SPAGNA

Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)

SPAGNA (XXXII, p. 196)

Guido GIGLI
Alberto BALDINI

Storia (p. 217).

Primo de Rivera, pieno di energia e di buon volere ma impari al gravoso compito, senza una vera base politica nel paese, e in ultimo abbandonato anche dal re, che chiese le dimissioni del dittatore, lasciava il potere il 28 gennaio 1930. A suo successore fu scelto il generale Berenguer, essendo evidente la necessità di una dittatura militare di trapasso tra il vecchio regime e il nuovo. Ma il giorno in cui cadde de Rivera un grido si levò contemporaneamente nei centri più sensibili della Spagna: "abbasso il re" La corona stessa veniva così chiamata a render conto delle sue responsabilità. In questo arduo momento, il Berenguer, che era stato così prudente e sagace nel Marocco, venne meno al suo compito: anziché affrontare con più decisione e franchezza gli avversarî della corona che chiedevano la costituente, tentò di temporeggiare, con una tattica che rese più profondo il solco tra costituentisti e anticostituentisti, compromettendo più che mai la dinastia, esposta agli attacchi crescenti delle opposizioni di sinistra e ai pericolosi propositi lealisti delle juntas militari. Ad aggravare la situazione venne la decisione di fare prima le elezioni municipali e poi quelle parlamentari. Era evidente la volontà di guadagnar tempo, di girare l'ostacolo, di aspettare che le passioni si calmassero e gli animi si disponessero alla dimenticanza.

Il tema della responsabilità del re doveva essere evitato ad ogni costo. Una parola d'ordine suonava: il re è irresponsabile. Ma la condotta del ministero sortì gli effetti più sciagurati. Di colpo, le elezioni che dovevano avere un carattere "neutro" si trasformarono in una sorta di plebiscito sul regime. La Spagna si divise fra la tradizione e la rivoluzione, la monarchia e la repubblica. L'esito di queste dissimulate elezioni "costituenti" fu disastroso; i partiti di destra divisi, senza organizzazione, senza un piano comune d'azione, contribuirono a rendere ancora più clamorosa la disfatta del 12 aprile 1931. In Madrid e in tutte le capitali provinciali, risultarono largamente vincitori i socialisti e i repubblicani, sebbene le campagne fossero in maggioranza conservatrici. Tutti rimasero meravigliati del risultato a cominciare dagli stessi socialisti. L'inabilità del governo aveva provocato la catastrofe. All'equivoco appello del governo la nazione rispose col tacito congedo del suo re. Il re, avendo compreso che la monarchia era finita, si comportò con la più grande dignità: rifiutò di abdicare, e acconsentì di partire per evitare la guerra civile. La monarchia cadde il 14 aprile, e subito fu proclamato un governo rivoluzionario provvisorio presieduto da Alcalá Zamora, che otto anni prima era stato ministro della Guerra nell'ultimo gabinetto costituzionale, e che da poco era stato tratto in arresto per complotto contro la sicurezza dello stato.

Le ripercussioni nell'interno furono notevoli: i socialisti, decisi a sfruttare il successo che inopinatamente si era loro presentato, mirarono direttamente alla conquista del potere. Non avendo da soli forze sufficienti, si piegarono a una sorta di nuova "empia alleanza" con l'unirsi alla Federazione anarchica iberica e all'organizzazione sindacale di questa. Ma la conquista violenta del potere non riuscì; e si ebbe il primo governo repubblicano formato di socialisti e radicali.

Nel luglio vi furono le elezioni delle Cortes costituenti e vi si delineò il successo della coalizione di sinistra. Nel dicembre del 1931 fu proclamata la Costituzione della nuova Spagna (v. spagna: Ordinamento costituzionale, p. 214), di carattere illuministico e che dimostrò ancora una volta l'immaturità politica del paese, causata dalla mancanza di una borghesia operante nella sua compagine sociale.

Fu nominato presidente della seconda repubblica Alcalá Zamora; Azaña lo sostituì nella carica di primo ministro. Tra l'aprile e il dicembre del 1931, e successivamente fino al dicembre del 1933 il governo repubblicano, insediatosi subito dopo la partenza di Alfonso XIII, agendo dittatorialmente, come lo spingevano a íare i motivi ideologici, il temperamento dei singoli, i consigli di Mosca, e infine il mandato che credeva di aver ricevuto indirettamente dal paese (in base ai risultati delle elezioni municipali e costituenti), cominciò ad attuare le dottrine socialiste, legiferando intorno ad argomenti di vaste conseguenze come la nazionalizzazione delle fabbriche, le relazioni fra Stato e Chiesa, le forze armate, l'educazione.

Fu infatti decretata la secolarizzazione dell'educazione: la legge del 2 giugno 1933 realizzò al completo questo pr0gramma, interdicendo senz'altro l'insegnamento dato "dai religiosi e da altre persone designate a questo effetto dalla Chiesa", con danno di molte famiglie che si videro prive, specie nel campo dell'insegnamento elementare, delle uniche scuole che in quel momento poteva offrire il paese. Nel gennaio del '32 furono espulsi i gesuiti e nel settembre dello stesso anno furono confiscati tutti i loro beni mobili e immobili. Nel giugno del 1933 queste disposizioni furono estese alle proprietà di tutti gli ordini religiosi. Ad aggravare le cose, fu dato il bando al cardinal Segura arcivescovo di Toledo, primate di ipagna: fu proibito di seppellire in terreno benedetto coloro che in vita non ne avessero fatto esplicita richiesta; si assistette allo spettacolo della devastazione di chiese e conventi, mentre alle truppe e alla polizia era dato ordine di non intervenire. Questa politica fece apparire il governo come persecutore del cristianesimo, provocando dappertutto profonde reazioni che fecero riaffiorare, contro la dottrina di Marx e di Lenin, il problema religioso al primo piano della coscienza popolare.

Gli stessi problemi sociali ed economici rimasero aggravati dai contrasti di fedi religiose opposte. Dopo molte esitazioni, infine, la riforma agraria fu affrontata e, sulla base della dottrina marxista, temperata nell'applicazione dall'intervento dei radicali, fu promulgata una prima legge nell'agosto del 1931 con la quale si decretava la nazionalizzazione dei latifondi. Nel settembre del 1932 fu decisa la legge di espropriazione, mediante risarcimento, non solo dei latifondi, ma in genere delle "grandi proprietà", escluse quelle gestite dai proprietarî con criterî razionali di conduzione. Siccome la socializzazione fu decretata senza disporre di adeguati mezzi di sfruttamento, avvenne che molte delle proprietà rimasero del tutto in abbandono per mancanza, oltreché di strumenti di lavoro, anche di perizia tecnica e di capitali.

Fu incrinata minacciosamente la compagine nazionale con lo statuto per l'autonomia della Catalogna, pagando con questa rischiosa moneta l'appoggio dato dall'Esquerra e dagli anarco-sindacalisti ai socialisti di Madrid.

Accanto alla lingua nazionale spagnola, che doveva essere appresa da tutti, veniva riconosciuta con parità di diritti "la lingua parlata dalla maggioranza della popolazione" delle singole regioni. Il 1° settembre 1932 la Catalogna viene riconosciuta regione indipendente nel quadro della repubblica spagnola, ai sensi di quell'art. 12 della Costituzione, che mirava a realizzare l'autonomia delle regioni nell'unità dello stato. Una gran parte di questa autonomia veniva gradualmente ritirata alla Catalogna (la regione gerarchicamente più importante per pienezza di potere autonomo) dai governi del 1933-35; per essere di nuovo restaurata dopo la vittoria delle sinistre nel febbraio del 1936.

Si decise infine di liquidare la monarchia e la dittatura con tutti i loro residuati.

