Spazio
Spazio è un sostantivo polisenso che designa in generale un'estensione compresa tra due o più punti di riferimento. Può essere variamente interpretato a seconda che lo si consideri dal punto di vista filosofico, psicologico, geometrico, fisico, astronomico, geografico, architettonico, pittorico, astronautico e industriale. Le varie accezioni possono essere oggetto di articolate analisi concettuali, ma soltanto un approccio diacronico alla storia della ricerca filosofica rende possibile cogliere le remote premesse di una trama estremamente complessa, sottesa alla moderna problematica dello spazio.
sommario: l. La concezione mitica e la geometrizzazione dello spazio. 2. Dalla rivoluzione scientifica alla fisica relativistica e quantistica. □ Bibliografia.
l. La concezione mitica e la geometrizzazione dello spazio
La nozione più diffusa e comune consiste nella percezione di uno spazio 'naturale', il quale è in realtà una proiezione in natura dello spazio a tre dimensioni (tre piani che si intersecano con angoli di 90°), che furono non scoperte ma codificate da
L'intuizione dello spazio tridimensionale, detto euclideo, ha origini immemorabili nella coscienza di Homo sapiens. Prima di pervenire all'intuizione astratta di uno spazio geometrizzato in cui collocare i corpi esterni e il proprio stesso corpo, l'uomo primitivo ha vissuto per tempi probabilmente assai lunghi in uno stato di compartecipazione 'mistica' e animistica con il proprio ambiente, ossia in una simbiosi priva di nette distinzioni tra soggetto e oggetto. La psicologia dell'età evolutiva ha studiato a fondo per via sperimentale i processi di formazione delle rappresentazioni spaziali nella mente infantile; ma si può dubitare che tale processo ricapitoli la filogenesi delle intuizioni dello spazio nella coscienza della specie umana, dato che nel bambino la loro acquisizione è comunque condizionata dall'interferenza di fattori ereditari e culturali recenti. Le analisi etnoantropologiche della mentalità primitiva mostrano invece che presso i popoli senza scrittura le percezioni di luogo e di spazio implicano un insieme di rapporti sensoriali ed emotivi legato non solo ai bisogni vitali e all'istinto, ma alla mitologia e alle rappresentazioni collettive più arcaiche. Prevale nei primitivi, secondo raffinate indagini etnologiche, una nozione qualitativa dello spazio dove ciascun 'luogo' non si inscrive in un reticolo di coordinate metriche oggettive, ma è espressione di percezioni concrete legate alla loro vita sociale, al loro vissuto di cacciatori, raccoglitori, agricoltori, nomadi o stanziali, e soprattutto è carico di significati magici, mitici, cultuali. L'uomo primitivo si orienta perfettamente nell'ambiente con il quale è in simbiosi non mediante le coordinate geometriche a noi familiari, bensì identificando simpateticamente le varie direzioni o regioni dello spazio con gli animali e le tribù che vi vivono, con la vegetazione che vi cresce, con le perturbazioni atmosferiche che ne provengono. Così pure sono di natura simpatetica e magica i confini territoriali di un clan, le delimitazioni delle zone appartenenti a totem familiari o a gruppi tribali, o, ancora, le rappresentazioni dello spazio nei miti circa le origini del mondo. In alcuni miti il caos, lo spazio e la materia si generano assumendo simmetrie di tipo antropomorfico, dove la natura stessa ripete la struttura del corpo umano. Il comune sfondo animistico e antropomorfico proprio delle percezioni spaziali dei primitivi spiega inoltre le distinzioni dei punti cardinali legate ai miti della creazione, le quali si riflettono sia nelle forme architettoniche sia nell'orientamento e nella topografia di edifici di culto, templi, città.
Non è immune dai residui arcaici provenienti dai miti della creazione la genesi di coppie di concetti astratti come spazio/materia, vuoto/corpo, finito/infinito, formulati dai poeti-filosofi presocratici. In Esiodo e nelle cosmogonie orfiche - come nella Bibbia - si trova la nozione di un caos indistinto (χάος), metafora del vuoto originario, da cui scaturisce il dualismo tra luce e tenebre, la creazione del giorno e della notte. La ϕύσις come forza generatrice o 'natura' di cui si parla nei frammenti dei filosofi ionici implica i concetti di estensione geometrica e di luogo, di pieno e vuoto, nelle idee tra loro alternative di corpo solido e di privazione di corpo.
