Specie

Dizionario di filosofia (2009)

specie


Dal latino species («aspetto, forma esteriore»), termine che corrisponde esattamente al greco εἶδος, così come genus a γένος (➔ genere), e che assume particolare rilievo nel pensiero platonico e in quello aristotelico, dove la s., in quanto correlato logico della forma (➔), costituisce il momento determinante della definizione (➔), che si compie per genere prossimo e differenza specifica. Secondo Aristotele, infatti, s. è insieme la classe degli individui che hanno la stessa forma («individuata» dalla materia), e che quindi partecipano della stessa essenza, e il concetto universale (predicabile), che, sul piano della logica, designa questa stessa classe, potendosi predicare di ciascun individuo in essa compreso. Nell’Isagoge, trattando dei cinque predicabili o universali (genere, s., differenza, proprio, accidente), Porfirio propone, senza però fornire alcuna risposta, i tre quesiti che daranno lo spunto alle innumerevoli discussioni dei filosofi sullo statuto degli universali: (1) se i generi e le s. siano per sé sussistenti, o siano invece concetti mentali; (2) nel caso siano sussistenti, se siano corporei o incorporei; (3) se siano separati, o se invece esistano nelle cose sensibili ad esse inerenti (a queste tre domande Abelardo nel 12° sec. ne aggiunge una quarta, con la quale il celebre maestro palatino si chiede se i generi e le s. continuino a mantenere un significato per il pensiero qualora gli individui corrispondenti cessino di esistere). Va peraltro ricordato che per Aristotele, e la tradizione filosofica posteriore che si richiama al suo pensiero, s. assume un importante valore non solo in ambito logico-ontologico, ma anche in quello psicologico: per lo Stagirita, infatti, s. è la forma sensibile o intelligibile dell’oggetto conosciuto, ed entrambe fungono da intermediari nel processo conoscitivo. Tuttavia, nel tardo Medioevo, alcuni autori, tra cui spicca il nome di Guglielmo di Occam, elimineranno dalla loro dottrina gnoseologica la s. intelligibile (species intelligibilis), ritenendola del tutto superflua. In età moderna, la nozione di s., sempre collegata a quella di genere, assume particolare rilievo in Kant, che nella Critica del giudizio (➔) scorge nella legge di specificazione della natura il principio a priori della possibilità della natura dal punto di vista del giudizio riflettente. Attraverso l’uso filosofico, il termine era peraltro già passato nella sistematica delle scienze biologiche, dove ha subito notevoli modifiche con il progredire delle conoscenze. Cruciale è stato in partic. il passaggio dall’idea di s. tipologica, ancora legata al platonismo (le varie s. come entità distinte e immutabili, dotate di caratteristiche, specialmente morfologiche, da rapportare a un modello o archetipo), alla nozione che si è affermata a seguito delle concezioni evoluzionistiche (le s. come «entità storiche», suscettibili di continui cambiamenti durante il corso del tempo).