Il re fu considerato spergiuro e accusato di alto tradimento per aver violato quella Costituzione del'76, da lui giurata sul libro aperto del Vangelo la mattina del 17 maggio 1902. Il processo in contumacia contro il re, nonostante l'abile difesa del conte de Romanones, si chiuse con la sentenza di condanna del 20 novembre 1931: la sostanza mobiliare e immobiliare della corona, ivi compresi "i depositi in banca e gli effetti", fu confiscata "a beneficio dello stato". Furono condannati alla confisca dei beni senza indennità tutti coloro che avevano preso parte al conato controrivoluzionario del generale Sanjurjo. Non potendosi far nulla contro Primo de Rivera, morto improvvisamente a Parigi, furono processate tutte le persone sospette di aver favorito l'avvento della dittatura, sotto l'accusa di aver perpetrato atti incostituzionali col fine di consumare il delitto politico della dittatura, di avere usurpato le funzioni che la Costituzione attribuisce in proprio al parlamento, di aver trascurato di convocare le Cortes, di avere imposto ed esatto tributi.

Tutti questi provvedimenti legislativi furono promulgati mentre sedevano le Cortes, però senza la loro collaborazione, non potendo esse occuparsi, per espressa disposizione di legge, che del solo lavoro costituente. Quindi il governo repubblicano ripeteva il suo potere, diremo così, dall'atmosfera dell'ambiente, dalla volontà popolare indirettamente manifestatasi nelle elezioni municipali e costituenti dell'aprile e del luglio 1931. La nazione venne a subire in tal modo tutte le conseguenze di una minacciosa forma di eccesso nel mandato, e mostrò evidenti segni di volersene ricordare nelle prossime elezioni "legislative". Nel giugno del 1933 il governo infatti non poté non consentire di indire le attese elezioni generali delle prime Cortes regolari: elezioni che ebbero luogo il 19 novembre e il 3 dicembre e segnarono la sconfessione della farraginosa legislazione biennale del governo. La disfatta dei socialisti fu completa: da 113 seggi che detenevano nelle Cortes costituenti caddero a 58. Dei 480 deputati che formavano le nuove Cortes, circa 210 appartenevano alla destra, 170 al centro, soli 100 alle sinistre. La condanna era palese, e i socialisti la subirono rassegnando le dimissioni. Un nuovo governo fu formato sotto il vecchio radicale Alessandro Lerroux che, attraverso molti cambiamenti di gabinetto, rimase al potere fino all'ottobre 1934. Il Lerroux che, dopo il 1917 si era molto avvicinato ai socialisti sul terreno della lotta politica, nella speranza che costoro, se non nella dottrina, almeno nell'azione accettassero il principio della vita costituzionale e parlamentare, dopo le esperienze del'31-33 s'era staccato dai socialisti per appoggiare a destra il suo governo di centro. Gli venne incontro Gil Robles, capo della CEDA (Confederación Española de Derechas Autónomas), partito agrario conservatore che farà sentire l'efficacia della sua presenza nella vita politica fino al febbrario del 1936.

Gil Robles, a parte la sua insufficienza come uomo d'azione, esprimeva l'appassionata reazione della coscienza offesa della Spagna cattolica e in parte dell'opinione media della stessa borghesia intellettuale. Il suo programma consisteva nei seguenti capisaldi: revisione della Costituzione, in primo luogo in ciò che concerne le questioni religiose; soppressione della lotta di classe; politica essenzialmente cattolica verso il sistema corporativo, gratificazioni familiari, limitazione del diritto di sciopero, arbitrato obbligatorio nei conflitti di lavoro.

Il nuovo Gabinetto procedette alla revisione di gran parte della legislazione socialista, ma non sempre fu felice, soprattutto nei riguardi della questione più importante e annosa: la riforma agraria.

La legge del 15 settembre 1932 enumerava 13 categorie di proprietà agricole suscettibili di espropriazione dietro risarcimento, esclusi i piccoli possedimenti inferiori a un ettaro, le fincas, in numero di 5.000.000. Enormi furono gl'interessi lesi, ma, cosa più grave, come s'è detto, fu la mancanza di mezzi finanziarî per dare un'attrezzatura elementarmente capitalistica ai nuovi conduttori. Il gabinetto Lerroux cercò di calmare gli animi con l'abrogare le ricordate disposizioni, stabilendo che lo stato si sarebbe sostituito dietro compenso pecuniario al proprietario, a meno che costui non avesse desiderato mantenere l'antica forma di possesso: ma questa disposizione era una deformazione dell'equo principio che non bisogna assimilare il proprietario sollecito della sua azienda, e quindi delle sue obbligazioni sociali, al proprietario semplice dissipatore di rendita. La legge sulla riforma agraria rimase quindi frustrata, nonostante il volenteroso concorso della Chiesa stessa e la spregiudicata solidarietà di autorevoli periodici ispirati dai domenicani francesi. Molte terre furono sottratte alle espropriazioni e quelle espropriate, mancando di un conduttore, rimasero in abbandono completo, non potendosi somministrare ai contadini né capitali, né materiale agricolo, né bestiame. In queste condizioni, l'estensione delle terre seminate diminuì di 196.500 ettari, e la produzione del frumento da 37 milioni e mezzo di quintali del 1913 cadde a 19 milioni di quintali (cifra dubbia).

La riforma agraria era fallita, sia per il numero delle proprietà sottrattesi alle espropriazioni, sia perché quelle espropriate subirono un semplice frazionamento in catasto della superficie a coltura. I contadini ebbero la sensazione di "essere stati imboccati col cucchiaio vuoto" e reagirono con lo sciopero generale agricolo del giugno 1934. Gli anarco-socialisti denunciarono la politica del governo come un ritorno all'antico regime e, deciso l'abbandono della pratica costituzionale e parlamentare, passarono all'azione diretta. Sfruttato ai loro fini lo sciopero agricolo del giugno, decisero di intraprendere una più vasta azione con l'intervento delle organizzazioni dell'industria e del commercio. I cosiddetti repubblicani di sinistra, guidati da Manuel Azaña, si allearono con il partito di ultra-sinistra dell'Esquerra Catalana, allora al potere in Catalogna e con tutti i partiti politici e sindacali sovversivi, inclusi il Sindacato anarchico unico e la Federazione anarchica iberica, Armi palesi e nascoste affluirono tra le file dei rivoltosi che, tutti uniti (repubblicani di sinistra, Esquerrani, socialisti staliniani, marxisti, trotzkisti, anarchici) provocarono la rivoluzione del 4 ottobre 1934, fallita dovunque meno che nelle Asturie dove, foriera dell'attuale, se pure in più modeste proporzioni, divampò la guerra civile. Ricchezze distrutte, palazzi pubblici e privati abbattuti, conventi e chiese saccheggiate, 2000 morti furono il tragico bilancio del conflitto. Contro ogni aspettativa, non fu usata severità verso i responsabili della rivolta, e per di più si verificarono talune anomalie d'applicazione dei rigori della legge. Poche persone di secondo piano furono condannate a morte (sia pure col successivo beneficio della commutazione della pena); Azaña, il maggiore responsabile, forse, del movimento, fu lasciato libero. Così vennero compiuti in un anno due errori fatali: quello di avere troppo bruscamente virato verso destra col governo di Lerroux, quando l'atmosfera arroventata del momento consigliava maggiore cautela di movimeuti; e l'altro di aver mostrato troppa arrendevolezza verso la rivolta proprio quando più urgeva rafforzare l'autorità dello stato. Dopo repressa la rivoluzione dell'ottobre, si assistette allo spettacolo, tollerato dal governo, di una commissione d'inchiesta, formata tutta di stranieri, che giunse in Spagna per accertare se nelle Asturie e nella Catalogna le violenze fossero state consumate da reparti dell'esercito anziché dai rivoluzionarî inermi (come, mentendo, asserivano gli estremisti). Si ebbe solo la forza da parte di Alba, presidente della Camera, di negare alla commissione di stranieri il consenso di interrogare i deputati nel recinto delle Cortes, pratica che non sarebbe [stata] autorizzata da nessuna Camera del mondo". L'esercito, che in tutta la vicenda aveva agito con disciplina agli ordini del Ministero della guerra dove era insediato Franco alle dipendenze del ministro, rimase deluso e amareggiato, e cominciò a sognare la riscossa attraverso il pronunciamiento.

