SOFFITTO

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1999)

SOFFITTO

C. Bolgia
S.S. Blair

Il termine s. designa propriamente la parte inferiore di un solaio, ma viene comunemente adoperato anche per indicare quello che tecnicamente si dovrebbe definire controsoffitto, soffittatura o controsoffittatura: una struttura leggera, rivestita da sottili tavole lignee o da intonaco su cannucce, staccata dal solaio o dagli spioventi del tetto e a essi appesa, che nel Medioevo aveva principalmente l'aspetto di un tavolato piano, di una superficie a cassettoni o di una carena di nave rovesciata.Nel linguaggio comune si usa talora il vocabolo s. anche per indicare le facce interne delle falde del tetto (v.): sebbene la letteratura abbia talora adottato un simile uso estensivo del termine, non verranno trattate in questa sede tali strutture, che devono piuttosto essere considerate carpenterie a vista o tetti dipinti.Lo scarso numero dei s. medievali sopravvissuti si spiega con la deperibilità del materiale generalmente impiegato per la loro costruzione, principalmente il legno, soggetto alle infiltrazioni dell'acqua piovana, alle aggressioni dei tarli e alla distruzione negli incendi (Lehmann-Brockhaus, 1955-1960, I, nrr. 804, 822). Ancora più deperibili, per la fragilità dei materiali e la leggerezza della struttura, erano i controsoffitti a intonaco su incannucciata, di cui restano scarse tracce. È stato inoltre ipotizzato che alcune lastre di marmo scolpite attualmente conservate in musei, come per es. quello di Grottaferrata (Mus. dell'abbazia), in origine costituissero la copertura di ambienti ecclesiastici di limitate dimensioni (Mazzanti, 1896; Crema, 1936).Proprio per la loro deperibilità, i s. furono spesso sottoposti a interventi di restauro poco tempo dopo essere stati realizzati: i documenti attestano per es. che nel 1438 venne pagato un carpentiere per riparare tre travi del s. della sala Magna del palazzo Chiaramonte (Lo Steri) a Palermo (1377-1380) ed è probabile che in tale occasione fossero anche reintegrate le pitture che le decoravano, a opera del miniatore Giovanni di Valladolid (Bologna, 1975).Le manomissioni più pesanti sui s. medievali sono state operate tuttavia in età moderna, quando, oltre ai ripristini di numerose strutture e ai rifacimenti di brani pittorici, si sono attuati smontaggi e ricomposizioni più o meno arbitrarie o reimpieghi di pezzi originari in nuove coperture. I restauri che nei secc. 16° e 19° hanno interessato per es. la chiesa di St. Martin a Zillis, nei Grigioni, hanno comportato lo smontaggio e il rimontaggio dei pannelli del controsoffitto, con ripetute modifiche dell'ordine originario dei soggetti, che l'attuale assetto non sembra restituire (Brugger-Koch, 1981). Anche la disposizione delle tavole del s. della Lady Aisle di St Helen ad Abingdon (Oxfordshire) ha subìto varie alterazioni nel corso dei secoli (Borenius, 1936). Ancora, uno dei più celebri controsoffitti dell'Occidente medievale, quello che copre la navata centrale dell'abbaziale di St. Michael a Hildesheim, nella Bassa Sassonia, fu sottoposto a diversi interventi di restauro tra il 1606 e il 1909; completamente smontato nel 1943 per proteggerlo dalle incursioni aeree, esso venne rimesso in opera soltanto negli anni 1955-1960, dopo una consistente asportazione delle ridipinture: sono comunque di restauro tre simboli degli evangelisti, il Cristo in trono e parti sostanziali del Peccato originale (Sommer, 1966; Lausmann, Königfeld, 1989).Un'altra ragione della difficoltà di tracciare il percorso evolutivo della tipologia del s. medievale consiste nel fatto che, quando non coincide con il controsoffitto, il s. non è un elemento strutturale autonomo, ma costituisce parte integrante del solaio, e, in quanto tale, andrebbe studiato unitamente a questo sistema di copertura. Particolarmente attento a tale problematica, Viollet-le Duc (1864b) ha trattato del plancher ('solaio') alla voce Plafond ('s.').Il solaio era costituito, nelle forme più semplici, da travi di limitate dimensioni (travicelli o travicelloni) parallele tra loro, cui veniva sovrapposto un impalcato di tavole e, nelle forme più complesse, da una trama di travi maestre e di travi minori (ortogonali alle prime e sovrapposte a esse) a sostegno del tavolato. Nel Medioevo erano diffusi