente impegno a cinque edizioni del campionato mondiale dilettanti (1970, 1971,1972,1974 e 1978) sempre migliorando le sue posizioni; a due edizioni (1973 e 1975) della Coppa intercontinentale, organizzata e inaugurata in Italia; a varie edizioni del campionato d'Europa (che si disputa ogni due anni), vinto cinque volte dall'Olanda (1962, 1964, 1969, 1971 e 1973), due volte dall'Italia (1975 e 1977) e una volta dal Belgio (1967); inoltre l'Italia ha ospitato tournées di fortissime squadre come Cuba e Antille. L'attività internazionale per società registra, nelle 12 edizioni della Coppa dei campioni (istituita nel 1963), nove vittorie italiane: due per il Nettuno (1972 e 1975), per l'Europhon Milano (1969 e 1970), una per il Milano (1971), per la Fortitudo Bologna (1973), per la Derbigum Rimini (1976) e due per la Germal Parma (1977 e 1978).

Il massimo campionato federale, disputato a 12 squadre dal 1961 e ridotto a 8 squadre nel 1967, venne riportato a 12 squadre (con doppi incontri per ogni turno) nel 1970 e infine nel 1975 è stato esteso ai tripli incontri per ogni turno, con la nuova denominazione di campionato nazionale, cui fanno corona la Serie A, B, Juniores, Ragazzi e Allievi, oltre ai campionati di softball femminile. Il titolo italiano assoluto è stato conquistato sei volte dall'Europhon Milano (1961, 1962, 1966, 1967, 1968 e 1970), cinque volte dal Nettuno (1963, 1964, 1965, 1971 e 1973: insignito nel 1971 della stella d'Oro per dieci scudetti complessivi), quattro volte dalla Fortitudo Bologna (1969, 1972, 1974 e 1978), una volta dalla Cer. Costi Rimini (1975) e due volte dalla Germal Parma (1976 e 1977, quest'ultimo assegnato a tavolino). Nel 1977 si è disputata la prima edizione della Coppa Italia, vinta dall'Amaro Harry's Roma.

Calcio. - Nel periodo dal 1961 al 1978 l'evoluzione del gioco del calcio è soprattutto di ordine tattico. Non vi è stata nessuna rilevante modifica regolamentare, ma soltanto qualche cauto esperimento, rimasto senza seguito negli anni più recenti: fuorigioco limitato a una fascia di campo di lunghezza pari a quella dell'area di rigore, progetti di ampliamento delle porte. Nel rispetto dello spirito sportivo, invece, qualche novità nei regolamenti delle maggiori competizioni; tra queste innovazioni la più importante è stata l'abolizione del sorteggio in caso di parità dopo i tempi supplementari e l'adozione di una serie di calci di rigore decisivi. Sulla scena mondiale, conferma del Brasile, che era giunto al suo primo titolo mondiale nel 1958, in Svezia: i sudamericani hanno vinto due delle cinque edizioni della Coppa del mondo (o Coppa Rimet) giocate in questo periodo. I loro successi sono legati al nome di Edson Arantes do Nascimento, detto Pelé ("scugnizzo"), probabilmente il più completo calciatore di tutti i tempi, sicuramente il più grande degli anni Sessanta. In misura crescente cominciano però a delinearsi due fenomeni nuovi: il calcio "difensivistico", che mira soprattutto al risultato (talvolta a scapito dello spettacolo) affidandosi a una difesa molto attenta e a un rapido contropiede, e il calcio "atletico" che lascia poco spazio alle finezze stilistiche, puntando invece su schemi meccanici rigidamente applicati da giocatori fisicamente prestanti e preparati con la massima severità. Vessillifera del calcio difensivistico è l'Italia, soprattutto nelle competizioni internazionali per società; confortano la sostanziale praticità di questa impostazione, studiata in base alle attitudini dei calciatori italiani, le vittorie dell'Inter (due volte la Coppa dei campioni e due volte la Coppa intercontinentale, 1964 e 1965) e del Milan (due volte la Coppa delle coppe, 1968 e 1973; due volte la Coppa dei campioni, 1963 e 1969; la Coppa intercontinentale, 1969). Il calcio atletico porta in primo piano le squadre dell'Europa centro-settentrionale: dopo la già celebre Inghilterra, che vince nel 1966 il suo primo titolo mondiale, la Rep. Fed. di Germania e l'Olanda, queste ultime anche a livello di società, rispettivamente col Bayern di Monaco e con l'Ajax di Amsterdam. Tra il 1960 e il 1978 vengono disputati, a livello di rappresentative nazionali, cinque campionati del mondo (dopo il 1970, con la conquista definitiva della Coppa Rimet da parte del Brasile, la competizione diventa Coppa del mondo FI FA) e quattro campionati europei. In campo mondiale, l'Italia raggiunge il suo traguardo più prestigioso con il secondo posto nella Coppa Rimet del 1970 in Messico, essendo stata sconfitta in finale dal Brasile. In campo europeo il titolo andò agli azzurri nel 1968, grazie alla vittoria sulla Iugoslavia a Roma.

Campionati del mondo. - Nel 1962, in Cile: il Brasile, grande favorito nonostante l'assenza dell'infortunato Pelé, tiene fede al pronostico battendo la Cecoslovacchia in finale (3-1). Nel 1966, in Gran Bretagna: trionfo della nazione ospitante, mentre i brasiliani non superano la fase eliminatoria; finale tra Inghilterra e Rep. Fed. di Germania e successo degl'inglesi per 4-2, dopo i tempi supplementari. Nel 1970, in Messico: l'Italia giunge in finale con la vittoria sulla Rep. Fed. di Germania (4-3), in un incontro memorabile, ricordato da una lapide allo stadio Azteca di Città di Messico. In finale gli azzurri soccombono al Brasile (4-1). Nel 1974, nella Rep. Fed. di Germania: vincono i tedeschi occidentali, battendo in finale (2-1) l'Olanda, rivelazione dei campionati insieme con la Polonia, ottima terza davanti al Brasile. L'Italia, sconfitta dai polacchi, non supera la prima fase. Nel 1978, primo titolo mondiale per l'Argentina, vittoriosa per 3-i sull'Olanda nella finale di Buenos Aires. Per l'Italia, un ottimo quarto posto, determinato dalla sconfitta con il Brasile (2-1).

Campionati europei. - Nel 1960, nell'URSS: vince l'Unione Sovietica (2-1) sulla Iugoslavia in finale; l'Italia non partecipa. Nel 1964, in Spagna: successo degli spagnoli (2-1) nella finale con l'URSS, che aveva eliminato l'Italia negli ottavi. Nel 1968, in Italia: ancora una vittoria del paese organizzatore, con gli azzurri impostisi alla Iugoslavia in due incontri di finale (1-i e 2-0). Nel 1972, in Belgio: domina la Rep. Fed. di Germania battendo l'URSS in finale (3-0); l'Italia era stata eliminata dal Belgio nei quarti. Nel 1976, in Iugoslavia: successo della Cecoslovacchia sulla Rep. Fed. di Germania (7-5, dopo i calci di rigore; il risultato, dopo i tempi supplementari, era di 2-2). L'Italia non aveva superato le qualificazioni.

Principali risultati della Nazionale italiana (precedute da un asterisco le partite valide per la Coppa del mondo o per il campionato europeo). - 1960: Italia-Svizzera 3-0; Spagna-Italia 3-1; Italia-Austria 1-2. 1961: Italia-Inghilterra 2-3; Italia-Argentina 4-1; *Israele-Italia 2-4; *Italia-Israele 6-0. 1962: Italia-Francia 2-1; Belgio-Italia 1-3; *Italia-Rep. Fed. di Germania 0-0; *Cile-Italia 2-0; *Italia-Svizzera 3-0; Austria-Italia 1-2; *Italia-Turchia 6-0. 1963: Turchia-Italia 0-1; Italia-Brasile 3-0; Austria-Italia 0-1; URSS-Italia 2-0; Italia-URSS 1-1; Italia-Austria 1-0. 1964: Svizzera-Italia 1-3; *Italia-Finlandia 6-0. 1965: Rep. Fed. di Germania-Italia 1-1; *Polonia-Italia o-0; *Finlandia-Italia 0-2; Ungheria-Italia 2-1; *Italia-Polonia 6-1; *Scozia-Italia 1-0; *Italia-Scozia 3-0. 1966: Italia-Bulgaria 6-1; Italia-Austria 1-0; Italia-Argentina 3-0; Italia-Messico 5-o; *Italia-Cile 2-0; *URSS-Italia 1-0; *Corea del Nord-Italia 1-0; *Italia-URSS 1-0; *Italia-Romania 3-1. 1967: *Cipro-Italia 0-2; Italia-Portogallo1-1; *Romania-Italia 0-1; *Italia-Cipro 5-0; *Svizzera-Italia 2-2; *Italia-Svizzera 4-0. 1968: *Bulgaria-Italia 3-2; *Italia-Bulgaria 2-0; *Italia-URSS 0-0 (vinta dall'Italia per sorteggio); *Italia-Iugoslavia 1-1; *Italia-Iugoslavia 2-0; *Galles-Italia 0-1. 1969: *Rep. Dem. Tedesca-Italia 2-2; *Italia-Galles 4-1; *Italia-Rep. Dem. Tedesca 3-0. 1970: Spagna-Italia 2-2; Portogallo-Italia 1-2; *Italia-Svezia 1-0; *Italia-Uruguay 0-0; *Italia-Israele 0-0; *Italia-Messico 4-1; *Italia-Rep. Fed. di Germania 4-3; *Brasile-Italia 4-1; *Austria-Italia 1-2; *Italia-Rep. d'Irlanda 3-0. 1971: Italia-Spagna 1-2; Rep. d'Irlanda-Italia 1-2; *Svezia-Italia 0-0; *Italia-Svezia 3-0; *Italia-Austria 2-2. 1972: Grecia-Italia 2-1; *Italia-Belgio 0-0; *Belgio-Italia 2-1; Italia-Iugoslavia 3-1; *Lussemburgo-Italia 0-4; *Svizzera-Italia 0-0. 1973: *Italia-Turchia 0-0; *Turchia-Italia 0-1; *Italia-Lussemburgo 5-0; Italia-Brasile 2-0; Italia-Inghilterra 2-0; Italia-Svezia 2-0; *Italia-Svizzera 2-0; Inghilterra-Italia 0-1. 1974: Italia-Rep. Fed. di Germania 0-0; *Italia-Haiti 3-1; *Italia-Argentina 1-1; *Polonia-Italia 2-1; Iugoslavia-Italia 1-0; *Olanda-Italia 3-1. 1975: *Italia-Polonia 0-0; *Finlandia-Italia 0-1; URSS-Italia 1-0. 1976: Italia-Portogallo 3-1; Italia-Selezione SUA 4-0; Inghilterra-Italia 3-2; Brasile-Italia 4-1; Italia-Romania 4-2; Danimarca-Italia 0-1; Italia-Iugoslavia 3-0; *Lussemburgo-Italia 1-4; *Italia-Inghilterra 2-0; Portogallo-Italia 2-0. 1977: Italia-Belgio 2-1; *Finlandia-Italia o-3; Rep. Fed. di Germania-Italia 2-1; *Italia-Finlandia 6-1; *Inghilterra-Italia 2-0; *Italia-Lussemburgo 3-0; Belgio-Italia 0-1. 1978: Spagna-Italia 2-1; Italia-Francia 2-2; Italia-Iugoslavia 0-0; *Italia-Francia 2-1; *Italia-Ungheria 3-1; *Italia-Argentina 1-0; *Italia-Rep. Fed. di Germania 0-0; *Italia-Austria 1-0; *Italia-Olanda 1-2; *Italia-Brasile 1-2; Italia-Bulgaria 1-0; Italia-Turchia 1-o; Cecoslovacchia-Italia 3-0; Italia-Spagna 1-0.

Campionati italiani e Coppa Italia. - Il campionato nazionale di calcio è stato vinto nel 1962 dal Milan, nel 1963 dall'Internazionale, nel 1964 dal Bologna, nel 1965 e nel 1966 dall'Internazionale, nel 1967 dalla Juventus, nel 1968 dal Milan, nel 1969 dalla Fiorentina, nel 1970 dal Cagliari, nel 1971 dall'Internazionale, nel 1972 e nel 1973 dalla Juventus, nel 1974 dalla Lazio, nel 1975 dalla Juventus, nel 1976 dal Torino, nel 1977 e nel 1978 dalla Juventus. Le varie edizioni della Coppa Italia hanno visto il successo di: Fiorentina (1961,1966 e 1975), Napoli (1962 e 1976), Atalanta (1963), Roma (1964 e 1969), Juventus (1965), Milan (1967,1972,1973 e 1977), Torino (1968 e 1971), Bologna (1970 e 1974) e Internazionale (1978).

Canottaggio e Canoa. - Durante i diciotto anni compresi tra il 1961 e il 1978, in cui sono state disputate otto edizioni dei campionati europei, sette edizioni dei campionati mondiali e quattro Olimpiadi, il canottaggio italiano ha avuto impennate superbe e fallimenti clamorosi. L'ultima sua grossa impresa fu quella compiuta alle Olimpiadi di Città di Messico (1968) allorché il due con del D. F. Treviso, composto da P. Baran e R. Sambo (tim. Cipolla), conquistò la medaglia d'oro. Poi l'inesorabile, progressivo declino la cui origine si deve individuare soprattutto nel ritiro dalle grandi competizioni agonistiche delle due società lariane, la Moto Guzzi di Mandello Lario e la Falk di Dongo che avevano fornito all'Italia, dall'immediato dopoguerra fino al 1968, equipaggi di classe internazionale. Quasi parallelamente al declino del remo italiano si registrava, attraverso una sequenza di successi notevoli, il sorgere di una nuova potenza remiera mondiale, quella della Rep. Dem. Tedesca che in un certo senso raccoglieva l'eredità della Rep. Fed. di Germania la quale, insieme con l'Unione Sovietica, aveva dominato la scena internazionale, dalla fine degli anni Cinquanta all'inizio degli anni Sessanta.

Ai campionati europei del 1961, svoltisi a Praga sulla Moldava, il canottaggio italiano vinse la medaglia d'oro nel quattro senza con l'equipaggio della Falk di Dongo e nell'otto per merito dell'equipaggio misto Moto Guzzi-Marina Militare, più la medaglia di bronzo nel quattro con per merito dell'equipaggio delle Fiamme Gialle di Sabaudia. Gli altri titoli andarono all'URSS nel singolo (v. Ivanov), nel due con e nel doppio (vogata di coppia), alla Rep. Fed. di Germania nel due senza e nel quattro con.

L'anno seguente, 1962, si svolse a Lucerna, sul bacino del Rotsee, la prima edizione dei campionati del mondo: più che mediocre la prestazione dell'Italia i cui migliori piazzamenti furono il quarto posto dell'otto (misto Moto Guzzi-Marina Militare), il quarto posto nel quattro senza (Falk Dongo), il settimo posto nel quattro con (Falk Dongo), l'ottavo posto nel due senza (Ignis Comerio). I titoli furono vinti dall'URSS nel singolo (V. Ivanov); nel doppio dalla Francia; nel due con, nel due senza, nel quattro con, nel quattro senza e nell'otto dalla Rep. Fed. di Germania, che così totalizzò cinque titoli sui sette in palio.

Ai campionati europei del 1963, che si svolsero a Copenaghen sul lago di Bagsvaerd, l'Italia tornò alla vittoria con il due senza della Ignis Comerio, composto dai due triestini M. Petri e P. Mosetti, e fu seconda con il quattro senza della Moto Guzzi di Mandello Lario. I rimanenti sei titoli andarono: nel quattro con, nel quattro senza, nel due con e nell'otto alla Rep. Fed. di Germania, mentre quelli del singolo e del doppio furono appannaggio della Cecoslovacchia, rispettivamente con V. Kozak e con Andrs - Hoffmann.

Nel 1964 il canottaggio ebbe i suoi due maggiori eventi mondiali nei campionati europei disputati ad Amsterdam sul bacino artificiale del "Boosbahn" e successivamente nelle Olimpiadi svoltesi a Tokyo sul bacino artificiale di Toda, sempre devastato da un forte vento che ebbe poi, proprio nella giornata delle finali, un influsso negativo determinante, al punto da falsare molti risultati. Agli europei di Amsterdam l'Italia fu terza sia nel quattro senza sia nel quattro con, rispettivamente con la Moto Guzzi e la Falk di Dongo; quarta nell'otto (FF. AA. Sabaudia), decima nel due con (Moltrasino). I sette titoli furono così ripartiti: URSS nel singolo (V. Ivanov), nel doppio e nel quattro con; Olanda nel due senza; Rep. Dem. Tedesca nel due con; Rep. Fed. di Germania nel quattro senza e nell'otto. L'Italia si difese ancora molto bene a Tōkyō, grazie al secondo posto conquistato dalla Falk di Dongo nel quattro con, al quinto posto della Moto Guzzi nel quattro senza e al sesto delle FF. AA. Sabaudia nell'otto.

Nel 1965, a Duisburg, sul bacino di Wedau, si svolsero i campionati europei. Il miglior risultato della spedizione italiana fu quello conseguito dal D.F. Treviso nel due con (P. Baran e R. Sambo) al suo debutto internazionale ad alto livello. Le classifiche degli altri equipaggi azzurri furono il quinto posto nell'otto, il quinto posto nel quattro senza, il settimo posto nel quattro con, il nono posto nel doppio e nel due senza. I titoli vennero assegnati alla Rep. Fed. di Germania nel singolo e nell'otto; all'URSS nel due con, quattro senza e quattro con; alla Danimarca nel due senza e alla Svizzera nel doppio. Nel 1966 sul lago di Bled, in Iugoslavia, si svolse la seconda edizione dei campionati del mondo: fu l'evento remiero che segnò l'inizio travolgente dell'avanzata dei canottieri della Rep. Dem. Tedesca. L'Italia salvò l'onore di quella sua disastrosa prestazione con la medaglia di bronzo conquistata nel due con dal D. F. Treviso (P. Baran e R. Sambo) e con il sesto posto del due senza dei VV. FF. Trieste (E. Fermo e M. Specia). La Rep. Dem. Tedesca vinse tre titoli: quattro con, due senza e quattro senza. Le altre quattro medaglie d'oro andarono agli Stati Uniti nel singolo (Don Spero); all'Olanda nel due con; alla Svizzera nel doppio e alla Rep. Fed. di Germania nell'otto.

L'anno seguente, 1967, si disputarono in Francia, a Vichy, sul nuovo ma ventoso bacino d'Allier, i campionati d'Europa in cui l'Italia tornò ancora alla vittoria con l'ormai affermato due con del D.F. Treviso (P. Baran e R. Sambo), ma per il resto i risultati degli equipaggi azzurri furono men che mediocri. I rimanenti sei titoli furono così assegnati: nel quattro senza e nel singolo alla Rep. Dem. Tedesca (A. Hill); nel doppio alla Svizzera; nel due senza agli Stati Uniti, nel quattro con all'URSS, nell'otto alla Rep. Fed. di Germania.

Il 1968 fu l'anno delle Olimpiadi messicane, disputate sul bacino artificiale di Xochimilco, con tutti i problemi determinati dall'altitudine (2240 m sul livello del mare) e con la conseguente scarsa ossigenazione che turbò più volte lo sforzo prolungato dei vogatori. Il comportamento degli equipaggi italiani fu superiore a ogni elogio, a cominciare dal due con del D. F. Treviso (P. Baran e R. Sambo) che, coronando un triennio di brillanti affermazioni, conquistò la medaglia d'oro, per finire alla medaglia di bronzo vinta dal quattro senza della Falk e al quarto posto del misto Moto Guzzi-Falk nel quattro con; il due senza italiano si classificò al decimo posto.

Il 1969 fu l'anno degli europei di Klagenfurt (Austria), sul lago Worther, in Carinzia. Il due con del D. F. Treviso non riuscì a conseguire la terza vittoria consecutiva: la formazione azzurra (P. Baran e A. Rossetto) si classificò al secondo posto dietro i vittoriosi fratelli O. e R. Svojanowski della Cecoslovacchia. Gli altri equipaggi italiani presenti si classificarono come segue: al dodicesimo posto il due senza, al sesto posto il quattro senza, al settimo posto il quattro con e l'otto. I restanti sei titoli furono vinti dall'Argentina nel singolo (A. Demiddi), dagli Stati Uniti nel doppio e nel due senza, dalla Rep. Fed. di Germania nel quattro con, dall'URSS nel quattro senza, dalla Rep. Dem. Tedesca nell'otto.

Nel 1970 la terza edizione dei mondiali si disputò a Saint Catharines nel Canada (Ontario), e vide tre successi della Rep. Dem. Tedesca nel due senza, nel quattro senza e nell'otto; gli altri titoli andarono alla Rep. Fed. di Germania nel quattro con; all'Argentina nel singolo (A. Demiddi); alla Romania nel due con e alla Danimarca nel doppio. L'Italia arrivò alle finali con due equipaggi, il due con (F. Baran e A. Rossetto) che si classificò quarto e il singolista G. Bombelli che si classificò sesto; gli altri equipaggi italiani, quattro con, quattro senza e otto si classificarono rispettivamente decimo, nono e decimo.

Nel 1971 i campionati europei tornavano a Copenaghen, sul lago di Bagsvaerd. La Rep. Dem. Tedesca faceva ancora incetta di medaglie d'oro, vincendo i titoli del due senza, del due con, del quattro senza, del doppio; i tre restanti andavano all'Argentina nel singolo (A. Demiddi), alla Rep. Fed. di Germania nel quattro con, alla Nuova Zelanda nell'otto. Il miglior piazzamento dell'Italia in questi campionati fu quello del quattro senza (guidato da P. Baran) che si classificò al sesto posto.

Il 1972 fu l'anno delle Olimpiadi di Monaco: i migliori piazzamenti dell'Italia furono l'undicesimo posto nel quattro con e il decimo nel quattro senza.

Nel 1973 i campionati europei si disputarono a Mosca, nel nuovo bacino artificiale costruito sulle rive della Moscova. La Rep. Dem. Tedesca vinse quattro titoli: doppio, due senza, quattro senza e otto; l'URSS due: quattro con e due con e la Rep. Fed. di Germania il singolo (P. M. Kolbe).

Nel 1974 i campionati del mondo tornarono a Lucerna, sul Rotsee, per la quarta edizione in cui per la prima volta venne introdotto un ottavo tipo di barca (in precedenza erano stati sempre sette): il quattro di coppia, che fino ad allora era stato compreso solo nel programma femminile. Inoltre la FISA (Fédération Internationale Societées d'Aviron), sempre in quella sede, decise di sopprimere i campionati europei (ai quali del resto potevano partecipare nazioni di tutti i continenti) per disputare ogni anno i campionati del mondo. La Rep. Dem. Tedesca straripò ancora una volta conquistando sei titoli sugli otto in palio: quattro con, doppio, due senza, singolo, quattro senza, quattro di coppia; i due restanti titoli, due con e otto, furono vinti rispettivamente dall'URSS e dagli Stati Uniti. L'Italia si comportò con molta dignità in questa sfida tra colossi: quarta nel singolo (U. Ragazzi), quarta nel due con (P. Baran e A. Rossetto), sesta nel doppio (F. Biondi-S. Ferrini), undicesima nel quattro con e nell'otto. Il 1974, in conclusipne, fu un anno decisamente positivo per il canottaggio italiano che nel mese di agosto a Ratzeburg (Rep. Fed. di Germania) vinceva il titolo mondiale iuniores con il diciottenne livornese Marconcini.

Nel 1975 a Nottingham, sul bacino artificiale di Holme Pierrepont, si svolse la quinta edizione dei mondiali. Nuovo trionfo della Rep. Dem. Tedesca che si aggiudicò cinque titoli: due senza, due con, quattro senza, quattro di coppia, otto; i rimanenti titoli furono così ripartiti: all'URSS il quattro con, alla Norvegia il doppio e alla Rep. Fed. di Germania il singolo (P. M. Kolbe). L'Italia non riuscì a piazzare nessun armo nelle "grandi finali" (cioè dal 1° al 6° posto) e i migliori piazzamenti furono: ottavo posto nel doppio e nel quattro senza; decimo posto nel singolo; undicesimo posto nel due con.

Il 1976 fu l'anno dei Giochi Olimpici di Montreal. L'Italia, sul bacino Notre Dame, ebbe la sua carta migliore ancora nel due con (P. Baran, A. Venier, tim. F. Venturini) che si classificò al quinto posto assoluto. Gli altri piazzamenti degli azzurri furono: il settimo posto nel doppio (U. Ragazzi, S. Ferrini), il decimo nel singolo (F. Biondi), l'undicesimo nel quattro senza (M. Caglieris, E. Lanzarini, N. Spinello, P. Croce) e il dodicesimo nel quattro con (G. B. Paganelli, E. Borgonovi, G. Iseppi, A. Temporin, tim. P. Trisciani).

L'anno successivo, 1977, la sesta edizione dei mondiali si disputò sul Bosbaan di Amsterdam. Anche in Olanda la Rep. Dem. Tedesca onorò la sua fama di prima nazione remiera del mondo vincendo cinque medaglie d'oro (quattro con, singolo, quattro senza, quattro di coppia, otto), due di argento (doppio e due con) e una di bronzo (due senza). In queste ultime specialità i titoli furono conquistati rispettivamente dalla Gran Bretagna (C. Baillieu-M. Hart), dalla Bulgaria (T. Mrankov, D. Yanakiev, tim. S. Stoykov) e dall'Unione Sovietica (V. Eliseev, A. Kulagin). L'Italia ottenne, a sette anni di distanza il sesto posto assoluto nel singolo (F. Biondi), piazzandosi inoltre nona nel quattro con (M. Ustolin, E. Borgonovi, A. Venier, A. Baldacci, tim. S. Meli). A Tampere, intanto, lo stesso mese di agosto il due con junior azzurro (G. Risso. R. Alberti, tim. G. B. Musso) era medaglia di bronzo ai campionati mondiali della categoria.

Nel 1978 i mondiali di canottaggio lasciarono l'Europa per la seconda volta, e la sede della loro settima edizione fu il lago Karapiro, in Nuova Zelanda. L'Italia fu presente con un solo atleta, il livornese F. Biondi. L'azzurro, che risentì in maniera eccessiva del cambiamento di fuso orario, non fu in grado di andare oltre il dodicesimo posto nel singolo, dominato dal tedesco-occidentale P.M. Kolbe, che conquistò così il suo terzo titolo mondiale. La Rep. Dem. Tedesca fece ancora la parte del leone vincendo cinque titoli iridati (due con, due senza, quattro con, quattro di coppia, otto) ma perse la leggendaria imbattibilità del suo quattro senza, sconfitto per la prima volta dall'equipaggio sovietico; l'ultimo titolo, quello del doppio, andò ai due fratelli norvegesi F. e A. Hansen.

Il 1978, che chiude questi 18 anni di storia del canottaggio, riservò comunque all'Italia una splendida soddisfazione; ai mondiali juniores di Belgrado il doppio azzurro (A. Bollati, M. Donà) vinse il titolo iridato, mentre il quattro senza (S. Lucidi, A. Roccheggiani, F. Ungari, R. Dezi) ottenne la medaglia di bronzo.

Nel periodo che va dal 1960 al 1978, parallelamente al progressivo aumento del livello tecnico, conseguenza dell'ulteriore miglioramento dello stile di voga, della preparazione atletica degli equipaggi, del notevole concorso della medicina sportiva, della biologia, e dell'apporto considerevole della psicologia (divenuta una vera e propria scienza al servizio dello s.), si deve anche tenere conto dell'evoluzione dei materiali impiegati per la costruzione delle barche, tendenza che porta a concludere che molte nazioni (segnatamente le due Germanie e la Gran Bretagna) si stanno orientando verso l'abbandono dei metodi convenzionali di costruzione degli scafi da regata, anche per le difficoltà causate dalla crescente penuria di legno di cedro, necessario per la copertura delle imbarcazioni, dedicandosi alla produzione di barche costruite interamente con materiali sintetici. Così sono apparsi sui campi di regata internazionali, in questi ultimi anni, remi di fiberglass e imbarcazioni di alluminio misto a fiberglass, oppure di legno rinforzato da fibre di carbonio che hanno dato ottimi risultati, tanto da spingere decisamente molte federazioni verso l'impiego totale di questi nuovi materiali.

Mentre per il canottaggio italiano il periodo 1960-78 ha segnato un progressivo declino, per la canoa è successo esattamente il contrario. Dopo il notevole successo riportato alle Olimpiadi di Roma con la medaglia d'argento vinta dalla coppia A. Dezi-F. Lamacchia nella C2 (canadese biposto), la canoa italiana continuò a progredire e negli anni Sessanta i pagaiatori italiani si comportarono con molto onore sia alle Olimpiadi sia ai campionati mondiali ed europei, riuscendo più volte a piazzarsi nelle finali contro avversari formidabili come gli scandinavi, i sovietici, i tedeschi orientali e occidentali, gli austriaci, i romeni, specie per merito di C. Zilioli e C. Beltrami. Nel 1964, a Tokyo, l'Italia fu sesta nel K4 (C. Agnisetta-A. Pedroni-C. Beltrami-C. Zilioli); nel 1968, in Messico, ottava nel K2 (C. Zilioli-C. Beltrami), nel 1972 a Monaco quarta nel K4 (A. Ughi-P. Congiu-M. Pedretti-O. Perri) e perse la medaglia di bronzo per pochi centesimi di secondo.

All'inizio degli anni Settanta cominciò l'ascesa di un atleta cremonese, O. Perri, da annoverare ormai tra i più forti del mondo di tutti i tempi nel kayak. Già nel 1973, ai mondiali di Tampere (Finlandia), O. Perri fu quarto nel K1, 10.000 m. L'anno seguente, 1974, ai mondiali disputati in Messico, vinse la medaglia d'oro sulla stessa distanza. Ma la sua impresa più memorabile resta quella compiuta ai mondialí del 1975 a Belgrado, allorché vinse le medaglie d'oro nel K1, 1000 m e nel K1, 10.000 m. I restanti titoli maschili mondiali per il 1975 furono così ripartiti: l'URSS vinse nel K2, 500 m, nel C1, 500 m, 1000 m e 10.000 m, nel C2, 500 m e 10.000 m. L'Ungheria vinse nel K1, 500 m, nella staffetta K1, 4 × 500 m, nel K2, 10.000 m (seconda l'Italia, con D. Merli e G. Bruzzi), nel C2, 1000 m. La Rep. Dem. Tedesca vinse il K2, 1000 m e la Spagna il K4, 1000 m. In campo femminile tutti e tre i titoli (K, K2, K4, 500 m) andarono, come l'anno precedente nel Messico, alla Rep. Dem. Tedesca.

L'anno dopo, 1976, alle Olimpiadi di Montreal, O. Perri, carta vincente azzurra, si classificò solo quarto nel K1, 1000 m, e terminò settimo nel K1, 500 m. Gli altri piazzamenti degl'italiani furono men che modesti. L'Unione Sovietica dominò la competizione aggiudicandosi ben sei titoli olimpici, di cui uno femminile. Dietro lo squadrone sovietico, la Rep. Dem. Tedesca, vincitrice di tre titoli, poi Romania e Iugoslavia con un titolo ciascuno.

Nel 1977 O. Perri si prese una clamorosa rivincita, nella tredicesima edizione del campionato del mondo che si disputò a Sofia. Il cremonese dimostrò ancora una volta di non avere rivali sulla distanza dei 10.000 m conquistando in questa specialità il suo quarto titolo mondiale; al prestigioso canoista azzurro andò pure la medaglia di bronzo nel K1, 1000 m. Notevole anche il sesto posto ottenuto nel C2, 10.000 m (T. Annoni, I. Passerini). In questa edizione si registrò un grande ritorno della Romania che tenne testa all'Unione Sovietica aggiudicandosi lo stesso numero (quattro) di titoli mondiali. Tre titoli andarono inoltre all'Ungheria, tre alla Rep. Dem. Tedesca (di cui due in campo femminile), due alla Polonia e uno (femminile) alla Bulgaria.

L'anno successivo, 1978, i mondiali tornarono a Belgrado, ma l'Italia non poté contare sull'eccezionale apporto individuale di O. Perri. Il campione del mondo, deciso in un primo momento a interrompere l'attività agonistica, preferì infatti in questa occasione gareggiare nel K4. La barca azzurra (O. Perri, P. Manfredini, G. Mannari, F. Crenna) fu solo quinta in semifinale sui 1000 m e ottava nei 10.000 m. Per il resto, nessun equipaggio azzurro superò lo scoglio delle semifinali. Belgrado segnò un sensibile regresso dell'Unione Sovietica che si assicurò solo due titoli mondiali. Al contrario, fu invece l'anno di grazia della Rep. Dem. Tedesca, vincitrice di ben sette medaglie d'oro; ottimo anche il comportamento dell'Ungheria, con quattro titoli; sullo stesso livello dell'Unione Sovietica la Romania e la Iugoslavia (due titoli ciascuno) ed infine la Bulgaria (un titolo).

Per i vincitori delle gare di canottaggio e di canoa alle Olimpiadi, v. la tabella alla voce olimpici, giochi, in questa Appendice.

Ciclismo. - Dopo la scomparsa di F. Coppi e l'abbandono dell'attività da parte di G. Bartali, si ha un predominio dei corridori stranieri, soprattutto belgi e francesi, pur se non mancano successi italiani. Nel Giro di Francia è J. Anquetil a imporsi consecutivamente dal 1961 al 1964, dopo aver già vinto quello disputato nel 1957, mentre F. Gimondi vince nel 1965. Dopo le vittorie dei francesi L. Aimar (1966) e R. Pingeon (1967) e dell'olandese J. Janssen (1968), viene alla ribalta il belga E. Merckx che s'impone ininterrottamente dal 1969 al 1972. Con la vittoria ottenuta poi nel 1974 Merckx eguaglierà il record di cinque vittorie già ottenuto da J. Anquetil, ma il suo successo si rivelerà ancor più consistente per aver egli vinto in alcuni degli stessi anni (1970, 1972, 1974) anche il Giro d'Italia. Nel 1973 si era imposto al Tour lo spagnolo L. Ocaña; nel 1975 la vittoria ritorna ai francesi con il successo di B. Thevenet, che si ripeterà nel 1977, dopo la vittoria ottenuta dal belga L. Van Impe nel 1976. Nel 1978 il successo è ottenuto dal francese B. Hinault.