Dopo la rivoluzione d'ottobre si ebbero cinque governi a direzione radicale e con l'appoggio dei partiti di destra e sempre sotto la presidenza di Lerroux. Questi governi fallirono allo scopo di dare un assetto democratico alla Spagna con orientamento a destra; principale responsabile di questo fallimento fu Gil Robles, che deluse tante speranze con la sua scarsa capacità di aderenza al mobile corso delle cose e con il suo fiacco spirito di decisione. Intanto si aggiunsero altre difficoltà tra cui il deficit del bilancio sempre crescente (596 milioni di pesetas nel'34), la svalutazione della moneta, i conflitti tra govenno e Catalogna intorno all'efficacia delle sentenze del tribunale per la difesa della Costituzione, la solidarietà dei Baschi con i Catalani per assicurarsi una maggiore autonomia, uscendo ambedue dalle Cortes in segno di protesta contro il potere centrale, e rifiutando i primi di subire ogni ulteriore aumento d'imposte. Per colmo di sventura, nell'ottobre del 1935 si abbatté sull'ultimo gabinetto Lerroux lo scandalo "Straperlo", cioè lo scandalo della roulette di questo nome, illegalmente concessa col favore di personalità del partito radicale. L'effetto su questo fu analogo a quello subito in Francia dal partito similare dopo l'affare Stavisky. La Spagna così si trovò a non avere più forze d'ordine efficienti al potere e ciò per il fatto che la CEDA essendo organizzazione di destra, dato il momento, non si presentava come il partito più indicato per il governo del paese. Ma fu proprio allora che si fece sentire con più efficacia l'azione delle sinistre sostenute dai Sovieti. I quali, fin dalla caduta della monarchia, stimarono la Spagna un territorio favorevole alla diffusione delle idee comuniste, e fecero subito convergere sulla penisola l'iniziativa combinata del Komintern e del Profintern. Nel museo della rivoluzione a Mosca una sala speciale è consacrata alla futura rivoluzione comunista spagnola. L'ottobre del'34, dal punto di vista sovietico, è la prova di forza, l'iniziativa precorritrice, qualche cosa di simile a quello che in Russia fu il movimento del 1905 rispetto alla rivoluzione del 1917. Per rendere più efficace la propaganda, i Sovieti fecero leva sul millenario regionalismo iberico e promisero libertà ai Catalani, Baschi e Galiziani, prefigurando la Spagna a immagine e somiglianza dell'U. R. S. S., costituzionalmente federazione di nazionalità autonome. Per amore del particolarismo anche i Baschi, pur di scacciare i maketos, gli stranieri, vale a dire i Castigliani, rinnegarono famiglia, proprietà, religione, per abbracciare un'ideologia che, al dilà di queste negazioni, esaltava l'autonomismo. Documenti scritti abbastanza probativi sono stati trovati a Londra, fotografati e pubblicati: dimostrano i Sovieti decisi a instaurare con un colpo di forza il regime bolscevico in Spagna il 18 luglio 1936. Tutto ciò quando la direzione della pubblica cosa era più fiacca che mai. Infatti tre governi inetti si succedettero in novembre dicembre gennaio, mostrando la decomposizione in atto del vecchio regime. Ad accelerare la crisi della politica centro-destra del paese intervenne Gil Robles stesso che, nel dicembre del 1935, invitato dal presidente della repubblica ad abbandonare la carica di ministro della Guerra, contestò ad Alcalá Zamora la corrispondenza tra le Cortes e l'opinione del paese, chiedendo nuove elezioni. Il presidente rimase a lungo perplesso sulla pericolosa richiesta del poco accorto capo della CEDA, ma alla fine si fece trascinare alla soluzione dello scioglimento. Le elezioni generali ebbero luogo il 16 febbraio 1936. I partiti che avevano governato fino al giugno del 1933 e che insieme avevano tentato la rivoluzione dell'ottobre affrontarono uniti le elezioni sotto l'etichetta di Frente Popular. Risultarono eletti 142 deputati di destra, 64 del centro e 267 del fronte popolare. Il primo atto delle nuove Cortes fu quello di dimettere, contro la costituzione, il presidente Alcalá Zamora per aver tollerato il governo di tendenza a destra degli ultimi due anni. Ci fu un governo di repubblicani di sinistra sotto la presidenza di Azaña, quindi si ebbe il gabinetto Casares Quiroga, essendo stato il primo nominato presidente della repubblica. La pratica di governo fu un ritorno peggiorato a quella del biennio 1931-33: persecuzione della Chiesa, confisca dei beni, distruzione in tre mesi di 300 chiese e di numerosi edifici pubblici e privati, scioperi parziali dappertutto spesso estesi fino a diventare generali, regolazione dei conflitti di lavoro con l'accogliere aprioristicamente tutte le pretese operaie. La Catalogna sotto l'influenza del potente partito dell'Esquerra, guidata dal Companys, torna a più ampia autonomia, che nel giugno del 1936 diviene indipendenza quasi completa dal governo centrale di Madrid. L'aspetto più pericoloso della situazione stava nel fatto che il fronte popolare aveva vinto con l'apporto dei voti della Federazione anarchica iberica e del Sindacato Unico, del partito comunista staliniano e trotzkista. Costoro trascinavano alle misure estreme, e per imporle armavano le proprie organizzazioni. A ristabilire l'equilibrio intervengono, con efficacia crescente, le organizzazioni di destra. Queste organizzazioni rapidamente si accrebbero per l'adesione di tutti coloro, ed erano molti, che, delusi dall'opera inconclusiva di Gil Robles, avevano disertato la CEDA. Assassinî, agguati si succedettero per più mesi con ritmo crescente, raggiungendosi l'acme il 15 luglio con il delitto di Calvo Sotelo, catturato in casa dalla polizia e da questa ucciso nel furgone che lo portava lontano. L'assassinio di Calvo Sotelo accelera i tempi dell'insurrezione nazionale. I deputati del Rinnovamento spagnolo si ritirano dalle Cortes per non sedere più accanto a coloro che sono i sostegni e i complici morali di questo delitto. Gil Robles il 16 luglio per l'ultima volta in nome della civiltà fece sentire al vecchio regime una voce di protesta contro la maggioranza, che ogni giorno predicava sotto tutte le forme "l'eccitamento... a schiacciare l'avversario, ad attuare contro di esso una politica di sterminio".

Azaña aveva bandito nel Marocco Franco, che nell'ottobre del 1934 dal Ministero della guerra aveva tanto influito sulla lotta contro la rivoluzione. Pensoso delle sorti del suo paese sconvolto da implacabili odî sociali, il generale decise di inserirsi nella lotta per stroncare l'attività frenetica delle sinistre, e ricostruire la nazione sulla base di un felice connubio di valori nuovi ed antichi. Egli aveva costituito nel Riff la legione straniera, il Tercio, e un nucleo di 2 mila Mori decisi a tutto. Dopo il febbraio del 1936, Franco aveva preso contatto con Antonio Primo de Rivera, con i divisionarî di tutto il Riff, con quelli delle guarnigioni di Cadice, Siviglia, Cordova, Barcellona, Saragozza, Pamplona e specialmente di Madrid per concordare il moto insurrezionale. Nel pomeriggio del 17 luglio l'esercito d'Africa si ribellò; entro 48 ore in quasi tutti i centri maggiori della metropoli divampava la rivolta.

