Sole

Universo del Corpo (2000)

Sole

Pietro Santoianni

La vita sul nostro pianeta dipende dalla luce solare: l'esistenza di forme viventi è condizionata da una fonte di energia sufficiente ad alimentare le complesse modificazioni fisico-chimiche sottese ai meccanismi biologici, la cui armonica combinazione costituisce gli organismi viventi. Attraverso la fotosintesi clorofilliana, infatti, l'energia solare viene trasformata nell'energia contenuta negli alimenti. Gli effetti benefici della luce sull'organismo umano non si limitano però a questo: le radiazioni luminose, infatti, consentono di percepire informazioni dall'ambiente attraverso la vista, regolano molte funzioni dell'organismo che presentano un andamento ciclico durante la giornata (ritmi circadiani; v. ritmo biologico) e inducono a livello cutaneo la sintesi di vitamina D, indispensabile per la fissazione del calcio; è stato inoltre dimostrato un loro effetto antidepressivo. Tuttavia, la luce solare può avere anche effetti negativi, sia perché riveste un ruolo importante nella genesi di alcuni tumori cutanei, sia per il suo coinvolgimento in un gruppo di patologie, denominate fotodermatosi in quanto strettamente correlate con l'esposizione alla luce.

l. Radiazioni solari e organismo umano

L'energia radiante emanata dal Sole e avente origine da reazioni termonucleari presenta uno spettro di radiazioni elettromagnetiche (REM) caratterizzato da un continuum di lunghezze d'onda, che si estende dai raggi X fino alle onde radio. L'onda elettromagnetica è un'onda trasversa, costituita dall'oscillazione di un campo elettrico e di un campo magnetico. Caratteri distintivi di un'onda sono la velocità (v), la frequenza (f) e la lunghezza (λ). Ogni quanto di radiazione trasporta una quantità di energia inversamente proporzionale alla lunghezza d'onda. Dunque l'energia di una radiazione elettromagnetica aumenta al diminuire della lunghezza d'onda della stessa. Le lunghezze d'onda delle REM emesse dal Sole, arbitrariamente classificate in regioni spettrali, variano da frazioni di angstrom fino a varie centinaia di metri lungo uno spettro continuo. Le radiazioni di lunghezza d'onda inferiori a 10 nm sono rappresentate dai raggi γ e dai raggi X, che inducono perdita di elettroni da parte delle molecole, con formazione di ioni, e sono pertanto conosciute come radiazioni ionizzanti. Gli ultravioletti (UV) rappresentano la banda di radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti compresa fra circa 200 e 400 nm e suddivisa in UVC, UVB e UVA (v. radiazione). Lo spettro della luce visibile (VIS) si estende da 380-400 a 720 nm ed è la banda cui è sensibile l'occhio umano. Le radiazioni più lunghe del VIS costituiscono l'infrarosso (IR), le microonde e le radioonde. L'energia che raggiunge la superficie terrestre rappresenta solo una piccola parte dell'energia complessiva irradiata; lo spettro delle REM, che rimane immodificato dal momento della sua emissione solare fino agli strati più esterni dell'atmosfera, subisce un'azione di filtro da parte dei vari strati dell'atmosfera, che 'taglia' selettivamente le lunghezze d'onda più basse e viene operata prevalentemente dalla fascia di ozono situata a 20-50 km dalla superficie terrestre e dotata di uno spessore di circa 25 km. Grazie a tale filtro le radiazioni altamente energetiche - quindi quelle più nocive - di lunghezza d'onda inferiore a 280 nm vengono completamente fermate nell'atmosfera.