L'altra grande corsa a tappe, il Giro d'Italia, è stato vinto da F. Balmamion (1962, 1963), J. Anquetil (1964), V. Adorni (1965), G. Motta (1966), F. Gimondi (1967, 1969), E. Merckx (1968, 1970, e consecutivamente dal 1972 al 1974, uguagliando il record di cinque successi già detenuto da A. Binda e F. Coppi). Nel 1971 si era imposto lo svedese G. Patterson e nel 1975 il successo è stato conseguito da F. Bertoglio. Nel 1976 è ritornato alla vittoria F. Gimondi; nel 1977 si è imposto il belga M. Pollentier; nel 1978 la vittoria è conquistata dal belga J. De Muynck. Nelle altre più importanti corse a tappe gl'italiani hanno ottenuto il successo finale nel Giro della Svizzera con G. Fezzardi (1963), F. Bitossi (1965), A. Portalupi (1966), G. Motta (1967), V. Adorni (1969), R. Poggiali (1970); nel Giro di Romandia con G. Motta (1966), V. Adorni (1965,1967), F. Gimondi (1969), G. B. Baronchelli (1977); nel Giro di Spagna con F. Gimondi (1968); nella Parigi-Lussemburgo con M. Dancelli (1968); nel Giro del Lussemburgo con D. Boifava (1969) e M. Basso (1970); nella Settimana Catalana con I. Zilioli (1970); nel Giro della Catalogna con F. Bitossi (1970), F. Gimondi (1972), F. Bertoglio (1975), F. Moser (1978); nel Giro del Levante con M. Bergamo (1974); nel Midi-Libre con F. Moser (1975), W. Panizza (1977), C. Bortolotto (1978); nel Giro dei Paesi Baschi con G. B. Baronchelli (1976); nel Giro della Svizzera del N. O. con S. Fraccaro (1977). Gl'italiani si sono imposti all'estero anche in alcune corse in linea comprese tra le classiche del ciclismo mondiale: C. Preziosi nella Liegi-Bestogne-Liegi (1965); R. Poggiali (1965) e M. Dancelli (1966) nella Freccia Vallone; F. Gimondi nella Parigi-Roubaix (1966), nella Parigi-Bruxelles (1966,1976), nella Freccia d'Enghien (1968) e nella Gand-Wevelgem (1972); D. Zandegù nel Giro delle Fiandre (1967); W. Panizza nel G. P. di Monaco (1970); F. Moser nella Tours-Parigi e nella Tours-Versailles (1974), nel G. P. di Monaco (1975), nel Campionato di Zurigo e nella Freccia Vallone (1977), nella Parigi-Roubaix (1978).

Sulle strade italiane, nelle gare più classiche, si sono affermati i nomi di diversi corridori; in particolare sono da ricordare: N. Defilippis, che ha vinto il Giro di Toscana e le Tre Valli Varesine (1960) e il Giro del Lazio (1962); E. Baldini, già campione del mondo professionisti su strada nel 1958, vincitore del G. P. di Forlì a cronometro (1962, 1963), della Coppa Placci e del Giro della Provincia di Reggio Calabria (1963); V. Taccone, vincitore del Giro di Lombardia (1961), del Giro del Piemonte, (1962), del Giro di Toscana (1963), del Giro di Campania (1964), della Milano-Torino (1965) e del Trofeo Matteotti (1966); B. Mealli, vincitore del Giro del Lazio (1961, 1964), del Giro dell'Emilia e del G. P. Industria e Commercio a Prato (1962), del Giro di Romagna (1963, 1967); D. Ronchini, che ha vinto il Giro dell'Emilia (1961), il Giro della Romagna (1962), il Giro della Provincia di Reggio Calabria (1964); A. Durante, vincitore del Giro del Lazio, del Giro di Campania e del Giro del Piemonte (1963), della Milano-Vignola (1963, 1966, 1970), del Giro di Romagna (1964), della Coppa Bernocchi e del Giro della Provincia di Reggio Calabria (1965). Solamente a metà degli anni Sessanta il ciclismo italiano rivelerà tuttavia alcuni corridori che poi si affermeranno con maggior incisività. I. Zilioli, vincitore del Giro dell'Emilia e delle Tre Valli Varesine (1963), del Giro del Veneto (1963, 1964), del Giro dell'Appennino (1963, 1973), della Coppa Sabatini e della Coppa Agostoni (1964), del G. P. Industria e Commercio (1966), del Giro di Campania (1968), del Giro del Piemonte e del Giro delle Marche (1970), della Tirreno-Adriatico a tappe e del Trofeo Laigueglia (1971), della Coppa Placci e del G. P. Montelupo Fiorentino (1973); V. Adorni, campione del mondo professionisti su strada nel 1968 e plurivittorioso all'estero, vincitore del Giro di Sardegna a tappe (1964), della Coppa Bernocchi (1967), della Cagliari-Sassari e del Giro della Provincia di Reggio Calabria (1969); G. Motta, vincitore della Coppa Bernocchi e del Giro di Lombardia (1964), delle Tre Valli Varesine (1965, 1966, 1967, 1970), del Giro di Romagna (1966), della Milano-Torino (1967), del Giro dell'Appennino (1968, 1970), del Giro dell'Emilia (1968, 1969, 1971), del Giro dell'Umbria (1970) e di quello della provincia di Reggio Calabria (1971); M. Dancelli, vittorioso nel G. P. Industria e Commercio (1964, 1965, 1967), nella Coppa Placci, nel Giro di Campania e nel G. P. Montelupo Fiorentino (1965), nel Giro del Veneto (1965, 1966), nel Giro dell'Emilia (1965, 1967), nel Giro dell'Appennino (1965, 1966, 1967), nel Giro della Provincia di Reggio Calabria (1966, 1967, 1968), nel Giro del Lazio (1966, 1970), nella Coppa Sabatini (1967), nel Trofeo Laigueglia (1968, 1970), nel G. P. Mirandola (1969) e nella Milano-Sanremo (1970); F. Bitossi con i successi nel Giro del Lazio (1966), nella Coppa Sabatini (1966, 1968), nella Tirreno Adriatico a tappe (1966), nel Trofeo Laigueglia (1967, 1976), nella Coppa Agostoni (1967, 1968, 1971), nel Giro di Lombardia (1967, 1970), nella Coppa Bernocchi (1968, 1976), nella MilanoTorino, nella Sassari-Cagliari e nel Giro di Toscana (1968), nel G. P. Montelupo Fiorentino (1969), nel Giro di Campania (1970, 1972), nel Giro dell'Emilia (1970, 1973), nel Giro del Veneto (1970, 1973), nel G. P. Industria e Commercio (1971), nel Giro di Romagna (1971, 1974), nel Giro della Provincia di Reggio Calabria e nel G. P. Belmonte Piceno (1972), nel Trofeo Matteotti (1974), nel Giro del Friuli (1976).

Sul finire degli anni Sessanta nella storia del ciclismo italiano spiccherà il nome di F. Gimondi. Ai suoi vari successi all'estero sia in gare a tappe (Giro di Francia, Giro di Spagna, Giro di Romandia, Giro della Catalogna) sia in corse "in linea" (Parigi-Roubaix, Parigi-Bruxelles, Freccia d'Enghien, Gand-Wevelgem) sia "a cronometro" (G. P. delle Nazioni 1967, 1968), come anche in numerosi "criterium", si aggiungono quelli riportati sulle nostre strade: Coppa Placci (1966), Giro di Lombardia (1966, 1973), Coppa Agostoni (1966, 1974), Giro del Lazio (1967), Giro di Romagna (1968), G. P. Belmonte Piceno (1968, 1969), Giro dell'Appennino (1969, 1972), Trofeo Matteotti (1970), Giro del Piemonte (1971, 1973), Coppa Bernocchi e Giro delle Puglie a tappe (1973), Milano-Sanremo (1974), G. P. Castrocaro Terme, a cronometro individuale (1967, 1968, 1969, 1971, 1973), Trofeo Baracchi, a cronometro a coppie, con J. Anquetil (1968) e M. E. Rodriguez (1973). Nel 1973, inoltre, F. Gimondi ha conquistato il titolo di campione del mondo professionisti su strada. Nel 1972 il titolo di campione del mondo era stato vinto da M. Basso che, intorno agli anni Settanta, ha messo in luce buone doti di velocista, vincendo le seguenti gare: G. P. Mirandola (1968), Milano-Vignola (1968, 1971, 1973), Tre Valli Varesine, Trofeo Matteotti, Giro di Campania e Giro del Piemonte (1969), Coppa Bernocchi e Giro di Sardegna a tappe (1972), Nizza-Genova (1973), G. P. Montelupo Fiorentino (1974), Coppa Placci (1977). A questi si sono affiancati alcuni altri nomi di un certo rilievo: F. Fabbri, vincitore del G. P. Belmonte Piceno (1971), del G. P. Industria e Commercio (1973, 1974), del Giro delle Puglie a tappe (1974), delle Tre Valli Varesine e del Giro dell'Appennino (1975); E. Paolini, con i successi nei Giri dell'Umbria e del Veneto (1972), nel G. P. Belmonte Piceno e nelle Tre Valli Varesine (1973), nella Milano-Vignola e nel G. P. Mirandola (1974), nel Giro dell'Emilia e nella Coppa Bernocchi (1975), nella Milano-Torino e nel Giro della Provincia di Reggio Calabria (1976), nel Giro di Campania (1977); W. Panizza, che ha vinto il Giro di Romagna e quello della Provincia di Reggio Calabria (1973) e la Milano-Torino (1975); G. Battaglin, che ha vinto il Giro del Lazio (1973), il Giro dell'Appennino (1974), la Coppa Sabatini e il Giro delle Puglie a tappe (1975), il G. P. Montelupo Fiorentino (1977), la Coppa Bernocchi (1978); G. B. Baronchelli, vincitore del Trofeo Laigueglia (1975), del Trofeo Baracchi (in coppia con F. Moser, 1975), del Giro di Romagna (1976), del Giro dell'Appennino e del Giro di Lombardia (1977), ancora del Giro dell'Appennino, del Giro dell'Umbria, del Giro del Piemonte e della Coppa Placci (1978).

A metà degli anni Settanta emerge infine F. Moser. È vincitore dei Giri del Piemonte, della Provincia di Reggio Calabria, dell'Emilia, della Toscana, della Coppa Bernocchi, del G. P. Castrocaro Terme, a cronometro (1974), del Giro dell'Umbria (1974, 1975, 1977), del Trofeo Baracchi (con R. Schuiten, 1974, e con G. B. Baronchelli, 1975), della Coppa Placci e del Giro di Lombardia (1975), del Trofeo Matteotti (1975, 1976, 1978), del Giro delle Puglie, del Giro dell'Appennino, del Trofeo Pantalica, delle Tre Valli Varesine (1976), del Giro di Toscana (1976, 1977), della Coppa Agostoni (1977), del Giro del Lazio (1977, 1978), della Coppa Sabatini, delle Tre Valli Varesine e del Giro di Lombardia (1978). Nel 1976 ha inoltre vinto su pista il titolo di campione mondiale dell'inseguimento pofessionisti. Nel 1977, ha conquistato il titolo di campione del mondo professionisti su strada. Tra i suoi più validi antagonisti è G. Saronni, vincitore del Giro di Sicilia a tappe, delle Tre Valli Varesine, del Giro del Friuli e del Giro del Veneto (1977), del Trofeo Pantalica (1977, 1978), della Tirreno-Adriatico e del Giro delle Puglie a tappe, del Giro di Campania e della Coppa Agostoni (1978).

Numerose sono state le vittorie di corridori stranieri nelle gare italiane. Il belga R. Van Loy ha vinto la Milano-Sanremo (1958) e il Giro della Sardegna a tappe (1962,1965); il belga E. Daems ha vinto il Giro di Lombardia (1960) e la Milano-Sanremo (1962). L'olandese J. De Roo è stato il vincitore del Giro di Lombardia (1962,1963); il francese J. Groussard della Milano-Sanremo (1963); l'inglese T. Simpson sempre della MilanoSanremo (1964) e del Giro di Lombardia (1965). Nella Milano-Sanremo si è affermato anche il tedesco occidentale R. Altig (1968). Una posizione di grande rilievo assume tra i corridori stranieri il belga E. Merckx che ha dominato per un decennio il ciclismo internazionale. Oltre al Giro d'Italia ha vinto sulle nostre strade la Milano-Sanremo (1966, 1967, 1969, 1971, 1972, 1975, 1976) superando il primato di sei vittorie di C. Girardengo, il Trofeo Baracchi in coppia con F. Bracke (1966, 1967) e R. Swert (1972), il Giro di Sardegna a tappe (1968, 1971, 1973, 1975), le Tre Valli Varesine (1968), la Coppa Agostoni (1970), il Giro di Lombardia (1970, 1971), il Giro del Piemonte e il Giro del Veneto (1972), il Trofeo Laigueglia (1973, 1974). Un altro corridore, il belga R. De Vlaeminck, ha colto diversi successi sulle strade italiane: ha vinto la Coppa Placci (1972, 1974), la MilanoTorino (1972, 1974), la Tirreno-Adriatico a tappe (dal 1972 al 1977), il Trofeo Matteotti, il Giro di Toscana e la Milano-Sanremo (1973), il Giro del Veneto e quello di Sicilia (1974), il Giro di Lombardia (1974, 1976), il Trofeo Pantalica (1975), il Giro del Lazio (1975, 1976), la Coppa Agostoni (1975, 1976), il G. P. Montelupo Fiorentino (1975, 1976), la Cagliari-Sassari, il Giro dell'Emilia e il Giro di Sardegna a tappe (1976), il Giro del Piemonte (1977), la Sassari-Cagliari, il Giro del Friuli ed ancora la Milano-Sanremo (1978).

Ai campionati mondiali su strada hanno vinto il titolo per i professionisti: il belga R. Van Loy (1961), il francese J. Stablinski (1962), il belga B. Beheyt (1963), l'olandese J . Janssen (1964), l'inglese T. Simpson (1965), il tedesco occidentale R. Altig (1966), il belga E. Merckx (1967, 1971, 1974), l'italiano V. Adorni (1968), l'olandese H. Ottenbros (1969), il belga J. P. Monseré (1970), gl'italiani M. Basso (1972) e F. Gimondi (1973), l'olandese H. Kuiper (1975), il belga F. Maertens (1976), l'italiano F. Moser (1977), l'olandese G. Knetemann (1978). Per i dilettanti hanno vinto il titolo: il francese J. Jourden (1961), gli italiani R. Bongioni (1962) e F. Vicentini (1963), il belga E. Merckx (1964), il francese J. Botherel (1965), l'olandese E. Dolman (1966), l'inglese G. Webb (1967), l'italiano V. Marcelli (1968), il danese L. Mortensen (1969), il tedesco occidentale J. Schmidt (1970), il francese R. Ovion (1971), i polacchi R. Szurkowski (1973) e J. Kowalski (1974), l'olandese A. Gevers (1975), l'italiano C. Corti (1977), lo svizzero G. Glaus (1978). La "100 km a squadre", disputata dal 1962, è stata vinta nella sua prima edizione dall'Italia (D. Grassi, M. Maino. A. Tagliano, D. Zandegù), poi dalla Francia (1963), ancora dall'Italia nel 1964 (P. Andreoli, I. Dalla Bona, P. Guerra, F. Manza) e nel 1965 (P. Guerra, N. Denti, L. Dalla Bona, G. Soldi). Successivamente hanno vinto la Danimarca (1966), la Svezia (1967, 1968, 1969, 1974), il Belgio (1971), la Polonia (1973, 1975), l'Unione Sovietica (1977), l'Olanda (1978). Nel 1972 e nel 1976, in concomitanza con i Giochi Olimpici, le gare per dilettanti non sono state disputate. Nella prova su strada femminile hanno vinto il titolo iridato la belga Y. Reynders (1961, 1963, 1966), la belga M. R. Gaillard (1962), la sovietica E. Sonka (1964), la tedesca orientale E. Eicholz (1965), l'inglese B. Burton (1967), l'olandese C. Hage (1968), la statunitense A. McElmury (1969), la sovietica A. Konkina (1970, 1971), la francese G. Gambillon (1972,1974), le olandesi N. Van Den Broek (1973) T. Fopma (1975), e C. Van Oosten-Hage (1976), la francese J. Bost (1977), la tedesca occidentale B. Habetz (1978). Le atlete italiane hanno ottenuto soddisfacenti risultati con M. Tartagni, medaglia di bronzo (1968) e d'argento (1970,1971), con L. Bissoli, medaglia d'argento (1976) e con E. Lorenzon, medaglia di bronzo (1978).

Ai campionati mondiali su pista hanno vinto il titolo, in campo professionistico per la velocità: gl'italiani A. Maspes (1961, 1962, 1964), S. Gaiardoni (1963), G. Beghetto (1965, 1966, 1968), il belga P. Sercu (1967, 1969), l'australiano G. Johnson (1970), l'olandese L. Loevesijn (1971), il belga R. Van Lanker (1972, 1973), il danese P. Pedersen (1974), l'australiano J. Nicholson (1975, 1976), il giapponese N. Nakano (1977, 1978); per l'inseguimento: il tedesco occidentale R. Altig (1961), l'olandese H. Nijdam (1962), l'italiano L. Faggin (1963, 1965, 1966), il belga F. Bracke (1964, 1969), l'olandese T. Groen (1967), l'inglese H. Porter (1968, 1970, 1972, 1973), il belga D. Baert (1971), l'olandese R. Schuiten (1974, 1975), l'italiano F. Moser (1976), il tedesco occidentale G. Braun (1977, 1978); per il mezzofondo: il tedesco occidentale C. H. Marsell (1961), lo spagnolo G. Timoner (1962, 1964, 1965), il belga L. Proost (1963, 1967, 1968), il belga R. De Loof (1966), l'olandese J. Oudkerk (1969), il tedesco occidentale H. Rudolph (1970), il belga T. Verschueren (1971,1972), il tedesco occidentale H. Gnas (1973), i tedeschi occidentali D. Kemper (1975) e W. Peffgen (1976, 1978), l'olandese C. Stam (1974, 1977).

In campo dilettantistico i campionati mondiali, che a partire dal 1972 non vengono disputati in occasione dei Giochi Olimpici se non per il mezzofondo e la velocità tandem, sono stati vinti: per la velocità dall'italiano S. Bianchetto (1961, 1962), dal belga P. Sercu (1963), dal francese P. Trentin (1964), dal sovietico O. Phakadze (1965), dal francese D. Morelon (1966, 1967), dall'italiano L. Borghetti (1968), ancora dal francese D. Morelon (1969, 1970, 1971, 1973, 1975), dal tedesco orientale H. J. Genschke (1977), dal cecoslovaco A. Tkac (1974, 1978); per la velocità tandem, che si disputa dal 1966, dalla Francia nel suo primo anno di svolgimento, dall'Italia nel 1967 (D. Verzini, B. Gonzato) e nel 1968 (W. Gorini, G. Turrini), dalla Rep. Dem. Tedesca (1969, 1971), dalla Rep. Fed. di Germania (1970), dalla Cecoslovacchia (1973, 1974, 1975), dalla Polonia (1976) e ancora dalla Cecoslovacchia (1977, 1978). Nell'inseguimento individuale i titoli sono stati vinti dall'olandese H. Nijdam (1961), dal danese K. Jensen (1962) dal belga R. Walschaerts (1963), dall'olandese T. Groen (1964, 1965, 1966), dall'olandese G. Bongers (1967), dal danese M. Frey (1968), dallo svizzero X. Kurmann (1969, 1970), dal messicano M. Rodriguez (1971), dal norvegese K. Knudsen (1973), dal tedesco occidentale H. Lutz (1974) e dai tedeschi orientali T. Huschke (1975), N. Durpisch (1977), e R. Macha (1978). Nell'inseguimento a squadre, istituito dal 1962, i titoli sono stati conquistati dalla Rep. Fed. di Germania (1962, 1964), dall'Unione Sovietica (1963, 1965, 1967, 1969), dall'Italia nel 1966 (A. Castello, C. Chemello, G. Pancino, L. Roncaglia), nel 1968 (T. Bosisio, L. Roncaglia, C. Chemello, G. Morbiato) e nel 1971 (G. Bazzan, P. Algeri, G. Morbiato, L. Borgognoni), dalla Rep. Fed. di Germania (1970, 1973, 1974, 1975) e dalla Rep. Dem. Tedesca (1977, 1978). Nel km individuale con partenza da fermo, inserito dal 1966, si sono imposti il francese P. Trentin (1966), il danese N. Fredborg (1967, 1978, 1970), l'italiano G. Sartori (1969), il sovietico E. Rapp (1971, 1974), il polacco J. Kierzkowski (1973), i tedeschi orientali H. J. Gruenke (1975), T. Lothar (1977) e H. Thoms (1978). Nel mezzofondo sono risultati vincitori l'olandese L. Vandermeelen (1961), il belga R. De Loof (1962, 1963), l'olandese J. Oudkerk (1964), lo spagnolo M. Mas (1965), l'olandese P. De Witt (1966, 1967), l'italiano G. Grassi (1968), gli olandesi A. Boom (1969) e C. Stam (1970, 1973), i tedeschi orientali H. Gnas (1971, 1972) e J. Breuer (1974), l'olandese G. Minneboo (1975, 1976, 1977), il tedesco occidentale L. Podlesch (1978). Nel criterium individuale a punti si sono imposti lo svizzero W. Baumgartner (1976), l'olandese C. Tourne (1977), il belga P. De Jonkeere (1978).

In campo femminile hanno vinto il titolo iridato nella prova di velocità le sovietiche G. Ermolaeva (1961, 1963, 1972), V. Savina (1962, 1965, 1967), I. Kiričenko (1964, 1966), A. Baguiniantz (1968), G. Careva (1969, 1970, 1971), T. Pil′ščikova (1974), le statunitensi S. Young (1973, 1976), S. Novarra (1975) e ancora la sovietica G. Careva (1977, 1978); nell'inseguimento hanno conquistato il titolo mondiale la belga Y. Reynders (1961, 1964, 1965), l'inglese B. Burton (1962, 1963, 1966), le sovietiche R. Obodovskaja (1968, 1969), T. Garkušina (1967, e dal 1970 al 1974), V. Kuznecova (1977), l'olandese C. Van Oosten-Hage (1975, 1976, 1978). L'italiana L. Bissoli ha conquistato la medaglia d'argento (1976) e di bronzo (1978).

Nel campionato mondiale di ciclocross professionisti hanno conquistato il titolo: il tedesco occidentale R. Wolfshohl (1961, 1963), l'italiano R. Longo (1962, 1964, 1965, 1967), il belga E. De Vlaeminck (1966, e dal 1968 al 1973), il belga E. Van Damme (1974), il belga R. De Vlaeminck (1975), lo svizzero A. Zweifel (1976, 1977, 1978).

Il campionato italiano professionisti su strada è stato vinto da: A. Sabbadin (1961), N. Defilippis (1962), B. Mealli (1963), G. De Rosso (1964), M. Dancelli (1965, 1966), F. Balmamion (1967), F. Gimondi (1968, 1972), V. Adorni (1969), F. Bitossi (1970, 1971, 1976), E. Paolini (1973, 1974, 1977), F. Moser (1975), P. Gavazzi (1978).

Il campionato italiano di velocità professionisti, su pista, è stato vinto da A. Maspes (1961, 1962, 1963, 1965), S. Gaiardoni (1964), S. Bianchetto (1966), G. Beghetto (1967, 1968, 1969), G. Turrini (1970, 1971, 1972, 1974,1975, 1978), E. Cardi (1973, 1976, 1977); quello dell'inseguimento è stato vinto da: L. Faggin (dal 1961 al 1968), D. Boifava (1969, 1973), G. Roselen (1970), P. Guerra (1971, 1972), P. Algeri (1975), L. Borgognoni (1974, 1976), S. Fraccaro (1977, 1978).

Il primato dell'ora è stato migliorato dal belga F. Bracke, a Roma nel 1967, con km 48,09340; dal danese O. Ritter, nel 1968 a Città di Messico, con km 48,65392; dal belga E. Merckx, sempre a Città di Messico nel 1976, con km 49,43195. L'italiana M. Cressari, oltre al primato femminile dell'ora (km 41,47174) realizzato nel 1972 a Città di Messico, detiene anche i primati dei 5 km, dei 10 km, dei 20 km e quello dei 100 km, realizzato nel 1975 al velodromo Vigorelli di Milano. Nel 1978 la Bissoli ha conquistato i primati mondiali femminili sui 200 m, sui 500 m e sul km, lanciati, in pista coperta.

Per i vincitori delle gare delle Olimpiadi, v. la voce olimpici, giochi, in questa Appendice.

Ginnastica. - I risultati ottenuti alla XVIII Olimpiade (Tōkyō, 1964), costituiscono per la ginnastica italiana il più bel traguardo raggiunto in campo internazionale negli ultimi quarantatre anni. F. Menichelli, rinnovando le gesta dei suoi illustri predecessori olimpici (A. Braglia, G. Zampori, R. Neri, F. Martino e S. Guglielmetti), vince la medaglia d'oro nel corpo libero, quella d'argento agli anelli e quella di bronzo alle parallele. La squadra azzurra, formata da G. e P. Carminucci, L. Cimnaghi, B. Franceschetti, F. Menichelli e A. Vicardi, si classifica quarta nella graduatoria generale. Nella classifica generale individuale F. Menichelli è quinto. La grande prova di Menichelli non fu soltanto il frutto di particolari doti individuali, ma anche il risultato di una seria preparazione iniziata subito dopo i Giochi Olimpici di Roma.

L'Olimpiade di Tōkyō segna l'inizio della preponderanza nipponica in campo maschile, prima dominato dai sovietici. La rappresentativa giapponese formata da sei autentici fuoriclasse (Yukio Endo, Takuji Hayata, Shuji Tsurumi, Haruhiro Yamashita, Takashi Mitsukuri e Takashi Ono) si aggiudica la vittoria di squadra superando l'antagonista sovietica di 2,50 punti nonostante la bravura del veterano B. Claklin. Al Giappone andò anche il primato della classifica generale individuale con Y. Endo; terza fu la Germania. Nel settore femminile invece continua la superiorità sovietica nella classifica generale di squadra, mentre in quella individuale si colloca al primo posto la cecoslovacca V. Caslavska.

Quattro anni dopo, alla XIX Olimpiade (Città di Messico, 1968), la sfortuna più nera si abbatte sulla squadra italiana. F. Menichelli, mentre esegue la finale del suo esercizio a corpo libero s'infortuna, riportando la lacerazione del tendine d'Achille. L'incidente determina nella rappresentativa italiana un abbattimento morale e psicologico tale da comprometterne il risultato. La squadra era la stessa di Tōkyō, con la sola sostituzione di V. Mori al posto di A. Vicardi. Per quanto riguarda il quadro generale delle gare, la squadra maschile giapponese conferma la sua superiorità su quella sovietica. Il giovane Sawao Kato è il vincitore assoluto mentre A. Nakayama, E. Kenmotsu, T. Kato, Y. Endo, M. Tsukahara e lo stesso S. Kato si aggiudicano il primo posto nella classifica generale di squadra. In campo femminile si registrano progressi tecnici notevoli. Su tutte domina ancora la cecoslovacca V. Caslavska che conquista quattro medaglie d'oro e una d'argento nelle gare individuali; la Cecoslovacchia conquista anche la medaglia d'argento nella graduatoria di squadra che vede al primo posto la compagine dell'URSS.

Dopo Città di Messico, con il ritiro dall'attività agonistica dei migliori protagonisti delle ultime due Olimpiadi, è cominciata, per la ginnastica italiana, una parabola discendente dalla quale non ci si è poi completamente ripresi, nonostante il costante potenziamento delle nuove leve, le iniziative federali e l'utilizzazione di tecnici di provato valore come F. Menichelli per il settore maschile e A. Carnoli per il settore femminile. L'ultima medaglia in campo internazionale è stata vinta da G. Carminucci, classificatosi primo nell'esercizio alle parallele ai campionati europei di Madrid, nel 1971.

Si giunge così alla XX Olimpiade (Monaco, 1972). Gli azzurri che gareggiano nel concorso a squadre sono: L. Coppa, F. Donegà, A. Lampronti, C. Luppino, M. Milanetto e F. Spatazza; sono atleti che partecipano per la prima volta a un'Olimpiade. Nella classifica del concorso generale a squadre l'Italia è sedicesima. Anche in questa Olimpiade, il Giappone domina incontrastato nel settore maschile, ma l'Unione Sovietica gli è a ridosso. Nella classifica finale nel concorso individuale i nipponici conquistano i primi tre posti con S. Kato, Kenmotsu e Nakayama. Anche nel concorso di squadra il Giappone si aggiudica la medaglia d'oro. Nel settore femminile, invece, l'URSS è prima nella classifica del concorso individuale con L. Turiščeva, e prima anche nel concorso di squadra.

In campo europeo, il migliore è senza dubbio N. Andrianov che, classificatosi subito dopo i tre nipponici alle Olimpiadi di Monaco, ai campionati di Berna nel 1975 si aggiudica ben cinque medaglie d'oro (concorso individuale, corpo libero, volteggio al cavallo, parallele, sbarra). Milanetto, Montesi e Anastasi, che rappresentano l'Italia, ottengono risultati alquanto mediocri.

Alla XXI Olimpiade (Montreal, 1976) continua in campo maschile la supremazia del sovietico Andrianov, che vince la medaglia d'oro nel concorso individuale, nel volteggio, nel corpo libero e agli anelli; il Giappone si assicura il titolo olimpico nel concorso a squadre, alla sbarra (Tsukahara) e alle parallele (Kato). Nel settore femminile emergono la rumena N. Comaneci che vince tre medaglie d'oro: concorso individuale, trave e parallele, e la sovietica N. Kim con due medaglie d'oro: volteggio e corpo libero.

Sul piano tecnico e spettacolare, la ginnastica, nel periodo dal 1961 al 1978, ha compiuto notevoli progressi. Qualche esempio: alla XVII Olimpiade (Roma, 1960) il giapponese N. Aihara vinse il corpo libero con un salto con avvitamento, esercizio che ben pochi altri erano in grado di eseguire. Dodici anni dopo (1972), a Monaco, un altro giapponese, Kenmotsu, pur eseguendo un triplo avvitamento, non è riuscito a conquistare il titolo, vinto dal sovietico Andrianov che aveva presentato un doppio salto carpiato all'indietro. Nel volteggio, alle Olimpiadi di Roma, la medaglia d'oro fu conquistata dal sovietico B. Chaklin con una semplice ribaltata; dodici anni dopo, nella stessa specialità, il tedesco orientale K. Koeste si è aggiudicato il primo posto con una ribaltata seguita da un salto mortale. Nei Giochi Olimpici di Roma, nell'esercizio alla sbarra il giapponese T. Ono eseguì l'uscita più difficile: salto mortale con avvitamento; a Monaco, il giapponese M. Tsukahara si è esibito in un doppio salto mortale con avvitamento.

Questa evoluzione nel giro di quattro Olimpiadi è potuta avvenire non per gli attrezzi, che sostanzialmente non sono cambiati (eccetto le pedane del corpo libero e del volteggio, rese più elastiche da una migliore tecnica di costruzione). Ciò che ha contribuito all'evoluzione acrobatica degli esercizi sono stati indubbiamente i mezzi di protezione antinfortunistica, i tappetoni paracadute e il perfezionamento dell'assistenza diretta dell'allenatore. Ma il fattore più importante va individuato nella continua ricerca di più razionali tecniche esecutive e di più efficaci metodi di allenamento. Il ginnasta moderno non si costruisce soltanto in palestra ma attraverso un attento e assiduo controllo fisiologico, biomeccanico, psicologico e tecnico da parte di una équipe di esperti. Questi nuovi indirizzi hanno portato, di conseguenza, a una trasformazione del tipo di addestramento, passato da un lavoro prettamente statico e basato sulla pura forza muscolare a un'impostazione dinamica e armonica che oltretutto ha modificato la stessa struttura atletica del ginnasta.

Golf. - Sorta nel 1927 a Milano, la Federazione italiana golf cessò ogni attività durante la seconda guerra mondiale; ricostituita nel 1946 a Rapallo come Associazione golfistica italiana, fu trasferita nel 1959 a Roma dove, con la denominazione di Federazione italiana golf, entrava a far parte del CONI. Nel 1978 i circoli affiliati alla Federazione, con oltre diecimila iscritti, sono saliti a 57, di cui: cinque con percorsi di 27 buche, ventisei con percorsi di 18 buche, venticinque con percorsi di 9 buche e uno di 9 buche "par 3". Se si considera che prima della fine della seconda guerra mondiale il numero dei circoli in Italia non superava la quindicina, si ha un'idea del considerevole incremento verificatosi nella costruzione di nuovi campi di golf, ubicati per la maggior parte in zone della penisola ad alta densità turistico-residenziale.

L'attività agonistica vede impegnate due categorie di giocatori: dilettanti e professionisti. Vi sono gare e campionati, nazionali e internazionali, riservati all'una e all'altra categoria e tornei open, in cui possono competere sia dilettanti sia professionisti purché venga rispettata la norma che vieta ai dilettanti di percepire premi in denaro, pena la decadenza dello status. Il golf, a livello professionistico, ha avuto considerevole incremento negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, soprattutto negli Stati Uniti dove si sono moltiplicati i tornei dotati di forti somme in denaro, incentivo che ha presto indotto molti fra i migliori dilettanti a passare al professionismo.

Fra i giocatori statunitensi di maggior spicco, che per anni hanno primeggiato le classifiche dei vincitori di tornei professionistici, sono da ricordare J. Nicklaus, J. Miller, L. Trevino. Altri statunitensi in passato avevano dominato la scena golfistica mondiale: negli anni tra il 1930 e il 1940 W. Hagen, B. Jones, G. Sarazen, Th. Armour, F. Ouimet; nel ventennio successivo S. Snead, B. Hogan, B. Casper, A. Palmer. In Scozia e in Inghilterra, dopo H. Vardom, il più famoso dei golfisti britannici, il primato dei professionisti è stato per lunghi anni diviso tra E. Ray, J. H. Taylor e T. H. Cotton, la cui eredità è passata negli anni Settanta a giocatori di notevole levatura, quali P. Wilcock, T. Towsend, A. Jacklin e P. Oosterhuis. Anche la Repubblica Sudafricana ha messo in luce grandi campioni, da B. Locke a G. Player, mentre l'Australia ha avuto in P. Thomson il suo più grande fuoriclasse.

Per quanto riguarda l'Italia, l'attività agonistica, limitata dapprima al campionato internazionale dilettanti (prima edizione 1905), si arricchiva, nel 1925, di un campionato internazionale omnium (aperto ai professionisti e ai dilettanti con vantaggi non superiori a 5), seguito nel 1928 dal campionato internazionale femminile e, nel 1929, dal campionato nazionale dilettanti, maschile e femminile. Solo negli anni Settanta però l'Italia comincia a entrare nel giro delle grandi nazioni golfistiche. L'open italiano, dotato nel 1973 e nel 1974 di oltre dieci milioni di lire, è considerato, dopo quello inglese, fra i maggiori tornei d'Europa. Nel secondo dopoguerra giocatori quali A. Casera,U. Grappasonni e A. Angelini avevano tenuto alto il prestigio del golf professionistico italiano che doveva avere poi in R. Bernardini uno dei suoi più validi rappresentanti ai campionati mondiali del 1968 (16ª edizione della Canada Cup), disputatisi sul percorso romano dell'Olgiata. A metà degli anni Settanta si metteva in luce il fiorentino B. Dassù, con varie affermazioni in tornei nazionali e internazionali. L'Italia aveva anche ospitato, nel 1964, i campionati mondiali a squadre per dilettanti. Nell'albo d'oro del golf italiano risultano tra i vincitori del campionato internazionale dilettanti, dal 1950 al 1977, F. Bevione, E. Bergamo, A. Schiaffino, L. Silva, D. Lovato, E. De la Riva, S. Betti, e, in campo femminile, I. Goldschmid e M. Ciaffi Ragher.