Franco vuol passare lo Stretto di Gibilterra per alimentare con le sue forze agguerrite l'insurrezione nella penisola. Ma la flotta nella sua maggioranza si schiera dalla parte del governo e sta lì sullo stretto a sbarrargli il passo. Il movimento sarebbe stato condannato all'insuccesso se i primi reparti dell'aviazione legionaria non avessero con il loro intervento provocato il rovesciamento delle forze. S'iniziano così le operazioni vere e proprie di guerra nel territorio metropolitano. Il governo si appoggia sulle forze dell'esercito e sulle milizie popolari: ma l'esercito è stato sgretolato dal governo stesso con la sua politica quinquennale di sospetto e di incomprensione, il moto di Franco poi ha finito con lo sconvolgere i resti del vecchio esercito di Spagna; le milizie popolari difettano di disciplina e d'istruzione. Le truppe di Franco presentano gli stessi inconvenienti dell'avversario; mancanza di coesione e di addestramento. In compenso però dispongono di un numero maggiore di ufficiali di carriera che ne elevano il rendimento. L'obiettivo degli insorti è Madrid, e infatti costoro si muovono concentricamente per raggiungerla. Si delinea un grande arco poggiato su Burgos, Salamanca, Badajoz, Siviglia che si stringe intorno alla capitale. La marcia è facilitata dal fatto che gl'insorti seguono le direttrici dei fiumi, evitando i naturali sbarramenti delle sierre. In pochi giorni alcune colonne hanno percorso 250 chilometri: Madrid sta per cadere e l'intera campagna per concludersi. Ma questa volta l'affluire a fianco dei rossi di ufficiali e volontarî stranieri con materiale moderno ristabilisce l'equilibrio. La guerra di movimento è terminata, quella di trincea stringe d'ora in poi tutt'intorno Madrid. Fino alla primavera del 1936 nulla di decisivo intomo alla capitale: ogni attacco, dopo un successo iniziale, viene respinto, ogni avanzata contenuta, qualunque falla rapidamente riparata. Bloccato così il fronte di Madrid, i nazionali, ricevuti a loro volta rinforzi di volontarî e di mezzi, riescono a provocare nel settore di Malaga uno squilibrio materiale e morale che determina la guerra di movimento (5-8 febbraio 1936). Gli obiettivi da raggiungere sono notevoli: occupare tutta la costa spagnola parallela a quella del Marocco, già in possesso di Franco, per controllare il collo di bottiglia della porta occidentale del Mediterraneo, sfruttare il valore logistico del porto di Malaga attraverso il quale si può compiere il rifornimento dei nazionali dal Mediterraneo oltre che dall'Atlantico, avvantaggiarsi dell'efficacia morale della conquista. I legionarî, con l'ausilio di truppe nazionali, attaccano su tre colonne concentriche in marcia su Malaga. Le forze attaccanti superiori nel morale, nella dottrina militare, nell'addestramento, nella disciplina e potenza materiale, conseguono il successo raggiungendo gli obiettivi prestabiliti. Sul fronte castigliano, ormai da tempo stabilizzato, si decide di intraprendere un'azione di gran lunga più importante di quella di Malaga. A tal fine si opera un concentramento in forze nel settore di Madrid, di cui si decide l'investimento (8-12 marzo) con lo scopo di raggiungere Guadalajara, e di prendere quindi a rovescio lo schieramento rosso. "I legionarî italiani... travolsero nelle prime giornate tutte le difese rosse, presero d'assalto una posizione dopo l'altra, fecero letteralmente ‟rotolare" reparti e battaglioni di miliziani, l'avanzata raggiunse in profondità ben 40 chilometri...: le avanguardie si attestarono nei dintorni di Guadalajara". Ma le condizioni atmosferiche, avverse ai nazionali e favorevoli ai rossi, consentirono a costoro l'utile intervento dell'aviazione, rendendo difficile l'avanzata dei legionari nonostante il loro valore. Nel corso della battaglia, resa dai contrattempi accennati particolarmente dura, il comando, per risparmiare le truppe già tanto provate, "ad un certo punto diede l'ordine... di retrocedere e questo fu un grande errore". In conclusione, successo vi fu, ma parziale, senza quel carattere decisivo che si desiderava.

Dopo Guadalajara non v'era nulla da tentare di vantaggioso sul teatro principale, e si decise l'azione contro la Spagna Cantabrica. Guadalajara così diventa l'asse di simmetria distributiva delle operazioni militari nel 1937. Infatti prima di Guadalajara abbiamo, agile e decisa, l'azione di Malaga, successivamente quella basco-asturiana. Due erano le Spagne rosse da combattere: la "maggiore" o mediterranea, la "minore" o cantabrica. Venuta meno l'azione risolutiva nel settore principale, quello del nord si presentava nell'economia generale della guerra come il più favorevole all'attività dei nazionali. Il principio di battere separatamente le forze avversarie s'imponeva. Inoltre il fronte basco-santanderino presentava spiccati caratteri di punto di minor resistenza dello schieramento avversario: inferiorità in effettivi ed armamenti, specie in artiglieria, mancanza quasi completa di aviazione, difficoltà di ottenere aiuti materiali e d'uomini; unico vantaggio rosso la difficoltà del terreno. Notevoli gli obiettivi economici e militari dell'azione cantabrica. Franco, al contrario dei rossi, aveva molto rame ma poco carbone e ferro; questi metalli in larga parte si trovavano nel nord. L'economia di guerra imponeva di prendere possesso di quelle risorse minerarie praticamente illimitate, che offrivano per di più un mezzo di pressione sull'Inghilterra impegnata nel riarmo. Militarmente poi, eliminato il fronte nord, si sarebbe rimosso un pericolo progressivamente minaccioso per il fianco della Spagna nazionale, e si sarebbe inoltre messa a disposízione di questa una tale somma di forze da conseguire la vittoria finale contro Valenza e Barcellona. Così la campagna cantabrica avrebbe preparato sull'Atlantico la vittoria nel Mediterraneo. Infine, eliminate le provincie basco-asturiane, la flotta nazionale avrebbe potuto operare riunita nel mare latino. La Spagna rossa cantabrica si presenta come una enclave rettangolare con profondità media, sul lato corto, di 50 chilometri dal mare. L'ostacolo maggiore da vincere era il terreno cioè la Cordigliera cantabrica che ha sempre opposto ad ogni invasore l'impervietà della sua displuviale e il labirinto dei suoi contrafforti trasversali. Ma un esercito di alto valore e fornito di mezzi moderni di attacco e di trazione come quello nazionale, operando in concomitanza nel senso dei meridiani e dei paralleli doveva, presto o tardi, aver ragione di questo acrocoro inviolato dalla conquista romana ad oggi. Contrattempi militari in situ, e cioè l'assedio di Bilbao (il cui "cinturone di ferro" fu trovato più munito di quel che si credesse, impedendo il conseguimento di una rapida vittoria dopo il brillante successo iniziale), e la deviazione subita per l'attacco rosso di Brunete (per cui, a ristabilire l'equilibrio, si rese necessario spostare effettivi ingenti dal nord e tutta in massa l'aviazione legionaria), ritardarono l'azione cantabrica che, al dilà del previsto, si svolse da fine marzo a fine ottobre. La caduta di Gijón completa l'asfissia delle Asturie, segnando insieme il crollo del fronte settentrionale.