Tale meccanismo fa sì che solo l'1% dell'energia elettromagnetica che raggiunge la superficie terrestre sia rappresentata dall'intera banda dell'UV e che l'UVB (che si estende da 280 a 315-320 nm), capace di provocare eritema e provvisto di azione mutagena, rappresenti soltanto lo 0,2% dell'energia radiante che raggiunge la Terra. Quando un'onda elettromagnetica colpisce la cute, parte di essa è riflessa, parte viene assorbita nei vari strati da molecole in grado di assorbire energia fotonica, definite cromofori, e parte ancora viene trasmessa nei successivi strati cellulari, fino a quando l'energia del fascio incidente non sia stata dissipata. In generale, si può affermare che radiazioni con minore lunghezza d'onda hanno una minore penetrazione rispetto a quelle con maggiore lunghezza d'onda. Frequentemente, in regioni della cute umana con epidermide a strato corneo più spesso, la trasmissione negli strati più profondi della cute di radiazioni di lunghezza d'onda intorno a 275 nm (trasmissione minima dell'epidermide caucasica normale) si riduce ulteriormente. L'influenza dello stato di pigmentazione cutanea sulla trasmissione è notevole (la trasmissione di radiazioni comprese fra 280 e 320 nm attraverso lo strato corneo di un soggetto di pelle nera è di circa 2,5 volte minore rispetto a quella di un soggetto con strato corneo scarsamente pigmentato). L'assorbimento dell'energia fotonica da parte di componenti tessutali o di cromofori esogeni presenti nei tessuti innesca una serie di reazioni fotochimiche che sono alla base degli effetti biologici delle REM. La luce solare provoca diversi effetti a livello cutaneo e numerose patologie possono essere causate o aggravate dalla fotoesposizione (fotodermatosi). Il danno dipende dalla durata e dalla frequenza delle esposizioni, dal tipo di radiazioni cui la cute è esposta e dalla reattività individuale. Dal punto di vista biologico i principali effetti della luce solare sono: eritema e incremento della pigmentazione (effetti acuti); fotoinvecchiamento e fotocarcinogenesi (effetti cronici).

Effetti acuti dell'esposizione alla luce solare

L'eritema (v.) è la più frequente risposta cutanea all'UV. Si tratta di una reazione dose-dipendente: può variare da un modesto arrossamento asintomatico fino all'eritema intenso, associato a dolore, edema e formazione di vescico-bolle. L'UVB, come abbiamo visto, rappresenta solo una piccola parte dell'energia radiante che raggiunge la superficie terrestre; esso, tuttavia, è il principale responsabile dell'azione eritemigena dei raggi solari. Anche l'UVA è capace di provocare risposte eritemigene, ma la sua efficacia è circa 1000 volte inferiore a quella dell'UVB. Tuttavia, poiché l'UVA raggiunge la superficie terrestre in quantità 10 volte maggiori di quelle dell'UVB, è possibile affermare che ambedue le bande dell'UV cooperano nel produrre l'arrossamento cutaneo. Le reazioni da UVB e da UVA sono però sostanzialmente diverse negli effetti sulla cute e nei meccanismi che sottendono le espressioni clinicamente rilevabili. Come visto in precedenza, la capacità di penetrazione di una REM è funzione della sua lunghezza d'onda. Pertanto, mentre l'UVB viene assorbito per il 95% a livello dell'epidermide, l'UVA raggiunge in alta percentuale il derma, che costituisce dunque la sua principale area di azione. L'eritema da UVB si manifesta dopo un periodo di latenza di 6-8 ore e raggiunge l'acme dopo circa 12-24 ore dall'irradiazione. Dosi elevate di UVB possono dar luogo a risposte eritemigene più rapide e persistenti. A livello strutturale si riscontra dopo alcuni giorni un ispessimento dell'epidermide, soprattutto dello strato corneo, che persiste per alcune settimane e rappresenta un meccanismo fotoprotettivo. L'eritema da UVA si manifesta, invece, solo con dosi massive di questo tipo di radiazioni. La reazione raggiunge la massima intensità subito dopo l'esposizione e talora si osserva un secondo picco eritemigeno circa 24 ore dopo. A livello molecolare tali reazioni vengono innescate dall'assorbimento dell'energia radiante da parte dei cromofori cutanei.

