Sordità

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sordità Riduzione o mancanza della capacità mono- o bilaterale di percepire i suoni. I deficit uditivi (ipoacusie) possono essere distinti, a seconda della loro origine, in tre forme principali: di trasmissione (o di conduzione), neurosensoriali e misti.

Tipologie

La s. trasmissiva è dovuta a lesioni dell’apparato di conduzione dei suoni e principalmente a malformazioni, stenosi o altre lesioni ostruttive del condotto uditivo esterno, otiti medie e loro esiti, otosclerosi, tumori, colesteatomi. La s. neurosensoriale è dovuta o a lesioni cocleari o a lesioni retrococleari. La s. mista è caratterizzata da lesioni che coinvolgono i due apparati, quello di trasmissione e quello percettivo: possono risultare sia dall’associazione di due processi autonomi e concomitanti sia dalla propagazione di un unico processo che, iniziato in un apparato, coinvolga in un secondo tempo l’altro. Molti dei problemi di trasmissione sono suscettibili di guarigione o di miglioramento, al contrario i danni neurosensoriali sono generalmente irreversibili. Oltre alla forma, la s. può essere classificata in base all’entità della perdita uditiva.

La diagnosi di s. si avvale di tecniche audiometriche (➔ audiometria). Con queste tecniche è possibile non solo la diagnosi differenziale tra le singole forme di s., ma anche la valutazione precisa della perdita uditiva. Di queste tecniche le più utili sono l’impedenzometria, l’ECoG (elettrococleografia), l’ERA (audiometria elettroencefalografica), la BSERA (brainstem evoked response audiometry). Nei neonati e nei bambini molto piccoli l’esame è reso possibile dal condizionamento della loro attenzione con determinati semplici riflessi.

I deficit uditivi sono classificati secondo i criteri del BIAP (Bureau International d’Audio Phonologie) come perdita uditiva media in dB per le frequenze 500, 1000, 2000 e 4000 Hz: s. lieve (21-40 dB); s. media (41-70 dB); s. grave (71-90 dB); s. profonda (> 90 dB).

Le cause della s. nei bambini possono essere ereditarie, a carattere dominante o recessivo, oppure acquisite a seguito di un evento patologico che interessa l’embrione e il feto (prenatali), il neonato (neonatali), o il bambino nei primi anni di vita (postnatali). Le cause più frequenti di s. prenatale sono virali (principalmente virus della rosolia), microbiche, parassitarie e tossiche (da farmaci). Le s. neonatali sono generalmente attribuibili a traumatismi ostetrici o ad altre complicazioni che insorgono nelle prime ore di vita (anossia e ittero). Fra le cause delle s. postnatali, rientrano alcune malattie infettive quali la meningite e l’encefalite. Un caso particolarmente interessante di s. neurosensoriale è la s. da rumore, che può essere dovuta a rumori di breve durata, ma particolarmente intensi (detonazioni), o a rumori continui o intermittenti e d’intensità relativamente forte, come quelli di determinati ambienti di lavoro (s. professionale).

Il sordomutismo è una gravissima limitazione o assenza dello sviluppo del linguaggio verbale secondaria a grave ipoacusia bilaterale, insorta prima dell’acquisizione del linguaggio. L’apparato fonoarticolatorio dei bambini che nascono sordi, salvo rare eccezioni, è assolutamente integro e integra è la loro facoltà di linguaggio, che però in conseguenza del deficit acustico non può entrare in funzione.

La chirurgia della s. (detta anche cofochirurgia) è indirizzata principalmente alle forme trasmissive, prima fra tutte l’otosclerosi. Altra patologia suscettibile di trattamento chirurgico è l’otite media cronica, cioè un’infiammazione dell’orecchio medio che provoca perforazione timpanica. Una fondamentale acquisizione della chirurgia otologica è rappresentata dall’impianto cocleare, un vero e proprio orecchio elettronico indicato per i soggetti con perdita uditiva totale bilaterale (cofosi) o che, comunque, non possono giovarsi delle protesi acustiche tradizionali (➔ protesi).