Formule di gara. - Nel volgere degli anni, il medal-play (singolo o in coppia) ha soppiantato per importanza la formula del confronto diretto in match-play. Altre formule sono state introdotte nelle gare di circolo: eclettica, che si gioca con le condizioni della partita a colpi e in cui i concorrenti disputano due o più giri e il punteggio eclettico è quello scelto per ciascuna buca fra i vari giri; contro-bogey, in cui i concorrenti gareggiano contro il "par" di ciascuna buca conteggiando un segno positivo per punteggi superiori al par, un segno negativo per quelli inferiori al par e uno zero per punteggi equivalenti al par; stableford, in cui il punteggio viene calcolato per una buca fatta in par 2 punti, per una buca fatta in uno meno del par 3 punti, in due meno del par 4 punti, in tre meno del par 5 punti.

Bastoni. - L'impiego di nuovi materiali (acciaio, alluminio, materiali plastici, grafiti) ha notevolmente influito sulla tecnica di costruzione in serie dei bastoni, più leggeri ed elastici rispetto a quelli del passato; questo fatto si traduce, nella pratica di gioco, in un guadagno di distanza e di precisione. In gara un giocatore non può avere con sé, pena la squalifica, più di 14 bastoni.

Hockey. - Nel hockey a rotelle (su pista), al vertice internazionale si confermano ancora la Spagna (campione mondiale 1964, 1966, 1970, 1972, 1976 e campione europeo 1969) e il Portogallo (campione mondiale 1968, 1974 e campione europeo 1963, 1965, 1967, 1971, 1973, 1975, 1977), mentre l'Italia occupa le posizioni d'onore alle spalle delle due tradizionali antagoniste, conquistando in particolare, ai campionati mondiali, per due volte la terza posizione (1964, 1970), e a quelli europei per due volte la seconda posizione (1962, 1965) e due volte il terzo posto (1971, 1977). Per la prima volta nel 1978 l'Argentina conquista il titolo mondiale precedendo Spagna e Portogallo. Di rilievo la vittoria dell'Italia nel campionato europeo juniores del 1977. Il titolo di campione d'Italia è stato vinto dal H. C. Monza (1961), dall'U. S. Triestina (1962, 1963, 1964, 1967), dal H. C. Candy Monza (1965, 1966, 1968), dal H. C. Novara dal 1969 al 1975 e nel 1977, dalla Laverda Breganze nel 1976 e dal G. S. TrissinoVicenza nel 1978.

Nel hockey su ghiaccio, dopo la vittoria del Canada (1961) e della Svezia (1962) ai campionati mondiali, il predominio al vertice di questo sport diviene per lungo tempo esclusivamente dell'URSS, che conquista ininterrottamente il titolo di campione del mondo dal 1963 al 1975, e la vittoria nelle Olimpiadi invernali del 1964 e del 1976 a Innsbruck, del 1968 a Grenoble e del 1972 a Sapporo. Gli anni 1976 e 1977 hanno visto invece la netta affermazione in campo mondiale della Cecoslovacchia che però nel 1978 è finita al secondo posto alle spalle dell'URSS. Diviene pertanto interessante la lotta per la conquista delle piazze d'onore che vede affermarsi: la Svezia, seconda alle Olimpiadi del 1964, seconda ai campionati mondiali del 1963, 1967, 1969, 970 e terza nel 1965 e 1971; la Cecoslovacchia, seconda alle Olimpiadi del 1968 e terza a quelle del 1972, seconda ai campionati mondiali del 1965, 1966, 1971 e terza nel 1963, 1969, 1970. Alle spalle dell'URSS riescono a ottenere buoni piazzamenti anche gli Stati Uniti, secondi alle Olimpiadi del 1972 e il Canada, terzo alle Olimpiadi del 1968 e ai campionati mondiali del 1966, del 1967 e del 1978, mentre l'Italia non riesce a inserirsi tra le compagini migliori.

Il campionato nazionale è decisamente monotono per l'elevato numero di titoli conquistati dal G. S. Cortina che si è presentato con abbinamenti pubblicitari diversi: Rex (1961, 1962, 1964, 1965, 1966, 1967, 1968), Doria (1970, 1971, 1972, 1974, 1975). La serie delle sue vittorie è stata interrotta da quelle ottenute dal H. C. Bolzano (1963, 1973, 1977), dal Val Gardena Recoaro (1969, 1976) e ancora dal H. C. Bolzano (1978).

Nel hockey su prato l'India e il Pakistan hanno confermato la tradizionale superiorità vincendo rispettivamente le Olimpiadi del 1964 a Tokyo e quelle del 1968 a Città di Messico. Nel 1972 sono però entrambe risultate sconfitte dalla Rep. Fed. di Germania che ha conquistato il titolo olimpico; nel 1976 il titolo olimpico è andato alla N. Zelanda. La disputa (con cadenza biennale) dei campionati mondiali per questa disciplina è iniziata nel 1971 con la vittoria del Pakistan; successivamente hanno vinto l'Olanda (1973), l'India (1975), e ancora il Pakistan (1978). Nel 1977 il campionato mondiale non è stato disputato, mentre si è svolta, a livello mondiale, la prima edizione della Coppa Intercontinentale, vinta dalla Polonia, con l'Italia al sesto posto. I campionati europei disputati nel 1974 sono stati vinti dalla Spagna mentre nel 1978 la Rep. Fed. di Germania ha riconquistato il titolo già vinto nel 1970. In quello stesso anno 1974, con la vittoria dell'Olanda, è iniziata la disputa del campionato mondiale femminile, che nel 1976 è stato vinto dalla Rep. Fed. di Germania, e nel 1978 ancora dall'Olanda. A livello internazionale l'Italia ha sempre espresso un gioco piuttosto modesto, anche per carenze strutturali; solamente nel 1967 è stata creata, in seno alla Federazione hockey e pattinaggio, una commissione per questa specialità, divenuta poi autonoma nel 1970 e costituitasi in Federazione Italiana Hockey su Prato (FIHSP) nel 1973.

La nostra rappresentativa ha conquistato sinora la sua unica medaglia in confronti internazionali con il terzo posto ai Giochi del Mediterraneo del 1963. Il campionato italiano è stato per un lungo periodo vinto alternativamente, o quasi, dall'Amsicora Cagliari (1960, 1961, 1965, 1967, 1976) e dall'M.D.A. Roma (1962, 1964, 1966, 1968, 1969, 1970, 1971). Successivamente hanno vinto: Cogeca Vigevano (1972), H. C. Napoli (1973), H. C. Levante Torre del Greco (1974), H. C. Benevenuta Bra (1975), Cus Torino (1977) e ancora Amsicora Cagliari (1978). Il campionato femminile è stato vinto da: H. C. Buscaglione Roma (1969, 1971), Red Tiger Genova (1970), Cus Genova (1972), Cus Roma (1974), H. F. Lorenzoni Bra (1974, 1975, 1976, 1977, 1978).

Dal 1966 si disputa, pur se in modo discontinuo, la Coppa Italia. Il successo è stato conquistato dall'M. D. R. Roma (1966), cui hanno fatto seguito quello dell'H. Cogeca Vigevano (1972, 1976), del CUS Bologna (1975) e della Libertas S. Saba Roma (1977, 1978), in campo maschile; in campo femminile si è affermato il CUS Genova (1972) e successivamente la Libertas S. Saba Roma (1975, 1976). Di maggior continuità e interesse si è rivelata la disputa della Coppa Italia indoor. In campo maschile hanno conseguito il successo; CUS Torino (1972), Cogeca Vigevano (1973) CUS Padova (1974, 1975), H. C. Elektro Roma (1976) e ancora CUS Torino (1977, 1978); in campo femminile si sono imposte: CUS Genova (1972, 1974), Libertas San Saba Roma (1975) e Lorenzoni Bra (1973, 1976, 1977, 1978).

Immersioni subacquee. - Senza considerare gli aspetti leggendari e storici delle immersioni subacquee (Aristotile scrisse il primo trattato sulle immersioni occupandosi non soltanto di tecniche e di attrezzature, ma anche dei malesseri che colpiscono i sommozzatori), risulta che la prima immersione profonda in apnea (cioè trattenendo il respiro) di cui si abbia certezza è quella del pescatore greco G. Chagis, meglio conosciuto come Haggi Statti, che il 16 luglio 1913 s'immerse nella baia di Pagadia, in Egeo, per recuperare l'ancora della corazzata italiana, Regina Margherita: raggiunse gli 80 m di profondità con un'apnea di 3m5s; un'impresa che, benché documentata, venne tuttavia considerata con sospetto e incredulità per molti anni.

Alla luce dei fatti più recenti, che hanno visto l'uomo sfiorare la quota dei 100 m di profondità in apnea, l'impresa del pescatore di spugne greco appare più verosimile. Ma il cammino in questo campo è stato lungo e si deve alla spregiudicatezza di alcuni sportivi se taluni limiti che la scienza riteneva invalicabili sono stati via via superati e se le conoscenze tecniche e scientifiche dell'immersione dell'uomo a corpo libero hanno fatto progressi rilevanti.

L'inizio della corsa verso il "più profondo" si può far risalire al 1949 e a un pioniere dell'immersione in Italia: R. Bucher. In quell'anno Bucher nel mare di Mergellina scese per scommessa a 30 m, raggiungendo il palombaro G. Savarese che lo aspettava sul fondo: era l'inizio di una competizione che avrebbe avuto sviluppi imprevedibili.

Nel 1951 altri due italiani iscrivono il loro nome nell'albo d'oro di questa nuova attività sportiva: E. Falco e A. Novelli raggiungono infatti i 35 m; dopo un anno, nel 1952, Bucher si riprende il record raggiungendo i 39 m, benché un fisiologo tedesco lo avesse scongiurato di rinunciare perché sarebbe andato sicuramente incontro a un'emorragia polmonare a causa della pressione, superiore a 3 atmosfere.

Preoccupazione rivelatasi infondata, e monito che non impedì l'anno successivo, 1953, a Falco e Novellí di raggiungere i 41 metri. L'impresa sollevò scalpore ma non si trovarono epigoni: occorrerà aspettare il 1960 perché A. Santarelli, un italo-brasiliano, raggiungesse nella Baia di Rio de Janeiro i 43 m. Santarelli ripete l'exploit nel Mediterraneo e al Circeo, raggiunge qualche mese dopo i 44 m. È a questo momento che entra in scena un personaggio destinato a fare epoca, E. Maiorca, di Siracusa, che ingaggia un accanito duello con Santarelli; il 1960 vedrà il record battuto per ben 4 volte: alla fine Maiorca raggiunge i 49 m.

Siamo alle soglie di un limite ritenuto fino ad allora invalicabile: quello dei 50 m, e non mancano anche in questa occasione allarmanti moniti. Ma Maiorca, nell'agosto del 1961, supera nelle acque di Siracusa anche questa barriera: è l'inizio di un monologo del campione siciliano il quale, anno dopo anno, va sempre più giù: fino ai 54 m raggiunti ad Acireale nel 1965.

L'eco delle gesta dell'italiano varca l'Atlantico e così Maiorca trova competitori in T. Williams (−59 m) e in R. Croft (−73 m), ma soprattutto nel francese J. Mayol con il quale si misurerà in un incredibile duello a distanza, non di rado drammatico. Le quote raggiunte sono ormai sui 70 m: nel 1969 Maiorca tocca a Ognina (Siracusa) i 72 m; nel 1970 i 74 m. Ma nello stesso anno Mayol in Giappone raggiunge i 75 e poi i 76 m.

È a questo punto che la CMAS (Confédération Mondiale des Activités Subacquatiques) decide di non riconoscere più le profondità raggiunte come record sportivi: la motivazione è che questi tentativi non hanno più giustificazione sportiva, mentre trovano collocazione più congeniale nel campo degli esperimenti applicati di fisiologia subacquea. Dal dicembre del 1970 quindi la CMAS non ha più omologato le profondità come record: ne ha solo controllate e registrate le misure.

Questa decisione non ha però arrestato la gara ingaggiata da Maiorca e Mayol: sia pure ammantati da "esperimenti", i tentativi di raggiungere profondità sempre maggiori continuano. Maiorca, che si considera uno sportivo, pur consentendo osservazioni ai medici, si rifiuta di fare da cavia; Mayol invece si è sottoposto più volte a ricerche fisiologiche, aiutato in questo dalla conoscenza dello yoga e dall'applicazione alle immersioni in apnea di tecniche respiratorie chiamate Pranayama, che gli consentono d'immergersi senza ricorrere alla classica iperventilazione.

Questi esperimenti scientifici che hanno avuto come protagonista J. Mayol si sono svolti in più fasi (dal 1973 al 1975) e hanno consentito una serie di rilievi: prima sui fenomeni di brachicardia che interessano l'apneista profondo, rilievi che hanno permesso di stabilire alcune analogie tra l'uomo e i mammiferi acquatici come delfini, balene, ecc.; poi sono stati rilevati dati sulle modificazioni emodinamiche dell'organismo umano in apnea profonda e per far ciò Mayol si è sottoposto, a 60 m di profondità, al prelievo di sangue nelle immediate vicinanze del cuore, prelievo effettuato mediante un lungo catetere. Il fine ultimo di questi esperimenti è quello di trovare una soluzione al problema della malattia da decompressione (embolia) e una migliore conoscenza dei meccanismi che regolano il comportamento del fisico umano sottoposto a grandi pressioni.

Così la gara verso gli abissi, sia pure per motivazioni diverse, è continuata: è Maiorca il primo a raggiungere gli 80 m nel 1973 a Genova. Poi Mayol, nel novembre dello stesso anno, raggiunge gli 86 m nelle acque dell'Isola d'Elba. Nel 1974 è Maiorca che raggiunge gli 87 m in un drammatico tentativo svoltosi a Sorrento, ma è Mayol a dire l'ultima parola toccando i 92 m, all'Isola d'Elba, nell'ottobre del 1975 e i 100 m, sempre nelle acque dell'Isola d'Elba, nel novembre del 1976, ma senza riuscire a portare in superficie il contrassegno comprovante l'effettiva profondità raggiunta.

Occorre precisare che queste profondità vengono raggiunte in assetto variabile: cioè la discesa viene effettuata con l'aiuto di una zavorra che scorre su un cavo di acciaio, e che poi viene abbandonata sul fondo. Per dare un'indicazione circa i tempi d'immersione, riportiamo quelli che sono stati necessari a Mayol per raggiungere i 92 m e per risalire: in discesa ha impiegato 1m30s, per la risalita 1m45s, per un totale di 3m15s.

Nel 1976 la FIPS (Federazione Italiana Pesca Sportiva e attività subacquee) decide di riconoscere e di omologare soltanto i record d'immersione in apnea in assetto costante, secondo norme rigorose stabilite da un apposito regolamento (per immersione in assetto costante s'intende quella in cui l'atleta s'immerge e riemerge con lo stesso equipaggiamento e nelle stesse condizioni in cui ha iniziato la prova).

Nel settembre 1978, alla luce del nuovo regolamento, si deve registrare la ripresa dei tentativi per la conquista del record di profondità in apnea in assetto costante, ad opera di S. Macula, di E. Maiorca e dei suoi allievi, i fratelli M. e N. Imbesi ed E. Liistro; si giunge così all'ottobre 1979 quando, nelle acque di Ognina, E. Maiorca e N. Imbesi, l'uno dopo l'altro, scendono a 55 m di profondità, stabilendo il nuovo record. Il mese precedente le due figlie di Maiorca, Patrizia e Rossana, avevano stabilito il record mondiale femminile scendendo alla profondità di 40 m.

Ippica e sport equestri. - Dal 1961 al 1978 l'ippica italiana ha segnato un costante e notevole incremento: sia come numero di corse e di cavalli in pista, sia come ammontare di premi e provvidenze, sia infine come movimento di scommesse. Come premi al traguardo, tra galoppo pian0, galoppo a ostacoli e trotto, si è passato da 3651 milioni di lire del 1960 a 43.636 milioni di lire; con oltre tre miliardi per provvidenze all'allevamento, sia per il purosangue sia per il trottatore e il cavallo da sella. Il numero delle corse è passato da 5707 a 9092 per il trotto; da 2776 a 3965 per il galoppo; quello dei cavalli partenti rispettivamente da 45.773 a 74.833 e da 14.105 a 21.218; infine da 3224 a 4703 per il galoppo a ostacoli. Come movimento lordo di scommesse tra ippodromi, totalizzatore interurbano UNIRE (Unione Nazionale Incremento Razze Equine) e Agenzie Ippiche, dai 38 miliardi di lire del 1960 ai 525 miliardi del 1978; tale movimento è lordo, in quanto circa il 75% delle somme scommesse torna agli scommettitori vincenti. Il concorso Totip (il Totocalcio sulle corse dei cavalli) è salito da 3563 milioni di lire nel 1960 a 12.028 milioni nel 1978. La scommessa Tris (pronostico dei primi tre cavalli arrivati di una determinata corsa, con cadenza di norma settimanale, al venerdì) da meno di mezzo miliardo a oltre 17 miliardi.

In questi diciotto anni è anche aumentato il numero degl'ippodromi (sono sorti Montegiorgio, Corridonia e Taranto, si comincia a correre anche in Sardegna), mentre molti impianti preesistenti (Pisa, Cesena, Varese e Grosseto, questi ultimi due anche con l'illuminazione per le corse notturne) sono stati radicalmente trasformati. In più, in numerosi ippodromi è stata installata la televisione a circuito interno per la ripresa delle corse anche ai fini regolamentari; e quasi ovunque è in funzione il totalizzatore elettronico, o automatico. Per il galoppo sono state adottate le gabbie di partenza americane con apertura automatica dei cancelli. Sono state prese adeguate misure antidoping, con appositi servizi in ogni ippodromo e con analisi affidate a cliniche universitarie specializzate. Particolare interesse è stato dedicato, in accordo con altri paesi di tutto il mondo, allo studio e alla prevenzione delle malattie infettive del cavallo (con speciale riguardo all'anemia infettiva). Sempre nello stesso periodo in esame, è sensibilmente aumentato in Italia il numero delle scuderie da corsa e degli allevamenti.

In campo agonistico, i vincitori del Derby del galoppo (Capannelle, maggio, 2400 metri, dotazione di 110 milioni nel 1978, anno di fondazione 1884) sono stati dal 1961: Lauso (Razza del soldo), Antèlami (Razza Dormello Olgiata), Braccio da Montone (Razza Spineta), Diacono (Neni da Zara), Varano (Razza del Soldo), Appiani, Ruysdael e Hogarth (Dormello-Olgiata), Bonconte di Montefeltro (Razza Spineta), Ortis e Ardale (Carlo Vittadini), Gay Lussac (Scuderia Cieffedi), Cerreto (Scuderia Alpina), Suffolk (Scuderia Aurora), Orange Bay (C. Vittadini), Red Arrow (Scuderia Diamante), Sirlad (Razza La Tesa), Elgay (Razza Ascagnano). In campo ostacolistico il Gran Premio Merano (60 milioni, 5000 metri con 25 ostacoli, internazionale, quattro anni e oltre, abbinamento con l'omonima Lotteria nazionale) è stato vinto dal 1961 al 1978 da: Aegior (A. Galdi), Blacklock (M. se de Moratella), Dragon Vert (R. Parveau), Loupiot (R. Parveau), Crème Anglaise (P. Trenkwalder), Conte Biancamano (R. Pini), Cogne (Scuderia Aurora), Pigalle (Razza Dormello-Olgiata), Cogne (Scuderia Aurora), Tatti Jacopo (G. d'Assiano), Mister Magoo (A. E. Lombard), Whispin (A. Donati, montato dallo stesso proprietario), Wilpas (R. Marée), Chivas Regal (Razza Vallelunga), Trapezio (1975 e 1976, Soc. Agr. Allev. National), Red Chief (Lady M), The Champ (Scuderia Kiwi).

Come attività internazionale, i nostri purosangue si sono fatti onore anche all'estero: in Francia Molvedo (Razza Ticino) ha vinto il G. P. de Deauville e l'Arco di Trionfo, 1961; in Inghilterra e Irlanda, Ortis (C. Vittadini) ha vinto le Hardwicke Stakes, 1971; Habat (C. Vittadini) le Middle Park St., 1973; Grundy (C. Vittadini) le Dewhurst St., 1974 (miglior puledro nella classifica inglese dei due anni). L'annata d'oro del galoppo italiano all'estero è stata però quella del 1975: Grundy (proprietario C. Vittadini) ha vinto le Duemila Ghinee d'Irlanda, il Derby di Epsom, il Derby irlandese, le King George; Bolkonski (proprietario C. D'Alessio) ha vinto le Duemila Ghinee inglesi (2° Grundy) e le Sussex Stakes di Goodwood; il due anni Wollow (C. D'Alessio) ha vinto le Dewhurst St. di Newmarket e l'altro due anni Take Your Place (C. D'Alessio) l'Observer Gold Cup di Doncaster, qualificandosi come i puledri capifila della graduatoria ufficiale britannica.

Per il trotto, vincitori del Derby (istituito nel 1926, ippodromo romano di Villa Glori fino al 1959, dal 1960 a Tor di Valle, dotazione nel 1978 88 milioni di lire) sono stati dal 1961 al 1978: Irunda (P. Orsi Mangelli), Liri (P. Orsi Mangelli), Steno (Scuderia Kyra), Navazzo (P. Orsi Mangelli), Uranio (Scuderia S. Andrea), Mikori di Iesolo (Scuderia Sandra), Brunico (Scuderia Reda), Atina (Scuderia Palma d'Oro), Acero (Scuderia del Domani), Tedo (P. Orsi Mangelli), Freddy (Scuderia Reda), Sharif di Iesolo (Scuderia Spartana), Unno (Allev. dei Ludi), Aprile (Scuderia Kyra), Maribon (Scuderia Mauro), Dailer (Allev. Veranna), Eskipazar (Lady M), Atmos (A. e C. Borsani).

Nel campo degli s. equestri i cavalieri italiani hanno vinto la Coppa delle Nazioni (Roma, Piazza di Siena) nel 1961, 1962, 1964, 1965, 1966, 1968, 1972, 1974, 1975, 1976, 1977. Nelle Olimpiadi di Tōkyō (1964) nel salto l'Italia è stata terza nella classifica a squadre (P. e R. D'Inzeo, G. Mancinelli) e quinta in quelle di Città di Messico (1968); in quelle di Monaco (1972) terza a squadre (P. e R. D'Inzeo, G. Mancinelli e V. Orlandi) e G. Mancinelli, sull'irlandese pomellato Ambassador, medaglia d'oro individuale. Nel "completo", due medaglie d'oro a Tokyo: con M. Checcoli su Surbean nell'individuale e con Checcoli, P. Angioni, A. Argenton e G. Ravano a squadre. Senza piazzamenti l'Italia a Città di Messico. A. Argenton era medaglia d'argento nell'individuale di Monaco, l'Italia ottava nella classifica a squadre. Nel campionato mondiale di salto, R. D'Inzeo era terzo nel 1966 a Buenos Aires, Mancinelli secondo nel 1970 a La Baule. Nei campionati europei Mancinelli campione nel 1963 (Roma). Tra le amazzoni, L. Novo era medaglia di bronzo nel 1966 a Gijón e medaglia d'argento nel 1967 a Fointanebleau; G. Serventi medaglia d'argento nel 1968 a Roma e quinta nel 1973 a Vienna.

Motociclismco. - Nei 18 anni che vanno dal 1961 al 1978 il motociclismo agonistico ha vissuto uno dei suoi periodi più intensi, ma anche il lento, inesorabile declino di talune delle marche più gloriose sotto la spinta dell'interesse suscitato dalle due ruote in altri paesi, specialmente in Giappone, soprattutto per motivi commerciali. Honda, Suzuki, Yamaha, Kawasaki hanno, infatti, ritenuto che le competizioni fossero un mezzo molto efficace per farsi conoscere all'estero e questa loro politica è stata ampiamente premiata dalla diffusione commerciale dei loro prodotti attraverso le vittorie ottenute sulle piste di tutto il mondo avvalendosi, nella stragrande maggioranza dei casi, di piloti occidentali assistiti dapprima direttamente poi indirettamente, a causa dell'alto costo che la partecipazione ufficiale ai vari campionati comporta.

Un altro fenomeno registrato in questo periodo è stata la partecipazione sempre più attiva di piloti nordamericani a gare di tipo europeo come il campionato mondiale e, in pari tempo, la progressiva scomparsa dei centauri britannici che furono i grandi maestri di un tempo; la ragione di questo loro declino è stata l'impossibilità da parte dell'industria motociclistica nazionale di mettere a loro disposizione mezzi competitivi. Il tramonto del motociclismo sportivo inglese ha avuto ripercussioni molto negative sull'industria specializzata facendo, in pratica, declinare vecchie e note marche come la Norton, la AJS, la BSA, la Sunbeam, la Triumph in tutti i mercati mondiali e persino in quello nazionale.

La fabbricazione di moto di piccola cilindrata (50 cm3), dei ciclomotori, inizialmente posti in commercio a prezzi accessibili, è servita da trampolino di lancio per la partecipazione dei giovanissimi a un tipo di gara, il motocross, che sta suscitando ovunque molto interesse anche per i costi relativamente modesti che la sua organizzazione impone. Infatti, come indica la stessa parola, il motocross non richiede piste asfaltate, recinzioni, tribune per gli spettatori, ecc., ma soltanto terreni ondulati facilmente reperibili.

Dal lato opposto, la diffusione delle moto di grossa cilindrata (750, 900,1000 e più cm3), le cosiddette "maximoto", ha creato le premesse per avviare alle competizioni schiere sempre più nutrite di piloti privati i quali, generalmente, non si pongono l'obiettivo di fare del motociclismo agonistico la loro professione ma soltanto un passatempo.

Tuttavia, le competizioni motociclistiche, come quelle automobilistiche, hanno ceduto alla seduzione della pubblicità, per cui correre in motocicletta è divenuto oggi, per i più noti, un mezzo per guadagnare rapidamente denaro, il che è un aspetto da non sottovalutare nel considerare il crescente numero di giovani che si dedicano a questa specialità. Questa considerazione fa il paio con la presa di coscienza da parte dei centauri dei pericoli che comportano le gare a tal punto che, non raramente, essi si rifiutano di prendere parte a una gara qualora insoddisfatti delle misure di sicurezza prese dagli organizzatori.

Considerato nella sua globalità, il motociclismo agonistico può essere oggi suddiviso nelle seguenti specialità.

Grand Prix. - Sotto questa denominazione vengono comprese le massime gare di velocità. Vittorie e piazzamenti sono classificati con un punteggio che alla fine della stagione farà emergere il migliore, cioè il campione del mondo. Mentre in campo automobilistico le gare di campionato (i Grand Prix), si svolgono annualmente in vari continenti, nel motociclismo si effettuano ancora quasi esclusivamente in Europa. Il campionato mondiale è stato istituito nel 1949 e da allora è stato organizzato ogni anno, ininterrottamente, secondo un'identica prassi: partenza a spinta (meno che al Tourist Trophy) e percorrenze variabili a seconda delle classi (mediamente 80 km per le moto meno veloci come le 50 cm3, per le quali esiste un campionato mondiale a partire dal 1962), sino a un massimo di 150 ÷ 180 km per la classe più veloce, la 500 cm3. Salvo nelle classi maggiori (350 e 500 cm3), la cui progettazione e costruzione è libera da ogni vincolo, le moto della classe 50 cm3 devono, dal 1969, essere dotate di motore monocilindrico e avere non più di 6 marce; le 125 e 250 cm3 possono essere azionate da motore bicilindrico, sempre con cambio a 6 marce. Non è imposta alcuna limitazione di peso o relativa al sistema frenante, al telaio e alle sospensioni; solo l'alimentazione dev'essere del tipo aspirato: in sostanza, non è ammessa la sovralimentazione.

I Grand Prix motociclistici sono tuttora molto popolari e rappresentano il massimo traguardo per chi pratica professionalmente questo sport. Ma i piloti che emergono, come G. Agostini, S. M. B. Hailwood, J. Surtees, G. Duke, Ph. Read, sono tuttora una minoranza. Accanto a essi persiste il variopinto mondo di coloro che si spostano di circuito in circuito vivendo con i rimborsi spese e con gl'ingaggi e, quando riescono a conquistarli, con i premi. Per ridurre gli oneri questo tipo di pilota provvede direttamente alla manutenzione e alla messa a punto della propria moto, vive su roulotte spesso accompagnato dalla moglie e dai figli. Senza questa categoria di praticanti, che costituiscono quello che viene chiamato continental circus, i Grand Prix potrebbero difficilmente sopravvivere: mancherebbero del "contorno"; i soli piloti ufficiali non riuscirebbero mai numericamente ad assicurarlo.

Motocross. - Questa è forse la specialità che ha avuto più successo nel secondo dopoguerra. Le prime gare vennero organizzate nel 1947 e dal 1952 è stato istituito un campionato d'Europa poi divenuto (1957) campionato del mondo. Da una classe unica (250 cm3), il campionato è stato scisso, dal 1958, in due classi: 250 e 500 cm3. Esistono anche classi minori, come la 50 e la 125 cm3, destinate ai giovani.

Le origini del cross risalgono al 1930 e le prime corse di questa specialità vennero organizzate in Olanda e successivamente in Belgio e in Gran Bretagna. Il cross è tuttora dominato dagli svedesi e dai belgi. In Italia, un "crossista di rilievo internazionale è E. Ostorero, che ha vinto 16 titoli nazionali. Le moto da cross si distinguono per il motore generalmente a due tempi monocilindrico, per il manubrio rialzato, per il telaio monoculla rinforzato e per la forcella a grande escursione. Le gare riservate a queste moto sono molto spettacolari e, nonostante si svolgano su terreni molto accidentati, relativamente sicure.

Trial. - È una forma esasperata di cross (trial in inglese significa prova) e viene fatta svolgere su piste di terra fortemente irregolari avendo per obiettivo non la velocità massima, ma l'abilità del pilota nel superare certi ostacoli che, a bella posta, vengono resi particolarmente duri e quasi insuperabili come massi, tronchi d'albero, muretti, salite ripidissime. La vittoria non viene assegnata in base al tempo impiegato a percorrere un certo tratto, ma al modo in cui il pilota supera gli ostacoli, che viene giudicato da osservatori disposti lungo il percorso, normalmente inferiore al chilometro di sviluppo. La classifica è compilata in base alle penalizzazioni in cui il pilota incorre. Le moto da trial sono leggere (inferiori ai 100 kg), hanno sospensioni morbide, telai molto resistenti, motori monocilindrici con cilindrata compresa fra 250 e 350 cm3 (non esiste un limite fisso), gomme tassellate a bassa pressione. I punti critici da superare rendono la marcia talmente lenta che la velocità media non oltrepassa spesso i 5 km/h.

Speedway. - È un tipo di gara praticato quasi esclusivamente negli Stati Uniti sin dall'inizio del secolo, prevalentemente in ippodromi in disuso, su piste di cenere della lunghezza compresa fra 400 e 1000 m. Il meccanismo di queste gare si articola su 20 batterie di 4 giri ciascuna. È previsto un punteggio (3 punti al 1°, 2 al 2°, 1 al 3°) e la classifica viene compilata per somma dei singoli punteggi. La chiave del successo è legata al modo in cui il pilota imposta la curva attuando la tecnica della "derapata" (dal francese deraper, slittare) e, nel contempo sterzando bruscamente e accelerando al massimo. Poiché queste moto sono sprovviste di freni e di cambio, il solo modo di ridurre la velocità è di puntare a terra il piede sinistro che, all'uopo, è provvisto di puntale d'acciaio. Il telaio è rigido, la sospensione posteriore non esiste e i motori ai quali si ricorre più spesso hanno una cilindrata di 250 cm3, sono alimentati da miscele speciali a base di alcole metilico, sono scarsamente potenti ma, in compenso, dotati di una forte coppia motrice ed elastici. Il peso delle moto da speedway supera raramente i 100 kg.

Una sottospecializzazione è rappresentata dallo "speedway su ghiaccio", che viene organizzato d'inverno e di cui i sovietici e gli svedesi sono i massimi esponenti. Le piste sono le stesse del pattinaggio olimpico oppure vengono ricavate su laghi ghiacciati. La tecnica di guida è la medesima adottata sulle piste di cenere dello speedway classico, con la sola differenza che la "derapata" viene iniziata molto prima. Anziché con il piede, il pilota si appoggia sul terreno con il ginocchio anch'esso protetto (prevalentemente si ricorre a un pezzo di copertone). Il piede sinistro serve a mantenere l'equilibrio e, a questo scopo, viene infilato entro un'armatura di ferro; i pneumatici sono provvisti di chiodatura. Particolare curioso, il manubrio ha l'impugnatura sinistra più corta per consentire al pilota di abbassarsi il più possibile senza far urtare il manubrio stesso sul terreno (si corre sempre in senso antiorario). Per evitare possibili danni al guidatore nel caso, frequentissimo, di caduta, le ruote sono protette da una gabbia. Il cambio è a due rapporti e il peso della moto oscilla fra 100 e 120 kg. La cilindrata del motore, monocilindrico, è di 500 cm3.

Una terza specializzazione, nell'ambito dello speedway, è rappresentato dalle corse su short track, o piste corte. Queste ultime infatti non devono essere più lunghe di 670 metri. La gara imita quelle di speedway con batterie composte da 4 piloti alla volta; seguono le semifinali e le finali. Il regolamento impone che la cilindrata delle moto da short track non sia superiore ai 250 cm3, mentre nelle corse su long track, o piste lunghe, oscilla da 250 a 750 cm3. Generalmente i motori sono monocilindrici. La preparazione delle moto è lasciata un po' alla fantasia dei piloti, in particolare quella dei pneumatici la cui scolpitura viene integrata da intagli fatti a mano per aumentare l'aderenza al terreno.

Sidecar da cross e da speedway. - Oltre a partecipare ai Gran Premi nella speciale categoria loro riservata, i sidecar prendono anche parte a gare di cross e di speedway. È un tipo di gara che ha cominciato ad avere fortuna negli anni Settanta e che viene praticata prevalentemente con moto di grossa cilindrata derivanti per lo più da quelle di serie. Fatta eccezione per la meccanica, sia la moto sia il carrozzino sono diversi da quelli classici. I telai hanno molto in comune con quelli delle biciclette, opportunamente rinforzati. Il passeggero partecipa attivamente allo sforzo del pilota con i suoi spettacolari spostamenti e, in più, manovra un volante mediante il quale imprime una certa inclinazione alla terza ruota, quella del carrozzino, contribuendo così ad aumentare la tenuta di strada.

Formula Daytona. - Questa formula si è imposta anzitutto negli Stati Uniti (in particolare a Daytona) come conseguenza della diffusione delle moto di grossa cilindrata, dando la possibilità a ognuno di cimentarsi in competizioni di durata-velocità. L'idea è stata ripresa in Gran Bretagna ove si è dato vita a gare note sotto il nome di Production races, cioè riservate alle moto di normale produzione. In realtà, il regolamento consente alcune modifiche (il sistema frenante può essere a disco, a doppio disco oppure a tamburo, possono essere elaborate le parti meccaniche e il motore che deve, però, provenire dalla produzione di serie ed essere costruito in almeno 200 esemplari). La cilindrata massima non può essere superiore a 750 cm3. È fatto divieto di alterare le fusioni del motore, il numero delle valvole, il sistema di alimentazione, il numero dei rapporti.