Dal lato dei rossi la situazione militare è meno ricca di iniziative meno densa di sviluppi. Dopo le due valide resistenze di Madrid (autunno 1936, Guadalajara) nulla di nuovo fino alla primavera del 1937, quando la mistica rivoluzionaria di Caballero dispose i rossi ad attuare il progetto dell'azione sul saliente di Mérida per spezzare in due l'esercito e la Spagna di Franco. Ma la caduta di Caballero fece naufragare con l'ambizioso progetto la sua politica aggressiva, alla quale fu sostituita un'altra più raccolta e meditata, più consona alle possibilità dei rossi. Questa politica era sostenuta dal nuovo ministro della Difesa, il basco Indalecio Prieto, che delineò un programma più solido: imprimere un carattere fondamentalmente difensivo al conflitto per farlo degenerare in guerra di posizione, con l'usura della quale costringere gli avversarî alla pace di compromesso, vagheggiata da tanta parte del mondo anglosassone. Così si giunge ai primi di luglio, quando, come abbiamo visto, per ritardare il crollo del fronte cantabrico, fu sferrata la prima delle offensive a carattere circoscritto: quella di Brunete. La sorpresa fu completa, la tenue cortina difensiva si lacerò all'urto della brigata internazionale Lister, dietro cui imponenti reparti rossi strariparono oltre Brunete per raggiungere il Guadarrama e attestarsi il 18 luglio sulla destra del fiume. La situazione era pericolosa: una penetrazione ulteriore avrebbe determinato un crollo verticale con effetto equivalente a quello conseguito dai Tedeschi a Gorlice nel 1915. Un vasto spazio si sarebbe aperto intorno a Madrid, frustrando d'un tratto quasi l'intera campagna del 1936. Ma l'affluire delle riserve locali e degli eserciti del nord ristabili l'equilibrio dopo 22 giorni di lotta accanita ed alterna. La scarsa efficienza di tanta parte delle truppe rosse non addestrate al combattimento, né accese da ardore rivoluzionario, contribuisce a spiegare lo scacco di Brunete. Il 23 agosto i rossi, allo scopo di rallentare la marcia asturiana dei legionarî, di eliminare il cuneo di Teruel, minacciosamente librato su Valenza, e di neutralizzare l'effetto morale della caduta di Santander con la conquista di Saragozza, passarono all'offensiva. La simmetria di sviluppo con l'azione di Brunete è sorprendente: anche qui favore della sorpresa, debolezza degli apprestamenti difensivi, massa di rottura efficace (brigate internazionali), sviluppo del successo iniziale, intervento delle riserve di Franco, insufficienza delle truppe rosse, ritorno all'equilibrio. La differenza sostanziale tra le due offensive sta nel non avere la seconda interferito in maniera apprezzabile con la campagna del nord. L'esame delle cose porta a riguardare Brunete e Saragozza nella politica di Prieto non come azioni militari autonome eseguite in vista di un successo risolutivo, ma come iniziative intraprese a scopo di interferenza.

La scomparsa del fronte cantabrico mise Franco in condizioni di forza incomparabili col passato, lasciandogli a disposizione una massa di rottura imponente per mezzi e truppe forti con cui ricercare una decisione sul fronte madrileno-aragonese.

Nell'ordine politico, nella Spagna rossa, la fase della mistica rivoluzionaria domina la vita della seconda repubblica dal febbraio del 1936 all'aprile del 1937, senza peraltro raggiungere stabilità di governo né con il gabinetto Quiroga, né col successore Giral. Un certo equilibrio, sia pure su basi rivoluzionarie, parve raggiungersi a settembre con Largo Caballero. In 8 mesi di dittatura lo "Stalin spagnolo" riuscì infatti a opporre tutta unita la Spagna rossa contro i nazionali, di cui frustrò quell'azione che nello stesso settembre del 1936 sembrava dovesse concludersi con la vittoria totale. Ma tradizioni e sentimenti religiosi offesi, pratica sanguinaria di governo, anelito di minoranze conculcate, economia e finanza scompigliate da programmi improvvisati, pressione crescente degli anglo-francesi per avere un governo moderato e, cosa ancora più importante, sfiducia, nonostante tutto, dei rossi nella propria azione militare, tutte queste circostanze precipitarono la caduta di Caballero. Il governo di Negrín-Giral-Prieto segna un ritorno alle posizioni di centro: una situazione analoga a quella del dicembre 1933 con relativo conato di restaurazione borghese. Il nuovo governo infatti è l'esponente della vecchia democrazia alla francese a carattere radical-massonico, modificato dall'esperienza postbellica, che ha consigliato tra l'altro di attenuare d'assai l'anticlericalismo. La fatica più ardua dell'attuale governo è quella di recidere l'aggrovigliato nodo anarco-catalanista. Per le note ragioni d'individualismo atavico e morale dei Catalani, all'Esquerra e alle organizzazioni politiche e sindacali dell'anarchismo è stato facile mantenere per tutta la guerra civile la Catalogna separata dal resto della Spagria rossa. Decisi a far parte per sé stessi, gli anarco-catalani si sono trincerati nella loro regione, v'hanno organizzato le loro difese, si sono rifiutati di mandare le loro truppe fuori degli apprestamenti difensivi locali, esercitando, in specie dal luglio 1936 al maggio 1937, una dittatura effettiva sulla regione. La Spagna rossa, con l'ausilio dei Sovieti, ha comhattuto questo pericoloso particolarismo tanto più energicamente quanto meno le era favorevole il corso della guerra. Un partito comunista a base sindacale (P. S. U. C.; M. G. T.) è diventato a Barcellona il fulcro della lotta contro l'anarchismo e il trotzkismo. Nel maggio del 1937 ebbe inizio la repressione violenta dell'estremismo eterodosso; la lotta si è fatta da allora sempre più serrata moltiplicando gli assassinî ed esacerbando gli odî. Negrín e Prieto, gli uomini che hanno mostrato di avere le più solide qualità politiche nella Spagna valenzana, hanno affiancato l'azione sovietica per conseguire una più rigorosa fusione delle forze. Infatti, eliminati i capi anarco-trotzkisti (uccisione di Durruti e arresto ai primi di novembre di García Oliver), le fiorenti organizzazioni rivoluzionarie sono passate con non eccessiva difficoltà alle dipendenze di Valenza. Il sovietismo, per ragioni di opportunità internazionale, ha accettato sul momento di collaborare in subordinata con Negrín-Prieto, salvo a sbalzarli di sella dopo il successo. Conclusione del vasto e sanguinoso lavoro repressivo è stata quella di decapitare l'estremismo per controllarne le organizzazioni, di associarsi Companys con l'Esquerra antianarchica, di militarizzare la popolazione, unificare l'esercito catalano con quello rosso, trasferendo la capitale a Barcellona per meglio realizzare la politica dell'esercito solo e del comando unico.

Dal lato nazionale v'è maggiore spirito di disciplina, più alto senso di solidarietà e quindi una situazione più rassicurante e un governo meno assoluto di quello di Valenza. Burgos ha un solo nemico, ed è quello del fronte; Valenza ha più nemici, e non sempre l'esteriore è il più pericoloso.

Bibl.: S. de Madariaga, Spagna, Bari 1932; id., Inglesi, Francesi e Spagnuoli, ivi 1933; B. H. e F. M. Gescher, L'Espagne dans le Monde, Parigi 1937; R. Waldteufel, Esquisse de l'Histoire d'Espagne, ivi 1937; J. Arrarás, Il generalissimo Franco, Milano 1937; C. Campoamor, La révolution espagnole vue par une répubblicaine, Parigi 1937; A. Bollati e G. De Bono, La guerra di Spagna, Torino 1937; Quarterly Review, ottobre 1936; Revue des deux Mondes, 1° ottobre 1937; Nuova Antologia, 16 settembre 1937.

Le operazioni militari durante la guerra civile.

La rivolta militare iniziatasi il 18 luglio 1936 nelle Isole Canarie si estese immediatamente nel Marocco nelle Baleari e nella Spagna continentale; mentre però nel Marocco e nelle Baleari essa riusciva ad avere il completo sopravvento sulle forze governative, eccettuata l'Isola di Minorca, nel continente non si poté affermare che in due vaste zone, costituite a settentrione dall'Aragona occidentale, dalla Navarra, dalla Vecchia Castiglia, dal León, dai paesi baschi del sud, dalla Galizia e dall'Estremadura settentrionale e nella Spagna meridionale dalla Andalusia centrale ed occidentale.