entrambi i sistemi principali di vincolo dell'orditura del solaio: quello a incastro, con le travi innestate in appositi alloggiamenti a parete, e quello ad appoggio, con le mensole di pietra per la trave corrente di sostegno al resto dell'orditura. Quando le travi incastrate erano molto fitte, potevano essere poggiate su un corrente continuo alloggiato orizzontalmente nella parete, per meglio ripartire il carico. Le mensole lignee non avevano in genere funzione di sostegno, ma di semplice rinforzo delle travi alloggiate nei muri; soprattutto negli esempi più tardi, potevano essere variamente intagliate e costituire un raffinato motivo ornamentale; analogamente, anche le travi e i travicelli potevano essere finemente modanati.Numerose testimonianze figurative documentano l'aspetto dei solai medievali: la ricca casa in cui Ambrogio Lorenzetti ha ambientato il Miracolo del bambino resuscitato da s. Nicola (1332 ca.; Firenze, Uffizi) presenta, al secondo piano, una sala da pranzo coperta da un s. a travicelli su mensole.Quando la giunzione delle tavole, che tecnicamente si chiama convento, è nascosta da listelli lignei detti regoli, il solaio si definisce a regolo per convento. Impiegato principalmente nelle case a schiera, questo tipo di solaio, in genere a doppia orditura portante di travi e travicelli, fu adottato anche per tipi edilizi più complessi, quali gli edifici monastici e conventuali o le stanze secondarie delle residenze signorili. Poiché i regoli copri-giunto sono posti ortogonalmente ai travicelli, la faccia inferiore di questi solai - il s. vero e proprio - presenta una trama a riquadri, spesso ornata da figurazioni dipinte. Tra gli esempi ancora in situ, la cui sostanziale originarietà sia stata verificata da indagini mirate, si segnalano a Genova il s. del palazzo della Commenda di Pré e i s. recentemente individuati, consolidati e restaurati, di alcuni ambienti annessi al chiostro di S. Lorenzo, ai quali, per esigenze statiche e funzionali, sono stati sovrapposti nuovi solai portanti (Bozzo, 1994).Un solaio a travicelli con un'unica trave maestra sorretta da colonne che scandivano in due navate l'ambiente ricopriva anche il c.d. refettorio presso la cappella dei Templari a Metz, demolito nel 1904: ascrivibile alla prima metà del sec. 13°, tale s. presentava una ricca decorazione pittorica con figure di cavalieri sulla trave principale e animali fantastici sulle travi minori (Viollet-le-Duc, 1864a, p. 94; Voltz, 1973).Ancora, un s. con le tavole alternativamente decorate da gigli e corone e le travi dipinte a gigli d'oro su fondo azzurro (Francia) e castelli a tre torri (Castiglia), databile tra il sec. 13° e il 14°, decora un ambiente al piano terreno della c.d. casa delle bestie a Lione (Tricou, 1968).Solai a doppia orditura di travi maestre e travi trasversali di minori dimensioni erano adoperati, in area iberica, per coprire stanze di castelli e dimore di privati abbienti, sale di riunione di palazzi pubblici, chiostri, sale capitolari, refettori e dormitori di conventi e monasteri, più raramente chiese. Questi solai, che alcuni studiosi chiamano anche alfarjes, recuperando un termine in uso già nel Medioevo (dall'arabo al-fahrj 'architrave'), erano realizzati nella maggior parte dei casi da carpentieri mudéjares. Tra gli esempi conservati o noti da disegni e fotografie figurano: il s. del refettorio del monastero di San Clemente a Toledo (1219-1235); quello della Iglesia de la Sangre a Liria (1340-1350 ca.), decorato con figure di sovrani e scene d'amore e di caccia; quello non più in situ del castello di Santa Coloma de Queralt presso Tarragona (1365); quello che copre un ambiente dell'antico convento di San Francisco a Toledo (sec. 14°); inoltre, nella città di Barcellona, il s. tardotrecentesco, poi smantellato nel sec. 19°, del chiostro del convento di Santa Maria de Monstió, il coevo s. della Llotja, pesantemente restaurato, e il s. della sala della Escrivanía della casa de la Ciutat, databile tra la fine del sec. 14° e gli inizi del sec. 15°; infine, nei pressi di Burgos, il s. della parrocchiale di Vileña (1360-1370 ca.) e quello del chiostro del monastero di Santo Domingo de Silos, degli ultimi decenni del sec. 14°, dipinti entrambi con scene religiose, cavalleresche e cortesi, forse a opera di un'unica bottega.Un s. di particolare