Gare per moto di serie. - Una prova ulteriore della diffusione delle moto di grossa cilindrata negli ultimi anni è data dalle gare riservate a tali tipi di moto. Le cilindrate ammesse arrivano a 750 e anche a 1000 cm3. Per allargare al massimo la cerchia dei partecipanti senza costringerli a sostenere forti spese di preparazione, le modifiche consentite sono minime. Le moto, in sostanza, dovrebbero essere molto simili a quelle di serie, ma i regolamenti non sono generalizzati e variano, spesso, da paese a paese. In Italia vien fatto divieto di alterare il telaio, il motore, i freni e le sospensioni. Inoltre si richiede che la moto sia stata prodotta in almeno 200 esemplari. In pratica il margine d'intervento sulla meccanica è limitato a una più accurata messa a punto del motore e alla eventuale sostituzione degli ammortizzatori e dei pneumatici.

Altri tipi di gare. - Specialmente negli Stati Uniti stanno ottenendo enorme successo le gare di tipo enduro (dallo spagnolo, resistere, durare). Si tratta, anche in questo caso, di competizioni di regolarità-velocità fatte svolgere su lunghi percorsi (sino a 900 km) su terreni sabbiosi, sottoponendo sia il pilota sia la macchina a una prova di durissima resistenza. Le moto, di cilindrata compresa fra 250 e 350 cm3 (sono ammesse anche cilindrate superiori), non sono molto dissimili da quelle di serie salvo le modifiche che sono loro apportate per irrobustirle. Un altro tipo di gara che incontra l'interesse del pubblico, specialmente americano, è il Grass track che letteralmente sta a significare corse su piste erbose. In realtà, oggi tali gare vengono organizzate su piste di terra battuta lunghe circa 1 miglio (1609 m), con eliminatorie su 8 km e finali su 15 km. I piloti affrontano le curve in forte "derapata". La cilindrata del motore delle moto ammesse varia da 250 a 750 cm3.

L'interesse per le gare spettacolari come i cross e le speedway, oltre quello per le manifestazioni internazionali riservate alle moto da Gran Premio, non ha fatto diminuire l'importanza per i "raduni" e per le "gare di regolarità" nonché per le "sei giorni", tutte manifestazioni impostate sull'assoluto rispetto di norme volte a mettere in luce la capacità del motociclista come utente della strada piuttosto che la velocità. Le gare di regolarità, in particolare, si basano su medie imposte dagli organizzatori e durano normalmente due giorni, quelle internazionali, e un giorno, quelle nazionali. La media viene rilevata mediante frequenti controlli-orario con penalizzazioni qualora si proceda troppo velocemente o troppo lentamente. I motori, generalmente monocilindrici, hanno una cilindrata variante da 50 a 350 cm3. I telai sono resi particolarmente robusti in vista del tipo d'impiego. Le "sei giorni" sono molto simili alle gare di regolarità, salvo la loro maggiore durata. Le moto montano, per lo più, motori monocilindrici a due tempi di 300 ÷ 400 cm3 ma sono ammesse anche le minicilindrate, per es. di 50 cm3. Nelle moto che partecipano alle "sei giorni" viene posto l'accento, per regolamento, sull'affidabilità di organi importanti per l'utente comune, come l'impianto elettrico. Al termine di ogni giorno di gara le moto vengono parcheggiate in un parco chiuso e riconsegnate al pilota poco tempo prima che venga ridato il via e ciò per limitare al minimo interventi e riparazioni.

Altri tipi di gare sono quelle in salita. Le moto sono press'a poco identiche a quelle che corrono in pista, mentre nelle gare Special sono consentite ampie modifiche (sono ammessi persino motori automobilistici). Sono denominate gare Sprint quelle basate sull'accelerazione su percorsi di un quarto di miglio (circa 400 m). Queste ultime hanno molto in comune con le gare per Dragster, con la differenza che in Europa il percorso viene coperto nei due sensi, mentre negli Stati Uniti viene limitato a un solo senso. Partecipano alle gare di accelerazione anche i sidecar. Infine, grazie al successo ottenuto dal film Easy Rider, sono molto diffuse negli Stati Uniti le moto denominate chopper (dal verbo inglese to chop, tagliare) il che sta a significare che tali moto vengono costruite con particolari meccanici di vari tipi di moto. Le chopper sono caratterizzate dalla lunghissima forcella, avendo una forte inclinazione, e dal manubrio molto ampio. Esiste anche la versione triciclo, equipaggiata talvolta con motore d'automobile.

I campioni. - Limitatamente ai Gran Premi, che possono considerarsi l'espressione più elevata del motociclismo agonistico, va rilevato lo straordinario numero di titoli vinti dall'italiano G. Agostini (15) che al termine della stagione 1977 ha dato l'addio alle due ruote ma non ha cessato di correre, dedicandosi alle quattro ruote (Formula 2); precede largamente, per numero di titoli, il connazionale C. Ubbiali (9), gl'inglesi M. Hailwood, J. Surtees e G. Duke, lo spagnolo A. Nieto e il rhodesiano J. Redman. Nel 1977, per la prima volta nella storia del motociclismo, un titolo (350 cm3) è andato al giapponese T. Katayama.

Motonautica. - Grazie a una decisa supremazia di mezzi e di piloti e, in parte, grazie anche all'assenteismo degli americani, la motonautica italiana ha largamente dominato il campo negli anni successivi al 1960. Vi sono classi in cui tutto l'albo d'oro mondiale riporta unicamente nomi italiani: per es., nella classe entrobordo corsa KD da 900 kg, titolo assegnato dal 1962 al 1969, si hanno sei vittorie consecutive di E. Marchisio, una di L. Guidotti (1968) e una di G. Crivelli (1969). Altrettanto si riscontra in altre quattro classi: nella KC (500 kg) le vittorie sono andate a G. Maggi (1967), C. Petrobelli (1968) e G. Colnaghi (1969); nella classe KB (350 kg) a L. Casanova (1966), G. Caimi (1967) e G. Persiano (1968 e 1969); nella classe LZ (sino a 2500 cm3) a C. Maderna (1963), G. De Angelis (1965), F. Libanori (1966 e 1968) e A. Petrobelli (1967 e 1969); nella classe LV (sino a 1300 cm3) a F. Caimi (1966), G. Caimi (1967 e 1969) e S. Riola (1968). Altro titolo mondiale è stato vinto da C. Casalini nel 1968 nella classe entrobordo corsa LX (sino a 1000 cm3).

Nel 1969, nell'intento d'interessare i piloti statunitensi, sono state istituite nuove classi e nel 1970 il regolamento dell'Unione internazionale motonautica è mutato, con la soppressione di tutte le classi a peso e a restrizione. La supremazia italiana è però continuata: nella classe R.4 (entrobordo corsa sino a 2500 cm3) titoli mondiali per E. Aliani (1970), B. Casighini (1971), L. Casanova (1973) e A. Petrobelli (1974); nella R.3 (entrobordo corsa sino a 2000 cm3) per E. Prospero (1973) e F. Cantando (1975); nella R.2 (entrobordo corsa sino a 1500 cm3) per O. Maltinti (1970), G. Caimi (1971), E. Facchini (1972); nella classe R. 1 (entrobordo corsa sino a 1000 cm3) per G. Colnaghi (1974); nella classe 91 cubic inches per G. De Angelis (1969 e 1970) e P. P. Dalmas (1971) e infine nella classe entrobordo corsa sino a 7000 cm3 per E. Marchisio (1970).

Ottimo il comportamento dei piloti italiani anche nelle classi riservate ai motori fuoribordo, con vittorie mondiali nella classe OB (350 cm3) di G. Fiorenza (1966), nella OC (500 cm3) di S. Carniti (1963) e G. De Angelis (1965 e 1966), nella OD (700 cm3) di L. Mazzoli (1967), nella OF (1000 cm3) di S. Bonvicini, nella OI (1500 cm3) di A. Panzera (1970), C. Bodega (1971), G. Molinari (1972), nella ON (2000 cm3) di R. Molinari (1970, 1971, 1973) e nella fuoribordo corsa illimitata di C. Scotti (1969).

In campo europeo, nel periodo 1961-1978, i titoli vinti da italiani nelle 28 classi previste sono stati 68: i piloti più titolati sono A. Vassena e R. Molinari con allori, ciascuno, in differenti classi.

Nel 1960 la prima edizione della Miami-Nassau apriva lo sviluppo di un nuovo tipo di motonautica: quella offshore, riservata cioè alle imbarcazioni capaci di navigare in mare aperto su lunghe distanze (circa 300 km). Nel 1961 s'è disputata la prima gara europea (Cowes-Torquay) e nel 1964 la prima italiana (Viareggio-Bastia-Viareggio); parteciparono a questo s. importanti uomini come G. Agnelli, G. Mondadori, R. Marciano, l'inglese M. Aitken, attori cinematografici, piloti automobilistici di Formula 1, ecc. Dal 1965 è stato istituito il trofeo Sam Griffith (dedicato al più famoso pilota statunitense vincitore di quattro edizioni della Miami-Nassau): vale come titolo mondiale e ci si basa sui migliori risultati di una nutrita serie di gare (nel 1975,19 prove); complessivamente si sono avute 8 vittorie statunitensi, 5 italiane (due di v. Balestrieri nel 1968 e nel 1970, due di C. Bonomi nel 1973 e 1974 e una di F. Cosentino nel 1978) e una brasiliana.

Dal 1972 esiste anche il titolo europeo per le due classi più diffuse: Opi (sino a 16.400 cm3) e Op2 (sino a 8200 cm3). Sono tutti italiani i nomi che figurano negli albi d'oro: R. Bonelli (1972), C. Bonomi (1973 e 1975) e G. De Angelis (1974) nella Opi e G. Torroni (1972), G. Russo (1973), S. Signoretti (1974) e G. Pasenti (1975) nella classe Op2.

Le imbarcazioni più diffuse sono statunitensi, costruite dal cantiere Cigarette di Miami; molto importanti anche gli scafi italiani progettati dall'italo-inglese R. "Sonny" Levi.

Nuoto. - I progressi del nuoto nel periodo 1961-1978 sono stati così importanti, per quantità e qualità, da convalidare l'idea che questo s. fosse in ritardo rispetto ad altri, soprattutto rispetto all'atletica leggera, i cui primati non cedono altrettanto facilmente e vistosamente. Alle Olimpiadi di Roma (1960) il nuotatore australiano J. Konrads venne considerato quasi un fenomeno, ma poi i suoi primati furono presto superati; e così D. A. Schollander, che a Tōkyō (1964) venne definito l'"uomo pesce", poi è stato superato da M. Spitz, i cui record nello stile libero sono stati a loro volta battuti. Il fatto stesso che bambine tredicenni (l'australiana Turrall) siano riuscite a battere primati mondiali in serie dice quanto ancora ci sia da fare in questo s. per avvicinarlo davvero ai limiti umani.

La prima rivoluzione tecnica fu portata dagli australiani, che nei Giochi Olimpici del 1956 a Melbourne sorpresero tutti rompendo l'egemonia statunitense. Essi avevano applicato al nuoto l'interval-training, cioè l'allenamento a sforzi brevi e ripetuti: per es., 1000 m in dieci scatti da 100 m, intervallati ciscuno da 3 minuti. Adeguatisi immediatamente ai nuovi e produttivi metodi di allenamento, gli statunitensi già a Roma (1960) si ripresero parte del terreno perduto e a Tōkyō (1964), Città di Messico (1968), Monaco (1972) e Montreal (1976) tornarono al loro posto di predominio, almeno per quanto concerne il settore maschile.

Ma intanto in Europa qualcosa si muoveva, ed ecco i nuotatori e soprattutto le nuotatrici della Rep. Dem. di Germania venir fuori e affermarsi con 12 medaglie d'oro nei campionati mondiali del 1973 disputati a Belgrado; la conferma di questa nuova forza natatoria si ebbe, con medaglie d'oro, nei campionati mondiali del 1975 a Cali in Colombia, ma soprattutto alle Olimpiadi di Montreal (1976), nelle quali le nuotatrici tedesche orientali conseguirono un'affermazione schiacciante con ben 11 medaglie d'oro sulle 13 disponibili per il nuoto femminile.

Imponendo alle nuotatrici una preparazione altrettanto pesante come quella dei nuotatori (fino a 16 km al giorno, in vasca), i tedeschi orientali sono riusciti a ottenere in campo femminile risultati quasi confrontabili con quelli maschili: K. Ender, che ha fatto tramontare il mito dell'australiana D. Fraser, ha percorso i 100 m stile libero in 56,2 sec, vale a dire solo un decimo di secondo in più del tempo con cui P. Pucci vinse a Budapest, nel 1958, il campionato europeo battendo anche il record continentale. Gli ultimi campionati mondiali disputati a Berlino Ovest (1978) hanno clamorosamente riportato in primo piano il nuoto statunitense, che si è affermato con ben 11 medaglie d'oro nel settore maschile e con 9 medaglie d'oro in quello femminile; si è presentata, pertanto, l'occasione per la grande rivincita delle nuotatrici americane sulle tedesche orientali. L'Italia non ha più potuto contare su N. Calligaris, medaglia d'argento olimpionica negli 800 m stile libero a Monaco, e di bronzo nei 400 m quattro stili, campionessa e primatista mondiale sugli 800 m stile libero a Belgrado (1973).

Nelle tabelle è dato un raffronto di record mondiali, europei e italiani di nuoto.

Per i vincitori delle gare di nuoto alle Olimpiadi, v. la tabella alla voce olimpici, giochi, in questa Appendice.

Pallacanestro. - La tradizione della superiorità cestistica degli Stati Uniti nel mondo, durata ininterrottamente dai Giochi Olimpici di Berlino (1936) a quelli di Città di Messico (1968), si è infranta alle Olimpiadi di Monaco (1972) quando l'Unione Sovietica, segnando all'ultimo minuto di gioco un contestatissimo canestro, riusciva a prevalere sugli antagonisti per 50-49. Artefice primo della vittoria sovietica fu S. Belov, eccezionale play maker. Va aggiunto, tuttavia, che l'insuccesso statunitense è da addebitarsi, soprattutto, al fatto che negli Stati Uniti la squadra che viene inviata alle Olimpiadi o ai campionati del mondo non è sempre l'espressione di un'effettiva selezione tra i migliori cestisti dilettanti ma spesso la rappresentativa di una delle tante squadre messesi in luce nel campionato nazionale, con eventuale integrazione di alcuni elementi di altre società. A Monaco, al terzo posto, si è classificata Cuba e al quarto l'Italia, con questa formazione: O. Flaborea, G. Brumatti, A. Giomo, M. Cerioni, M. Masini, R. Bariviera, M. Zanatta, D. Meneghin, P. Marzorati, L. Serafini, I. Bisson, G. Jellini. In tal modo, l'Italia ripeteva il risultato di Roma (1960), dopo essersi classificata quinta a Tōkyō (1964) e ottava a Città di Messico. Per rimanere in tema di Olimpiadi, ricorderemo che a Tōkyō si ebbe questa classifica: 1) SUA, 2) URSS, 3) Brasile, 4) Portorico. A Città di Messico: 1) SUA, 2) Iugoslavia, 3) Brasile, 4) Messico (l'URSS non partecipò). Infine a Montreal (1976): 1) SUA, 2) Iugoslavia, 3) URSS, 4) Canada.

In questi ultimi diciotto anni si sono svolti cinque campionati mondiali: nel 1963 a Rio de Janeiro, 1) Brasile, 2) Iugoslavia, 3) URSS, 4) SUA; nel 1967 parte in Uruguay e parte in Argentina, 1) URSS, 2) Iugoslavia, 3) Brasile, 4) SUA; nel 1970 in Iugoslavia, 1) Iugoslavia, 2) Brasile, 3) URSS, 4) Italia, 5) SUA; nel 1974 a Portorico, 1) URSS, 2) Iugoslavia, 3) SUA, 4) Cuba, (l'Italia non vi partecipa); nel 1978 a Manila, 1) Iugoslavia, 2) URSS, 3) Brasile, 4) Italia. In Europa l'Unione Sovietica primeggia nell'albo d'oro dei campionati del vecchio continente, che si disputano ogni due anni: nel 1961 ha vinto a Belgrado (2° Iugoslavia, 3° Bulgaria, l'Italia è assente); nel 1963 a Wroclaw (2° Polonia, 3° Iugoslavia, 12° Italia); nel 1965 a Mosca (2° Iugoslavia, 3° Polonia, 4° Italia); nel 1967 a Helsinki (2° Cecoslovacchia, 3° Polonia, 7° Italia); nel 1969 a Napoli (2° Iugoslavia, 3° Cecoslovacchia, 6° Italia); nel 1971 a Essen (2° Iugoslavia, 3° Italia). Nel 1973, la serie vincente dell'URSS viene interrotta a Barcellona dalla Iugoslavia (2° Spagna, 3° URSS, 5° Italia), la quale ripete il successo nel 1975 a Belgrado (2° URSS, 3° Italia). Ancora la Iugoslavia prevale nel 1977 a Liegi (2° URSS, 3° Cecoslovacchia, 4° Italia).

In campo femminile primeggiano le cestiste sovietiche mentre le italiane s'inseriscono dignitosamente tra le compagini dell'Europa orientale.

Dal 1961 al 1978 il campionato italiano maschile di serie A è stato vinto sette volte dalla Ignis Varese (1961, 1964, 1969, 1970, 1972, 1973, 1974), sei volte dal Simmenthal Milano (1962, 1963, 1965, 1966, 1967, 1971), due volte dalla Mobilgirgi Varese (1977, 1978), una volta dall'Oransoda Cantù (1968), dalla Forst Cantù (1975) e dalla Sinudyne Bologna (1976). Va segnalato che a partire dal torneo 1974-75 il massimo campionato di pallacanestro (serie A maschile) passa dalla tradizionale formula a girone unico a quella in due serie, distinte dalle sigle A-i e A-2, di 14 squadre ciascuna. Alla fase finale dei playoff sono ammesse otto squadre: le prime sei classificate della serie A-i e le due squadre vincenti gli spareggi di qualificazione (7ª della A-i contro 2ª della A-2; 8ª della A-i contro 1ª della A-2). Nello stesso periodo di tempo il campionato della serie A femminile è stato vinto: dall'Udinese (1961), dal FIAT Torino (1962, 1963, 1964), dal Portorico Vicenza (1965, 1966), dal Recoaro Vicenza (1967, 1968, 1969, 1970), dallo Standa Milano (1973) e dal GEAS Sesto San Giovanni (1971, 1972, 1974, 1975, 1976, 1977, 1978).

Pallamano. - È il più giovane tra i grandi giochi praticati con la palla. Per le sue incerte origini e le molte contraddizioni al riguardo, è da ritenere che la pallamano si sia sviluppata contemporaneamente, o quasi, in diversi paesi europei sotto varie forme, ricalcando i motivi dei giochi popolari con la palla. Si ritiene che la patria della pallamano possa essere la Danimarca dove, nel 1898, il maestro di cultura fisica H. Nielsen la introdusse nelle scuole con il nome di Haandbolt, pubblicandone le prime regole nel 1906. Tale pratica di gioco è passata successivamente in Svezia e in Germania dove nel 1915 M. Heiser ha messo a punto il Torball (pallaporta) ispirandosi: alla Ceska Atzena, già praticata in Cecoslovacchia e nei paesi balcanici, principalmente da squadre femminili; al calcio, per le misure del campo e il numero dei giocatori; alla pallacanestro e alla pallavolo per le regole del gioco. In epoca successiva K. Schelzen ne ha perfezionato le regole e gli ha attribuito la denominazione di Feldhandball (grande pallamano).

Fino al 1928 l'Handball era retto dalle Federazioni nazionali di atletica leggera o di ginnastica di ogni paese. In quell'anno venne istituita una commissione incaricata di raggruppare i paesi in cui tale gioco era praticato, di contribuire a diffonderne la pratica e di uniformarne le regole di gioco. Tale commissione ritenne necessario dare vita alla FIHA (Federation Internationale Handball Amateurs). Un riconoscimento per l'attività svolta venne attribuito alla pallamano con l'inclusione di questo s. nei Giochi Olimpici del 1936. Nel 1938 s'iniziava anche la disputa del campionato del mondo.

Nell'immediato dopoguerra alla disciolta FIHA succedeva l'attuale FIGH, con sede a Copenaghen. Dopo il 1952 ha preso largo sviluppo la pratica di gioco con squadre di 7 elementi, da praticarsi su terreni di misure più ridotte e anche in luoghi coperti (Hallenhandball, piccola pallamano). Un torneo di "pallamano" è stato disputato nell'ambito della XX edizione dei Giochi Olimpici (Monaco, 1972). A Montreal (1976) la vittoria è stata conquistata dall'URSS in campo sia maschile che femminile.

La pallamano non gode ancora di notevole diffusione in Italia. Un primo gruppo di appassionati di questo s. si era costituito a Pavia nel 1940, ma le attività belliche ne impedirono lo sviluppo tanto che nel 1947 l'allora Gruppo italiano pallamano interruppe la sua attività. Dopo incontri dimostrativi disputati a Milano e a Roma negli anni 1965-66, veniva organizzato un corso di addestramento tra gli studenti dell'ISEF e veniva creato un Comitato che favoriva la costituzione della FIGH, aderente al CONI.

Dal 1969 si disputa un campionato nazionale. Ne sono stati vincitori: Buscaglione Roma (1970), G.S. Genovesi Roma (1971), Cus Verona (1972), G. S. Esercito Roma (1973), G. S. Rosmini Rovereto (1974), G. S. Duina Trieste (1975, 1977), H.C. Volani Rovereto (1976, 1978). In campo femminile hanno vinto: G. S. Pareto Roma (1970), Cus Roma (1971), Scuola Germanica Roma (1972, 1973), U. S. Montello Roma (1974), G. S. Del Tongo Arezzo (1975, 1977), G. S. Lem Roma (1976), Forst Bressanone (1978).

Il campo di gioco, di forma rettangolare, misura da 38 m a 44 m di lunghezza e da 18 m a 22 m di larghezza. Può essere al coperto, con pavimento in parquet, linoleum, mattonelle, oppure all'aperto, con fondo in asfalto, cemento, tennisolite, terra battuta. Le porte, situate al centro dei due lati corti (linee di porta), misurano all'interno 2 m in altezza e 3 m in larghezza e sono costituite da pali di sezione quadrata di 8 cm di lato dipinti su tutte le facce in due colori alternati ogni 20 cm. L'area di porta è delimitata da una linea continua lunga 3 m, tracciata a 6 m di distanza dalla linea di porta e a essa parallela, e continuata a ogni estremità con un quarto di cerchio di 6 m di raggio avente per centro l'angolo interno posteriore di ogni montante di porta. La linea di tiro libero, discontinua con tratti di 15 cm, è delimitata da una retta di 3 m tracciata davanti alla linea di porta e a essa parallela, a una distanza di 9 m e continuata, a ogni estremità, con un quarto di cerchio di 9 m di raggio con centro nell'angolo interno di ogni montante di porta. La linea del rigore è costituita da una retta continua, lunga 1 m, tracciata davanti al centro della porta, a essa parallela, alla distanza di 7 m. Una linea mediana congiunge le linee laterali a metà della loro lunghezza (metà campo).

La palla è costituita da un involucro di cuoio di forma sferica di colore uniforme contenente una camera d'aria di caucciù; misura da 58 a 60 cm di circonferenza e pesa da 425 a 475 g. Per le categorie femminili e per quelle maschili inferiori le misure variano rispettivamente da 54 a 56 cm per la circonferenza e da 325 a 400 g per il peso.

Ogni squadra è composta da 12 giocatori, di cui 7 si trovano sul campo e 5 fungono da riserva per operare le sostituzioni che sono possibili in ogni momento della partita. Ogni incontro è previsto sulla distanza di due tempi di 30 minuti, con 15 minuti d'intervallo. Per gl'incontri femminili e per le categorie inferiori i tempi sono di 20 minuti, con 10 minuti di riposo. Nel corso della gara ogni giocatore può essere punito con l'esclusione dal gioco per 2 0 5 minuti e in questo caso non può essere sostituito.

Pallanuoto. - Dopo la vittoria dell'Italia ai Giochi Olimpici di Roma del 1960, cui hanno fatto seguito quelle dell'Ungheria (Tōkyō, 1964), della Iugoslavia (Città di Messico, 1968), dell'URSS (Monaco, 1972) e ancora dell'Ungheria (Montreal, 1976), la nostra rappresentativa nazionale si è confermata tra le grandi della pallanuoto mondiale, con la medaglia d'argento conquistata a Montreal da A. Alberani, S. Baracchini, V. D'Angelo, M. Del Duca, G. e R. De Magistris, A. Ghibellini, S. Marsili, U. Panerai, R. Simeoni e L. Castagnola, che ha fatto seguito al quarto posto di Tōkyō e Città di Messico e al sesto posto di Monaco, a coronamento soprattutto delle ottime prestazioni fornite ai campionati mondiali con il quarto posto di Belgrado (1973) e la medaglia di bronzo ottenuta a Calì (1975). Nel 1978 l'Italia è tornata al vertice dei valori internazionali conquistando la medaglia d'oro ai campionati mondiali di Berlino con A. Alberani, S. Baracchini, G. De Magistris, A. Ghibellini, S. Marsili, R. Simeoni, M. Fondelli, M. Galli, P. Ragosa, R. Collina, M. Scotti Galletta.

Anche nel campionato europeo si sono affermati i paesi dell'Europa orientale, con l'URSS (1966 e 1970) e l'Ungheria (1962, 1974 e 1977) mentre l'Italia ha ottenuto l'ottava posizione nel 1962, la quarta nel 1966 e nel 1970, la quinta nel 1974, conquistando infine la medaglia di bronzo nel 1977. L'Italia ha dominato le varie edizioni dei Giochi del Mediterraneo con le vittorie riportate nel 1955, nel 1963 e nel 1975, alternate al secondo posto già conseguito nel 1959 e ripetuto nel 1967 e nel 1971.

Nella Coppa europea dei campioni per squadre di società la Pro Recco, che per oltre un decennio ha dominato nel campionato italiano, si è affermata nel 1965, inserendosi tra le grandi squadre dell'Est europeo che si sono affermate con il Partizan di Belgrado (1964, 1966, 1967, 1970, 1974 e 1975), con il Mladost di Zagabria (1968, 1969 e 1971), con l'Orvosi di Budapest (1972), con l'Università di Mosca (1973), e con il C. S. K. di Mosca (1976). Nel 1977 si è avuta nuovamente una vittoria italiana, con la Canottieri Napoli, nel 1978 il successo è stato conquistato ancora dall'Orvosi.

Il campionato italiano è stato vinto dalla Pro Recco (1961, 1962, dal 1964 al 1972, 1974), dalla Canottieri Napoli (1963, 1973, 1975, 1977), dalla Rari Nantes Florentia (1976) e ancora dalla Pro Recco (1978).

Pallavolo. - Dopo gli anni Sessanta, alla tradizionale superiorità dei paesi dell'Europa orientale si è venuta ad aggiungere quella del Giappone; in campo femminile, al contrario, l'URSS ha aggiunto il suo nome a quello del Giappone e delle due Coree. Alle Olimpiadi, infatti, ai successi dell'URSS (Tōkyō 1964, Città di Messico 1968) ha fatto seguito quello del Giappone (Monaco 1972) e quello della Polonia (Montreal 1976); in campo femminile, ai successi del Giappone (1964 e 1976) si sono aggiunti quelli dell'URSS (1968, 1972). In campo mondiale maschile si era tuttavia raggiunto un maggior equilibrio di valori: il titolo mondiale era stato vinto dall'URSS (1962), dalla Cecoslovacchia (1966), dalla Rep. Dem. di Germania (1970), dalla Polonia (1974) e ancora dall'URSS (1978). In campo femminile invece è stata l'URSS (1970) a cercare d'interrompere il dominio del Giappone (1962, 1966, 1974) e di Cuba (1978).

L'Italia non era mai riuscita a inserirsi nel dialogo a livello mondiale in campo europeo il suo era stato soltanto un atto di presenza. Nel più ristretto ambito di una Coppa dell'Europa occidentale l'Italia ha sfiorato il successo finendo alle spalle dell'Olanda (1968), dopo la terza posizione conquistata in precedenza (1966, 1967); pure in campo femminile ha conquistato un secondo posto sempre alle spalle dell'Olanda (1969). L'Italia ha vinto la sua prima medaglia d'oro in competizioni internazionali ai Giochi del Mediterraneo (1959). A questa ha fatto seguire una più esaltante vittoria alle Universiadi del 1970 precedendo sovietici, sudcoreani e giapponesi. Nel 1978 l'Italia invece si è clamorosamente rivelata nel corso dei campionati mondiali disputati a Roma. Dopo aver superato imbattuta il girone di qualificazione e aver subito una sola sconfitta in quello delle semifinali, ha conquistato una prestigiosa medaglia d'argento alle spalle dei sovietici, precedendo i cubani il cui valore si è sempre più affermato dall'inizio degli anni Settanta.

In campo nazionale hanno vinto il campionato italiano maschile: Avia Pervia Modena (1960, 1962), Ciam Modena (1961), Avia Ghirlandina Modena (1963), SEF Virtus Bologna (1966,1967), Pallavolo Parma (1969), VV. FF. Ruini Firenze (1964, 1965, 1968, 1971, 1973), G. S. Panini Modena (1970, 1972, 1974, 1976), Federlazio V. C. Roma (1975, con il nome Ariccia V. C., e 1977), Paoletti Catania (1978). Il titolo nazionale femminile è andato alle squadre seguenti: C. d. L. Trieste (1960, 1961, 1962), Muratori Modena (1963), UISP Sestese (1964), Max Mara La Torre Reggio Emilia (1965, 1966, 1967, 1968), G. S. Fini Modena (1969, 1970, 1972, 1973), Cus Parma (1971), G. S. Valdagna Scandicci (1974, 1975, 1976) G. S. Alzano Bergamo (1977), G. S. Burro Giglio Reggio Emilia (1978).

Paracadutismo sportivo. - E un'attività ricreativa o agonistica che utilizza come mezzo il paracadute; però i differenti scopi per i quali questo è impiegato, rispetto al paracadutismo militare e al salvataggio del personale aeronavigante, impongono una maggiore sofisticazione del mezzo e un addestramento più accurato del paracadutista. Nel paracadutismo sportivo, infatti, il lancio è fine a sé stesso ed è volto ad affinare al massimo le tecniche del volo libero a paracadute chiuso e della discesa frenata a paracadute aperto. È uno s. aeronautico e, come tale, soggetto al controllo della FAI (Fédération Aéronautique Internationale) che lo esercita attraverso gli enti aeronautici nazionali: per il nostro paese è l'Aeroclub d'Italia che organizza e regola l'attività del paracadutismo sportivo, avvalendosi dei suoi organi centrali e degli aeroclub locali; inoltre l'Associazione nazionale paracadutisti d'Italia, pur essendo un'associazione d'arma, cura i corsi per allievi. La pratica del paracadutismo sportivo è condizionata al superamento di un'accurata visita medica presso enti sanitari. Si tratta di uno s. costoso, specie in Italia dove, contrariamente a quanto avviene negli altri paesi, i contributi statali e privati sono molto scarsi.

Al termine della seconda guerra mondiale, che aveva visto su tutti i fronti l'intervento massiccio di aviotruppe, in ogni nazione vi erano numerosi paracadutisti i quali, avendo sperimentato la piacevole emozione dell'aviolancio, desideravano continuare a praticare quest'attività non più a scopo bellico, ma per puro divertimento. Nacquero così federazioni di paracadutismo sportivo in URSS, Francia, Italia, Iugoslavia, ecc., che attraverso manifestazioni nazionali e internazionali propagandarono quest'attività e diedero avvio a una rapida evoluzione della tecnica e della mentalità di questo nuovo sport. Nel 1949 la FAI nominò una commissione internazionale di paracadutismo, con sede a Parigi, allo scopo di standardizzare le tecniche e le misure di sicurezza e nel 1951 organizzò il 1° campionato mondiale che si svolse a Bled (Iugoslavia). L'Italia vi partecipò con Bordignon, Caffaretto, S. Cannarozzo, E Milani e S. Rinaldi (riserva Cavatorta), noti per le loro spericolate esibizioni, caratterizzate dalle aperture basse. Ma ai campionati mondiali lo scopo dei lanci era quello di effettuare atterraggi di precisione lanciandosi da 350 m, 500 m e 2000 m, con l'apertura del paracadute non al di sotto dei 300 m; fu così che Milani, in testa alla classifica dopo le prove da 350 m e da 500 m, in quella da 2000 m fu squalificato per apertura sotto la quota stabilita. Dal 1954 i campionati mondiali, maschili e femminili, divennero biennali.

Durante questi anni il paracadutismo sportivo ha subìto importanti evoluzioni e si sono affermate varie specialità: dalle prove di precisione da quote diverse si è passati alla formula attuale, con prove di "precisione di atterraggio" da 800 m e di acrobazia da 2000 m. Mentre negli anni pari si svolgevano i campionati mondiali, in quelli dispari la Iugoslavia, che ha senmpre avuto nel paracadutismo una tradizione molto viva, organizzava una competizione internazionale a squadre di 4, la "Coppa dell'Adriatico", che verteva sull'effettuazione di lanci di precisione a terra e in acqua. Dal 1965 fu inserita in questa competizione la prova di "staffetta", consistente nel passaggio in caduta libera di un testimone tra i componenti della squadra durante un lancio da 2500 m. Da queste prime esperienze presero le mosse gli studi dell'avvicinamento tra paracadutisti in caduta libera, che condussero alla nascita della specialità del "lavoro relativo". Nel 1969 l'Italia partecipò con due squadre conquistando la medaglia d'argento e quella di bronzo nella prova di staffetta. La prova in acqua, che determinava un sovvertimento delle classifiche, perché non rispecchiava l'effettivo valore dei concorrenti, allontanò un numero sempre maggiore di squadre dalla gara, tanto che, dopo il 1971, questa competizione non fu più indetta.

Oggi il paracadutismo sportivo ha perso l'aspetto di spettacolo da brivido che lo ha caratterizzato per anni: le norme di sicurezza prevedono che il paracadute debba essere completamente aperto a 400 m dal suolo. L'adozione del paracadute di emergenza, avvenuta nel dopoguerra (in Italia dal 1953), ha contribuito a rendere questo s. decisamente più sicuro. La maggior parte degl'incidenti avviene per errore umano; un'adeguata preparazione atletica e tecnica e l'assoluto rispetto delle norme di sicurezza riducono sensibilmente il numero e la gravità degl'infortuni: le statistiche indicano una percentuale di incidenti pari all'i‰.

