SPAZIO

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

SPAZIO (XXXII, p. 315)

Vittorino DALLA VOLTA

Dello s. è stato detto, nella voce citata, essenzialmente dal punto di vista della storia e della filosofia della scienza; qui, invece, ne tratteremo dal punto di vista matematico, attenendoci a trattazioni recenti. Sotto l'ultimo aspetto, il termine s. non ha, da solo, un significato preciso. Più che altro, si deve a ragioni storiche occasionali se i matematici hanno dato quel nome a particolari insiemi, chiamandone punti gli elementi: ma non si può dire che i diversi spazî che oggidì si considerano godano di proprietà comuni che li caratterizzino fra gli insiemi. Occorre perciò di volta in volta aggiungere un aggettivo al nome s., e parlare propriamente di spazî topologici, spazî metrici, ecc.

Passeremo successivamente in rassegna i più importanti tipi di spazî, dando soltanto definizioni e proprietà fondamentali, salvo a rinviare - per ulteriori sviluppi - alle voci relative ai rami della matematica in cui gli s. considerati ricevono applicazioni (topologia, geometria, varietà, ecc.) ed alle relative bibliografie.

1. - Spazî topologici. - Di essi si è parlato anche sotto le voci topologia astratta e spazî astratti, in App. II, 11, p. 1004 e p. 874; giova tuttavia riprendere l'argomento in modo più aderente alle vedute ed alla terminologia moderne. Per le prime nozioni di teoria degli insiemi, v. insieme in questa Enciclopedia.

Un insieme S di elementi, chiamati punti (pt.), si dirà uno spazio topologico (s. t.) se in S sono definiti particolari sottoinsiemi, detti aperti, soddisfacenti ai seguenti postulati:

Si dice allora che gli aperti considerati definiscono in S una topologia. Notiamo subito che in ogni S esistono due topologie ovvie, aventi però scarso interesse: si ottiene la prima assumendo quali aperti tutti i sottoinsiemi di S (topologia banale, o discreta), la seconda prendendo quali aperti soltanto S e Ø. Ulteriori esempî di s. t. saranno dati in seguito.

Un sottoinsieme A di uno s. t. si dirà chiuso se il suo complementare (totalità dei punti di S che non appartengono ad A) è aperto.

Dai postulati (I) seguono per gli insiemi chiusi le proprietà:

Viceversa, da queste seguono le (I) definendo aperto un insieme il cui complementare sia chiuso, il che conduce a due modi diversi di definire in S la stessa topologia.

Un altro modo di definire uno s. t. è il seguente, dovuto a K. Kuratowski (v. anche topologia astratta in App. II, 11, p. 1004). Dato uno s. t. S, ed un suo qualsiasi sottoinsieme A, è possibile associare ad A un ben determinato chiuso, detto chiusura (o aderenza) di A ed indicato con Ā, costituito dal più piccolo chiuso contenente A, cioè dall'intersezione di tutti i chiusi contenenti A. Ne discende che A è chiuso se, e soltanto se, esso coincide con la sua chiusura: A = Ā.

La chiusura gode delle seguenti proprietà:

Per provare (II, 4) notiamo che, se un insieme H contiene un insieme K, ogni chiuso contenente H. contiene K. Perciò, fra i chiusi contenenti K (la cui. intersezione è ), vi sono certo quelli contenenti H (ed eventualmente altri); ne segue che è contenuto in È, ossia

Dati ora due insiemi A, B e posto C = A B, risulta C A, C B, e perciò Ā, , da cui Ā;. d'altro canto. per (II),1) A, B, Ā A B = C; se ora passiamo alle chiusure. osservando che Ā è chiuso, come intersezione di chiusi, si ha Ā e quindi Ā = =

Inversamente, si abbia in un insieme S una legge che, ad ogni sottoinsieme A di S, associ un insieme Ā (a priori qualsivoglia, ma da dirsi ancora chiusura di A) in guisa che valgano le (II). Detto chiuso ogni insieme che coincida con la propria chiusura, così intesa, si prova che tali chiusi soddisfano alle (I′) e inoltre la chiusura di A coincide con l'intersezione di tutti i chiusi contenenti A. S è perciò uno s. t. secondo le definizioni precedenti.

È opportuno osservare che le nozioni di chiuso e aperto non sono l'una opposta all'altra, e che possono esservi insiemi né chiusi né aperti. Così, per es., in ogni s. t. tanto lo spazio S quanto l'insieme vuoto sono simultaneamente chiusi e aperti; nella topologia discreta (v. sopra), ciò ha anzi luogo per ogni insieme; mentre invece, nell'altra topologia ovvia sopra indicata, ogni insieme diverso da S o da Ø non è né chiuso né aperto.