In tutte le altre regioni la rivolta venne soffocata nel sangue, eccetto che nelle Asturie, dove il colonnello (poi generale) Aranda poté mantenere il possesso della città di Oviedo, e a Toledo ove i cadetti al comando del colonnello Moscardo si erano asserragliati nella vecchia fortezza dell'Alcázar.

Delle truppe operanti nella zona settentrionale assunse il comando il generale Emilio Mola, di quelle operanti nella Spagna meridionale il generale G. Queipo de Llano.

Ai primi di agosto la situazione era la seguente: i nazionali, padroni del Marocco, dell'Andalusia occidentale e dei porti di Algesiras e di La Linea, possedevano una base di partenza e un serbatoio di ottime truppe in Africa, nonché una buona pedana di partenza nella penisola; quest'ultima però, costituita dall'Andalusia occidentale, era separata dalla Spagna nazionale del nord, da una zona, in potere dei governativi, che si spingeva fino a Badajoz sulla frontiera portoghese.

Alle spalle della regione nazionale del nord, la zona governativa si appoggiava alla frontiera francese, attraverso la quale passavano copiosi rifornimenti di. uomini e materiali, ed altri ne arrivavano nei porti della Spagna orientale.

L'inferiorità navale avrebbe potuto avere gravi conseguenze per i nazionali che avevano le loro migliori truppe (legionarî del Tercio e Marocchini) in Africa, e non disponevano nel continente che di scarse forze regolari rinforzate dai volontarî falangisti e carlisti, numerosi, ma privi d'istruzione. I governativi non seppero però approfittare della situazione favorevole.

Ai primi di agosto il generalissimo Franco raggiungeva in volo Siviglia, mentre un convoglio con 5000 uomini, 8 batterie e materiale vario, protetto da unità aeree di volontarî legionarî, riusciva a sbarcare nella Spa.na nazionale.

Nella seconda metà di agosto i nazionali conquistavano Eadajoz e Mérida, alla frontiera portoghese, e Irun e San Sebastiano, ottenendo il duplice risultato di riunire le due zone nazionali e di separare le regioni basche marxiste dalla frontiera francese.

Giungevano intanto alle due parti numerosi volontarî, provenienti specialmente: per i governativi dalla Francia, dalla Russia, dalla Cecoslovacchia e per i nazionali dall'Italia e dalla Germania.

La marcia su Madrid. - Subito dopo la conquista di Badajoz, il generale Franco impegnava la maggior parte delle sue forze nella valle del Tago, lungo la direttrice Maqueda-Navalcarnero, con l'intenzione di raggiungere Madrid; occupato il 21 settembre il nodo stradale di Maqueda, il generale Franco decise di sospendere temporaneamente l'avanzata per liberare i cadetti che nell'Alcázar di Toledo resistevano ancora ai violenti attacchì delle truppe governative. Dopo una contrastata avanzata, il 28 settembre Toledo veniva liberata; si potè cosi riprendere la marcia sulla capitale, lungo le due direttrici Maqueda-Navalcarnero-Madrid e Toledo-Madrid. Solamente alla fine di gennaio 1937, i nazionali poterono raggiungere i sobborghi occidentali di Madrid. Da allora in questo settore le operazioni hanno assunto il carattere di guerra di posizione.

La conquista di Malaga. - Mentre al centro il ritmo delle operazioni andava rallentandosi, le truppe nazionali riportavano nel settore meridionale uno dei più brillanti successi di tutta la guerra: la conquista di Malaga.

L'operazione, diretta dal generale Queipo de Llano, si effettuò in due fasi; la prima (10 gennaio-6 febbraio) venne eseguita da una colonna principale avanzante lungo la strada costiera, appoggiata sulla sinistra da colonne secondarie, sboccanti dalla catena montana che corre parallelamente alla costa, a minaccia del fianco e delle spalle delle successive posizioni di difesa dei governativi; vennero cosi occupati il 14 Estapona, il 17 Marbella e il 6 febbraio Fuengirola. Lo stesso giorno 6 aveva inizio l'avanzata decisiva da nord su Malaga, effettuata da tre colonne, una principale motorizzata, e due secondarie fiancheggianti, partite rispettivamente da Loja, da Antequera e da Alhama. Superate vivaci resistenze avversarie, l'8 febbraio Malaga veniva occupata dai nazionali, che inseguendo il nemico in ritirata entravano il 12 in Motril.

All'operazione, ben concepita e brillantemente attuata, parteciparono anche alcune migliaia di legionarî italiani. Gravi furono le perdite dei governativi. Fra l'altro, oltre 10.000 prigionieri e abbondantissimo materiale bellico.

Contemporaneamente sugli altri fronti l'attività si era limitata ad una serie di violenti, quanto inutili, attacchi dei governativi contro Oviedo, sempre valorosamente difesa dal generale Aranda.

La battaglia del Jarama e di Guadalajara. - Occupata Malaga, le truppe del generale Franco riprendevano le operazioni nel settore centrale, sferrando due successive offensive a sud e a nord-est di Madrid. La prima (6-27 febbraio), affidata al generale Varela, permise agli attaccanti di raggiungere ed oltrepassare la linea del Jarama.

Con la seconda offensiva, partita dalla regione di Siguenza e condotta quasi esclusivamente da truppe legionarie italiane, tra le quali le colonne motorizzate reduci da Malaga, il generale Franco si era proposto di raggiungere la rotabile Madrid-Guadalajara-Quenca, attraverso la quale transitavano rifornimenti che alimentavano la difesa della capitale.

L'offensiva venne iniziata l'8 marzo da tre colonne avanzanti a cavallo della strada Algora-Guadalajara: travolta la resistenza avversaria, i legionarî procedettero per oltre 50 km. verso sud, giungendo il 12 a Corijo, ove dovettero sostare avendo il cattivo tempo reso assolutamente impraticabile il terreno, così da impedire lo spostamento dei mezzi meccanici, delle grosse artiglierie e l'azione dell'aviazione, che disponeva solo di campi di fortuna. Di ciò approfittarono i governativi per sferrare una violenta controffensiva, appoggiata da una forte massa aerea che disponendo di campi regolari poté agire indisturbata. Bopo aver resistito per oltre 4 giorni agli attacchi delle superiori forze avversarie, il 15 i legionarî ripiegarono, fuori di ogni pressione, per circa 25 km. sulla linea Brihuega-Jadraque, contro la quale s'infranse ogni ulteriore tentativo dei nemici.

Le operazioni in Biscaglia e nelle Asturie: le battaglie di Bilbao, Santander e Gijón. - Non era ancora spenta l'eco dei combattimenti di Guadalajara che già i nazionali sferravano due nuove offensive, una di portata limitata nella Spagna meridionale, in Andalusia, e una nella Spagna settentrionale. La prima organizzata dal generale Queipo de Llano, in direzione di Pozoblanco, fruttò ai nazionali la presa di Alcaraceyos e di Villanueva del Duque. La seconda, preparata dal generale Mola, portò alla completa conquista della zona governativa nella Biscaglia e nelle Asturie.

Quest'ultima grandiosa operazione si effettuò in tre fasi successive: la prima e la terza caratterizzate da una serie di spallate che, sgretolate le resistenze avversarie, permisero ai nazionali la conquista di Bilbao e di Gijón; la seconda fase - liberazione di Santander - rappresenta invece un bell'esempio di battaglia di rottura, seguita da un travolgente sfruttamento del successo.