Dal "padiglione di panno largo 12 braccia e alto 12" di Leonardo da Vinci, il paracadute ha subìto notevoli trasformazioni ed evoluzioni dettate dall'esperienza e dall'approfondimento delle conoscenze di aerodinamica. Mentre per i lanci di massa le aviotruppe impiegano paracadute ad apertura automatica, nel paracadutismo sportivo si usano quelli ad apertura comandata. Il paracadute, inizialmente costruito in seta, è ora in nailon; nato a forma di calotta semisferica di grandezza variabile e sviluppatosi in seguito con varie fenditure che conferiscono alla velatura una velocità orizzontale propria, oggi esso ha abbandonato la forma semisferica assumendo quella ad "ala". Il paracadute "tondo", privo di fenditure, possiede un foro apicale, al centro della calotta, che favorisce il deflusso dell'aria dalla calotta stessa e determina una diminuzione della velocità di discesa, grazie alla creazione di un rotore d'aria sulla superficie esterna della velatura, con un aumento di resistenza al moto verso il basso. All'interno della calotta, l'aria, compressa per effetto della discesa, crea una pressione identica in ogni parte della superficie. Asportando un settore dalla calotta si ottiene un effetto di spinta, poiché in quel punto la pressione è nulla, mentre in quello diametralmente opposto vige una pressione positiva che provoca uno spostamento del paracadute in quella direzione. Applicando due funi di comando ai lati del settore asportato è possibile regolare la direzione di questa contropressione positiva, ed è quindi possibile orientare il paracadute a proprio piacimento: su questo principio sono basati tutti i paracadute "a fenditura" tradizionali. Inoltre facendo rientrare la parte apicale della calotta con una fune che si biforca e si unisce alle bretelle di sospensione, si ottiene una riduzione della velocità di discesa. Con questo accorgimento, essendo ridotta la superficie resistente all'avanzamento, si ottiene un aumento della velocità di traslazione; sono così nati il D64UL-65, il Paracommander, il Papillon, l'UT-15, ecc., definiti impropriamente paracadute "a calotta rientrante". Per l'agonismo, specie per la precisione di atterraggio, il concetto di paracadute a calotta semisferica è superato da quello "ad ala", che sfrutta i principi della resistenza e della portanza propri dei profili alari. L'impiego di queste vele richiede una certa pratica ed è riservato perciò a paracadutisti già esperti nell'uso di quelle tradizionali. Oggi le vele più diffuse sono il Para Foil, lo Strato Star e lo Strato Cloud. Cambiando il principio sul quale si basa il funzionamento, dovrebbe cambiare anche il nome di questo mezzo aereo, che non è più un paracadute inteso in senso tradizionale bensì un vero e proprio aliante libratore, ove il pilota non è seduto all'interno, ma situato al di sotto delle ali; e infatti gli statunitensi chiamano tali paracadute gliders.

Oltre all'idoneità psicofisica che ha validità annuale, il paracadutista dev'essere in possesso della tessera FAI. Nel paracadutismo sportivo si distinguono specialità "classiche" e altre "moderne"; le prime sono le seguenti:

a) Precisione di Atterraggio Individuale (PAI). - Scopo del lancio è quello di centrare con il primo punto di contatto del corpo col terreno un bersaglio di 10 cm di diametro, posto al centro di una "buca" di ghiaietta o di sabbia. Il punto di atterraggio è contrassegnato con picchetti da tre giudici e si misura la distanza tra esso e il bordo del dischetto. Esiste anche un sistema elettronico per valutare esattamente le misure inferiori a 50 cm. Le misure superiori ai 10 m vengono accreditate, ai fini del punteggio, 10 m. Nei pressi della buca sono situati una manica a vento, che indica la direzione del vento a terra, e un anemometro per misurare l'intensità del vento, che non deve superare i 7 m/sec. La gara si svolge da 800 m di quota. Prima dell'inizio della prova viene lanciata da 600 m sulla verticale della buca, una striscia di carta colorata e opportunamente zavorrata detta "derivometro", o siky, che ha la proprietà di scendere alla velocità di un paracadute aperto (5 m/sec); tale striscia fornisce indicazioni attendibili sull'intensità e sulla direzione del vento alle varie quote nella zona di gara. Sulla base di quanto ricavato dall'osservazione del derivometro, i concorrenti scelgono il punto di lancio. Ai campionati mondiali di Roma del 1976 il francese J. Dermine, con lo Strato Star, ha vinto la gara realizzando 8 centri su 8 lanci.

b) Precisione di Atterraggio di Gruppo (PAGr). - È una gara analoga alla precedente; la differenza consiste nel fatto che ciascuna squadra è composta da 4 concorrenti i quali si lanciano in un unico passaggio dalla quota di 1000 m. Ai campionati mondiali del 1976 la squadra degli Stati Uniti ha vinto con 6 cm su 4 lanci.

c) Acrobazia (o stile). - Consiste nell'eseguire un gruppo di figure acrobatiche senza penalità entro 30 sec di caduta libera durante un lancio da 2000 m. Le figure sono delle spirali di 360° e looping, da eseguirsi mantenendo come asse di lavoro la congiungente tra asse longitudinale del corpo e la buca della precisione di atterraggio. Ogni gruppo di figure comprende una virata a destra o a sinistra, una virata dal lato opposto e un looping all'indietro, il tutto ripetuto due volte. Sono possibili quattro gruppi di combinazioni e il gruppo da eseguire è sorteggiato prima della competizione. La formula dei campionati mondiali prevede 4 lanci di acrobazia e quindi nell'arco della prova vengono sorteggiati tutti i gruppi. La giuria, costituita da otto giudici internazionali, muniti di binocoli e di cronometri, osserva la correttezza e il tempo delle esecuzioni e prende nota dei tempi e delle penalità; oggi l'osservazione può anche avvenire con apparati videoregistratori. I tempi di lavoro sono presi fino a 16 sec, i tempi superiori vengono accreditati 16 sec. La caduta libera ha la fase di accelerazione progressiva fino a 12 sec circa, poi si stabilizza con velocità di circa 50 m/sec. Durante i primi 10 ÷ 15 sec il concorrente cercherà d'impostare bene la posizione che gli consenta di acquisire al più presto la massima velocità e quindi di partire di scatto per potere eseguire l'esercizio velocemente. Il vento nei lanci di acrobazia non deve superare gli 8 m/sec. I più forti campioni riescono a completare correttamente i gruppi di figure assegnati in tempi variabili tra 6,5 ÷ 7 sec, ma si tratta di atleti che hanno al loro attivo da 4000 a 5000 lanci. Ai campionati mondiali del 1976 il sovietico Surabko si aggiudicò la prova con una media di 6,6 sec, al netto delle penalità. Al termine delle prove di precisione di atterraggio individuale e di acrobazia viene stilata la classifica "combinata", che fino al 1976 si otteneva sommando la media dei punteggi della prima prova con metà della media di quelli della seconda (acrobazia). Dal 1978 si ha, invece, sommando la seconda potenza della posizione ottenuta nella prima prova con la seconda potenza della posizione ottenuta nella seconda prova; vale a dire: al 1° punti 1, al 2° punti 4, al 3° punti 9, e così via.

Le specialità moderne sono le seguenti.:

a) Lavoro relativo. - Questa specialità, la più recente e la più affascinante del paracadutismo sportivo, consiste nell'eseguire figure acrobatiche in gruppo durante la caduta libera. Le squadre possono essere di 4 o di 8 concorrenti e debbono eseguire in rapida sequenza (sequential) una serie di formazioni e trasformazioni, alcune obbligatorie altre libere. La gara si articola su 10 lanci: per la prova a 4 da 2500 m con 35 sec di lavoro; per quella a 8 da 3300 m con 50 sec di lavoro. Sei giudici osservano l'esecuzione degli esercizi. Il punteggio è attribuito sommando il numero delle trasformazioni eseguite in tutti i lanci. In Italia il lavoro relativo si è sviluppato soprattutto grazie all'attività svolta dall'Accademia paracadutistica italiana, che opera presso l'aeroclub di Alessandria e che si è dedicata quasi esclusivamente a questa disciplina; la squadra di Alessandria ha rappresentato l'Italia nel 1975 al 1° campionato mondiale di lavoro relativo a 4 e a 10, a Warendorf (Rep. Fed. di Germania) ove conquistò il 4° posto e nel 1976 alla Coppa del mondo di Pretoria, in Sudafrica, ove conquistò la medaglia di bronzo per la prova a 8.

b) Para-ski. - Dal 1965 si svolge ogni anno una competizione internazionale di para-ski. L'organizzazione è riservata alle nazioni alpine: Austria, Francia, Rep. Fed. di Germania, Italia, Svizzera e Iugoslavia. È una gara a squadre di 3 e ogni squadra deve eseguire 4 lanci di precisione di atterraggio di gruppo su zone montane innevate e in pendenza. Gli stessi concorrenti debbono cimentarsi in due manche di slalom gigante. Questa competizione, denominata Coppa internazionale dal 1965 al 1972, dal 1973 è divenuta Coppa mondiale; è stato proposto dal Comitato internazionale di para-ski alla FAI d'indire nei prossimi anni il 1° campionato mondiale di para-ski.

Oltre che per gli scopi agonistici sopra descritti (per i quali nella prima tabella sono riportati i vincitori dei campionati mondiali sinora disputati), il paracadutismo sportivo è praticato come hobby e per stabilire primati. I paracadutisti sportivi in Italia sono circa 5000, i centri di paracadutismo una trentina, quasi tutti nel centro-nord. Nella seconda tabella sono riportati i primati mondiali omologati dalla FAI a tutto il 1976.

Pattinaggio. - Pattinaggio su ghiaccio. - Di fronte alla supremazia dei paesi nordici, dell'Unione Sovietica, degli SUA e dell'Olanda, affermatasi ai Giochi Olimpici invernali del 1968 e 1972, l'Italia ha saputo offrire modesti risultati che sono il frutto di un'attività scarsamente seguita, soprattutto per la mancanza di adeguati impianti. Dopo una medaglia di bronzo conquistata da E. Musolino ai campionati europei maschili di velocità del 1950 e i successi di C. Frassi nel pattinaggio artistico con il terzo posto ai campionati europei maschili del 1950 e 1951, con il secondo posto a quelli del 1952 e con le medaglie d'oro conquistate nel 1953 in cui giunse terzo ai campionati mondiali, e nel 1954, si è dovuto attendere quasi un ventennio perché l'Italia facesse la sua ricomparsa in campo internazionale con R. Trapanese, campionessa italiana dal 1966 al 1972, che ha conquistato la medaglia di bronzo nel 1971 e quella d'argento nel 1972 ai campionati europei di pattinaggio artistico, e con S. Driano che nel 1978 ha avuto la medaglia di bronzo ai campionati mondiali femminili.

Il contrario si verifica invece nel pattinaggio a rotelle dove, fatta eccezione per l'artistico, in cui all'indiscussa superiorità della Rep. Fed. di Germania si va contrapponendo l'ascesa degli Stati Uniti, principalmente negli esercizi di "coppia" e "danza", l'Italia domina quasi incontrastata nei due settori della velocità, su strada e su pista, in campo europeo e mondiale, sia nel settore maschile sia in quello femminile.

Velocità su strada. - Nel 1961, in cui si disputano contemporaneamente il 12° campionato europeo e il 10° campionato mondiale maschili, l'Italia si aggiudica il titolo mondiale con G. Burani (1000 m), F. Guardigli (10.000 m), A. Civolani (20.000 m), mentre il tedesco G. Traub vince i 5000 m; in campo femminile (8° campionato europeo e 5° campionato mondiale) l'italiana A. Vianello s'impone in tutte le gare (500 m, 5000 m, 10.000 m). Nei campionati del 1963, un solo successo italiano con F. Guardigli (5000 m), mentre l'inglese L. Eason (1000 m e 10.000 m) e il belga W. Raes (20.000 m) conquistano gli altri titoli. In campo femminile invece ancora un successo pieno dell'Italia con S. Bellini (500 m) e M. Danesi (3000 m e 5000 m). Nei campionati del 1964 l'Italia riporta un maggior numero di successi, con le vittorie di G. Cantarella (500 m), F. Guardigli (5000 m), S. Rossi (10.000 m), mentre il belga W. Raes ripete il successo dell'anno precedente. In campo femminile è netto il crollo dell'Italia, mentre la belga A. Lambrechts si aggiudica il successo in tutte le specialità (500 m, 3000 m, 5000 m). Nei campionati del 1965 nessuna vittoria italiana, con i successi del tedesco occidentale G. Traub (1000 m, 5000 m), dell'argentino H. Ibarguren (10.000 m) e ancora del belga W. Raes (20.000 m); in campo femminile l'italiana A. Vianello vince il titolo sui 500 m e la belga A. Lambrechts vince le altre prove (3000 m e 5000 m). Nel 1966, a Mar del Plata, si svolge unicamente il 14° campionato mondiale maschile, cui l'Italia non partecipa, e le vittorie vengono conquistate dagli argentini R. Scafati (1000 m), L. Rafaldi (5000 m), N. Narciande (10.000 m) mentre il belga W. Raes vince, per la quarta volta consecutiva, il titolo sulla distanza più lunga (20.000 m). Dopo questa edizione i campionati mondiali vengono disputati separatamente da quelli europei, non sempre peraltro in modo alternativo e ordinato e con regolare intervallo di tempo tra le varie edizioni, per le sempre maggiori difficoltà organizzative, dovute principalmente a motivi di carattere finanziario. Nel 1968 ad Alte Montecchio si disputa la 15ª edizione del campionato mondiale maschile, con l'inserimento di una nuova specialità, la 500 m a cronometro, in cui s'impone G. Cantarella. Pure italiani sono i successi in tutte le altre gare: ancora G. Cantarella (1000 m), C. Ruggeri (5000 m), A. Ferrari (10.000 m) e F. Viganò (20.000 m). Per tutti questi successi la nostra rappresentativa conquista anche il primato nella speciale classifica per nazioni. In campo femminile si disputa unicamente la 9ª edizione del campionato mondiale; nella nuova specialità dei 500 m a cronometro s'impone l'italiana A.L. Massazza; nelle altre prove vincono la neozelandese M. MacDonald (500 m velocità), la spagnola J. Cuevas (3000 m) e l'italiana M. Danesi (5000 m). Nel 1971 si disputano i camnionati euronei 16ª edizione maschile e 12ª femminile) con le vittorie degl'inglesi J. Fr: (500 m) e J. Follej (1000 m), dell'italiano C. Ruggeri (5000 m) e del belga R. Becue (10.000 m, 20.000 m) in campo maschile, e delle belghe A. Lambrechts (500 m cronometro, 500 m velocità, 3000 m) e J. Lambrechts (5000 m). Nel 1974 si disputano ancora i campionati europei: nella 17ª edizione maschile si registra un totale successo italiano con G. Cantarella (500 m), G. Lovato (1000 m), C. Ruggeri (5000 m), G. Fregosi (10.000 m) e R. Marotta (20.000 m) e nella classifica per nazioni; nella 13ª edizione femminile s'impongono P. Cristofori (500 m velocità, 3000 m) e A. Lambrechts (500 m a cronometro, 5000 m). Nel 1975, dopo l'ultima prova del 1968, si disputano a Sesto S. Giovanni i campionati mondiali: nella 16ª edizione maschile si riscontra ancora un completo successo italiano con le vittorie di G. Cantarella (500 m, 1000 m, 5000 m), A. Ferrari (10.000 m) e G. Fregosi (20.000 m); nella 10ª edizione del campionato mondiale femminile non si registra, al contrario, alcuna vittoria italiana: i successi sono conquistati da A. Lambrechts (500 m cronometro, 500 m velocità, 3000 m) e dalla neozelandese K. Treiloar (5000 m). Alle italiane non restano che le posizioni d'onore: P. Cristofori è seconda nelle prove sui 500 m; L. Foini è seconda nei 3000 m e terza nei 5000 m. Nel 1977 si disputano ancora i campionati europei (18ª edizione maschile e 14ª femminile). In campo maschile le vittorie sono tutte italiane: s'impongono G. Cantarella (500 m), G. Cruciani (1000 m), G. Lovato (5000 m), G. Peverelli (10.000 m) e M. Fuligni (20.000 m). Gl'italiani s'impongono inoltre nell'americana sui 10.000 m (G. Cantarella, G. Cruciani, M. Fuligni, G. Peverelli), nella classifica generale individuale con G. Cruciani e nella speciale classifica per nazioni. In campo femminile le vittorie sono ripartite tra l'italiana P. Cristofori (500 m velocità, 500 m cronometro) e la belga A. Lambrechts (3000 m, 5000 m); la rappresentativa belga s'impone nell'americana sui 5000 m (C. De Klerck, A. Lambrechts, J. Lambrechts, M. C. Van Damme); A. Lambrechts vince anche la classifica generale individuale. I primati: tutti i primati mondiali, sia maschili sia femminili, sono detenuti da atleti italiani tanto sulle varie distanze, sia per le misure metriche sia per quelle inglesi, sia contro il tempo. Ne sono detentori G. Cantarella (500 m, 1/4 di miglio), G. B. Massari (1/2 miglio), P. Faggioli (1000 m, 1500 m, 1 miglio, 3 miglia, 5000 m), G. Ferretti (3000 m), G. Rivaroli (5 miglia, 10.000 m), A. Civolani (15.000 m, 20.000 m, 25.000 m, 30.000 m, 50.000 m, 100 km; 10 miglia, 15 miglia, 20 miglia, 25 miglia, 30 miglia, 50 miglia; mezzora, 1 ora, 2 ore), G. Rivaroli-G. Ferretti (americana 10.000 m). Tutti i primati femminili appartengono a M. Danesi.

Velocità su pista. - Numerose sono le vittorie degli atleti italiani nelle diverse edizioni dei campionati mondiali e di quelli europei che si sono disputati a volte in unica prova e a volte in prove separate. Nel 1961 si sono disputati contemporaneamente il 6° campionato europeo e il 5° campionato mondiale maschile. Nelle varie prove si sono imposti gl'italiani L. Cavallini (1000 m), A. Civolani (5000 m), F. Bertolini (10.000 m) e il giapponese H. Oya (20.000 m). Nello stesso anno si è svolto anche il 3° campionato europeo femminile e le vittorie sono state tutte conquistate dall'italiana A. Vianello (500 m, 3000 m, 5000 m). Nei campionati maschili del 1962, ancora un successo degli atleti italiani con le vittorie di L. Cavallini (1000 m), F. Guardigli (5000 m), V. De Cesaris (10.000 m) e M. Mauri (20.000 m); anche in campo femminile (4° campionato europeo e 3° mondiale), le italiane hanno vinto tutte le gare con M. Danesi (500 m, 5000 m) e M. Prestinari (3000 m). In campo maschile è continuato il predominio degl'italiani anche nel 1965, con il successo di G. Cantarella (500 m), V. De Cesaris (5000 m), F. Guardigli (10.000 m) e M. Mauri (20.000 m); in campo femminile, alle vittorie di M. Danesi (500 m) e A. Vianello (3000 m) si è opposta la belga J. Lambrechts (5000 m). Nel 1967 si disputarono la 9ª edizione del campionato europeo maschile, con le vittorie di C. Ruggeri (1000 m), G. Cantarella (5000 m), F. Viganò (20.000 m) e del tedesco occidentale G. Traub (10.000 m), e la 6ª edizione del campionato europeo femminile: alle vittorie di M. Danesi (500 m) e A. Massazza (5000 m) si contrappone quella della tedesca occidentale M. Bidniak (3000 m). Nello stesso anno (1967) la Spagna organizza la 5ª edizione del campionato mondiale femminile e le vittorie vanno tutte alla spagnola "Pepita" Cuevas (500 m, 3000 m, 5000 m). Nel 1969, come già nel 1966 per le gare di velocità su strada, l'Argentina organizza a Mar del Plata i soli campionati mondiali maschili (8ª edizione); l'Italia partecipa con un ristretto numero di atleti ma tuttavia riesce a imporsi con G. Cantarella nella nuova specialità dei 500 m a cronometro, e nei 1000 m. Le altre vittorie vengono conquistate dal neozelandese D. Hayes (5000 m e 20.000 m), dall'inglese J. Follej (10.000 m) e dagli argentini R. Scafati-L. Rafaldi (americana a coppie). Nel 1973 si ritorna alla disputa dei campionati europei (10ª edizione maschile e 7ª femminile); in campo maschile si registra un completo successo degl'italiani con G. Cantarella (500 m, 1000 m), C. Ruggeri (5000 m), G. Marelli (10.000 m), R. Marotta (20.000 m) e ancora Marotta-Ruggeri (americana a coppie); in quello femminile il successo è ripartito tra la belga A. Lambrechts (500 m a cronometro, 500 m velocità) e l'italiana M. Danesi (3000 m, 5000 m). Nel 1975 si disputano in Argentina i campionati mondiali della 9ª edizione maschile, limitati a poche prove per le proibitive condizioni ambientali. Gl'italiani conquistano la medaglia d'oro con G. Cantarella (500 m velocità, 1000 m) e il bronzo con R. Marotta nei 20.000 m in cui s'impone l'argentino R. Scafati. La disputa del campionati europei si rinnova nel 1977 (11ª edizione maschile e 8ª femminile); in campo maschile è completo il successo italiano con le vittorie di G. Cruciani (500 m), G. Cantarella (5000 m), R. Marotta (10.000 m), C. Ruggeri (20.000 m) e G. De Persio che vince la classifica generale individuale. In campo femminile vincono le italiane N. Campomori (500 m velocità) e P. Cristofori (500 m cronometro, 5000 m) e I. Van Merle (3000 m). Nel 1978 si disputano ancora una volta in Argentina i campionati mondiali (10ª edizione maschile e 6ª edizione femminile). Gl'italiani conquistano le medaglie d'oro con G. Cruciani (500 m cronometro, 5000 m, 20.000 m) e G. Cantarella (1000 m), quella d'argento con G. De Persio in tutte le gare in programma e quella di bronzo con Cantarella (500 m cronometro) e Cruciani (1000 m). Il neozelandese P. Maxwell vince le medaglia d'oro sui 10.000 m. Il successo italiano è completato dalla vittoria di Cruciani-Cantarella nell'americana sui 10.000 m, dal primo posto di G. De Persio nella classifica generale individuale e dalla vittoria della nostra rappresentativa nella classifica per nazioni. In campo femminile il successo italiano è assoluto: alle medaglie d'oro di P. Cristofori (500 m cronometro, 500 m velocità), L. Foini (3000 m), I. Van Marle (5000 m) e di Cristofori-Van Marle (americana 5000 m), si aggiungono quella d'argento di P. Cristofori (3000 m) e quella di bronzo di I. Van Marle (500 m cronometro, 3000 m). Nello stesso anno si disputano anche i campionati europei. In campo maschile s'impongono gl'italiani G. Cantarella (500 m velocità) e R. Marotta (10.000 m) e gl'inglesi J. Fry (500 m cronometro), J. Mullane (500 m) e M. McGeough (10.000 m). Il successo italiano è completato dalla medaglia d'argento di Cantarella (500 m cronometro) e De Persio (500 m velocità, 5000 m), e di bronzo conquistate da R. Marotta (500 m velocità, 10.000 m), G. De Persio (500 m cronometro), S. Aracu (20.000 m). In campo femminile è quasi completo il successo delle italiane che vincono con P. Cristofori (500 m cronometro, 500 m velocità, 5000 m), che si aggiudica anche il primo posto nella classifica generale individuale, e I. Van Marle (3000 m); la belga A. Lambrechts conquista una sola vittoria (10.000 m). L'italiana P. Cristofori vince anche il titolo nella classifica generale individuale. I primati: tutti i record mondiali maschili sulle distanze metriche fino a 100 km, sulle distanze inglesi fino a 50 miglia (a eccezione del 1/4 di miglio che appartiene al neozelandese J. Glover), nelle prove contro il tempo (fino a 2 ore) e nell'americana, appartengono ad atleti italiani. Ne sono infatti detentori: S. Magliocco (500 m, 1/2 miglio), C. Ruggeri (1000 m, 1500 m), G. Ferretti (1 miglio, 3000 m), v. De Cesaris (3 miglia, 5000 m, 5 miglia), R. Marotta (10.000 m, 15.000 m), A. Maestri (mezzora, 20.000 m, 25.000 m, 30.000 m, 15 miglia, 20 miglia), A. Civolani (25 miglia, 30 miglia, 50 miglia, 50 km, 100 km, 1 ora, 2 ore), R. Marotta-C. Ruggeri (americana 5 miglia, 1 ora), S. Marotta-B. Piccolini (americana 10 km, 15 km, 20 km, 30 km, 15 miglia, mezzora), G. Ferretti-A. Maestri (americana 10 miglia, 20 miglia), L. Cavallini-G. Venanzi (americana 25 miiglia, 30 miglia, 50 km). Sulle grandi distanze detengono invece i primati mondiali l'inglese L.F. Goodchild (100 miglia, 3 ore, 4 ore, 5 ore) e il francese H. Laumonier (200 km, 300 km, 400 km, 10 ore, 20 ore, 24 ore). In campo femminile è l'italiana M. Danesi a detenere numerosi record mondiali nelle distanze metriche (fino a 30 km), in quelle inglesi (fino a 20 miglia) e nelle misure per tempi (mezzora, 1 ora) mentre l'altra italiana P. Carucci detiene quelli sulle distanze maggiori (50 km, 100 km, 30 miglia, 50 miglia, 2 ore, 3 ore, 4 ore, 5 ore).

Pattinaggio artistico. - Nella 21ª edizione dei campionati mondiali, disputati a Roma nel 1976, la nostra rappresentativa ha ottenuto un successo senza precedenti: L. Mestriner in campo femminile e U. Paganelli in quello maschile hanno conquistato la medaglia di bronzo negli esercizi individuali; l'Italia ha conquistato inoltre il terzo posto nella classifica per nazioni. Nell'edizione 1977 dei campionati mondiali disputati al Velodromo olimpico di Montreal, la rappresentativa italiana ha conquistato ancora il terzo posto alle spalle degli SUA e della Rep. Fed. di Germania; ai campionati europei disputati a Hellbron (Rep. Fed. di Germania) i nostri atleti hanno conquistato la medaglia d'argento con D. Hengeben e M. Massetti (coppie) e C. e D. Bernardi (danza). Ai campionati mondiali disputati nel 1978 gl'italiani hanno confermato la loro validità conquistando la medaglia di bronzo nella danza con C. e D. Bernardi e conservando la terza posizione nella classifica a squadre. Ai campionati europei, disputati a Palma di Majorca, hanno conquistato la medaglia d'oro con i fratelli Bernardi nella danza e di bronzo con L. Mestriner nell'individuale femminile.

Pesca subacquea. - La pratica della pesca subacquea è molto antica, e uomini immersi sott'acqua sono rappresentati in affreschi cretesi del 2000 a. C.; Erodoto parla di sommozzatori militari e Aristotele descrive quelli di Alessandro Magno. Ma la nascita dello s. della pesca subacquea è recente e si può far risalire al 1949, anno in cui per la prima volta al mondo si disputò una gara ufficiale e disciplinata da un preciso regolamento. La competizione, che prese il nome di precampionato italiano, si disputò nel 1949 all'isola della Gorgona, al largo di Livorno: vi presero parte 37 concorrenti e risultò vincitore il genovese L. Stuart Tovini con 68.440 punti. Il regolamento era stato messo a punto dalla FIPS (Federazione Italiana Pesca Sportiva e attività subacquee), aderente al CONI, e successivamente fu adottato da tutti gli altri paesi.

Una gara di pesca subacquea si svolge tra più atleti, i quali su un delimitato campo di gara (un tratto di mare segnalato con boe) e per un determinato periodo di tempo (in genere 5 0 6 ore), debbono realizzare il miglior carniere possibile, che verrà poi tramutato in punti a seconda del peso complessivo delle prede e del loro numero. Va precisato infatti, che il valore in punti di una preda è uguale al suo peso in grammi, più l'aggiunta di un coefficiente di maggiorazione pari al peso minimo stabilito dal regolamento della gara (al di sotto del quale quindi le prede non sono valide); per es., in una competizione il cui il peso minimo delle prede sia stato stabilito in 200 g, un pesce di 800 g sarà considerato, ai fini della classifica, con 1000 punti (cioè 800 g più il coefficiente 200). E ciò nel desiderio di ridurre, per quanto è possibile, il fattore fortuna assegnando più punti, a parità di peso, al pescatore che avrà preso più prede. Va precisato che non tutti i pesci sono validi per la classifica: alcune specie sono del tutto escluse come i Cefalopodi (polpi, calamari, seppie), i Batoidei (razze, trigoni, ecc.), le aragoste; altre specie, come gli Anguillidi (murene, gronghi), oppure i gattucci e le rane pescatrici valgono solo come preda purché siano di peso superiore ad 1 kg; in questo caso è accreditato al concorrente solo il coefficiente di maggiorazione che è stabilito in 500 punti. Per quanto riguarda le prede più comuni di un pescatore subacqueo, esse sono: cernie, saraghi, orate, spigole, dentici, cefali, ricciole, corvine, tordi. Esiste, come abbiamo visto, anche un peso minimo al di sotto del quale il pesce non è valido per la classifica; per le cernie (la preda classica del pescatore subacqueo) tale peso minimo è stabilito in 1000 g, mentre per tutti gli altri pesci può variare da 200 a 400 g; si tratta di disposizioni di carattere ecologico che la FIPS ha introdotto nel suo regolamento di gara, insieme con altre norme protettive.

Le gare di pesca subacquea vengono disputate in apnea, cioè senza l'ausilio di apparecchi di respirazione (autorespiratori) e solo con l'autonomia consentita dalla capacità polmonare di ciascun atleta. Generalmente pescatori subacquei bene allenati dispongono di apnee che vanno da uno a tre minuti e possono raggiungere profondità di 30 m e oltre, anche se a queste quote operano solo pochi campioni, quando sono bene allenati. È possibile invece usare altre attrezzature: mute di neoprene, maschere con tubo respiratore, pinne, torce elettriche, cinture di zavorra, mulinelli, coltelli, raffi e naturalmente fucili di qualsiasi tipo e dimensione. Fino a qualche anno fa erano usati fucili con propulsione a molla e a elastico, mentre attualmente sono preferiti i fucili oleopneumatici o ad aria compressa. È obbligatorio un pallone di segnalazione (segna-sub), collegato per mezzo di una sagola al pescatore, la cui posizione in immersione risulta così indicata in ogni momento.

Il calendario agonistico italiano prevede numerose gare di selezione opportunamente localizzate sull'intero sviluppo delle coste e, a conclusione di queste gare, un campionato italiano assoluto. Il campionato italiano si disputa su 3 giornate di gara di almeno 5 ore ciascuna. Solo per questa gara la classifica è redatta (a partire dal 1968) in base ai piazzamenti di ciascun atleta nelle singole giornate, vale a dire con l'attribuzione di un punteggio corrispondente al piazzamento in ciascuna giornata di gara: i punto all'atleta che si è piazzato primo, 2 punti al secondo, 3 punti al terzo, e così via. Di conseguenza vince il titolo di campione italiano assoluto l'atleta che ha ottenuto i migliori piazzamenti, vale a dire il più basso punteggio complessivo delle tre giornate di gara. I primi 10 classificati entrano a fare parte della "categoria nazionale" e sono ammessi di diritto ai campionati italiani dell'anno successivo. Il campionato italiano non è valido se non sono state disputate almeno due giornate di gara. Per poter partecipare alle competizioni i concorrenti debbono essere iscritti alla FIPS, anche attraverso i vari circoli di appartenenza.

Oltre ai campionati nazionali si svolgono gare continentali e campionati mondiali. Ai mondiali partecipano squadre rappresentative nazionali di tre elementi (più uno di riserva) e la durata della competizione è di due giornate di gara di 6 - 7 ore ciascuna.

Campionati mondiali. - 1957, Lussimpiccolo (Iugoslavia): 1) Mario Catalani (Italia) p. 60.140; 2) Matko Armanda (Jugoslavia); 3) Znonko Balenovich (Iugoslavia). Per nazioni: 1) Italia; 2) Iugoslavia; 3) Francia. 1958, Sesimbra (Portogallo): 1) Jules Corman (Francia) p. 69.200; 2) Henri Roux (Francia); 3) Claudio Ripa (Italia). Per nazioni: 1) Francia; 2) Italia; 3) Brasile. 1959, Malta, Isole di Gozo e Comino: 1) Terry Lenz (SUA) p. 53.050; 2) Bernardo Marti (Spagna); 3) Claudio Ripa (Italia). Per nazioni: 1) Spagna; 2) Italia; 3) SUA. 1960, Isole Eolie e Ustica (Italia): 1) Bruno Hermany (Brasile) p. 47.320; 2) Claudio Ripa (Italia); 3) Don Del Monico (SUA). Per nazioni: 1) Italia; 2) Spagna; 3) SUA. 1961, Almeria (Spagna): 1) José Gomez (Spagna) p. 228.500; 2) José Noguera (Spagna); 3) Claudio Ripa (Italia). Per nazioni: 1) Spagna; 2) Francia; 3) SUA (Italia 5ª). 1963, Rio de Jiancino (Brasile): 1) Bruno Hermany (Brasile) p. 141.000; 2) Gary Kefler (SUA); 3) Hugues Dassault (Francia). Per nazioni: 1) Francia; 2) Brasile; 3) SUA (Italia 6ª). 1965, Morea (Polinesia Francese): 1) Ron Taylor (Australia) p. 97.820; 2) Haeta Colas (Francia); 3) Jean Tapu (Francia). Per nazioni: 1) Francia; 2) Australia; 3) SUA (Italia 8ª). 1967: Cayo Avalos (Cuba): 1) Jean Tapu (Francia) p. 945.350; 2) Pedro Gomez (Cuba); 3) José Reyes (Cuba). Per nazioni: 1) Cuba; 2) Francia; 3) Spagna (Italia 5ª). 1969, Isole Eolie (Italia): 1) Massimo Scarpati (Italia) p. 51.200; 2) Carlo Gasparri (Italia); 3) Arturo Santoro (Italia). Per nazioni: 1) Italia; 2) Francia; 3) Brasile. 1971, Iquique (Cile): 1) Raoul Choque (Cile) p. 405.550; 2) John Ernst (SUA); 3) Luciano Barchi (Perù). Per nazioni: 1) Cile; 2) SUA; 3) Italia. 1973, Cadaques (Spagna): 1) José Amengual (Spagna) p. 107.150; 2) Massimo Scarpati; 3) José Noguera (Spagna). Per nazioni: 1) Spagna; 2) Italia; 3) Francia. 1975, Isole Chincha (Peru): 1) Jean-Baptiste Esclapez (Francia) p. 367.050; 2) Ricardo Dias (Brasile); 3) José Amengual (spagna). Per nazioni: 1) Brasile; 2) Spagna; 3) SUA (Italia 5a). 1977: Non disputato.

Campionati italiani. - 1949, Isola di Gorgona: Luigi Stuart Tovini p. 68.440. 1950, Isola di Capraia: Egidio Boccia p. 73.620. 1951, Isole di Ponza e Palmarola: Raimondo Bucher p. 64.590. 1952, Capo Argentario (non disputato per maltempo). 1953, Isole di Procida e Ischia: Ennio Falco p. 37.760. 1954, Capo Argentario: Ruggero Jannuzzi p. 26.780. 1955, Isola del Giglio e Capo Argentario: Roberto Aconito p. 35.775. 1956, Isola d'Elba: Alessandro Olschki p. 22.920. 1957, Catania: Ennio Falco p. 19.135. 1958, Isola d'Elba: Ennio Falco p. 57.630. 1959, Isole di Tavolara e Molara (titolo non assegnato). 1960, Isola d'Elba: Claudio Ripa p. 24.690. 1961, Isole Tremiti: Claudio Ripa p. 70.610. 1962, Isola d'Ischia: Paolo Bencini p. 38.115. 1963, Isole Tremiti: Guido Trelsani p. 44.450. 1964, Isole di Pianosa e d'Elba: Carlo Gasparri p. 51.575. 1965, Isole Tremiti: Luciano Galli p. 45.270. 1966, Isola di Ponza: Carlo Gasparri p. 27.360. 1967, Isole Eolie: Carlo Gasparri p. 84.200. 1968, Isole Eolie: Massimo Scarpati p. 4. 1969, Alghero: Massimo Scarpati p. 8. 1970, Alghero: Massimo Scarpati p. 5. 1971, Isole Egadi: Massimo Scarpati p. 5. 1972, Santa Teresa di Gallura: Carlo Gasparri p. 8. 1973, Villasimius: Massimo Scarpati p. 2. 1974, Isola di Pantelleria: Arturo Santoro p. 3. 1975, Santa Teresa di Gallura: Carlo Gasparri p. 13. 1976, Isole Egadi: Claudio Martinuzzi p. 16. 1977, Isole Tremiti: Arturo Santoro p. 5. 1978, Capo Rizzuto: Antonio Toschi p. 2.