Se S è uno s. t., si dirà base aperta per S un insieme {V} (non vuoto) di aperti, tale che ogni aperto A di S possa ottenersi quale unione di insiemi di {V}; poiché, viceversa, ogni unione di insiemi di {V} è aperta (v. sopra), l'assegnazione di una base definisce completamente la topologia di S.

Particolari basi aperte {V} sono quelle dette sistemi di intorni, per le quali chiamansi intorni Vx di un punto x di S gli insiemi V contenenti x (ogni x deve ammettere qualche siffatto Vx, in quanto, S essendo aperto, risulta unione di V), e caratterizzate dalle due seguenti proprietà:

Si prova poi che un insieme A è aperto, se, e soltanto se, per ogni suo pt. x esiste un Vx A.

Anche i sistemi di intorni, introducibili direttamente mediante le (III) e la proprietà che ogni Vx deve contenere x, bastano a definire una topologia, nel senso che essi conducono ad uno s. t. (F. Hausdorff). Questa via (seguita in App. II, 11) evita l'inconveniente delle altre definizioni qui date di dover assegnare tutti gli aperti (o i chiusi, o le chiusure), ma presenta quello di non essere univoca, in quanto generalmente uno stesso s. t. (ossia una topologia di un insieme S) può introdursi mediante differenti sistemi di intorni; per es., nel piano euclideo si ottiene la stessa topologia qualora si assumano come intorni dei singoli pt. x le totalità dei punti interni alle varie circonferenze di centro x, ovvero le totalità dei pt. interni ai varî quadrati di centro x.

Si ha al riguardo il seguente criterio di Hausdorff: affinché due differenti sistemi di intorni {V}, {V′} definiscano in S la stessa topologia, ossia diano luogo agli stessi aperti, e siano perciò da considerarsi come equivalenti, occorre e basta che per ogni V (V′) esista qualche V′ (V) che lo contenga. Avvertiamo poi che, in certe recenti trattazioni, si dice intorno di un insieme A (in particolare di un punto) ogni insieme contenente un aperto A′ ⊇ A.

Spazî metrici. Particolari s. t. sono gli spazî metrici. Uno s. t. S è uno spazio metrico (s. m.) se, per ogni coppia di pt. x, y di S, è definito un numero reale d(x, y) tale che:

Notiamo che, se in 2) si pone z = y e si tiene conto di 1), si ha 0 = d(y, y) ≤ 2d(x, y), sicché d(x, y)> > 0 se x y e la 3) è conseguenza di 1) e 2); ponendo invece, sempre in 2) z = x, si ha d(y, x) ≤ d(x, y) e, scambiando x con y, d(y, x) ≥ d(x, y), e pertanto d(x, y) = d(y, x), sicché la 4) consegue dalle 1) e 2).

Il numero d(x,y) è dunque: zero se, e soltanto se, x = y; positivo se x y, e non dipende dall'ordine in cui si considerano x ed y. Per analogia col caso degli spazî euclidei, nei quali la distanza d(x,y) di due pt. x,y soddisfa alle (IV) il numero d(x,y) dicesi in ogni caso distanza dei pt. x,y dello spazio metrico S.

Si vede facilmente che, se si assume come intorno di x la totalità degli y per cui d(x,y) 〈 r, con r positivo arbitrario, uno s. m. diventa uno s.t. Gli intorni di questo soddisfano inoltre alla proprietà detta di separazione, secondo la quale: presi comunque due pt. x, y distinti, esistono un intorno di y e un intorno di privi di pt. a comune. Ciò si esprime dicendo che uno s. m. è uno spazio di Hausdorff o separato (in trattazioni meno recenti, separabile).

Esempî di s. m. sono: la retta, il piano e gli spazî euclidei, con l'usuale nozione di distanza.

Osserviamo infine che, in ogni sottoinsieme S1 di uno s. t. S, resta definita una topologia indotta da quella di S, assumendo (per es.) quali aperti di S1 le intersezioni di S1 con gli aperti di S. In modo analogo, ogni sottoinsieme S1 di uno s. m. S risulta esso pure uno s. m., giacché il fatto che le proprietà (IV) della distanza sussistano in S implica ch'esse valgano a fortiori in S1.

Per altre nozioni sugli s.t. rimandiamo alla voce topologia in questa Appendice.