Metodi educativi

Cenni storici. Le prime notizie relative all’educazione dei sordi risalgono a un monaco benedettino, P. Ponce de Leon (1520-1584), il quale utilizzava un alfabeto manuale, in cui a ogni lettera corrispondeva una particolare configurazione della mano. Teoria e pratica di questo metodo furono esposte per la prima volta da J.P. Bonet nell’opera Redución de las letras y arte para enseñar a hablar los mudos (1620), che ebbe larghissima influenza in Europa. In Francia, l’abate C.-M. de l’Épée fondò la prima scuola pubblica per sordomuti (1770). De l’Épée elaborò una lingua dei segni convenzionale, prendendo come nucleo centrale i gesti utilizzati dai suoi stessi allievi. In Italia, l’abate T. Silvestri, inviato presso l’abate de l’Épée per imparare il suo metodo, fondò nel 1784 a Roma la prima scuola per sordi. A partire dal 1880, dopo il Congresso internazionale tenutosi a Milano, s’impose in Italia una svolta rigidamente oralista all’educazione linguistica dei sordi, annullando tutte le esperienze precedenti che utilizzavano i segni e il metodo misto.

La lingua dei segni. Da un punto di vista linguistico la lingua dei segni comincia a essere indagata solo a partire dagli anni 1960. W. Stokoe, analizzando la lingua usata dalla comunità di non udenti americana, scoprì che le lingue dei segni hanno caratteristiche linguistiche analoghe a quelle delle lingue vocali. Infatti, oltre ad avere una funzione sociale in quanto soddisfano bisogni cognitivi, comunicativi ed espressivi di una comunità umana, possiedono tutte le unità linguistiche quali il sistema fonologico, lessicale, sintattico e grammaticale. Studi successivi hanno inoltre dimostrato che non esiste una lingua dei segni universale, ma tante lingue dei segni legate alle diverse culture delle comunità dei non udenti del mondo: in Italia si usa la Lingua Italiana dei Segni (LIS).

Il metodo orale. La scelta oralista del Congresso di Milano del 1880 ha avuto in Italia profonde ripercussioni in ambito pedagogico, riabilitativo e didattico, con la conseguenza di non lasciare spazio per molti anni a nessun altro metodo educativo, se non quello orale. Nel metodo orale viene data molta importanza a 3 elementi: gli strumenti tecnici, sia diagnostici sia protesici, che possono essere di ausilio nella riabilitazione; il ruolo della famiglia; la necessità che il bambino non udente frequenti esclusivamente gli udenti, sia a scuola sia in altri contesti. Nelle prime fasi di rieducazione si lavora molto sull’allenamento acustico, il bambino viene quindi avviato precocemente alla lettura e alla scrittura e i vocaboli sono selezionati in base alle difficoltà di pronuncia.

Il metodo bimodale ed educazione bilingue. Dagli anni 1960 in poi, le ricerche condotte in America e in Europa hanno dimostrato che l’uso dei segni nell’educazione al linguaggio verbale non ha alcuna influenza negativa sulla comprensione della lettura labiale, sulla lettura e comprensione del testo e sulla scrittura; anzi, i segni possono favorire lo sviluppo linguistico, psicologico e sociale del bambino non udente.

Anche in Italia è stato elaborato un modello di intervento per l’educazione al linguaggio del bambino non udente: il metodo bimodale. Questa metodologia si appoggia, nell’insegnamento della lingua parlata e scritta, su un sistema di segni codificati, un supporto visivo all’italiano parlato, creato utilizzando alcuni segni della LIS, ma soprattutto inventandone di nuovi (articoli, preposizioni ecc.) per rendere completamente ‘visibile’ la struttura della lingua parlata. L’educazione acustico-vocale e la lettura labiale sono quindi parte integrante di questo modello riabilitativo. L’utilizzo della modalità visivo-gestuale integra permette al bambino non udente di apprendere la lingua parlata seguendo il più possibile le fasi e i tempi del bambino udente. Un bambino che già dispone degli strumenti concettuali di una lingua acquisita in modo per lui naturale (in questo caso una lingua dei segni) è notevolmente facilitato nell’apprendimento della lingua parlata e scritta. Per questo motivo, in molti paesi europei e negli USA viene proposto un modello di educazione bilingue che prevede per i bambini non udenti l’uso parallelo della lingua dei segni e della lingua parlata e scritta in contesti separati (per es., famiglia e scuola) o da due fonti diverse (per es., madre udente e padre non udente, oppure insegnante udente e insegnante non udente). Anche in Italia sono state ideate e realizzate esperienze di bilinguismo con il coinvolgimento di adulti non udenti in contesti educativi.

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