Ping pong. - Nato in Inghilterra nella seconda metà del secolo scorso, il suo sviluppo fu dapprima dovuto alla The ping pong association costituita nel 1902 e successivamente alla The English tennis table association che ne propagandava la pratica sportiva e ne promulgava il primo regolamento organizzando tornei e campionati locali. Il gioco veniva successivamente diffuso nei paesi asiatici (Giappone, Cina e Corea), ma incontrava notevole successo soprattutto nei paesi dell'Europa centrale tanto che in Austria, Germania, Ungheria, Cecoslovacchia, e successivamente in Belgio, Francia, Romania e Svezia, venivano costituite le prime federazioni nazionali. Nel 1926 il tedesco G. Lehmann unificava le federazioni allora esistenti nei vari paesi e fondava a Berlino la International Table Tennis Federation che fissava le regole fondamentali del gioco e programmava le prime gare ufficiali per arrivare alla disputa, nel dicembre dello stesso anno, del primo campionato mondiale.

Dopo la parentesi della seconda guerra mondiale iniziava il declino della supremazia dei paesi europei, principalmente Ungheria e Cecoslovacchia, e si assisteva al progredire dei paesi asiatici, particolarmente Giappone e Cina, soprattutto per l'introduzione e l'applicazione di nuove tecniche di gioco. La diffusione in Italia fu inizialmente dovuta, intorno agli anni Quaranta, a una federazione sorta a Genova e successivamente disciolta dalle autorità politiche del tempo. Nel 1945 veniva costituito a Livorno il Gruppo italiano del tennistavolo che operava sotto l'egida della Federazione italiana tennis e che, nel 1948, dava inizio alla disputa del campionato italiano. Nel 1960 veniva infine fondata la Federazione Italiana Tennis Tavolo (FITeT) che dal 1974 è compresa tra quelle aderenti al CONI.

L'attività agonistica si svolge in campo internazionale con manifestazioni di vario genere: campionati mondiali, europei, Giochi del Mediterraneo, tornei e incontri tra rappresentative nazionali. In campo nazionale si disputano invece un campionato individuale di singolare (maschile e femminile) e di doppio (maschile, femminile e misto), campionati a squadre di serie A e serie B (maschili e femminili), serie C e D (solo maschile), tornei nazionali (Coppa Italia), interregionali (Coppa delle Regioni, Coppa delle Fiere), regionali e locali. Ogni squadra è composta da un numero diverso di giocatori in base alla formula delle manifestazioni, secondo la regolamentazione internazionale.

Nella formula adottata per la disputa dei campionati mondiali maschili, ogni squadra è composta da tre giocatori, ciascuno dei quali deve incontrare, in una successione predeterminata dal sorteggio e dalla formazione della squadra, ogni giocatore della squadra avversaria. Vince la competizione la squadra che per prima si aggiudica 5 dei 9 incontri in programma. Nella formula adottata nei campionati mondiali femminili, ogni squadra è composta da due singolariste e da un gruppo di doppio, il quale doppio può anche essere disputato dalle stesse due atlete singolariste. Anche in questo caso le partite vengono giocate al meglio dei tre set. Gl'incontri si svolgono con la formula della Coppa Davis e si aggiudica l'incontro la squadra che totalizza tre punti. Nella formula "Lega Europea", adottata nella disputa dei campionati europei, ogni squadra è composta da tre atleti, due uomini e una donna. Ogni competizione si articola su quattro incontri di singolare maschile, di un singolare femminile, di un doppio maschile e di un doppio misto, per un totale di sette incontri; vince la squadra che per prima arriva a vincere quattro incontri.

Pugilato. - Le tradizionali categorie di peso del pugilato erano otto: i pesi mosca, gallo, piuma, leggeri, welter, medi, mediomassimi e massimi. Negli ultimi anni però sono state introdotte nuove categorie, e pertanto queste sono attualmente undici per i dilettanti, tredici per la WBA (World Boxing Association), che per un certo periodo ne riconobbe solo dodici, e per il WBC (World Boxing Council). La WBA e il WBC sono i due organismi che cercano di controllare il pugilato professionistico; essi non hanno mai ottenuto autentica e completa credibilità anche perché pugili e organizzatori hanno sempre avuto interesse a mantenere un dualismo che consentiva la creazione di un maggior numero di titoli mondiali. Le undici categorie universalmente riconosciute sono: minimosca, mosca, gallo, piuma, leggeri, welter junior (o superleggeri), welter, medi junior (o superwelter), medi, mediomassimi e massimi; oltre a queste la WBA e la WBC riconoscono i leggeri junior e i supergallo.

Il pugilato dilettantistico continua ad avere la sua principale manifestazione a livello mondiale nelle Olimpiadi. Le ultime vittorie degl'italiani risalgono ai giochi del 1964 a Tokyo con F. Atzori (mosca) e C. Pinto (mediomassimi). Negli ultimi anni si è però determinata nel pugilato dilettantistico una situazione di disagio. Poiché nei paesi dell'Est europeo e a Cuba non esiste il professionismo, arrivano alle Olimpiadi pugili con un bagaglio di esperienza di oltre 200 incontri: a questi veterani gli altri paesi oppongono giovani con un curriculum di 30 ÷ 40 incontri. Pertanto solo gli Stati Uniti, che hanno un grande ricambio, sono in grado di opporsi con qualche successo. Ne consegue che, se si prendono in esame i risultati delle Olimpiadi dal 1948 al 1976, si trova che i paesi dell'Est europeo e Cuba hanno complessivamente conquistato 39 medaglie d'oro nel pugilato, contro 18 degli Stati Uniti e 24 di tutte le altre nazioni.

Per quanto riguarda i titoli mondiali in campo professionistico si può dire che fino all'inizio degli anni Sessanta, malgrado alcune eccezioni, la situazione è stata abbastanza chiara, nel senso che si aveva un campione del mondo per ogni categoria di peso. Ma poiché non è mai esistita una vera e propria Federazione mondiale del pugilato in grado d'imporre le sue regole e le sue decisioni, si è determinata nel tempo un'autentica anarchia, a stento frenata dalla critica. Quasi contemporaneamente sono poi sorti due organismi, i già citati WBA e WBC, con la pretesa di controllare il mondo del pugilato. In realtà si è ottenuto soltanto uno sdoppiamento dei titoli, è aumentata la confusione e il pubblico ha finito con il capirci poco o nulla. Basti dire che al 31 dicembre 1978 soltanto in una categoria di peso, quella dei medi, con H. Corro, si aveva un unico campione del mondo; in tutte le altre categorie esistevano dei doppioni.

Infatti alla data suddetta si avevano i detentori dei titoli mondiali, rispettivamente nella versione WBA e in quella WBC, riportati nella prima tabella. I pugili italiani che dal 1961 al 1978 hanno conquistato il titolo mondiale sono: nei mosca, S. Burruni (1965); nei minimosca, F. Udella (1975); nei welter junior, D. Loi (1962), S. Lopopolo (1966) e B. Arcari (1970-74); nei medi junior, S. Mazzinghi (1963-64 e 1968), N. Benvenuti (1965) e C. Bossi (1970-71); nei medi, N. Benvenuti (1967 e 1968-70); nei medi junior R. Mattioli (1977-78).

Per quanto riguarda i titoli di campione d'Europa, alla fine del 1978 si aveva la seguente situazione, nelle varie categorie di peso: mosca, F. Udella (S. Burruni nel 1961-64, F. Atzori nel 1967-72); gallo, lo spagnolo J. F. Rodriguez (T. Galli nel 1965-66, S. Burruni nel 1968-69, F. Zurlo nel 1969-71, S. Fabrizio nel 1976 e ancora Zurlo nel 1977-78); piuma, lo spagnolo R. Castanon (T. Galli nel 1969-70, E. Cotena nel 1975-76); superpiuma, N. Vezzoli (T. Galli nel 1971-72); leggeri, lo scozzese J. Watt (F. Brandi nel 1965, A. Puddu nel 1971-73); superleggeri, lo spagnolo F. Sanchez (B. Arcari nel 1968-69); welter, l'inglese A. Rhiney (D. Loi nel 1960-62, F. Manca nel 1964-65, C. Bossi nel 1967-68, S. Bertini nel 1969); superwelter, il francese G. Cohen (B. Visintin nel 1964-65, S. Mazzinghi nel 1966-67, R. Golfarini nel 1968-69, C. Duran nel 1970, V. Antuofermo nel 1976); medi, l'inglese A. Minter (N. Benvenuti nel 1965-66, C. Duran nel 1967-69 e nel 1970, R. Calcabrini nel 1973, A. Jacopucci nel 1976, G. Valsecchi nel 1976); mediomassimi, A. Traversaro (G. Rinaldi nel 1962-64, P. Del Papa nel 1966-67 e nel 1970, D. Adinolfi nel 1974-76); massimi, lo spagnolo A. Evangelista.

Infine, le vicende riguardanti il titolo di campione italiano delle varie categorie, per lo stesso periodo, si possono così riassumere: mosca, vacante dal 1960 al 1967, F. Sperati, L. Boschi, E. Pireddu, F. Buglione e G. Camputaro; gallo, F. Scarponi, G. Linzalone, T. Galli, F. Zurlo, E. Farinelli, A. Sassarini, S. Fabrizio, A. Mariani, F. Buglione e A. Mulas; piuma, M. Sitri, L. Mastellaro, A. Silanos, N. Carbi, G. Girgenti, E. Cotena, S. Emili e S. Melluzzo; superpiuma (dal 1970), M. Redi, M. Sanna, U. Poli, G. Girgenti, N. Vezzoli, S. Liscapade e C. Frassinetti; leggeri, G. Campari, M. Vecchiatto, A. Pravisani, C. Coscia, E. Petriglia, E. Pizzoni, V. Burgio e G. Usai; superleggeri (dal 1963), S. Lopopolo, P. Brandi, B. Arcari, R. Fanali, E. Fasoli, P. Cerù, B. Freschi, P. Bandini e G. Martinese; welter, B. Visintin, F. Manca, D. Tiberia, C. Bossi, S. Bertini, M. Scano, D. Di Jorio, V. Conte e G. Molesini; superwelter (dal 1963), B. Visintin, R. Golfarini, A. Battistutta, D. Tiberia, A. Bentini, A. Castellini e D. Lassandro; medi, B. Fortilli, R. Carati, N. Benvenuti, B. Santini, C. Duran, L. Patruno, M. Lamagna, L. Sarti, S. Soprani, M. Romersi, A. Jacopucci e M. Salvemini; mediomassimi, G. Rinaldi, P. Del Papa, V. Saraudi, G. Macchia, D. Adinolfi, A. Traversaro e E. Cometti; massimi, R. Mazzola, F. Cavicchi, S. Amonti, P. Tomasoni, G. Ros, M. Baruzzi e D. Canè.

Si dice che il pugilato sia una disciplina in grave crisi e l'affermazione è senz'altro giustificata. Si vuole che con il miglioramento delle condizioni economiche e sociali in tutto il mondo, i giovani abbiano via via perduto la dura strada della palestra. Non a caso il pugilato ha sempre trovato la maggior parte dei suoi protagonisti negli strati più poveri e indifesi della società. Negli Stati Uniti, per es., i pugili sono stati dapprima in gran parte irlandesi, poi emigrati italiani e successivamente uomini di colore. Si afferma anche che, almeno a certi livelli, il grande pugilato sia stato tenuto in piedi dalla personalità di Muhammed Ali (già Cassius Clay), sicuramente uno dei campioni più popolari di tutti gli s. e di tutti i tempi.

Alla popolarità, ma anche alla crisi, del pugilato ha certamente contribuito la televisione. Portando nelle case le immagini di grandi incontri, la Tv ha infatti reso difficili i gusti del pubblico e allontanato gli spettatori dai botteghini delle arene pugilistiche; distribuendo inoltre borse molto alte, la Tv ha determinato abitudini e richieste da parte dei pugili, difficili o impossibili da accontentare quando il mezzo televisivo non è disponibile. Comunque la crisi, quantitativa e qualitativa, del pugilato è un fatto accertato. Rimane da stabilire - e ce lo diranno i prossimi anni - se si tratta di un processo irreversibile o soltanto di una crisi momentanea.

Rugby. - In questi ultimi anni, l'International Bureau, l'organizzazione che sovraintende al rugby nel mondo, ha apportato al regolamento tecnico del gioco importanti innovazioni intese a rendere lo s. della palla ovale più veloce, più dinamico e, anche, più spettacolare. Per es., il calcio in touche, che poteva essere tirato da qualsiasi punto del campo, con la nuova regolamentazione non può essere effettuato, per poter essere vantaggioso, oltre l'area dei 22 m; le terze linee, che potevano staccarsi dalla mischia per bloccare il mediano prima ancora che la palla fosse uscita dalla stessa, ora non possono disunirsi se la palla, dopo essere stata tallonata, non è completamente uscita dalla mischia; i trequarti, nelle rimesse laterali, devono porsi a 10 m dallo schieramento in touche; infine, la meta che valeva tre punti, ora ne vale quattro, per una più giusta equidistanza con il calcio piazzato e con il drop. È indubbio che con la nuova regolamentazione il livello tecnico del rugby è sensibilmente salito; a ciò ha contribuito anche, in campo internazionale, una diversa organizzazione dei club anglosassoni. Questi, dal 1964 (anno in cui la nazionale inglese fu sconfitta da quella sudafricana per 24-3) si avvalgono di veri e propri allenatori con specifiche ed esclusive mansioni tecniche, mentre fino a quella data era stato il capitano della squadra a svolgere "pro forma" la funzione di allenatore. Il nuovo indirizzo ha portato a livelli più alti non soltanto la tattica ma anche la preparazione atletica e specifica dei giocatori.

Attualmente nel mondo del rugby le nazioni più forti sono il Galles e la Nuova Zelanda, dopo le quali seguono la Scozia, il Sudafrica, l'Inghilterra e la Francia; quest'ultima rimane sempre in campo rugbystico la più forte in Europa. L'Italia, che stenta a inserirsi tra le grandi a causa di una limitata possibilità selettiva e di una lacunosa preparazione atletica di base, ha fatto registrare, negli ultimissimi anni apprezzabili progressi, grazie anche all'apporto di allenatori gallesi e francesi delle squadre nazionali.

Questa l'attività internazionale dell'Italia negli ultimi diciotto anni: 1961: Italia-Germania 10-0; Francia-Italia 17-0. 1962: Italia-Francia 3-6; Rep. Fed. di Germania-Italia 11-13; Romania-Italia 14-6. 1963: Francia-Italia 14-12; 1964: Italia-Rep. Fed. di Germania 17-3; Italia-Francia 3-12; 1965: Francia-Italia 21-0; Italia-Cecoslovacchia 11-0; 1966: Italia-Francia 0-21; Rep. Fed. di Germania-Italia 3-3; Italia-Romania 3-0. 1967: Francia-Italia 60-13; Italia-Portogallo 6-3; Romania-Italia 24-3. 1968: Portogallo-Italia 3-17; Italia-Rep. Fed. di Germania 22-14; ItaliaIugoslavia 22-3. 1969: Bulgaria-Italia 0-17; Italia-Spagna 12-5; BelgioItalia 0-30; Italia-Francia 8-22. 1970: Cecoslovacchia-Italia 3-11; Madagascar-Italia 9-17; Madagascar-Italia 6-9; Italia-Romania 3-14; 1971: Italia-Marocco 6-8; Francia-Italia 37-13; Romania-Italia 32-6. 1972: Italia-Iugoslavia 13-12. 1973: Portogallo-Italia 9-6; Italia-Cecoslovacchia 3-3; Iugoslavia-Italia 7-25; Italia-Australia 21-59. 1974: Portogallo-Italia 3-11; Italia-Rep. Fed. di Germania 16-10. 1975: Italia-Francia B 16-9; Spagna-Italia 3-19; Romania-Italia 3-3; Italia-Cecoslovacchia 49-9. 1976: Italia-Francia 11-23; Italia-Romania 13-12; Italia-Giappone 25-3; Italia-Australia 15-16; Italia-Spagna 17-4. 1977: Francia-Italia 10-3; Marocco-Italia 10-9; Italia-Polonia 29-3; Romania-Italia 69-o; Polonia-Italia 12-6; Cecoslovacchia-Italia 4-10; Italia-Romania 10-10; Spagna-Italia 10-3. 1978: Francia B-Italia 31-9; Italia-Argentina 19-5; URSS-Italia 11-9; Italia-Spagna 35-3.

Dal 1961 al 1978 hanno vinto il massimo campionato italiano le seguenti società: Fiamme Oro Padova (1961 e 1968), Rugby Rovigo (1962, 1963, 1964), Partenope Napoli (1965 e 1966) Rugby Aquila (1967 e 1969), Petrarca Padova (dal 1970 al 1974 e 1977), La Concordia Rugby Brescia (1975), Sanson Rovigo (1976), Benetton Treviso (1978).

Scherma. - L'Italia, che fino al 1960 aveva occupato una posizione di primissimo piano in campo mondiale, denunciava in seguito un improvviso cedimento per mancanza di validi successori ai campioni che abbandonavano l'attività. Nelle varie edizioni dei campionati mondiali gli azzurri hanno vinto, fino al 1970, una medaglia di bronzo nella sciabola con W. Calarese (1963), una d'argento con A. Ragno nel fioretto femminile (1967) e tre medaglie di bronzo nel fioretto femminile a squadre (1962,1963,1965). Successivamente la scherma italiana ha mostrato segni di ripresa conquistando tre medaglie d'oro nella sciabola con M. Maffei (1971) e M.A. Montano (1973,1974), oltre a una d'argento con N. Granieri nella spada (1971), una di bronzo ancora nella spada con J. Pezza (1973), una d'argento con C. Montano nel fioretto (1974) e una di bronzo nella sciabola con M. Maffei (1978). A queste medaglie si debbono aggiungere quelle conquistate nelle competizioni a squadre: le medaglie di bronzo nella sciabola (M. Maffei, C. Salvadori, M.A. Montano, M.T. Montano, R. Rigoli) nel 1971 e nel 1973; quella d'argento, ancora nella sciabola (M.A. Montano, M.T. Montano, M. Romano, R. Rigoli, M. Maffei) nel 1974; la medaglia di bronzo nel fioretto maschile (S. Simoncelli, N. Granieri, T. Coletti, A. Calatroni, C. Montano) nel 1975; la medaglia d'argento ancora nel fioretto maschile (A. Borella,T. Coletti, F. Dal Zotto, C. Montano) nel 1977; la medaglia di bronzo nelle sciabola (A. Arcidiacono, G.F. Dalla Barba, M. Maffei, M.T. Montano) nel 1978.

I vincitori delle diverse specialità nei campionati mondiali, che non si disputano nell'anno dei Giochi Olimpici, sono stati: per il fioretto individuale maschile il polacco T. Parulski (1961), il sovietico G. Svešnikov (1962,1966), il francese J. Magnan (1963,1965), il sovietico V. Putjatin (1967), il tedesco occidentale F. Wessel (1969,1970), il sovietico V. Stankovich (1971), il francese C. Noel (1973,1975), il sovietico A. Romankov (1974,1977), il francese D. Flament (1978); per la spada individuale il francese J. Guittet (1961), l'ungherese I. Kausz (1962), l'austriaco R. Losert (1963), l'ungherese Z. Nemese (1965), il sovietico A. Nikančikov (1966,1967,1970), il polacco B. Andrzejewski (1969), il sovietico G. Kriss (1971), lo svedese R. Edling (1973,1974), il tedesco occidentale A. Pusch (1975,1978), lo svedese G. Harmenberg (1977); per la sciabola individuale il sovietico Y. Rylsky (1961,1963), l'ungherese Z. Horvath (1962), il polacco J. Pawlowski (1965,1966), i sovietici M. Rakita (1967) e v. Sidiak (1969), l'ungherese T. Pezsa (1970), gl'italiani M. Maffei (1971) e M.A. Montano (1973,1974), il sovietico V. Mazlimov (1975), l'ungherese P. Gerevich (1977), il sovietico V. Krovopouskov (1978).

Nel fioretto individuale femminile hanno vinto: la tedesca H. Schmidt (1961), la romena O. Szabo (1962), l'ungherese I. Rejto (1963), la sovietica G. Gorokhova (1965,1970), la sovietica T. Samusenko (1966), le sovietiche A. Zabelina (1967) e E. Novikova (1969), la francese M. Demaille (1971), la sovietica E. Nikonova (1973), l'ungherese I. Nobis (1974), la romena C. Stahl (1975) e la sovietica V. Sidorova (1977, 1978).

Nelle competizioni a squadre i titoli sono stati vinti, nel fioretto maschile dall'Unione Sovietica (1961, 1962, 1963, 1965, 1966, 1969, 1970, 1973, 1974), dalla Romania (1967), dalla Francia (1971, 1975), dalla Rep. Fed. di Germania (1977) e dalla Polonia (1978); nella spada dall'Unione Sovietica (1961, 1967, 1969), dalla Francia (1962, 1965, 1966), dalla Polonia (1963), dall'Austria (1970), dall'Ungheria (1971, 1978), dalla Rep. Fed. di Germania (1973), dalla Svezia (1974, 1975, 1977); nella sciabola dalla Polonia (1961, 1962, 1963), dall'Ungheria (1966, 1973, 1978), e dall'Unione Sovietica (1965, 1967, 1969, 1970, 1971, 1974, 1975, 1977). Nel fioretto femminile i titoli sono stati vinti dall'Ungheria (1962, 1967, 1973), dalla Romania (1969) e dall'Unione Sovietica (1961, 1963, 1965, 1966, 1967, 1970, 1971, 1974, 1975, 1977, 1978).

Per i titoli relativi agli anni 1964, 1968, 1972 e 1976, v. la voce olimpici, giochi, in questa Appendice.

Sci E Sport invernali. - Tanto nei Giochi Olimpici Invernali, quanto nei campionati del mondo e d'Europa, il periodo 1961-78 è stato positivo per gli specialisti italiani dello sci, del bobsleigh e dello slittino, in quanto essi hanno conseguito affermazioni internazionali senza precedenti. Nella stagione 1960-61, l'Italia si è aggiudicata definitivamente la prima Coppa Kurikkala (con sette vittorie nel decennio, contro due della Francia e una della Rep. Fed. di Germania). Il cortinese B. Alberti ha vinto a Mürren la prova di discesa del XXVI Arlberg-Kandahar, a parità di tempo con il tedesco F. Wagnerberger. Nei campionati del mondo di bobsleigh, E. Monti ha ripetuto la trionfale affermazione dell'anno precedente: due medaglie d'oro, con S. Siorpaes nel bob a due, con F. Nordio, W. Rigoni e S. Siorpaes nel bob a quattro; M. Zardini e R. Bonagura, terzi nel boblet, hanno completato il trionfo italiano. Nello slittino incominciano le nostre risonanti vittorie, grazie agli specialisti dell'Alto Adige: nei mondiali di Girenbad, medaglia d'oro nel doppio maschile a G. Pichler ed E. Prinoth, quella d'argento a G. Moroder e A. Prinoth.

Nel 1961-62, nuova affermazione italiana nei mondiali di bobsleigh: oro (R. Ruatti-E. De Lorenzo) e argento (M. Zardini-R. Bonagura) nel "due", argento (M. Zardini, R. Bonagura, E. Della Torre, E. De Lorenzo) nel "quattro". Nei mondiali di slittino a Krjnica, nuova vittoria nel doppio maschile, con J. Graber e G. Ambrosi. Nella stagione successiva, 1962-63, si eleva il tono internazionale del fondismo italiano: M. De Dorigo (a parità con il finlandese P. Oikarainen) vince la gara dei 15 km di Le Brassus e s'impone successivamente all'attenzione mondiale nelle preolimpiche di Seefeld, dove è secondo nella gara dei 30 km (primo il norvegese E. Oesbye) e vince clamorosamente quella dei 15 km, dinanzi a tutti i più forti specialisti mondiali. Raggiungendo la velocità di 127,659 km/h, l'italiana E. Spreafico stabilisce il primato mondiale femminile sul km lanciato. Nei mondiali di bobsleigh, gli azzurri ottengono la più notevole affermazione: E. Monti-S. Siorpaes e M. Zardini-R. Bonagura sono primi e secondi nel boblet, gli equipaggi M. Zardini-B. Bonagura-E. Della Torre-R. Mocellini e A. Frigerio-R. Mocellini-W. Pullua-L. De Bettin, primi e secondi nel "quattro".

Nel 1963-64 N. Zandanel vince la gara di salto di Oberstdorf, realizzando con un salto di 144 m il massimo limite mondiale di lunghezza. Nel km lanciato del Plateau Rosa (Cervinia) la "fiamma gialla" L. Di Marco conquista il nuovo primato mondiale di velocità, con 174,428 km/h. Nei Giochi Olimpici di Innsbruck, M. Zardini-R. Bonagura ed E. Monti-S. Siorpaes sono secondi e terzi nel boblet; E. Monti-S. Siorpaes-B. Rigoni-G. Siorpaes terzi nel "quattro". J. Aussersdorfer e S. Mayr si aggiudicano la medaglia di bronzo nel doppio maschile (slittino).

Il 2 genn. 1965, per la prima volta nella storia dello sci nordico, un italiano vince una gara di fondo nei paesi del grande Nord: la gara è la Skarklitt, il vincitore F. Nones. Purtroppo, poche settimane prima, nel corso del consueto lungo periodo di allenamento a Volodalen (Svezia) M. De Dorigo, perdutosi a causa di nebbia improvvisa nella foresta, riportò gravi danni fisici per congelamento e fu costretto a chiudere la sua attività agonistica. In quell'anno si ottennero due secondi posti nei mondiali di bob: R. Ruatti-E. De Lorenzo (nel "due"), N. De Zordo-R. Mocellini-E. De Lorenzo-P. Lesana (nel "quattro"). Nei mondiali di slittino a Davos, J. Graber fu terzo nel singolo maschile. Nella stagione 1965-66 la staffetta azzurra, composta da G. De Florian, F. Nones, G. F. stella, F. Manfroi, conquista la medaglia di bronzo nei campionati mondiali di Oslo, preceduta da Norvegia e Finlandia, ma dinanzi a due prestigiose formazioni, come Svezia e Unione Sovietica. Nei mondiali di sci alpino, disputati per la prima volta nell'emisfero australe (Portillo, Cile), il gardenese C. Senoner trionfa nello slalom maschile. E. Monti-G. Siorpaes tornano alla vittoria nei mondiali di boblet, G. Gaspari-L. Cavallini sono secondi.

1966-67: ha inizio la Coppa del mondo di sci alpino, ideata dal giornalista francese S. Lang. Secondo posto di N. De Zordo-G. De Martin nei mondiali di boblet. Nei mondiali di slittino ad Hammerstrand, S. ed E. Mayr sono terzi nel doppio.

Nei Giochi Olimpici Invernali di Grenoble (1968), F. Nones vince la gara dei 30 km, realizzando la più sensazionale affermazione fra quelle sino a quell'epoca ottenute da fondisti italiani. I trionfi olimpici italiani proseguono con la vittoria di E. Lechner nel singolo femminile (slittino), mentre E. Monti sfata finalmente la sua tradizione d'incompatibilità olimpica, vincendo tanto nel boblet (con L. De Paolis), quanto nel bob più lungo (con L. De Paolis, R. Zandonella e M. Armano).

Nella stagione successiva (1968-69), ai campionati mondiali il bob a due è vinto da N. De Zordo-A. Frassinelli, con G. Gaspari-M. Armano al terzo posto, mentre il quartetto azzurro (G. Gaspari-D. Pompanin-R. Zandonella-M. Armano) si classifica secondo.

1969-70: la "fiamma gialla" G. Thöni, di Trafoi, esordisce trionfalmente nella squadra azzurra, vincendo lo slalom di Hindelang; trionfa ancora nel Lauberhorn, nell'Hahnenkamm e nella 3-TRE, concludendo al terzo posto la sua prima disputa della Coppa del mondo; il suo distacco dal vincitore K. Schranz è di soli otto punti. L'equipaggio azzurro N. De Zordo-R. Zandonella-M. Armano-L. De Paolis vince i mondiali di bob a quattro.

Nel 1970-71 Sestriere organizza la prima prova di slalom paralleli: la vincono G. Thöni e, in campo femminile, R. Joux. Nel complesso di gare preolimpiche di Sapporo (Giappone) la prova di discesa registra il successo di M. Varallo. G. Thöni si aggiudica la sua prima Coppa del mondo, dinanzi ai francesi H. Duvillard e P. Russel. Ancora affermazioni italiane nei mondiali di bobsleigh: oro e argento nel boblet (G. Gaspari-M. Armano e E. Vicario-C. Dal Fabbro); argento nel "quattro" (O. D'Andrea-A. Bignozzi-A. Brancaccio-R. Caldara). Completo trionfo italiano nei mondiali di slittino, disputati a Valdaora: K. Brunner vince il singolo, P. Hilgartner e W. Plaichner il doppio. Questi due ultimi ripetono il successo nei campionati d'Europa, a Imst.

I Giochi Olimpici di Sapporo (Hokkaidō, Giappone; stagione 1971-72) portano al massimo l'apprezzamento internazionale per gli specialisti italiani. In evidente regresso nello sci nordico, gl'italiani si distinguono nello sci alpino, dove conseguono una medaglia d'oro, una d'argento, una di bronzo: la vittoria è di G. Thöni (slalom gigante), il secondo posto dello stesso atleta (slalom), il terzo di R. Thöni (slalom); G. Thoni è anche campione del mondo di gran combinata, classifica non contemplata dal programma olimpico. Un'altra medaglia d'oro è attribuita agli azzurri, per merito di P. Hilgartner e W. Plaichner nello slittino (doppio) e un'altra d'argento, grazie al secondo posto dell'equipaggio N. De Zordo-G. Bonichon-A. Frassinelli-C. Dal Fabbro, nel bob a quattro. Nei campionati europei juniores di sci alpino, H. Plank vince la discesa e P. Hofer è terza nella stessa gara femminile. La torinese A. Tasgian si aggiudica la medaglia d'oro nello slalom gigante e quella d'argento nella gran combinata dei Giochi mondiali universitari, disputati a Lake Placid negli SUA. Nella Coppa del mondo, secondo trionfo di G. Thöni, dinanzi a H. Duvillard e all'elvetico E. Bruggmann. Lo splendido dominio italiano in questo settore agonistico è completato dalla conquista della Coppa Europa, alla sua prima edizione: l'ottiene I. Pegorari, e altri quattro italiani si classificano nei primi sette posti.

1972-73: clamoroso esordio di P. Gros, vittorioso nello slalom gigante di Val d'Isère, prova di apertura della stagione. G. Thöni (sesto in discesa libera e primo nello slalom) si attribuisce l'Arlberg-Kandahar, disputato a St. Anton, nell'Arlberg. Per la terza volta consecutiva, G. Thöni porta a casa la grande sfera di cristallo, trofeo in palio nella Coppa del mondo. Anche la seconda Coppa Europa è nostra, grazie al giovane bergamasco F. Radici. Nel km lanciato, A. Casse migliora il primato mondiale maschile di velocità, portandolo a 184,237 km/h. Gli olimpionici P. Hilgartner e W. Plaichner sono terzi nei mondiali di slittino a Oberhof.

A Val d'Isère, nella competizione di apertura della Coppa del mondo 1973-74, H. Plank trionfa nella gara di discesa, P. Gros vince lo slalom di Tarvisio, il "gigante" di Berchtesgaden ed è secondo nello slalom, vinto da G. Thöni. C. Giordani è prima nel gigante di Les Gets, valevole per la classifica della Coppa del mondo. Nei mondiali di St. Moritz, G. Thöni conquista due medaglie d'oro (gigante e slalom), P. Gros una di bronzo (gigante). La Coppa del mondo sfugge a G. Thöni, ma la sfera di cristallo viene ugualmente in Italia, per merito di P. Gros, grazie alle sue decisive affermazioni nello slalom di Vöss e nel gigante di Vysoke Tatry. L'italiana E. Matous, tesserata come rappresentante della Repubblica di San Marino, vince la Coppa Europa femminile. Nello slittino, P. Hilgartner e W. Plaichner tornano alla vittoria nel doppio, nei campionati europei di Kufstein.

Nella stagione 1974-75 G. Thöni riconquista la Coppa del mondo (la quarta in suo possesso), al termine di uno strenuo duello con lo svedese I. Stenmark, concluso solamente sul traguardo, nello slalom parallelo in Val Gardena. R. Primus è secondo nella gara dei 50 km a Lahti, in Finlandia. La Coppa Europa maschile è nuovamente vinta da un italiano, D. Amplaz. Nel km lanciato, P. Meynet porta il primato mondiale di velocità a 194,384 km/h. Nel bobsleigh, dopo due anni senza affermazioni, l'Italia ritorna al successo con G. Alverà e F. Perruquet, nel boblet.

La stagione successiva (1975-76) vede il cambio della guardia nello sci alpino: lo svedese I. Stenmark, appena ventenne, si aggiudica la Coppa del mondo, precedendo P. Gros e G. Thöni; in cambio, il discesismo italiano primeggia nel suo complesso, con la sua squadra battezzata "valanga azzurra". Difatti nella classifica finale, oltre ai già citati P. Gros e G. Thöni, troviamo altri tre azzurri fra i primi quindici: 7° H. Plank, 11° F. Bieler, 15° F. Radici. Nei singoli settori, H. Plank è secondo in discesa, G. Thöni secondo e P. Gros terzo nel gigante, P. Gros secondo e G. Thöni terzo nello slalom. In campo femminile, C. Giordani è quinta nello slalom. Fra i risultati parziali della stagione si annoverano le vittorie di G. Thöni (3° P. Gros) nel gigante di Val d'Isère, di F. Radici (2° P. Gros) nello slalom di Garmisch, di G. Thöni nel gigante di Adelboden, di H. Plank nella discesa del Kandahar a Wengen, di F. Bieler nel gigante di Morzine e nel parallelo di Quebec. La Coppa Europa di sci alpino è vinta da B. Confortola, di Bormio. Nei campionati mondiali di slittino, K. Brunner e P. Gschnitzer sono secondi nel doppio e K. Brunner è terzo nel singolo ai campionati d'Europa. Ma i risultati di maggior rilievo e prestigio ci giungono dai Giochi Olimpici Invernali di Innsbruck (1976), dove P. Gros e G. Thöni conquistano rispettivamente la medaglia d'oro e quella d'argento nello slalom ed H. Plank quella di bronzo nella discesa.