2. - Spazî vettoriali. - Sia K un corpo (v. corpo astratto, in App. II,1, p. 699), i cui elementi verranno indicati con lettere latine minuscole (lo zero e l'unità risp. con 0 ed 1). Un insieme V di elementi, detti vettori e che denoteremo con lettere minuscole greche, costituisce uno spazio vettoriale sinistro (s.v.s.) su K qualora:

1) V sia un modulo (gruppo abeliano additivo, v. gruppo, in questa App.);

2) sia definito un prodotto di un elemento a di K per un elemento α di V, denotato con aα, il quale goda delle seguenti proprietà:

In modo perfettamente analogo, si definiscono, mutatis mutandis, gli s. v. destri (s.v.d.); ed è chiaro che, se K è un campo (cioè se K è commutativo), ed allora soltanto, le due nozioni di s.v.s. e d. coincidono.

Gli s.v., specie quando K sia il campo reale o complesso, vengono anche detti talora insiemi lineari; qui però eviteremo questa locuzione, anche per non far confusione con gli spazî lineari sopra un corpo (v. geometria, in questa App.), i quali risultano solamente particolari s. v.

Se si indica lo zero del modulo V (vettore zero, o nullo) con OV, da 2a) segue:

Inversamente, se aα è il vettore nullo, si vede facilmente che (per essere K un corpo) il primo od il secondo dei fattori è nullo (risp. lo zero di K oppure OV).

Esempî di spazî vettoriali vengono forniti, oltre che dagli spazî lineari sopra un corpo, dagh ordinarî vettori liberi della meccanica.

Un qualunque numero h ≥ 1 di vettori

verranno detti indipendenti se il vettore

a combinazione lineare (c. l.) degli

con coefficienti ci elementi arbitrarî di K, è nullo solamente quando tutte le ci sono uguali a zero; in caso contrario i vettori si diranno dipendenti (sopra K).

Vi sono ora due possibilità: a) il numero h dei vettori indipendenti di V raggiunge un massimo (finito), che indicheremo con n; b) ciò non accade (esistono cioè h-uple di vettori indipendenti con h arbitrariamente grande); nel primo caso, il numero n chiamasi dimensione di V, e si dice che V ha dimensione finita; nel secondo si dice invece che V ha dimensione infinita.

Esempî di s. v. a dimensione finita sono dati dagli Sn lineari su un campo (v. geometria, in questa App.), dalla totalità degli ordinarî vettori (n = 2,3), nonché dalle algebre (su un corpo, v. immaginario, XVIII, p. 886, n. 9). Si ottiene uno s.v. di dimensione infinita considerando, per es., la totalità delle funzioni di una variabile reale, definite nell'intervallo (0,1), K essendo il campo reale.

Un insieme B di vettori dicesi costituire una base per V se ogni vettore ξ di V può venir rappresentato, ed in un sol modo, come c.l. dei vettori di B, con coefficienti in K, aggiungendo la condizione che - qualora B consti di infiniti elementi - il numero dei coefficienti ≠ 0 di tale c.l. sia finito. I coefficienti della c. l. chiamansi anche le componenti di ξ rispetto a B; mediante esse, si esprimono subito la somma di due vettori e il prodotto di un vettore per un elemento di K.

Si dimostra che ogni s.v. ha una base, finita o no; se, e soltanto se, V ha dimensione n finita, ogni sistema di n vettori indipendenti costituisce una base di V, e viceversa.

Dato uno s.v.s., si dirà forma (o rappresentazione) lineare (f.l.) di V su K una legge, ϕ*, che associ ad ogni vettore ξ di V un elemento di K (valore di ϕ* in ξ), che denoteremo con (ξ, ϕ*), in guisa che sia: (aξ + bη, ϕ*) = a(ξ, ϕ*) + b(η, ϕ*), per ogni a e b in K. (Se V è uno s.l.d., il valore di una f.l. si indicherà invece con (ϕ*, ξ)).

Segue subito dalla definizione che una f.l. è univocamente definita dalla conoscenza dei suoi valori per i vettori di una base di V, e che questi possono venire assegnati arbitrariamente.

Le f.l. su uno s.v.s., V, formano uno s.v. destro, qualora si definiscano la somma σ* = ϕ* + ψ* di due f.l. e il prodotto π* = ϕ*a di una f.l. ϕ* per un elemento a di K come segue:

Lo s.v.d. di cui sopra dicesi il duale di V e lo si denota con V*; lo zero O*V di quello è la f.l. che associa ad ogni vettore di V lo zero di K.

Se V ha dimensione n finita. anche V* ha dimensione (finita) uguale ad n. Infatti. se B è una base per V, siano ξi(i = 1, ... n) le componenti i di un vettore ξ rispetto a B. e si considerino le n f. l.

definite da

(forme coordinate); si vede allora senza difficoltà che le

(sono indipendenti e) formano una base B* (duale di B) per V, onde l'asserto. (Se V non ha base finita, le forme coordinate possono ancora venire definite, ma non formano una base per V*).