Nella cute esistono diversi cromofori: aminoacidi aromatici, basi puriniche e pirimidiniche degli acidi nucleici, numerosi lipidi; nel caso dell'eritema da UVB, il cromoforo maggiormente implicato sembrerebbe essere il DNA, in quanto capace di assorbire quelle lunghezze d'onda (intorno a 260 nm) che sono caratterizzate dal massimo potere eritemigeno. Per l'UVA, invece, l'interazione diretta con i vasi sanguigni avrebbe una maggiore significatività nello sviluppo dell'eritema. L'esposizione della cute alla luce solare provoca incremento della pigmentazione (abbronzatura), la cui entità è riferibile a fattori genetici. Questo tipo di reazione non rappresenta un processo patologico e il meccanismo preciso con cui si attua non è ancora del tutto noto. Potrebbe costituire una reazione di difesa messa in opera dalla cute, in quanto determina un aumento della protezione nei confronti degli effetti lesivi dell'UV. L'idea che la melanina possa costituire solo una reazione fotoprotettiva agendo da filtro passivo e assorbendo l'energia radiante è però in contrasto con alcune osservazioni: l'abbronzatura compare molto tempo dopo l'irradiazione, quando il danno si è ormai instaurato; inoltre, pigmentazioni melaniniche si verificano anche in seguito a traumi (ustioni, abrasioni) oppure a stimoli infiammatori. Un'interpretazione alternativa del ruolo della melanina nella fotoprotezione è quella che la considera un prodotto attivo, dotato di proprietà fisico-chimiche tali da renderlo atto a bloccare i radicali liberi, molecole altamente instabili che rappresentano i mediatori ultimi di molti dei danni innescati dalla fotoesposizione. Dal punto di vista fotobiologico, l'incremento della pigmentazione (v.) è caratterizzato da due fasi: una immediata e una ritardata. Nella fase immediata si riscontra una pigmentazione bruno-grigiastra, che compare già in corso di fotoesposizione e regredisce nel volgere di poche ore. Può essere determinata sia dal VIS sia dall'UVA e compare più spesso nei soggetti di carnagione scura; dipende infatti dalla quantità di melanina già presente nella cute e consiste in una reazione di fotossidazione della melanina preesistente, indotta dall'UVA e in relazione con l'ossigenazione dei tessuti durante la fotoesposizione.

La pigmentazione immediata non sembra fornire alcuna protezione nei confronti del danno al DNA che viene indotto dall'UV. La pigmentazione ritardata può essere provocata da tutte le bande dell'UV, ma l'UVB è provvisto della maggior attività pigmentogena. La capacità pigmentogena e fotoprotettiva dell'UVA è quindi inferiore a quella dell'UVB che, inoltre, è capace di indurre anche ispessimento dello strato corneo. Il VIS e l'IR sono poco o per nulla capaci di stimolare la pigmentogenesi. La pigmentazione ritardata compare dopo 3-5 giorni dalla fotoesposizione e raggiunge la massima espressione dopo 2-3 settimane. Essa è da riportare alla formazione di nuova melanina, in quanto la fotostimolazione induce un aumento del numero dei melanociti funzionanti. Singole esposizioni stimolano l'attività dei melanociti presenti, mentre esposizioni ripetute fanno aumentare il numero dei melanociti funzionanti. La capacità pigmentogena è variabile nei diversi individui: in genere maggiore è la pigmentazione costituzionale, più elevata risulta la capacità di abbronzarsi in seguito a fotoesposizione.

Effetti cronici

Con il termine di fotoinvecchiamento vengono indicate le alterazioni cutanee che sono indotte dall'esposizione solare cronica e prolungata, le quali si vanno ad aggiungere alle modificazioni proprie dell'invecchiamento biologico. Gli effetti delle radiazioni solari sono cumulativi e si sommano sull'epidermide e sul derma fin dall'infanzia, pur essendo ovviamente più evidenti nell'anziano. È logico ritenere pertanto che tale processo sia da riportarsi a un danno cumulativo, non completamente riparabile, dei componenti cellulari cutanei. Studi condotti su animali da esperimento indicano che sia l'UVB sia l'UVA, nonché le radiazioni infrarosse, concorrono nell'indurre il danno cutaneo. Le alterazioni da radiazione sono in parte dirette e in parte mediate dalla formazione di radicali liberi capaci di danneggiare diversi costituenti cellulari, fra cui il materiale genetico, le proteine e i fosfolipidi che costituiscono le membrane cellulari. L'epidermide risulta in genere ispessita, contrariamente a quanto si osserva nel processo di invecchiamento tipico della cute non fotoesposta, che presenta un'epidermide di spessore ridotto. Le alterazioni epidermiche si traducono clinicamente in secchezza e desquamazione cutanea, spesso con ruvidezza al tatto. Nelle aree fotoesposte si verifica generalmente un aumento di densità dei melanociti, anche se la loro funzionalità diminuisce con l'età.