Nel 1976-77 si verifica un declino anche complessivo. Sia pure con lampi saltuari, la "valanga azzurra" scende di tono. La Coppa del mondo di sci alpino è ancora vinta da I. Stenmark, ma P. Gros è soltanto quarto e G. Thöni sesto. Le vittorie parziali degl'italiani sono limitate allo slalom di Madonna di Campiglio, dove si ha una breve illusione, in virtù della conquista dei primi tre posti, con F. Radici, P. Gros e G. Thöni nell'ordine, e del settimo di F. Bieler. G. Thöni si aggiudica la combinata dello Hahnenkamm a Kitzbühel, ma è soltanto secondo in quella di Wengen. Abbondano invece i secondi posti (P. Gros: due volte in Val d'Isère; poi a Madonna di Campiglio, a Kitzbühel; due volte a Voss; F. Bieler lo è nello slalom di Aare) e C. Giordani emerge in campo femminile, con il quarto posto nel gigante di Courmayeur e con il terzo nello slalom di Cortina, dopo le sue affermazioni d'inizio stagione, in cui ha vinto il gigante di St. Moritz e si è aggiudicata il secondo posto nel parallelo, ambedue prove delle World Series.

Il declino azzurro nello sci alpino prosegue nel 1977-78. La Coppa del mondo torna una terza volta in Svezia, grazie all'imbattibile I. Stenmark e l'Italia si deve accontentare del quinto posto di H. Plank, dell'ottavo di P. Gros e del decimo di M. Bernardi. Le due sole vittorie parziali ci giungono da H. Plank nelle discese di Santa Cristina, in Val Gardena, e di Cortina d'Ampezzo. Il km lanciato permane americano: lo vince S. Mac Kinney che migliora il primato mondiale (198,020 km/h) già da lui ritoccato l'anno precedente a Portillo, in Chile (195,972 km/h); lo sci italiano ottiene comunque un grande risultato, in virtù del secondo posto di W. Caffoni (197,477 km/h), anche lui vicino al "muro" dei 200 km/h. Grandi affermazioni mondiali nello slittino, grazie a P. Hildgartner, vincitore nel singolo tanto nei campionati del mondo quanto in quelli europei, mentre è secondo nell'appena istituita Coppa del mondo, nella quale K. Brunner e P. Gschnitzer trionfano nel doppio.

La stagione 1978-79 si è aperta, per l'Italia, in maniera tanto rosea quanto inaspettata. Permanendo la situazione, collettivamente felice ma individualmente di stallo, della ex- "valanga azzurra", si sono contemporaneamente affacciati sulla scena dello sci mondiale le ragazze dello sci alpino e gli atleti del fondo. L'apertura femminile è stata positiva nelle World Series, dove nello slalom dello Stelvio si è affermata M.R. Quario, con C. Giordani seconda, W. Gatta quarta e D. Zini quinta. Successivamente la Quario ha vinto lo slalom di Mellan, con le tre compagne nelle prime dieci. L'ondata di entusiasmo per le ragazze dello sci alpino si è poi attenuata, ma ciò non toglie che i risultati da esse conseguiti appaiano addirittura sensazionali nel confronto con le stagioni precedenti. Quanto allo sci di fondo, è sufficiente mettere in luce il quarto posto di G. Capitanio e il quinto di M. De Zolt nella gara d'esordio della Coppa del mondo, vinta dal norvegese O. Braa, e il successo di G. Capitanio nella 15 km di Zakopane. Il nostro sci alpino è stato purtroppo turbato dalla grave caduta, a Lake Placid, di L. David, la nostra grande speranza di questa stagione. La formula 1978-79 della Coppa del mondo, stigmatizzata da tutta la stampa internazionale, che ne ha sottolineato la pericolosità, ha consentito la vittoria dello svizzero P. Luescher, sebbene I. Stenmark lo abbia dominato dall'alto di ben tredici successi parziali. Le altre tre coppe di cristallo sono spettate all'elvetico P. Müller (discesa) e ben due a I. Stenmark (slalom speciale e gigante). Comunque ammirevoli i piazzamenti dei migliori italiani, per il quarto posto di P. Gros, il nono di G. Thöni e il decimo di L. David. In campo femminile, da esaltare la sesta affermazione nella Coppa del mondo dell'austriaca A.M. Proll-Moser. Ulteriore conferma dello slittino azzurro: nei "mondiali" secondo posto di K. Brunner e terzo di P. Hildgartner nel singolo, terzo posto di M.L. Rainer nel singolo femminile; negli "europei", terzi K. Brunner-P. Gschnitzer nel doppio. Maggiori le affermazioni nella Coppa del mondo, in virtù del trionfo di P. Hildgartner nel singolo, dove H. Raffl si è aggiudicato la medaglia d'argento; di K. Brunner e P. Gschnitzer, vittoriosi nel doppio, nonché del secondo posto di M.L. Rainer nel singolo femminile.

Sci nautico. - Nel periodo 1961-78 lo sci nautico italiano ha conquistato due soli titoli mondiali (i campionati si svolgono ogni due anni): nel 1961 con B. Zaccardi (combinata) e nel 1975 con R. Zucchi (slalom). Complessivamente, su 36 titoli a disposizione, 23 sono andati agli atleti statunitensi che possono essere considerati quasi professionisti; netto il dominio statunitense anche in campo femminile (22 titoli). A livello europeo l'Italia, grazie alle prestazioni di atleti come F. Carraro (divenuto presidente della Federazione italiana sci nautico nel 1962 e attualmente presidente del CONI), B. Zaccardi, T. Bernocchi, M. Pozzini, M. Hofer, R. Zucchi e M. Merlo, ha vinto complessivamente 24 titoli (su 68 disponibili).

I due atleti più prestigiosi sono stati senz'altro Zaccardi (un titolo mondiale e nove europei) e Zucchi (un titolo mondiale e dieci europei, oltre alla medaglia d'oro alle olimpiadi di Monaco del 1972). Zucchi, che ha abbandonato l'attività alla fine del 1976, risulta essere l'unico atleta europeo vincitore di almeno un titolo in ciascuna delle quattro specialità classiche (slalom, salto, figure, e combinata). Nel 1972 lo sci nautico era stato incluso, a scopo dimostrativo, nel programma delle Olimpiadi; le gare si sono svolte a Kiel: Zucchi ha vinto lo slalom e Hofer si è piazzato secondo nel salto. Dal 1970 è stata introdotta una nuova disciplina: la velocità. L'Italia ha vinto tre titoli europei con B. Cassa (1971 e 1974) ed E. Guggiari (1975). In campo femminile buone affermazioni, negli ultimi anni, di S. Terracciano, medaglia di bronzo ai campionati europei del 1976 (specialità figure), medaglia d'oro a quelli del 1977 (slalom) e dominatrice incontrastata in campo nazionale.

Skateboard. - Intorno alla metà degli anni Settanta ha fatto la sua comparsa in Italia uno s. già impostosi negli SUA, particolarmente in California, con alterne vicende sin dal 1960, e praticato in contrapposizione al surfing per vivere sulla terraferma le stesse sensazioni di velocità e di equilibrio. Si pratica con un'assicella (tavola) munita di ruote montate su supporti rotanti, con la quale si eseguono movimenti e figure di varia natura e diverso genere (stile libero, slalom, ecc.).

La tavola, piatta o con bordo posteriore leggermente rialzato, può essere di legno, di materiale plastico (propilene, plexigas), di fibra di vetro multistrati, irrobustita generalmente con barre d'acciaio; le sue misure in lunghezza variano da 68,58 cm a 73,66 cm per lo stile libero, da 71,12 cm a 76,20 cm per lo slalom. Le ruote, che costituiscono l'elemento fondamentale dell'attrezzo, erano originariamente di metallo o di materiale argilloso, ma risultavano rumorose, estremamente rigide e di rapido deterioramento; per questo sono state gradualmente modificate e sono attualmente costruite in poliuretano, rivelatosi in grado di fornire un'ottima aderenza e una soddisfacente elasticità. Le misure standard variano da 60 mm a 55 mm per il diametro e da 30 mm a 40 mm per lo spessore; sono montate su cuscinetti a sfera, generalmente chiusi, e inserite in supporti fissati alla tavola con un perno centrale regolabile nel suo movimento di rotazione per consentire una diversa rispondenza ai movimenti del corpo. La misura assiale dei supporti è mediamente di 15,24 cm; essa però può variare da 12,70 cm a 13,97 cm per lo stile libero e da 16,51 cm a 17,78 cm per lo slalom, con una misura fissa di 16,51 cm per la discesa libera.

Gli esercizi eseguiti più correntemente e che sono motivo di gare variamente articolate, consistono in prove di slalom (individuale o in parallelo) su distanze che variano da 30 m a 50 m, nelle quali s'incontrano ostacoli o porte distanti tra loro da 3 m a 4 m; in prove di stile libero, in cui la fantasia lascia spazio per le più diverse figure, eseguite con uno o due skateboard; in prove di salto in alto con ricaduta sull'attrezzo usato in partenza o su un altro disposto in precedenza oltre l'ostacolo; in prove di salto in lungo con superamento di diversi ostacoli e ricaduta su un altro skateboard precedentemente disposto. La possibilità di frequenti cadute rende indispensabile un appropriato equipaggiamento, che prevede l'impiego di casco protettivo, guanti, ginocchiere, gomitiere, calzoni imbottiti. La notevole diffusione che questo s. ha incontrato in Italia ha portato alla costituzione di una Commissione Italiana Skateboard (CIS), con sede a Ponte San Pietro (Bergamo), operante in seno alla Federazione italiana hockey e pattinaggio, la quale ne ha stabilito le regole e ne tutela la pratica.

Surfing. - S. acquatico che si pratica a mezzo di una tavola, originariamente di legno e attualmente di vetroresina, di lunghezza variabile da 1,83 a 2,28 m, sulla quale, in posizione eretta e mantenendosi sulla cresta delle onde, si cerca di arrivare a riva sfruttando l'impulso delle onde stesse, nel loro moto naturale. È particolarmente praticato dove esistono grandi spiagge e dove il moto ondoso inizia a notevole distanza dalla riva, vale a dire in prossimità delle spiagge oceaniche.

Tennis. - Il tennis ha subito una storica trasformazione in tutta la sua organizzazione nel 1968, quando sono stati autorizzati dalla Federazione internazionale i tornei open, vale a dire aperti ai dilettanti e ai professionisti. In precedenza, infatti, i giocatori ufficialmente professionisti non potevano partecipare ai tornei tradizionali e limitavano la loro attività a esibizioni oppure a tornei esclusivamente a loro riservati. È evidente quindi che fino al 1968 i libri d'oro dei grandi tornei e le classifiche mondiali compilate al termine di ogni stagione non riflettevano la reale situazione perché molti grossi campioni erano esclusi dalle gare.

Soltanto dopo la seconda guerra mondiale, tra i campioni che avevano vinto il torneo di Wimbledon, tuttora considerato il più importante del mondo, moltissimi sono passati al professionismo: J. Kramer, nel 1947, D. Savitt nel 1951, F. Sedgman nel 1952, T. Traber nel 1955, L. Hoad nel 1957, A. Cooper nel 1958, A. Olmedo nel 1959, R. Laver nel 1962.

Nel dicembre 1967 finalmente gli organizzatori del torneo di Wimbledon comunicarono che nell'anno successivo avrebbero ammesso al loro torneo tutti i tennisti tecnicamente qualificati, indipendentemente dalla loro posizione. La notizia fece grande impressione, e si parlò pubblicamente di scisma inglese e di squalifica; invece non ci furono squalifiche, anzi i tornei open furono ufficialmente autorizzati, in un primo tempo in numero ridotto (sei per ogni anno) ma ben presto senza alcuna limitazione.

Nel maggio 1968 si è svolto dunque a Bournemouth, in Inghilterra, il primo torneo open nella storia del tennis; l'inglese M. Cox fu il primo dilettante a battere un professionista, in quel caso P. Gonzales. Il torneo fu vinto da K. Rosewall, passato professionista nel 1956 dopo aver perduto la finale di Wimbledon contro L. Hoad. Rosewall vinse anche il successivo torneo del "Roland Garros" mentre a Wimbledon s'impose R. Laver, che aveva già vinto nel 1961 e nel 1962 prima di passare professionista. A parte la possibilità concessa a tutti di giocare nelle gare tradizionali (si è dovuto attendere però il 1973 perché venisse consentita ai professionisti sotto contratto la partecipazione alla Coppa Davis), il tennis open ha portato altre importanti conseguenze. I premi dei tornei sono saliti in maniera vertiginosa: nel 1971 R. Laver fu il primo tennista del mondo a superare in un anno la cifra di 100.000 dollari guadagnati di soli premi, ma già nel 1976 J. Connors ha superato i 600.000 dollari e ben trentaquattro giocatori e nove giocatrici hanno superato la barriera dei 100.000 dollari nel 1978.

Un ruolo importante nella nuova organizzazione del tennis lo ha ricoperto la società texana WCT (World Championship Tennis) che, dopo aver rilevato nel 1968 i contratti di un gruppo di giocatori professionisti, ha iniziato a organizzare, dal 1971, un proprio circuito di tornei con una manifestazione finale, che si svolge a Dallas, riservata ai primi otto classificati in una graduatoria a punti.

Con lo stesso sistema dei punti e di una manifestazione finale riservata ai primi otto (nella prima edizione furono sei, nella seconda sette) si svolge dal 1970 un "Grand Prix" organizzato dalla Federazione internazionale con il sostegno di un'industria: la fase finale si chiama Masters. Queste due manifestazioni, le finali WCT di Dallas e il Masters, sono ormai da considerarsi tra le "classiche" del calendario internazionale.

Una volta i grandi avvenimenti del tennis erano quattro: i campionati internazionali d'Australia (che fino al 1971 si svolgevano a rotazione a Melbourne, Sydney, Brisbane e Perth, ma poi si sono stabiliti a Melbourne); quelli di Francia (stadio Roland Garros a Parigi); il torneo di Wimbledon e i campionati internazionali degli SUA, prima a Forest Hills e poi a Flushing Meadows (NewYork). Negli ultimi anni i campionati d'Australia hanno perduto gran parte del loro significato mentre sono saliti d'importanza i campionati internazionali d'Italia, che si svolgono al Foro Italico di Roma (ma nel 1961 si svolsero a Torino nel quadro delle manifestazioni di Italia '6I). Dovendo dunque scegliere i sei appuntamenti più importanti dell'anno tennistico bisogna indicare, in ordine cronologico, il Masters, le finali di Dallas, i campionati internazionali d'Italia, il Roland Garros, Wimbledon e l'open degli Stati Uniti.

La Coppa Davis è invece la principale competizione tennistica a squadre, una specie di campionato del mondo. Si svolge ogni anno dal 1900, quando fu inventata da un americano, D. F. Davis (discreto giocatore, mancino, che tra l'altro fu finalista nel doppio al torneo di Wimbledon). Riservata inizialmente alle squadre degli SUA e della Gran Bretagna, fu successivamente allargata agli altri paesi e oggi vi partecipano circa 50 ÷ 55 nazioni. La formula degl'incontri consiste in quattro singolari incrociati (due giocatori per nazione incontrano entrambi gli avversari) e un incontro di doppio. Fino al 1971 la nazione vincitrice di un'edizione attendeva sul proprio campo la vincitrice del torneo di eliminazione dell'anno seguente: il confronto finale si chiamava "Challenge Round". Dal 1972, invece, anche la nazione vincitrice partecipa al torneo dall'inizio. Fino al 1973 la Coppa Davis era stata vinta soltanto da quattro paesi: l'Australia, gli SUA, la Gran Bretagna e la Francia. Invece nel 1974 si è imposto il Sudafrica (l'India ha rifiutato di giocare la finale per ragioni politiche), nel 1975 la Svezia e nel 1976 l'Italia (A. Panatta, C. Barazzutti, P. Bertolucci, T. Zugarelli, cap. non giocatore N. Pietrangeli), che ha battuto in finale il Cile, a Santiago; nel 1977 è tornata a vincere l'Australia, che si è imposta in finale all'Italia, a Sydney, mentre nel 1978 hanno vinto gli Stati Uniti, contro la Gran Bretagna, pur senza schierare la loro formazione più forte.

Vi sono altre gare internazionali a squadre. La "Federation Cup", che si svolge dal 1963 in sede unica, è la versione femminile della Davis ma con una formula più semplice: due singolari e un doppio. In Europa si giocano poi molte competizioni giovanili: la Coppa De Galea (maschile, fino ai 20 anni), la Coppa Soisbault (femminile, fino ai 20 anni), la Coppa Valerio e la Coppa Principessa Sofia (maschile e femminile, fino ai 18 anni).

A Miami si giocano ogni anno due gare giovanili al limite dei 18 anni che ormai hanno una solida tradizione: la "Sunshine Cup" (a squadre, maschile) e l'"Orange Bowl" (torneo individuale, maschile e femminile).

Le superfici più comuni per il tennis sono: la terra battuta, il cemento, l'erba e i tappeti sintetici, sui quali si svolgono quasi tutte le gare al coperto; quasi scomparso il legno. Tra i tornei più importanti, i campionati d'Australia e Wimbledon si giocano sull'erba; i tornei di Roma e di Parigi sulla terra battuta rossa; a Forest Hills (dove fino al 1974 si giocava sull'erba) si usava invece una composizione sintetica verde molto simile, nelle caratteristiche, alla terra battuta. Tuttavia nel 1978 la Federazione americana ha realizzato a Flushing Meadows, nel quartiere del Queen's a New York, un nuovissimo moderno impianto con campi in cemento e vi ha trasferito il suo torneo più importante.

Da s. stagionale il tennis è divenuto negli ultimi anni, soprattutto dopo lo sviluppo dell'attività "indoor", un s. a ciclo continuo: infatti ci sono gare e tornei importanti nell'arco di tutto l'anno. Si ritiene che il tennis sia lo s. in più rapida espansione; per es., si stima che negli SUA nel 1978, ci fossero 43 milioni di praticanti. Dal 1971 al 1978 lo spazio riservato al tennis dalle principali catene televisive degli SUA è passato dal 2% al 13% di tutto il tempo dedicato allo sport.

A fianco di una proliferazione di gare, di premi e di giocatori, c'è stato anche un boom industriale per i fabbricanti di racchette, indumenti, scarpe e campi da tennis. I giocatori più forti ricevono premi considerevoli per reclamizzare i vari prodotti. Considerato una volta s. d'élite o comunque riservato a una cerchia ristretta di benestanti, successivamente aperto anche ai raccattapalle, il tennis è oggi uno s. popolare al quale si avvicina una massa sempre più grande di appassionati.

Tiro a segno. - In questo s. va sottolineata una nostra ritardata ripresa senza risultati di primo piano dopo la parentesi bellica, ritardo dovuto alla lentezza della ricostruzione degl'impianti fissi, del loro ridimensionamento e adattamento alle nuove formule di tiro con armamento prevalentemente sportivo di calibro ridotto su distanze minori, e per l'elevato costo delle armi e del munizionamento. Siamo stati pertanto a lungo ben lontani dal livello compreso tra l'inizio del secolo e gli anni Trenta. Questo fatto appare del resto comprensibile in particolare per l'adozione delle armi di nuovo tipo in rapporto con quelle d'ordinanza in dotazione ai militari, che originariamente costituivano la nostra rappresentanza in campo internazionale.

Attualmente il maggior numero di gare viene disputato con armamento sportivo di vario calibro, dotato dei più diversi e sofisticati accorgimenti (calcio o impugnatura anatomica; congegni di mira a diottra e mirino in tunnel, a cannocchiale, a linea di mira scoperta), su distanze diverse (300 m e 50 m per carabine e fucili, 50 m e 25 m per pistole, 10 m per armi ad aria compressa), con serie diverse di colpi in una sola o in diverse posizioni. Sono classificate "olimpiche" le seguenti armi: a) carabina libera di piccolo calibro (CL), del calibro di 5,6 mm, impiegata sulla distanza di 50 m in gare di 60 colpi a terra (match inglese) o di 120 colpi nelle 3 posizioni; b) carabina di piccolo calibro (CC) per il tiro alla sagoma del bersaglio mobile (cinghiale corrente), del calibro di 5,6 mm, sulla distanza di 50 m, in gare di 60 colpi (30 colpi a corse lente e 30 colpi a corse veloci o di 40 colpi a corse miste); c) pistola libera di piccolo calibro (PL), del calibro di 5,6 mm, per il tiro di 60 colpi a 50 m; d) pistola automatica di piccolo calibro (PA), del calibro di 5,6 mm, per il tiro celere di 60 colpi a 25 m.

Sino al 1972 veniva disputata anche una gara con la carabina libera (AL), arma libera di grosso calibro (sino a 8 mm) sulla distanza di 300 m con 120 colpi nelle 3 posizioni. Le stesse armi sono altresì impiegate, in competizioni di differente natura e importanza, per prove di tiro da eseguirsi con modalità diverse, ferma restando la distanza dal bersaglio. La carabina libera (CL) viene usata in gare sui 60 o 30 colpi nelle 3 posizioni; la carabina di piccolo calibro (CC) in gare sui 40 colpi; la pistola automatica (PA) e la pistola libera (PL) in gare sui 30 colpi; la carabina libera (AL) in gare sui 60 colpi nelle 3 posizioni.

Sono inoltre previste diverse altre categorie di tiro con l'impiego di armi di natura e calibro diverso, su distanze ben definite ma con diverso numero di colpi o diverse posizioni del tiratore: a) fucile standard di grosso calibro (FS), con calibro fino a 8 mm, con 60 colpi nelle 3 posizioni o 30 colpi a terra, alla distanza di 300 m; b) carabina standard di piccolo calibro (CS), con calibro di 5,6 mm, con 60 o 30 colpi nelle 3 posizioni e 60 colpi a terra, alla distanza di 50 m; c) pistola di grosso calibro (Pgc) con calibro compreso tra 7,60 mm e 9,65 mm, con 60 o 30 colpi nella successione di fasi di tiro di precisione e tiro rapido, alla distanza di 25 m; d) pistola standard di piccolo calibro (PS), con calibro di 5,6 mm, con 60 o 30 colpi, a 25 m.

Nelle armi ad aria compressa, di calibro più ridotto (4,5 mm), tanto la carabina (Cac) che la pistola (Pac) sono impiegate su una distanza inferiore (10 m) e con serie minori di colpi (40 o 20). Nelle competizioni militari è ammesso l'uso del fucile d'ordinanza Garand (FO, calibro 8 mm) nelle prove previste per il fucile standard di grosso calibro (FS) e della pistola d'ordinanza (PO, calibro 7,65 mm e 9 mm) per il tiro di 30 colpi a 25 m. A queste armi si debbono aggiungere il fucile di grosso calibro (FB) con calibro massimo di 8 mm, e la carabina di piccolo calibro (CB), con calibro di 5,6 mm, per il tiro nel biathlon invernale (sci-tiro) e in quello estivo (marcia-tiro), oltre alla pistola automatica di piccolo calibro (PA) con calibro di 5,6 mm, per il tiro nel triathlon e nel pentathlon moderno, meglio regolamentate, nelle caratteristiche e nelle modalità d'impiego, dal regolamento della Unione Internazionale Pentathlon Moderno e Biathlon (UIPMEB).

Solamente verso gli anni Sessanta i tiratori italiani sono ritornati alla ribalta internazionale con lusinghieri risultati, anche nei confronti con i sovietici, con gli statunitensi e con i tedeschi delle due Germanie, che pure primeggiano in questa disciplina per l'elevato numero di praticanti. Ai campionati mondiali l'Italia ha vinto la medaglia d'oro con G. Liverzani, e quella di bronzo nella classifica a squadre, nella pistola automatica (PA) nel 1970, dopo il terzo posto ottenuto, sempre nella classifica a squadre, nel 1962 e la medaglia d'oro già conquistata nel 1947. Sempre nel 1970 la nostra rappresentativa ha conquistato la medaglia d'oro nella carabina libera (CL). Nel 1975 una medaglia di bronzo è stata conquistata da G. Mezzani nel tiro al cinghiale corrente (gara normale). L'Italia ha conseguito un positivo risultato ai campionati mondiali disputati nel 1978. Nel tiro al cinghiale corrente (gara a corse miste) G. Mezzani e E. Cini hanno rispettivamente conquistato la medaglia d'oro e quella di bronzo, favorendo la conquista della prima posizione nella gara a squadre. G. Zuccoli ha vinto la medaglia di bronzo nella carabina ad aria compressa (Cac). La squadra italiana ha conquistato inoltre la medaglia d'argento nella pistola standard di piccolo calibro (PS) e quella di bronzo nella pistola automatica (PA). Ai campionati europei l'Italia ha primeggiato soprattutto nel 1969 vincendo la medaglia d'oro con G. Liverzani nella pistola automatica (PA), con F. Donna nella carabina standard (CS) e nella carabina libera (CL), 40 colpi in ginocchio, e quella di bronzo con lo stesso Donna nella carabina libera, 120 colpi, 3 posizioni. Sempre nei campionati europei l'Italia ha vinto con V. Tondo la medaglia d'argento nella pistola ad aria compressa (Pac) nel 1976; nel 1977 una medaglia di bronzo è stata vinta da G. Mantelli nella pistola automatica (PA) e la nostra rappresentativa nella stessa specialità ha conquistato la medaglia d'argento. Nello stesso anno la nostra rappresentativa ha vinto la medaglia di bronzo nella carabina di piccolo calibro (CC), uguagliando il successo riportato nel 1973.

L'Italia ha inoltre conquistato un notevole numero di successi ai Giochi del Mediterraneo. Nel 1955 ha vinto la medaglia d'oro nella carabina libera (CL), 40 colpi a terra, con P. Paletti; la medaglia d'oro con F. Bernini e quella d'argento con W. Boninsegni nella pistola automatica (PA); quella di bronzo con L. Galesi nella pistola libera. Nel 1971, nella carabina libera (CL), G. De Chirico e P. Errani hanno conquistato la medaglia d'argento e quella di bronzo; G. Interlandi ha vinto la medaglia d'argento nella pistola libera (PL). Nel 1975 una medaglia d'oro è stata vinta da G. Mantelli nella pistola automatica (PA) e una d'argento da V. Tondo nella pistola libera (PL). Un rilevante successo è stato inoltre conseguito dal tiratore R. Ferraris con la medaglia di bronzo nella pistola automatica (PA) alle Olimpiadi di Montreal (1976). I tiratori detengono (al 31 dic. 1978) i primati mondiali nella pistola automatica (PA) con G. Liverzani e nel tiro al cinghiale corrente a corse miste con G. Mezzani e quello europeo nella carabina standard (CS, 60 colpi, 3 posizioni) con F. Donna.

Tiro a volo. - Senza alcun dubbio è nel tiro al volatile che gl'italiani hanno colto il maggior numero di successi in campo mondiale ed europeo sia nel settore maschile sia in quello femminile. Hanno infatti vinto il titolo di campione mondiale: C. Giorgetti (1962), G. Aleo (1965), M. Frosi (1967), A. Bodini (1969), R. Cecconi (1970), F. Bornaghi (1972), U. Pellicciari (1977), B. Pardini (1974,1978) e le tiratrici: N. Ghiron (1961), F. Scialanga (1962), M. Schreiber (1965), N. Pugliese (1971), G. Cuzzocrea (1972), G. Camilli Beni (1974,1976), C. Alberini (1977). Il titolo mondiale a squadre è stato vinto dall'Italia, in campo maschile, negli anni 1961,1965,1966,1967,1970,1971,1972,1975,1976,1977,1978. In campo europeo i nostri tiratori non hanno praticamente avuto avversari cogliendo una serie quasi ininterrotta di successi con L. Casari (1965), G. Rosatti (1966,1967), B. Renai (1968), A. Crocco (1969,1970), S. Contini (1972), L. Ferrari (1971,1973), G. Bodini (1975), A. Pavan (1976), O. Melandri (1978). Con questo elevato numero di vittorie e con i posti d'onore la squadra italiana ha conseguito il titolo europeo nel 1962, ininterrottamente dal 1964 al 1973, nel 1976,1977,1978. In campo femminile si sono infine registrate le vittorie di E. Ruspoli (1966), G. Cuzzocrea (1972), E. Bonomi (1976) e C. Alberini (1977). I nostri tiratori hanno ottenuto altresì rilevanti successi nel campionato del Mediterraneo con le vittorie di E. Rossini (1964), B. Pardini (1966), A. Pavan (1968), A. Grossi (1969), F. Gattermayer (1971), R. Cortesi (1972), A. Caprara (1976), O. Melandri (1977); nel campionato dei Paesi latini con D. Pansini (1976) e A. Crocco (1977), oltre a quelle maggiormente rilevanti di G. Bodini (1977) e B. Pardini (1976,1978) nella Coppa del mondo maschile e di E. Bonomi (1976) e C. Alberini (1977) in quella femminile.

Nel tiro al piattello-fossa olimpica gl'italiani hanno conquistato il successo alle Olimpiadi con E. Mattarelli (Tokyo, 1964) e A. Scalzone (Monaco, 1972); hanno vinto la medaglia di bronzo S. Basagni (Monaco 1972) e U. Baldi (Montreal, 1976). In campo mondiale E. Mattarelli ha vinto il titolo negli anni 1961 e 1969; a questi successi si debbono aggiungere la medaglia di bronzo dello stesso Mattarelli (1973), quella d'argento di G. Rosatti (1974) e quelle, ancora di bronzo, di S. Basagni (1974) e C. Danna (1977) ed infine quella d'argento di S. Basagni (1978). In campo femminile la prima e unica medaglia d'oro per l'Italia è stata conquistata da B. Avrile (1969); a questa hanno fatto seguito il secondo posto della stessa Avrile (1970), il terzo posto di W. Gentiletti (1977) e, nel 1978, il secondo posto dello stesso. La nostra squadra maschile ha conseguito il successo nella classifica per nazioni negli anni 1967 e 1969; nel 1977 e nel 1978 la vittoria per l'Italia è stata conquistata dalla rappresentativa femminile. Maggiori successi hanno ottenuto gl'italiani in campo europeo: il titolo di campione è stato conquistato da E. Casciano (1962,1967), E. Mattarelli (1964), S. Canonico (1965), S. Basagni (1971), A. Carneroli (1975). Per questi successi e per i positivi piazzamenti dei suoi componenti la nostra rappresentativa ha vinto il titolo a squadre negli anni 1961, 1962, 1964, 1965, 1966, 1969, 1971, 1974, 1975, 1978. L'unico titolo europeo femminile è stato vinto da E. Rolandi (1971). La nostra superiorità è apparsa infine indiscussa ai Giochi del Mediterraneo: A. Manfredi (1951), L. Rossini (1955,1963), L. Bellentani (1971), S. Basagni (1975) sono stati i vincitori di tutte le edizioni sinora disputate. Altri importanti successi sono stati riportati dagl'italiani in campionati internazionali: E. Rossini (1964), B. Pardini (1966), A. Pavan (1968), A. Grassi (1969), F. Gattermaryer (1971), R. Cortese (1972), hanno vinto i campionati del Mediterraneo; A. Pardini (1969), M. Suitoni (1970), G. Romano (1971), quello dei Paesi latini. Il campionato europeo di tiro al piattello-fossa universale, disputato nel 1973, è stato vinto da B. Avrile e dalla squadra maschile italiana. La stessa Avrile e S. Basagni hanno vinto anche la Coppa delle Nazioni disputata nello stesso anno.

Il tiro al piattello-skeet è la più recente specialità di questo sport. La disputa dei vari campionati è iniziata nel 1963 con quello italiano maschile (quello femminile nel 1968), nel 1965 con quello europeo e nel 1968 con quello mondiale. Dallo stesso anno 1968 è divenuto anche specialità olimpica. Il poligono di tiro è costituito da 8 pedane disposte su un settore di cerchio di 19,20 m di raggio la cui corda di base, lunga 36,80 m, è situata a 5,49 m dal centro del cerchio. Le pedane, numerate da 1 a 7, sono disposte sulla circonferenza del settore distanziate una dall'altra di 8,13 m; la pedana n. 8 è posta al centro della corda di base del settore del cerchio. Il lancio dei piattelli avviene da due cabine: una "alta" a sinistra (a 3,05 m dal suolo) e una "bassa" a destra (a 1,07 m dal suolo). Alle pedane n.1, 2, 6, 7, ogni tiratore riceve, a chiamate separate, un bersaglio dalla cabina alta, un bersaglio dalla cabina bassa, due bersagli contemporaneamente (doppietto), per un totale di 16 tiri. Nelle restanti pedane ogni tiratore riceve, a chiamate separate, un bersaglio dalla cabina alta e uno dalla cabina bassa, per un totale di 8 tiri. A completare la serie di 25 tiri varrà la ripetizione di un bersaglio sbagliato, o la chiamata di un bersaglio dalla cabina bassa alla pedana n. 8. Alle Olimpiadi di Città di Messico (1968) l'italiano R. Garagnani ha conquistato la medaglia d'argento. Ai campionati mondiali i nostri tiratori hanno conquistata la terza posizione con lo stesso Garagnani (1969) e L. Beccheroni (1971) e infine la medaglia d'oro con L. Brunetti (1978); in campo femminile hanno vinto la medaglia di bronzo sia M. Lenzini (1967, 1969) sia B. Rosa Hansberg (1977); la stessa Hansberg, nel 1978, ha conquistato la medaglia d'oro. Nei campionati europei l'Italia ha conquistato la medaglia d'oro con Garagnani (1978) e quella d'argento con L. Fantauzzi (1967, 1969, 1973) in campo femminile. Ai Giochi del Mediterraneo, con R. Garagnani, l'Italia ha vinto una medaglia d'oro (1971) e una di bronzo (1975).

Tiro con l'arco. - Questa disciplina sportiva è relativamente giovane, soprattutto per quanto concerne l'Italia, anche se la prima organizzazione ufficiale risale al 1879, quando negli SUA fu fondata l'Associazione Nazionale dell'Arceria Americana (NAAUS) che tuttora sopravvive, e se fin dall'inizio del secolo scorso veniva praticata in alcuni paesi europei (Francia, Belgio, Paesi Bassi, Gran Bretagna), tanto da essere compresa, sia pure a carattere dimostrativo, nel programma dei Giochi Olimpici di St. Louis (1904). Entrò ufficialmente nei Giochi Olimpici di Londra (1908) e di Anversa (1920), pure se con prove del tutto diverse da quelle attuali (tiro al volatile fisso, a breve e grande distanza; al volatile in movimento a distanze variabili: 28 m, 33 m, 50 m; tornei su sagome a distanze espresse in yard). In Italia ha fatto la sua prima comparsa sul finire degli anni Cinquanta quando, per interessamento particolare di M. Malacrida e G. Otto, fu fondata a Milano la prima Compagnia di arcieri italiani, cui seguivano ben presto altre a Treviso, Gorizia, Milano, Bergamo, Roma. Nel 1961 queste sei compagnie davano vita alla Federazione Italiana di Tiro con l'Arco (FITARCO), subito ammessa alla Fédération Internationale de Tir à l'Arc (FITA) fondata nel 1931. Nel 1962 veniva organizzato il primo campionato italiano in prova unica. Dal 1973 la FITARCO è stata ammessa al CONI come Federazione aderente.