Poiché V* è uno s.v.d., si può considerarne il duale, V**, il quale risulta uno s.v.s. Se V ha dim. n finita, anche V** ha dim. n; di più, si può identificare in modo naturale V** con V. Invero, ad un qualunque elemento ξ di V può venir biunivocamente associato l'elemento ξ** di V** tale che, per ogni ξ* di V* risulti

presa infatti una base B per V, sia B* la base duale in V*, e B** la base duale di B* in V**: si vede allora che, se ξ e ξ** sono associati nel modo indicato, essi hanno le stesse componenti, risp. relativamente a B ed a B**, e viceversa. Se la dimensione di V è infinita il risultato può non valere.

Dato un sistema S di vettori indipendenti di V, la totalità dei vettori che si ottengono come c.l. dei vettori di S è uno s.v., detto un sottospazio di V; se V ha dimensione n finita, ogni suo sottospazio ha dim. p finita, con p n (ciò cessa dall'essere vero se V ha dimensione infinita); così per p = 1, 2, si hanno le rette e i piani di V.

Presi due s.v. Vm, Vn sopra un campo K, di dimensioni rispettive m ed n, se ne considerino i duali Vm*, Vn*; sia T una rappresentazione bilineare (r.b.) del prodotto Vm* × Vn* su K, cioè una legge la quale, ad ogni coppia (ξ, η) risp. di Vm*, Vn*, associ un elem. di K. che indichiamo con T(ξ, η), in modo che:

comunque si scelgano ξ, ξ′, in Vm*, η, η′, in Vn* a, b in K.

Si dimostra che la totalità delle r. b. costituisce ancora uno s.v. su K, di dim. m.n, detto il prodotto tensoriale dei due dati s.v. e indicato con

In modo analogo si definisce il prodotto tensoriale di più s.v. (sopra lo stesso campo).

Se i varî fattori del prodotto tensoriale si riducono tutti ad uno stesso s.v. o al duale di questo, ogni elemento del prodotto chiamasi tensore.

3. - Applicazioni. - Gli s. topologici e gli s. vettoriali ricevono applicazioni in numerose branche della matematica; accenneremo alle più importanti di queste.

a). In analisi si incontrano gli spazî funzionali, di interesse per es., nella teoria delle equazioni differenziali a derivate parziali (v. spazî astratti in App. II. 11, p. 874); tali s., i cui elementi (o punti) sono in generale funzioni, risultano s. vettoriali (generalmente a base infinita) e possono sovente venir ridotti a s. topologici o, in particolare, metrici con opportuna definizione di una topologia o di una lunghezza di vettori (o distanza fra punti) (v. spazî astratti); in casi speciali, essi ricevono nomi quali: s. di S. Banach, M. Fréchet, ecc. Di particolare interesse. anche storico, sono gli s. di D. Hilbert, un esempio di questi essendo dato dallo s. delle successioni {xi} di numeri reali xi tali che la serie Σixi²% risulti convergente; uno spazio di Hilbert è reso metrico assumendo come distanza di due punti {xi}, {yi} il numero:

b). Per quanto riguarda la Geometria, sono s. topologici ad esempio gli spazî euclidei, affini, proiettivi, e le relative varietà subordinate: in questi ultimi tempi. hanno acquistato interesse fra gli s. topologici le varietà topologiche, in particolare le varietà differenziabili (v. varietà, in questa App.). Per queste ultime, ad ogni loro punto x si può associare uno s. v., lo spazio tangente Tx, i cui elementi diconsi vettori controvarianti, per distinguerli dai vettori covarianti, che sono gli elementi del relativo Tx*; a partire da questi due s. v., si definiscono i tensori sulla varietà, di importanza fondamentale per lo studio delle proprietà differenziali della varietà stessa.

Bibl.: G. Vitali, Geometria nello spazio Hilbertiano, Bologna 1929; P. Alexandroff e H. Hopf, Topologie, I, Berlino 1935; N. Bourbaki, Éléments de mathématiques (v. in particolare i voll. sull'Algebra e sulla Topologia), Parigi dal 1939; G. Fichera, Lezioni sulle trasformazioni lineari, I, Trieste 1954; B. Segre, Forme differenziali e loro integrali, I (litografie), Roma 1956; V. Dalla Volta, Premesse di algebra e topologia alla geometria differenziale (litografie), Roma 1957; T. J. Wilmore, An introduction to differential geometry, Oxford 1959.

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