Taluni frammenti dei physiològoi Anassimandro, Anassimene,
I paradossi di Zenone erano probabilmente diretti contro la dottrina di Pitagora e della sua scuola, secondo la quale tutto nell'Universo è composto da figure geometriche e numeri, e i fenomeni della natura si lasciano ridurre alle proporzioni tra grandezze finite e alle serie di
Una scelta decisa e coerente a favore dello spazio vuoto (κενόν) e della materia disseminata nel vuoto venne formulata dai primi atomisti,
Nella cosmogonia del
Anche Aristotele escluse il vuoto per ragioni fisiche e metafisiche. Argomentò l'horror vacui in natura e la negazione di uno spazio omogeneo distinto dai singoli luoghi occupati da corpi.
2. Dalla rivoluzione scientifica alla fisica relativistica e quantistica
Le discussioni sullo spazio che si svolsero nella scolastica medievale, entro i limiti della cosmologia tolemaica incorporata nei trattati didattici correnti De sphaera, si richiamarono al mito del Timeo platonico o, più tardi, alla Metafisica, alla Fisica e al De caelo di Aristotele, ed ebbero implicanze essenzialmente teologiche. Ci si interrogava circa la creazione del mondo nello spazio, la disposizione della materia in una catena dell'essere ascendente dal regno corporeo fino alle gerarchie angeliche, i rapporti tra lo spazio celeste o etereo e la presenza divina. Una particolare suggestione fu esercitata, nella cultura del primo Rinascimento, dalla cosmogonia platonizzante dei trattati del Corpus hermeticum, raccolta di testi iniziatici spuri attribuiti al mago egizio Ermete Trismegisto, dove lo spazio è percorso da misteriose presenze e da voci sovrannaturali. Nel filone ermetico confluì anche la nozione di uno spazio divino proveniente dai libri sacri della tradizione mistica e del folklore ebraici, come il
Con l'avvento dell'astronomia copernicana, oltre la metà del 16° secolo, la progressiva frantumazione del cosmo aristotelico comportò la distruzione della fisica geostatica e dei quattro elementi, con i relativi luoghi e moti qualitativi. La crisi radicale dell'astronomia tolemaica pose l'esigenza di una nuova concezione dello spazio nel quale collocare un sistema del mondo ormai privo di luoghi privilegiati. Non si trattava soltanto di rimuovere la Terra dal centro del sistema e di proiettarla in una delle orbite circumsolari, ma di modificare ab imis fundamentis le premesse a fondamento della scienza del moto, dilatare i confini apparenti della sfera celeste discernibili a occhio nudo, e avviare un processo illimitato di infinitizzazione dello spazio.
Alla fine del 16° secolo il più audace degli interpreti di
Il concetto di spazio è stato al centro di una complessa problematica geometrica, fisica, astronomica tra il 17° e il 20° secolo. Tuttavia i protagonisti della rivoluzione scientifica rilessero inizialmente il libro della natura con gli occhi dei naturalisti e dei matematici antichi eclissati dall'ipse dixit di Aristotele: Democrito, Epicuro, Lucrezio, Eudosso, Archimede, Apollonio di Perge, Euclide e altri. Per questa via Keplero, Galileo, ma soprattutto
Coerentemente, Descartes formulò una legge 'relativistica' del moto, nei termini di una semplice traslazione di una particella di materia dalla vicinanza di alcuni corpi alla vicinanza di altri. Eppure il suo concetto del moto nel plenum non gli impedì di formulare due leggi meccaniche nelle quali si può riconoscere un embrione del principio d'inerzia: "La prima è che ciascuna cosa continua ad essere nello stesso stato per quanto può, e mai lo cambia se non per l'incontro di altre [...]. Se una parte della materia è in riposo, non comincia a muoversi da sé stessa. Ma quando ha cominciato una volta a muoversi da sé, proseguirà il moto all'infinito" (II, 37). In assenza di un vuoto reale questo principio è un puro e semplice caso-limite. Vi si richiamò testualmente in un abbozzo Newton, anche se la sua formulazione finale del principio d'inerzia comporta un diretto confronto polemico: "Il moto cartesiano non è moto - si legge nel saggio giovanile De gravitatione et aequipondio fluidorum - né fa percorrere alcuno spazio, alcuna distanza". Le definizioni di luogo e di moto locale sono contraddittorie in assenza di un sistema di riferimento immobile, ossia lo spazio inteso come contenitore universale dei corpi. Com'è chiaro da altri appunti e saggi giovanili, Newton recuperò dagli atomisti antichi la filosofia corpuscolare della materia e la connessa nozione di vuoto, ma reinterpretò quest'ultima sia attraverso la concezione tridimensionale euclidea dello spazio, sia attraverso la fede nell'onnipresenza e ubiquità di Dio, probabilmente ispirata agli scritti del mistico
Va vista in tale contesto anche la soluzione del problema dello spazio proposta da
bibliografia
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