L'arco può essere a doppia curvatura (corna di bufalo) o semicurvo: questo è preferibilmente impiegato in particolari gare (tiro di campagna) oppure dagli "istintivi". L'arco viene classificato in base al suo peso (dalle 10 alle 125 libbre) o alla sua lunghezza (da 60 a 72 pollici). Inizialmente era costruito con un solo materiale: legno di tasso o di bosso, successivamente sostituito da metallo o da fibra di vetro. Attualmente è fabbricato con materiali diversi nelle diverse parti (arco composito): legno o metallo per il corpo principale, fiberglass per le due estremità flettenti, lega d'alluminio per l'impugnatura. La tensione dell'arco si ottiene con una corda di fili di dacron, intrecciati. Le frecce, originariamente di legno, sono oggi costruite in metallo o fiberglass, per garantire una maggior uniformità di peso, un miglior grado di flessibilità e perché non risentano delle condizioni atmosferiche. L'arco può essere dotato di stabilizzatori, costituiti da aste metalliche avvitate sul dorso dell'arco stesso, sporgenti, in genere, in fuori-avanti e recanti pomoli di peso diverso. Il mirino (a spillo, a colonna, a faro, a capello in croce, per la mira sia orizzontale sia verticale) è montato sulla parte posteriore o anteriore dell'arco, a seconda della distanza da raggiungere. Ogni tiratore è dotato di un parabraccio, per proteggere l'avambraccio dallo striscio della corda; un paradita (o guanto), per proteggere le dita da abrasioni e favorire la messa in tensione della corda; una faretra, per la custodia e il trasporto delle frecce.

Le gare si articolano in tre specialità: tiro alla targa, tiro di campagna, tiro alla targa indoor. Il tiro alla targa, ammesso alle Olimpiadi dal 1972, prevede tiri di quattro serie di 36 frecce ognuna, dalla distanza di 90 m, 70 m, 50 m, 30 m, per gli uomini; di 70 m, 60 m, 50 m, 30 m, per le donne. Il bersaglio, del diametro di 1,22 m per le distanze di 90 m, 70 m, 60 m, e di 80 cm per le distanze di 50 m e 30 m, è suddiviso in cinque zone concentriche di diverso colore (giallo-oro, rosso, azzurro, nero, bianco) con diverso punteggio (da 10 a 1) dall'interno verso l'esterno; ogni colore a sua volta è infatti diviso in due parti. Il tiro di campagna si articola in due prove di natura diversa a seconda del percorso da compiere: un percorso campestre (field) e un percorso di caccia (hunter), della lunghezza di circa 4 km. Vi prendono parte, suddivisi in due distinte categorie, i tiratori "stilliberisti", muniti di archi completi di accessori come per il tiro alla targa, e quelli "istintivi" che gareggiano con archi privi di ogni complemento. Le prove prevedono il tiro di quattro frecce per ognuno dei 28 bersagli disposti sul percorso e situati a distanze variabili, dalla piazzola di tiro, da 5 m a 50 m nel percorso di caccia e da 6 m a 60 m in quello campestre. I tipi di bersaglio, circolari, sono quattro, con diametro rispettivamente di 60 cm, 45 cm, 30 cm, 15 cm, per le diverse distanze di tiro. Il tiro alla targa indoor, praticato prevalentemente nei mesi invernali, non ha sinora ottenuto il riconoscimento ufficiale per la disputa di campionati mondiali o continentali. Si pratica sulle distanze di 18 m e 25 m con bersagli circolari di 40 cm e 60 cm di diametro, divisi in cinque zone colorate, ognuna delle quali è, a sua volta, divisa in due parti.

A partire dagli anni Settanta i tiratori italiani hanno iniziato a conseguire notevoli risultati in campo mondiale. Nel tiro alla targa G. Ferrari ha conquistato la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Montreal (1976); ai campionati mondiali del 1977 anche L. De Nardi ha conquistato la medaglia di bronzo e la rappresentativa italiana ha vinto la medaglia d'argento. In campo europeo abbiamo vinto una medaglia d'argento con S. Spigarelli (1976), e di bronzo con le rappresentative nazionali ai campionati del 1974 e del 1976. Nei campionati di tiro di campagna abbiamo conquistato una medaglia di bronzo con I. Da Poian ai mondiali del 1974; nello stesso anno la Da Poian ha conquistato la medaglia d'oro ai campionati europei dopo che nel 1972 aveva conquistato quella di bronzo. Sempre nel tiro di campagna si è posto in evidenza, ai campionati europei, anche G. Ferrari con una medaglia d'argento (1974) e una di bronzo (1976). Positivi risultati sono stati conseguiti anche nel 1978 con la medaglia d'argento ai campionati mondiali e quella d'oro ai campionati europei conquistate, in campo femminile, da A. Cecchini. I tiratori italiani hanno conseguito alcuni primati mondiali, poi in parte superati. Sono stati superati quelli conseguiti da G. Ferrari (indoor 25 m, 1973), I. Da Poian (indoor 18 m femminile, 1973), G. Ferrari (indoor 18 m, 1976); restano tuttora imbattuti quelli ottenuti da S. Spigarelli (50 m, 1976) e G. Ferrari (70 m, 1977; totale FITA, 1977; indoor 18 m, 1977).

Vela. - Se lo s. velico nell'ultimo ventennio abbia subìto un'evoluzione o un'involuzione, non è molto chiaro. È certo però che molte cose sono cambiate dai Giochi della XVII Olimpiade, disputatisi nel golfo di Napoli nel 1960, a quelli della XXII che si svolgeranno sulle acque antistanti la città baltica di Tallin nel 1980. Il riferimento ai Giochi Olimpici non è casuale perché essi rappresentano, con la loro scadenza quadriennale, il punto d'incontro più qualificato per uomini e mezzi tecnici provenienti da tutto il mondo con le migliori attrezzature, vele e imbarcazioni selezionate attraverso durissime competizioni nazionali e internazionali. Sono pertanto le classi d'imbarcazioni che partecipano alle Olimpiadi quelle che scrivono la storia dello yachting leggero internazionale e la loro scelta, che compete alla IYRU (International Yacht Racing Union), è quella che praticamente indirizza tutti i migliori velisti nell'acquisto della barca più consona alle proprie capacità e caratteristiche psicofisiche. Le scelte dell'IYRU condizionano quindi il mercato e questo avviene in Italia in modo più evidente che in altri paesi, essendo forse più vivo il senso dell'olimpismo e tale da portare il velista medio italiano all'acquisto di barche di alto livello agonistico, come il Flying Dutchman o il Tempest, che poi risultano di difficilissima manovra per il loro alto grado di sensibilità e perchè richiedono particolari doti fisiche e acrobatiche.

Dall'Olimpiade di Roma (1960) a quella di Città di Messico (1968), passando per Tokyo (1964), non si hanno cambiamenti delle classi olimpiche, che sono cinque: 5,5 m S. L, Dragone, Star, Flying Dutchman e Finn. Gli scafi e anche le antenne di questi tipi d'imbarcazioni sono costruiti prevalentemente in legno; le prime tre classi sono a chiglia fissa, le ultime due a deriva mobile; le prime due hanno equipaggi di tre persone, la terza e la quarta di due e l'ultima di una sola. Si ha quindi una partecipazione del 60% di barche a chiglia, percentuale che sale quasi al 73% se si considerano i componenti degli equipaggi. Ossia se una nazione invia una squadra completa di undici uomini per le cinque classi ai Giochi velici, 8 di essi sono imbarcati su barche a chiglia e solamente 3 sono derivisti. Questa situazione è in netto contrasto con quello che è stato il grande sviluppo dell'attività velica negli anni Sessanta, sviluppo dovuto solamente all'enorme diffusione delle imbarcazioni a deriva, che non rispecchia quindi le aspirazioni di decine di migliaia di sportivi praticanti, i quali si vedono chiusa la porta olimpica da una privilegiata minoranza.

Allora l'IYRU, per ovviare a questa situazione anacronistica, cerca di sostituire le classi a chiglia (5,5, Dragone, Star) troppo costose, di difficile trasporto e obsolescenti per quanto riguarda scafi e piani velici, con classi di nuovo disegno, più contenute nelle dimensioni e conseguentemente nei prezzi e di più facile trasportabilità. Nel contempo fa pressioni sul CIO (Comitato Internazionale Olimpico) per ottenere l'ammissione di una sesta classe alle regate olimpiche. Per la sostituzione delle barche a chiglia dopo concorsi per progettisti, studi, prove in mare e combattutissime selezioni nascono due nuove e quindi modernissime classi: il Soling (equipaggio di tre) e il Tempest (due) con scafi di resina poliestere rinforzata con fibre di vetro e antenne metalliche di speciali leghe leggere di alluminio, con piani velici aggiornatissimi e ambedue dotati di spinnaker (il Tempest anche di trapezio). Il Tempest ha anche ottime soluzioni per il trasporto, potendosi issare il bulbo dall'interno del pozzetto mediante uno speciale martinetto ed essendo il timone estraibile. Le due nuove classi ottengono rapidamente lo status internazionale e vengono scelte come classi olimpiche per le Olimpiadi del 1972 (Monaco-Kiel). Nel frattempo l'IYRU ha anche ottenuto dal CIO, molto riluttante in principio in quanto preoccupato di limitare il gigantismo organizzativo sempre crescente dei Giochi Olimpici, l'ammissione della sesta classe. Ma l'allargamento del numero non serve ad ammettere una nuova classe a deriva, bensì a mantenere una delle vecchie classi a chiglia (Star) mentre viene estromesso il solo 5,5. Si passa così al 66,6% di scafi a chiglia e addirittura al 77% di equipaggi delle stesse che comprimono ancor più il già ristretto spazio riservato ai derivisti.

Fortunatamente il 7 novembre 1969, data storica per la vela italiana, a Londra viene eletto presidente dell'IYRU all'unanimità, in sostituzione dell'ornitologo P.M. Scott dimissionario, il genovese B. Croce che, dopo 63 anni dalla fondazione dell'Unione, ne diviene il primo presidente non anglosassone, essendo stata questa presieduta sempre e solamente da cittadini britannici.

L'avvento alla presidenza di Croce porta a un energico colpo di timone che determina l'uscita di scena di Dragone e Star, contro l'ammissione di due derive: il catamarano Tornado e la deriva intermedia 470. Il rapporto di forze così s'inverte e le derive acquistano la maggioranza di due terzi, rimanendo però sempre leggermente sfavorite per quanto riguarda il numero di componenti degli equipaggi (solo il 58,33% ovvero 7 derivisti contro 5). Le regate di Kingston (Montreal 1976) vedono così una maggiore equità, essendo più giustamente rappresentate le grandi masse di velisti che praticano l'agonismo sulle più piccole e leggere, ma non per questo meno impegnative, imbarcazioni a deriva.

Ma l'evoluzione indubbia che si è avuta con la sostituzione delle vecchie classi a chiglia con Soling e Tempest, non si riscontra per le derive. Il Flying Dutchman infatti resiste dal 1960, il Finn addirittura dal 1952; essi saranno ancora presenti nel 1980 e non si vede proprio quale nuova e moderna deriva ne possa essere degna erede. Tuttavia se questa non si può considerare un'involuzione, semmai un'incapacità di produrre nuovi disegni superiori a modelli senza alcun dubbio molto ben riusciti, il ritorno della Star ai Giochi Olimpici del 1980, in sostituzione del Tempest, è senz'altro un grande passo indietro. Infatti, per quanto si possa amare la vecchia e romantica Star (disegnata nel 1911 da F. Sweisguth dello studio Gardner), con la sua randa troppo grande, il suo fiocco troppo piccolo, il suo scafo a spigolo e l'impossibilità di portare uno spinnaker e di usare il trapezio, non le si può non preferire comunque il Tempest, che l'ha superata e la supererà sempre in ogni confronto.

Lo s. della vela, anche se al più alto livello è rappresentato dalle classi olimpiche, non si può a ogni modo identificare esclusivamente in esse, perché è un fenomeno molto più ampio con aspetti multiformi e attività differenziate. Una di queste è la vela d'altura, che ha avuto anch'essa uno sviluppo eccezionale negli ultimi vent'anni. Le regate d'alto mare sono infatti diventate così numerose e così affollate che sembra di essere tornati all'età d'oro della vela, quando questa era l'unico mezzo di propulsione non manuale per potersi spostare sull'acqua che costituiva la più agevole via di comunicazione tra le terre emerse. Una tale affermazione potrebbe forse sembrare azzardata, ma è facilmente documentabile perché non passa giorno che non giungano notizie dai più lontani angoli del mondo di barche a vela, più o meno grandi, ingaggiate tra loro o in lotta con sé stesse contro record ormai antichi, che ripercorrono le famose rotte commerciali del tè, del rhum o della lana. Alle varie regate transatlantiche e transpacifiche se ne sono aggiunte altre che prevedono addirittura il giro del mondo. Tutto ciò è molto bello da un punto di vista sportivo e anche culturale, per un raffronto storico con quella che fu un'attività di vitale importanza dei nostri avi, ma ci si comincia a domandare se il costo di queste imprese, anche in vite umane, non sia da considerare eccessivo.

Inoltre comincia a preoccupare il fenomeno dei cosiddetti "navigatori solitari" non tanto per il fatto in sé, quanto per l'eccessiva pubblicità che patrocinatori senza scrupoli o i diretti interessati dànno alle imprese. Non si contesta il valore di queste persone, né il loro diritto a compiere questa libera scelta così come qualsiasi altra avventura, ma si vogliono deplorare i tentativi di speculazione su imprese che di eccezionale hanno a volte solo l'enorme fortuna di chi le porta a termine. Certamente la pubblicizzazione che si è data e si dà a questi episodi è diseducante nei confronti di tutti i neofiti della vela che sono portati ad avvicinarsi a questa attività senza quel rispetto per il mare e quelle precauzioni verso i suoi pericoli che solo chi ne è profondo conoscitore non dimentica mai.

Tornando alla vela d'altura come s. agonistico, è facile stabilire che la data più importante degli ultimi vent'anni, in relazione alle regate tra yacht di questo tipo, è il 1° gennaio 1970, giorno in cui i regolamenti dell'inglese RORC (Royal Ocean Racing Club) e del CCA (Cruising Club of America) dànno vita, unificandosi, al nuovo Regolamento internazionale di stazza: l'IOR (International Offshore Rule). Nello stesso giorno a Londra si costituisce un nuovo organismo internazionale, l'ORC (Offshore Rating Council), che gestisce tutta la non indifferente problematica tecnica relativa alle regate d'altura.

Dopo questa universalizzazione dei complessi regolamenti si perviene, riesumando la vecchia coppa challenge riservata agli yacht di una tonnellata di stazza messa in palio la prima volta nel 1898 dal "Cercle de la voile de Paris", poi passata ai 6 m S.I. e nel 1965 a yacht con limite di rating di 22 piedi, alla costituzione delle cosiddette "level class", dando vita alle seguenti competizioni che sono veri e propri campionati mondiali di classe: Quarter Ton Cup, con limite massimo di 18 piedi di rating; Half Ton Cup (21,7); Three Quarter Ton Cup (24,5); One Ton Cup (27,5); Two Ton Cup (32). In questo modo gli yacht d'altura cominciano a gareggiare tra loro senza bisogno di compensare i tempi finali con i loro coefficienti di correzione, ma in maniera diretta secondo l'ordine d'arrivo reale, il che, rendendo la competizione molto più interessante, ha permesso una maggiore diffusione di questi tipi di barche.

Per concludere con lo yachting pesante ricordiamo il suo più prestigioso trofeo denominato "America's Cup", dal nome della goletta americana che lo vinse per prima nel 1851 nelle acque dell'Isola di Wight e che da allora non si è più mosso dalla bacheca del New York Yacht Club, suo geloso custode, nonostanti le più recenti e agguerrite sfide portate da paesi evolutissimi nel campo della vela come Australia, Gran Bretagna, Svezia e Francia che però hanno dovuto ancora soccombere alla superiore tecnologia americana anche durante gli ultimi due decenni.

Se si passa dalle grandi barche alle più piccole, non si può fare a meno di notare lo stupefacente e sempre crescente numero dei cosiddetti windsurfer che costituiscono l'ultimo grido della moda, perché molto spesso di mode bisogna parlare in questo strano sport. I windsurfer sono un connubio tra le surf board americane, nate per scivolare sulle lunghe onde oceaniche mentre l'atleta cerca di restarvi sopra in piedi il più a lungo possibile, e le tavole a vela. Divertentissimi e velocissimi, sono un altro attacco alla vela classica e, malgrado il gran numero di praticanti e di regate, peccano di tecnica e tattiche che sembrano essere, almeno per il momento, ancora alquanto approssimative.

Sfortunatamente non è difficile elencare le vittorie più significative della vela italiana dal 1961 a oggi e dobbiamo purtroppo constatare che non c'è stato un grande rinnovamento se a livello mondiale le vittorie più importanti sono ancora quelle di A. Straulino che nel 1965 ha vinto il campionato mondiale 5,5 S.I. a Napoli e nel 1973 la One Ton Cup a Porto Cervo. Gli altri allori mondiali sono stati conquistati da F. Gavazzi nei Vaurien nel 1966, da R. Bertocchi campione del mondo assoluto e juniores nei Flying Junior nel 1973 e da G. Milone nei Tempest in Canada nel 1975.

Ai Giochi Olimpici abbiamo vinto due medaglie di bronzo solamente ad Acapulco nel 1968 per merito di F. Cavallo e C. Gargano nelle Star e di F. Albarelli nei Finn. In campo europeo oltre al titolo Tempest (1968) di C. Massone ad Alassio, abbiamo quattro titoli nei Lightning con M. Di Segni nel 1962, G. Tulli nel 1965 e 1968 e C. Russo nel 1967. I campionati europei juniores sono stati vinti da italiani nel 1970 da L. Lievi nei Finn e da B. Bensa negli Snipe, nel 1972 da R. Ferrarese nei Flying-Junior, titolo riconquistato l'anno successivo con G. Lamaro.

Volo a vela. - La ripresa dell'attività del volo a vela in Italia, dopo la parentesi del secondo conflitto mondiale, è risultata all'inizio lenta e faticosa, in particolare per il divieto, posto dagli Alleati, di praticare ogni attività di volo e per la quasi totale distruzione delle attrezzature, tanto che un primo raduno degli aliantisti italiani avvenne, nel 1946, a Locarno usufruendo degl'impianti e dei velivoli posti a disposizione dagli Svizzeri del Canton Ticino. Gli uomini più rappresentativi di questo s. - A. Mantelli e P. Rovesti, fondatore della rivista Volo a vela (1946) e autore di numerose pubblicazioni tra cui il recente Ali silenziose nel mondo (1975) - avevano lasciato l'Italia per l'Argentina (giugno 1948), il primo per svolgervi attività di progettista, costruttore e pilota, il secondo per ricoprire l'incarico di assistente del prof. W. Georgii nei suoi studi di meteorologia applicata al volo a vela e per l'approfondimento delle conoscenze nell'ambito dei movimenti ondulatori dell'atmosfera, che si rivelarono poi fondamentali per l'avvio di questa attività sportiva. La riorganizzazione dell'attività volovelistica risultava altresì difficile poiché gli appassionati del volo a vela si erano divisi nella FIVV (Federazione Italiana Volo a Vela), fondata nell'Italia settentrionale, e in un'altra organizzazione costituita a Roma dall'Associazione culturale aeronautica. L'Aero Club d'Italia sollecitava tuttavia una riunificazione grazie soprattutto all'impegno del generale U. Nannini, che già nel 1927 aveva fondato a Pavullo nel Frignano (Modena) la prima Scuola nazionale di volo senza motore (per il volo librato) e nel 1934 aveva dato l'avvio alle prove di volo veleggiato. Nel 1953 a Roma, nell'aeroporto dell'Urbe, veniva fondato il Centro di volo a vela dell'Aeronautica militare, al comando del maggiore A. Mantelli, con il compito d'interessarsi anche dell'attività civile in appoggio all'Aero Club d'Italia (svolgimento di corsi per istruttori, incremento dell'attività volovelistica nazionale con la partecipazione a manifestazioni e competizioni sportive). Venivano così organizzati un corso di volo a vela a Dobbiaco (1953) e uno per istruttori a Rieti (1954) dove poi, nel 1955, era fondata la Scuola nazionale di volo a vela affidata al maggiore P. Rovesti.

L'evoluzione del volo a vela ha avuto inizio con il primo campionato mondiale (1948) e, in Italia, dal 1957 con il Trofeo-challenge "V. Bonomi", assegnato definitivamente nel 1965 al centro studi volo a vela alpino di Varese; dal 1958 il Trofeo era valido anche come campionato italiano. Lo sviluppo del volo a vela è dovuto soprattutto agli studi compiuti nel campo delle costruzioni con le ricerche riguardanti i profili e le sezioni delle ali, con la riduzione della sezione maestra (ottenuta con la posizione supina del pilota), con l'impiego delle materie plastiche (vetroresina), insieme con una maggiore conoscenza e capacità di previsione delle condizioni meteorologiche per un più razionale sfruttamento delle correnti atmosferiche (termiche e ascendenti, di pendio e ondulatorie di sottovento).

I tentativi di record, se inizialmente riguardavano soprattutto la durata di permanenza in volo o la maggiore altezza raggiunta, attualmente riguardano la velocità e la distanza. La massima altezza raggiunta di 14.102 m, con un guadagno di quota di 12.894 m, è stata ottenuta da P. Bikle nel 1961, sfruttando una particolare situazione di correnti ondulatorie sottovento a picchi delle Montagne Rocciose, così come sfruttando particolari condizioni atmosferiche sono stati realizzati, in una stessa giornata (25 aprile 1972), quello sulla maggiore distanza in linea retta da H.W. Grosse con 1460,8 km e quello sulla maggiore distanza con meta prefissata con 1051 km da K. Tesch, quest'ultimo peraltro successivamente migliorato da H.W. Grosse con 1231,8 km (16 aprile 1974). L'Italia ha conquistato primati mondiali solamente in campo femminile, con A. Orsi che attualmente detiene quelli di velocità in triangolo per monoposto sui 100 km (127,20 km/h; 1975) e per biposto sui 300 km (97,74 km/h; 1974).

Nelle tabelle sono riportati i record, mondiali e italiani, rispettivamente per alianti monoposto e per quelli biposto; è riportata anche la denominazione del velivolo usato.

Windsurfing. - S. acquatico, derivato dal surfing, che si pratica con una tavola del peso minimo di 18 kg, di lunghezza da 3,60 m a 3,90 m, priva di timone, originariamente costruita in ABS e attualmente in vetroresina, alla quale è fissata una vela per avvalersi della forza del vento. Si pratica particolarmente nei paesi d'oltreoceano, ma incontra favorevole accoglienza anche in Europa, soprattutto in Germania, Francia, Paesi Bassi. I praticanti sono raggruppati in associazioni nazionali che fanno capo a organizzazioni mondiali; in Italia hanno vita due associazioni: la AIW (Associazione Italiana Windsurfer), che confluisce nella IWCA (International Windsurfer Class Association), e la AIWOC (Associazione Italiana Windsurfing Open Class), che confluisce nella IBSA (International Board Sailing Association); entrambe hanno sede a Roma. Tutti questi organismi sono in attesa del possibile riconoscimento delle rispettive Federazioni veliche nazionali e della IYRU (International Yacht Racing Union), tenuto conto della proposta avanzata dal CIO (Comitato Internazionale Olimpico) d'inserire questa disciplina come s. dimostrativo nell'edizione 1980 dei Giochi Olimpici. L'attività in Italia è cominciata agl'inizi degli anni Settanta e ne sono stati principali promotori E. Renner, G. Cerquetti e T. Del Monaco; la sua diffusione è stata particolarmente favorita dallo svolgimento della 4ª edizione dei Campionati mondiali (Baia Sardinia, 1977). In attesa di una definitiva regolamentazione le gare si svolgono con la suddivisione dei concorrenti in categorie di peso: leggeri, fino a 60 kg; medi, fino a 67 kg; medio-pesanti, fino a 77 kg; pesanti; esiste anche una categoria esclusivamente femminile. Per ogni gara si effettuano 607 regate, secondo il regolamento olimpico della vela.

Vedi Tav. f. t.

Diritto sportivo. - L'ipotesi ordinamentale (l'ipotesi cioè che il mondo degli sportivi costituisca un ordinamento giuridico) è stata generalmente accolta, ma per molto tempo senza risultati apprezzabili. Le questioni di diritto sportivo hanno continuato, perciò, a essere risolte secondo i vecchi schemi di diritto comune. Solo recentemente l'ipotesi è stata verificata e utilizzata in sede ricostruttiva e descrittiva delle componenti del fenomeno sportivo quali elementi (soggetti, organizzazione, normazione e fine) di ordinamenti giuridici particolari. Questa indagine ha consentito, anzitutto, d'individuare il "fine" degli ordinamenti sportivi, fine consistente nel "miglioramento continuo dei risultati", in ogni specialità, e in secondo luogo ha fatto percepire il valore culturale dello sport.

Premesso che tutto lo s. è agonistico, occorre però tener presente la fondamentale distinzione tra agonismo occasionale e agonismo programmatico. Nel primo le gare si svolgono senza collegamenti istituzionalizzati tra i risultati. Nel secondo invece, che caratterizza lo s. moderno, le gare sono collegate mediante i peculiari istituti dei campionati, dei tornei, dei primati, dei calendari, ecc., in modo da accertare l'andamento e, possibilmente, il continuo miglioramento dei risultati. Il valore culturale dello s. consiste dunque in ciò: che per conseguire un fine ludico inutilitaristico (qual è quello, per es., del miglioramento continuo dei risultati nella corsa, nel salto, ecc.) occorre creare un ordinamento (giuridico) in cui i soggetti (atleti, istruttori, dirigenti, giudici, enti associativi, sostenitori, ecc.), l'organizzazione (tecnica, amministrativa, finanziaria, scientifica, ecc.) e la normazione (sportiva, statale, nazionale e internazionale) migliorino continuamente, insieme con il fine che a mano a mano, dunque, si trasforma da ludico in culturale. Il tutto procurando a tutti i soggetti, sia pure in diversa misura, sensazioni di piacere.

I problemi giuridici che presentano questi ordinamenti sono complessi e delicati, sia all'interno di ogni ordinamento, sia nei rapporti reciproci, sia nei rapporti con gli ordinamenti statali. D'altra parte la complessità e la delicatezza dei problemi aumentano, più che proporzionalmente, con la crescente diffusione della pratica sportiva, con l'aumento del livello dei risultati, con l'aumento della rilevanza economica del fenomeno.

Per quanto riguarda i rapporti tra ordinamenti sportivi e ordinamenti statali i problemi sono politici e giuridici e nella loro soluzione occorre contemperare l'esigenza di autonomia degli ordinamenti sportivi con l'interesse pubblico che essi innegabilmente presentano. Il che presuppone una visione sufficientemente chiara del fenomeno sportivo, che per molto tempo è mancata. In Italia i problemi furono semplicisticamente ma soddisfacentemente risolti mediante la pubblicizzazione, con la l. 16 febbr. 1942, n. 426, delle già esistenti istituzioni sportive: Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) e Federazioni sportive nazionali.

Ma con il passare del tempo la posizione pubblicistica del CONI e delle Federazioni è diventata sempre più difficile: l'assoggettamento del CONI al controllo della Corte dei Conti, l'emanazione del d.P.R. 2 ag. 1974, n. 530, contenente le norme di attuazione della legge sopracitata, l'applicazione al CONI, quale ente parastatale, della l. 20 marzo 1975, n. 70, hanno finito per creare una struttura organizzativa che poco si concilia con le esigenze degli ordinamenti sportivi.

Attualmente, perciò, è allo studio una radicale riforma legislativa, in occasione della quale è augurabile che si tenga conto dei risultati conseguiti in Italia dalle moderne ricerche di diritto sportivo. Sarebbe utile, tra l'altro, che venisse convenientemente legittimata la giurisdizione sportiva e si statuisse che gli atleti e i tecnici non sono assoggettati alla legislazione del lavoro quando ricevono una remunerazione dalle istituzioni e associazioni degli ordinamenti sportivi.

Bibl.: F.P. Luiso, La giustizia sportiva, Milano 1975; I. e A. Marani Toro, Gli ordinamenti sportivi, ivi 1977.

Medicina dello sport. - È la disciplina medica che ha per scopo la tutela della salute degli atleti; essa studia gli effetti fisiologici dei differenti s. sull'organismo, la prevenzione degli infortuni e delle malattie da sport. D'altro lato studia l'esercizio fisico e sportivo quale mezzo preventivo e riabilitativo in alcune condizioni morbose, nelle quali il sedentarismo rappresenta un fattore di rischio per la salute, ovvero nelle quali si sia resa necessaria una rieducazione funzionale. Questa problematica, d'interesse medico-preventivo e d'indubbia importanza sociale, rappresenta la tradizionale sfera d'interessi della medicina dello s. che può essere pertanto definita come "l'applicazione dell'arte e della scienza medica alla pratica dello s. agonistico e delle attività fisiche in genere, onde sfruttare le possibilità preventive e terapeutiche dello s. per mantenere e migliorare lo stato di salute ed evitare i danni connessi agli eccessi ovvero alle carenze di esercizio fisico".

L'evoluzione attuale della disciplina, sul piano dottrinale e pratico, ne ha notevolmente allargato la sfera operativa. La selezione preventiva iniziale di quanti intendono svolgere attività agonistico-sportive e il controllo periodico dello stato di salute degli atleti sono tra i compiti maggiori della medicina dello sport. Per l'interesse anche sociale che questo comporta è vigente in Italia fino dal 1950 una legge sulla tutela sanitaria delle attività sportive; essa è stata successivamente modificata (l. 26 ott. 1971, n. 1099) e la sua attuazione affidata alle Regioni.

La prevenzione dei danni da s. viene perseguita attraverso la selezione preventiva dei soggetti che intendono dedicarsi all'esercizio agonistico mediante la ricerca delle affezioni controindicanti e l'avviamento del neofita al gruppo di s. maggiormente rispondenti alle doti o caratteristiche psicofisiche individuali, specialmente nel caso di attività fisica auxologica, e inoltre mediante il controllo periodico degli atleti tendente a svelare i deficit indotti o semplicemente rivelati dall'attività sportiva.

Particolare importanza ha assunto la fisiologia applicata alle attività sportive non solamente sul piano della ricerca, ma anche su quello applicato. Il progresso delle conoscenze sulla fisiologia delle massime prestazioni ha reso possibile in pratica anche la specifica valutazione attitudinale degli atleti, oltre ad avere non secondaria influenza sulla metodologia e sulle tecniche di allenamento sportivo.

Le attuali conoscenze sugli effetti dell'allenamento, come fenomeno di adattamento biologico al tipo e al carico specifico dell'attività sportiva praticata, hanno permesso di classificare gli s. dal punto di vista delle modalità con le quali si compie il ricambio dell'ossigeno durante la prestazione agonistica in: a) s. prevalentemente anaerobici o intensivi, di breve durata o esplosivi o di velocità; b) s. prevalentemente aerobici o estensivi o di lunga durata o di resistenza; c) s. misti, ovvero alternativamente aerobici e anaerobici.

Ma questa classificazione risulterebbe incompleta ove non si considerassero altre funzioni fisiologiche che risultano prevalenti in alcuni s., per cui occorre ancora prevedere: d) s. di forza, nei quali prevalente è l'estrinsecazione di una massima tensione muscolare; e) s. di destrezza, nei quali prevalente è l'impegno nervoso e sensoriale.

Queste cinque classi di s. consentono di tipizzare a grandi linee pressoché tutte le attività sportive, anche se bisogna tener conto che con esse vengono presi in considerazione solamente i fenomeni fisiologici prevalenti; ciò non esclude peraltro che anche altri fenomeni funzionali abbiano luogo contemporaneamente; in altri termini ci si basa sull'impegno funzionale che risulta prevalente durante lo svolgimento di un'attività, rispetto ad altri che sono necessariamente sempre presenti. Schematicamente quindi le cinque categorie di s. sopra enunciate sono idonee per un orientamento classificativo utilizzabile anche ai fini di conoscere le doti naturali e le modificazioni funzionali dell'organismo necessarie per praticare un tipo di s.; ciò consente anche di stabilire un metodo scientifico per esplorare lo stato e il funzionamento dell'organismo nei settori più impegnati dall'esercizio di una determinata attività agonistica.

È facilmente deducibile infatti che gli s. di tipo anaerobico e gli s. di forza impegnano ambedue soprattutto l'apparato locomotore, sia pure in modo differente: i muscoli debbono infatti contrarsi, accorciandosi e rilasciandosi, con estrema rapidità negli s. anaerobici, mentre negli s. di forza i muscoli debbono esercitare una tensione massima indipendentemente dalla frequenza e dalla velocità delle loro contrazioni. Sarà inoltre presente un certo impegno nervoso e sensoriale; relativamente scarso viceversa risulterà l'impegno degli apparati cardiocircolatorio e respiratorio. In entrambi i casi, comunque, la contrazione si effettua a spese di sostanze energetiche presenti nel muscolo stesso, che verranno reintegrate dopo il lavoro.

Invece nel lavoro muscolare prolungato, che caratterizza gli s. prevalentemente aerobici, occorre un apporto notevole e continuo di ossigeno e di sostanze nutritive per pareggiare il dispendio energetico con il quale si effettua il lavoro; occorre quindi soprattutto l'impegno degli organi di trasporto, cioè degli apparati respiratorio e cardiocircolatorio. La quantità e la durata del lavoro saranno quindi condizionate soprattutto dall'efficienza di questi ultimi, mentre relativamente scarso sarà l'impegno neurosensoriale.

Esiste infine un altro gruppo di s. che richiedono una notevole quota di controllo nervoso e il coordinato funzionamento della vista, dell'equilibrio e degli altri sensi affinché possano essere eseguiti con la destrezza necessaria. In tali s. l'impegno muscolare e degli apparati di trasporto è di differente entità e passa in seconda linea di fronte a quello neurosensoriale.

Il compito terapeutico e riabilitativo della medicina dello s. consiste nel trattamento delle lesioni traumatiche acute e di quelle croniche determinate dall'iperuso funzionale e da microtraumi ripetuti, che colpiscono in modo preponderante l'apparato locomotore (articolazioni, tendini, inserzioni, ossa) determinando quadri abbastanza tipici come: il gomito del tennista, la caviglia dei calciatori, la pubalgia dei calciatori, rugbisti, ecc. La riabilitazione mediante trattamenti fisiochinesiterapici presenta per gli atleti una notevole importanza, per la necessità di ottenere il massimo possibile del recupero anatomico e funzionale in relazione all'attività fisico-sportiva praticata.

Rientra infine fra i compiti della medicina dello s. anche la lotta contro il doping, cioè l'uso di farmaci (anfetamine, anabolizzanti, ecc.) allo scopo di migliorare la prestazione o l'impiego di pratiche o mezzi (come l'autoemotrasfusione) per ottenere lo scopo analogo. Spesso ciò rappresenta un rischio per la salute dei praticanti sia per la possibilità d'intossicazione acuta e cronica sia per altri effetti secondari indesiderati.

Bibl.: P.O. Astrand, K. Rodhal, Texbook of Work Physiology, New York 1970; A. Venerando e coll., Medicina dello sport, Roma 1974.

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