Alla prima fase parteciparono le unità legionarie "Frecce nere" e "XXIII marzo", le brigate di Navarra e altre unità spagnole e marocchine, appoggiate da numerose artiglierie, reparti carri armati e considerevoli masse di aerei. L'offensiva, iniziata il 31 marzo e partita da posizioni lontane 40-50 km. da Bilbao si effettuò, come si è detto, con una serie di vigorose spallate: con le prime tre (31 marzo-8 aprile) al centro, nella regione Villareal, all'ala destra (20 aprile-19 maggio) dal passo di Urquiola al mare, e all'ala sinistra nelle regioni di Dima e Villaro (22-30 maggio) i nazionali, travolte dopo aspri combattimenti (fra i quali degno di menzione quello di Bermejo sostenuto dalle "Frecce nere") le resistenze nemiche, riuscirono a prendere dappertutto contatto con una forte organizzazione difensiva denominata "Cinturone di ferro" e costituita da un'insieme di linee fortificate, trincee di calcestruzzo intercalate da capisaldi, fortemente armate e precedute da più ordini di reticolati. Il 3 giugno il generale Mola perdeva la vita in un incidente di volo; questa perdita non faceva però sospondere le operazioni. A sostituire il Mola venne destinato nel comando dell'esercito del nord (Biscaglia-León-Asturie) il generale Davila, mentre il generale Saliquet assumeva quello del centro (Aragona e Castiglia) e il generale Queipo de Llano quello del sud (Estremadura e Andalusia).

L'11 giugno, preceduta da una serie di bombardamenti aerei, aveva inizio l'ultima, decisiva spallata. Per quanto solide, le posizioni del "Cinturone di ferro" non riuscirono a fermare le colonne attaccanti, che aperte in esso delle brecce in direzione di Munguía, di Sondica e di Lezame, poterono dilagare verso Bilbao, dove entrarono il 14 giugno.

Caduta Bilbao, i nazionali, inseguendo il nemico in ritirata, continuarono ad avanzare lentamente verso occidente lungo le due direttrici costituite dalla rotabile costiera e dalla rotabile di Valmaseda; alla fine di luglio avevano raggiunta una linea corrispondente approssimativamente al meridiano di Valmaseda. Nel frattempo andavano preparando la seconda fase dell'operazione: la conquista di Santander.

Nel tratto mediano del fronte settentrionale, nel settore a sud di Santander, le linee repubblicane s'internavano nel territorio nazionale per circa 30-40 km. formando un'ampia sacca a cavallo dell'alto Ebro.

Il piano studiato dal comando nazionale prevedeva in un primo tempo la rescissione della sacca e la conquista della displuviale cantabrica che corre parallela a breve distanza dalla base della sacca stessa; in un secondo tempo le colonne attaccanti dovevano procedere rapidamente e decisamente su Santander.

La battaglia, preceduta da una rigorosa preparazione aerea e di artiglieria, ebbe inizio il 14 agosto. Mentre ad ovest le forze nazionali avanzavano verso nord-est in direzione di Reinosa, ad est i legionarî della "XXIII marzo", occupate le colline di Raspanera, piegavano verso sud per occupare i monti di Bricia e proteggere così il fianco sinistro deila divisione legionaria "Fiamme nere", che avanzando in direzione nord-ovest, riusciva a raggiungere, dopo violenti combattimenti, la displuviale cantabrica a Puerto de Escudo; subito dopo la divisione legionaria "Littorio", coadiuvata da un distaccamento celere misto (mezzi meccanizzati e cavalleria), irrompendo nel varco lasciato aperto dall'attacco divergente delle altre due divisioni, avanzò verso ovest dilagando nella piana di Corconte e occupando i nodi stradali di Arija e di La Población. In soli tre giorni questa prima fase della manovra poteva considerarsi chiusa.

La seconda fase della battaglia si sviluppò dal 19 al 26 agosto; ad essa, oltre alle forze già menzionate, presero parte a occidente forse nazionali operanti lungo il Río Zaja col compito di tagliare le comunicazioni tra il Santanderino e le vicine Asturie, a levante unità nazionali e legionarie, tra le quali la brigata "Frecce nere", incaricate di completare da sud e da est l'avvolgimento dell'estremo tratto del fronte settentrionale. Al centro le due divisioni legionarie "Fiamme nere" (a destra per la valle del Pisuena) e "Littorio" (a sinistra, lungo la valle del Pas) malgrado le avverse condizioni climatiche e la tenace resistenza avversaria, procedettero decisamente verso nord; ad uno ad uno o per manovra o perché annientati da rapidi concentramenti di artiglieria e da bombardamenti aerei, i capisaldi nemici vennero sorpassati dalle truppe legionarie, che la sera del 25 giungevano in vista di Santander. La mattina del 26 la città si arrendeva.

Subito dopo venivano iniziate le operazioni per la conquista di Gijón. Prima della caduta di Santander, il 24 agosto le truppe nazionali, costituite dalle brigate Navarra al comando del generale Solchaga, che, come si è già visto, avevano il compito di tagliare le comunicazioni tra il Santanderino e le Asturie, avevano occupato Torrelavega e quindi, con un cambiamento di fronte verso ponente, si erano messe in condizioni di invadere le Asturie seguendo il fascio delle comunicazioni costiere. Altre forze costituite dall'VIII corpo d'armata (gruppo generale Aranda) si trovavano concentrate più a sud-ovest, pronte a puntare verso i passi della displuviale cantabrica non appena le forze del gruppo Solchaga fossero state in condizioni di iniziare la marcia su Gijón. Da parte dei marxisti si contava soprattutto sulle qualità aggressive di alcuni reparti (minatori asturiani), sulle particolari difficoltà del terreno aspro e montuoso e sull'accurata organizzazione difensiva nella speranza di ritardare l'avanzata dei nazionali fino all'inizio della stagione invernale che avrebbe reso impossibile ogni azione importante.

Questa speranza però venne delusa dalle truppe dei generali Solchaga ed Aranda. Forzata in settembre la linea del Potes e in ottobre quella del Sella, i nazionali occupavano il 19 ottobre Villaviciosa e Infiesto, ed entravano il 21 in Gijón ribellatasi alle forze governative.

Con il crollo del fronte delle Asturie rosse aveva termine la grande battaglia iniziatasi il 31 marzo nel settore settentrionale; le tre fasi di essa, che portano i nomi di Bilbao, Santander e Giójn, ebbero rispettivamente la durata di: 81, 12 e 58 giorni.

Il bilancio di questo vittorioso ciclo operativo può così sintetizzarsi: eliminazione completa del fronte nord e completa conquista delle ricche zone industriali e minerarie della Biscaglia e delle Asturie; distruzione di un esercito avversario di oltre 150.000 uomini; cattura di circa 100.000 prigionieri e di un enorme bottino di guerra: centinaia di cannoni, decine di carri armati, migliaia di mitragliatrici, ecc.; disponibilità completa, per le operazioni su altri fronti, della massa aerea, delle artiglierie e dei 150 battaglioni impegnati fino allora sul fronte nord, nonché di tutta la flotta nazionale per il blocco delle coste mediterranee della Spagna governativa.

Le controffensive dei governativi. - Durante tutto il periodo dall'aprile all'ottobre 1937, i repubblicani, con l'evidente scopo di costringere i nazionali ad alleggerire la pressione in Biscaglia e nelle Asturie, avevano eseguito numerose puntate offensive su altri settori del fronte.

In aprile vennero cosi lanciati attacchi nella regione di Huesca, di Teruel, di Oviedo e di Madrid; nel maggio sul fronte della Sierra Guadarrama e successivamente nel settore di Huesca, ma senza risultati apprezzabili.