Nelle aree a lungo fotoesposte i fibroblasti dermici - cioè le cellule deputate a produrre i costituenti strutturali del derma - appaiono più numerosi, di maggiori dimensioni e più attivi. Tali cellule si riducono, invece, nella cute non fotoesposta dell'anziano. Nelle aree soggette a fotoinvecchiamento si osserva un incremento nella presenza di cellule infiammatorie le quali liberano proteasi, enzimi in grado di alterare il collagene e l'elastina, le proteine fibrose che rappresentano i principali costituenti del derma.

Pure la sostanza fondamentale - cioè il mezzo in cui sono dispersi i componenti fibrosi del derma - costituita da proteoglicani e da glicosaminoglicani, subisce modificazioni diverse nel danno attinico rispetto all'invecchiamento biologico. Abbondanti nel feto, tali composti diminuiscono nella prima infanzia e subiscono un'ulteriore riduzione nella cute dell'anziano; nella cute cronicamente fotoesposta, al contrario, i costituenti principali della sostanza fondamentale (glicosaminoglicani) aumentano notevolmente, fin quasi ai livelli della vita fetale. Poiché le radiazioni solari raggiungono anche il plesso vascolare cutaneo, i vasi sanguigni possono assumere un aspetto tortuoso e appaiono dilatati. Tali alterazioni cutanee si traducono in manifestazioni cliniche che sono caratteristiche del fotoinvecchiamento piuttosto che dell'invecchiamento cronologico. Le manifestazioni che compaiono prevalentemente in aree fotoesposte e negli individui cronicamente esposti al Sole sono rappresentate da elastosi solare, rugosità marcata, teleangectasie, lentigo senili, cheratosi attiniche, ipomelanosi guttata. Dati epidemiologici e clinici indicano che le radiazioni solari sono coinvolte nella genesi di alcuni tumori cutanei quali basaliomi e spinaliomi. Queste neoplasie si manifestano, infatti, con una frequenza notevolmente più elevata in individui che per motivi professionali sono stati esposti alle radiazioni solari per lunghi periodi; colpiscono maggiormente soggetti di fototipo chiaro, quelli cioè con scarsa pigmentazione e, di conseguenza, basso livello di fotoprotezione; sono localizzate soprattutto in aree fotoesposte (volto, dorso delle mani), mentre non si sviluppano quasi mai in sedi non fotoesposte come la pianta dei piedi; negli individui di carnagione chiara la loro incidenza è maggiore che in quelli più pigmentati, soprattutto se vivono in regioni tropicali o subtropicali. Sono i raggi UV a essere coinvolti nella genesi di lesioni cutanee precancerose e francamente tumorali. Le più tipiche lesioni precancerose fotoindotte sono le cheratosi attiniche, lesioni piane o leggermente rilevate, ricoperte da sottili squame di colore variabile dal bianco grigiastro al grigio scuro, strettamente aderenti alla cute sottostante.

Tali lesioni possono, negli anni, degenerare dando luogo a epiteliomi baso- o spinocellulari. Questi ultimi rappresentano le due lesioni tumorali cutanee più frequenti, nelle quali il ruolo degli UV è ormai accertato. L'epitelioma basocellulare è caratterizzato da malignità esclusivamente locale e lenta evoluzione. Clinicamente può avere aspetto piano-cicatriziale, ulceroso, nodulare con ulcerazione centrale. L'epitelioma spinocellulare, invece, è un tumore maligno caratterizzato da maggiore invasività e possibilità di produrre metastasi. Clinicamente si presenta come un nodulo, ulcerato o vegetante, di consistenza caratteristicamente dura. Gli UV e in particolare l'UVB rappresentano la banda di REM non ionizzanti responsabili della fotocarcinogenesi per la loro interazione con gli acidi nucleici e le conseguenti alterazioni del materiale genetico, le quali inducono la trasformazione in senso tumorale delle cellule cutanee. Riveste una notevole importanza nell'induzione e nella progressione di neoplasie cutanee fotoindotte anche l'interazione tra radiazioni UV e sistema immunitario; quest'ultimo, infatti, impedisce la sopravvivenza e la replicazione di cellule alterate in senso tumorale.

Bibliografia

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P. Santoianni, Fotodermatologia, Roma, Il Pensiero Scientifico, 1993.

F. Urbach, The biological effects of ultraviolet radiation, Oxford, Pergamon, 1969.

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