Caduta Bilbao, e mentre si stava già iniziando la manovra su Santander, venne attuata una nuova vigorosa offensiva nel settore di Madrid; a questa operazione, accuratamente preparata, parteciparono oltre 50.000 uomini (comprendenti le truppe migliori costituite dalle brigate internazionali), 200 pezzi di vario calibro, 150 carri armati e 200 aeroplani.

Il piano prevedeva un'azione dimostrativa a nord-est di Toledo e due violenti colpi di maglio rispettivamente a ovest e a sud di Madrid, aventi come obiettivo comune la città di Navalcarnero, 30 km. a sud-ovest della capitale.

L'azione venne iniziata il 6 luglio: l'attacco a sud di Madrid fu immediatamente arrestato, mentre quello ad ovest riusciva in un primo tempo a penetrare per circa 15-16 km. nelle posizioni dei nazionali raggiungendo Brunete. L'11 luglio i nazionali guidati dapprima dal generale Varela e poi personalmente dal generale Franco iniziarono un vigor0so controattacco; la riconquista di Brunete avvenuta il 24 luglio segnava la fine dell'azione tentata dalle truppe governative e che diede loro risultati non certamente adeguati alle gravi perdite subite: 30 mila uomini fra morti, feriti e prigionieri, varie batterie, centinaia di mitragliatrici e 65 carri armati perduti, 110 aeroplani abbattuti. Altre offensive tentarono i repubblicani in luglio e in agosto nel settore di Teruel e nell'Aragona e nel settore di Saragozza; quest'ultimo condotto con rilevanti forze al comando del generale Poses mirava alla 1iconquista di Saiagozza, Huesca e Teiuel ed era in pieno sviluppo quando Santander veniva occupata dai nazionali.

Anche in questa offensiva le truppe repubblicane ottennero in un primo tempo qualche successo, specialmente con la conquista di Belatite (3 settembre) a sud di Saragozza, ma il tempestivo sopraggiungere dei rinforzi nazionali dal fronte di Biscaglia, resi disponibili dopo la presa di Santander, permise alle truppe di Franco di ristabilire la posizione così com'era prima dell'attacco governativo. Per tutto settembre e per tutto ottobre continuò la pressione dei repubblicani a nord e sud dell'Ebro, però senza risultati concreti.

La battaglia di Teruel. - Dalla sintetica narrazione degli avvenimenti svoltisi nel 1937 nella Spagna, si può constatare come l'anno stesso stava per chiudersi per i marxisti con un bilancio nettamente passivo. Il governo di Valenza senti perciò la necessità di tentare un grosso colpo nella speranza che una vittoria, anche limitata, potesse rinsaldare la fiducia delle masse all'interno e rialzare il prestigio del governo marxista all'estero. Fu decisa a tale scopo un'azione in grande stile contro il salíente che le posizioni nazionali formano nella Spagna nord-orientale tra la frontiera francese e la regione di Madrid e il cui vertice, Teruel, dista appena un centinaio di chilometri dalle coste del Mediterraneo. A questa offensiva parteciparono 12 divisioni governative; in totale: 140 battaglioni, 30 batterie, 50 carri armati.

La battaglia venne iniziata il 15 dicembre con due contemporanei attacchi da nord e da sud, che riuscirono a sfondare le posizioni nazionali; le colonne attaccanti poterono così riunirsi ad occidente di Teruel, ma tutti gli ulteriori tentativi per ampliare il successo fallirono.

Il 29 dicembre i nazionali iniziarono una vigorosa controffensiva e il 31 riuscirono a raggiungere i margini occidentali di Teruel prendendo contatto con i difensori della città che ancora resistevano asseragliati negli edifici più solidi. La controffensiva avrebbe senza dubbio raggiunto il completo successo, se un improvviso abbassamento della temperatura, accompagnato da violente bufere, non avesse reso impossibile ogni azione.

Ristabilitesi alquanto le condizioni climatiche, la lotta si riaccese. Si ebbe così per tutto il gennaio 1938 una serie di attacchi dei repubblicani che vennero però tutti respinti, mentre i nazionali riuscirono invece a fare qualche progresso a nord e a sud di Teruel. Il 10 gennaio i pochi superstiti degli eroici difensori di questa città dovettero arrendersi ai governativi, meno 130 di essi che riuscirono a raggiungere le linee nazionali.

Le operazioni marittime ed aeree. - Fino alla caduta di Gijón i nazionali avevano concentrato la maggior parte delle loro unità navali (2 incrociatori e 28 navi minori) nelle acque cantabriche per impedire il rifornimento dei governativi e per appoggiare dal mare l'avanzata delle unità dell'esercito in Biscaglia e nelle Asturie: numerosissime furono le azioni di bombardamento di località costiere, come numerose furono le navi contrabbandiere catturate o affondate. Né minore attività svolsero nel contempo le unità navali rimaste nel Mediterraneo per soffocare il contrabbando di guerra e per scortare i convogli di truppe provenienti dal Marocco. Ill 30 aprile 1937, la vecchia corazzata dei nazionali España, colava a picco avendo urtato contro una mina.

Si può calcolare che nei primi 12 mesi di ostilità la marina da guerra nazionale abbia catturato oltre 200.000 tonnellate di naviglio contrabbandiero, mentre numerosi piroscafi erano stati affondati dai sommergibili. Scarsi e senza importanza gl'incontri fra le due marine avversarie.

Né meno preziosa è stata l'opera svolta dall'aviazione; entrambi i belligeranti avevano iniziato la campagna con mezzi molto scarsi, che però andarono man mano aumentando, tanto che alla metà del 1937 ciascuno di essi impiegava già varie centinaia di apparecchi, fra i quali i più moderni tipi da bombardamento e da caccia: Breguet, Potez, Devoitine, Loire, Douglas, Martin, Curtiss, Rata da una parte e Junkers, SavoiaMarchetti, Heinkel, Messerschmit, Fiat dall'altra.

In complesso l'aviazione è stata adoperata dai due belligeranti in tutte le più svariate forme d'impiego consentite dalla sua eccezionale mobilità e potenza ed è stata presente in tutti gli episodî bellici, dando un contributo prezioso e qualche volta decisivo.

Fin da principio però l'aviazione nazionale, validamente coadiuvata da quella volontaria legionaria, riuscì ad avere il sopravvento su quella avversaria, e si può dire che, eccetto la breve parentesi di Guadalajara, essa è rimasta l'assoluta padrona del cielo di Spagna. Continue sono state le sue azioni di bombardamento dei principali obiettivi militari nemici; partecipò a tutti i combattimenti terrestri, svolgendo intensa attività esplorativa, integiando l'azione delle artiglierie, coadiuvando l'avanzata delle fanterie con mitragliamenti e spezzonamenti da bassa quota.

Nei numerosi duelli aerei i caccia nazionali e legionarî riuscirono sempre ad avere ragione dell'avversario, al quale inflissero perdite assai gravi; alla metà di giugno 1937 gli aeroplani governativi abbattuti ammontavano già a 421 e a questi bisogna poi aggiungerne altri 111 abbattuti in luglio, 125 in agosto, 73 in settembre e ottobre, 53 in novembre e dicembre e 56 nel gennaio 1936. Di fronte a queste cifre stanno le scarse perdite nazionali; secondo un comunicato dello stato maggiore madrileno gli apparecchi legionarî e nazionali abbattuti sino alla metà di giugno 1937 ammontavano a soli 148.

Fra i tanti episodî brillanti dell'aviazione nazionale meritano speciale rilievo le due vittorie che i caccia legionarî riportarono nell'ottobre 1937 nel cielo di Saragozza su potenti formazioni avversarie che tentavano di bombardare la città; nella prima 19 caccia legionarî affrontarono 6 Martin Bomber e 25 tra Curtis e Rata abbattendone 15; nella seconda 29 caccia legionarî affrontarono ben 37 apparecchi repubblicani, annientandone 18.

La guerra civile è tuttora (agosto 1938) in corso.

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