interesse, anche per i rapporti con le soluzioni successivamente adottate nei palazzi siciliani di importanti famiglie, è il s. della cappella di Santa Ágata nel Palau Reial Major a Barcellona, opera dell'architetto reale Bertran Riquer (in carica dal 1294 al 1316). Per la trama strutturale e per la stella ricavata dall'ottagono dipinta sul fondo dei cassettoni, questo s. è stato indicato come una delle probabili fonti per il s. della sala Magna dello Steri a Palermo (v.), a sua volta modello principale dei s. di destinazione privata realizzati in Sicilia fino al Quattrocento avanzato (Bologna, 1975).Il s. dello Steri, eseguito per Manfredi III Chiaramonte (m. nel 1391), signore di Modica e grande ammiraglio del regno, costituisce il massimo esempio del carattere feudale della committenza artistica nell'isola, spartita territorialmente in quegli anni fra poche grandi famiglie. La sua trama strutturale consta di ventiquattro travi trasversali di abete poggiate su mensole scolpite ad alveoli e di una vistosa fascia lignea longitudinale, originariamente ornata da stalattiti alveolate; parallelamente alla fascia centrale, a metà ca. tra questa e la parete, in ciascuna delle due zone, le travi trasversali sono attraversate longitudinalmente da una trave minore; e questa si orna a sua volta, in ogni segmento del percorso tra trave e trave, di un travetto poggiante su mensoline intagliate, tale da ripetere in miniatura il tema architettonico di ciascuna delle travi maggiori, con le rispettive mensole. Negli scomparti che ne risultano sono ricavati i lacunari con pareti a scivolo e un motivo a forma di stella sul fondo. Le fonti per il nesso trave-mensola e per la forma stessa delle mensole alveolate sono da riconoscersi nelle soluzioni adottate in quegli anni nell'Alcázar di Siviglia e in diversi ambienti dell'Alhambra di Granada (Bologna, 1975). Da un punto di vista iconografico, il s. dello Steri - che reca la firma dei pittori Simone da Corleone, Cecco di Naro, Pellegrino Darena da Palermo - riproduce una vera e propria enciclopedia medievale, ovvero, più esattamente, uno speculum historiale e una summa figurativa della letteratura romanzesca del Medioevo. Un s. strutturalmente simile a questo si trovava nella sala contigua; altri analoghi, sia pure di minore entità, sono ancora oggi visibili in vari ambienti del palazzo e - a eccezione del più tardo s. del portico - sono riferibili allo stesso momento artistico. Affinità, sia nella struttura sia negli intagli e nel criterio decorativo, sono state riscontrate nel s. del castello La Grua a Carini (prov. Palermo), probabilmente commissionato dallo stesso Manfredi III, proprietario del castello prima che passasse ai La Grua nel 1391 (Bologna, 1975). Il s. dello Steri stabilì dunque un modello che finì per condizionare - in vario modo - opere analoghe destinate non solo a edifici privati, ma anche a edifici religiosi, quali il s. della sala capitolare del convento di Santo Spirito ad Agrigento, riferibile all'attività dei Chiaramonte (Lanza, 1941), e i tetti di S. Agostino a Palermo, di S. Agostino a Trapani, attualmente in frammenti (Palermo, Mus. Diocesano), e del duomo di Nicosia (prov. Enna).Un'altra soluzione per la chiusura superiore di un ambiente era il controsoffitto, che nascondeva alla vista un solaio rustico o la struttura del tetto. Il controsoffitto era costituito da un'intelaiatura lignea, sospesa al solaio o al tetto, alla quale poteva essere applicato un tavolato di pannelli sottili di legno leggero - prevalentemente abete -, eventualmente rifinito da regoli o una stuoia di cannucce rivestita di intonaco. Quest'ultimo tipo di soffittatura, che si definisce 'camera a canna' o 'camera canna', è un'eredità del mondo classico ed è dettagliatamente descritta da Vitruvio (Deichmann, 1957).Un controsoffitto piano a 'camera canna' delimitava superiormente la basilica settentrionale costantiniana di Treviri, come dimostrano le tracce di incannicciatura sul retro dei lacerti di affresco venuti alla luce nel corso degli scavi sotto il duomo (Kempf, 1965; Lavin, 1967). Analoghe impronte di cannucce sulla parte postica dei frammenti di intonaco provenienti dalla basilica teodoriana settentrionale di Aquileia attestano che anche tale edificio (prima metà del sec. 4°) era coperto da un controsoffitto a 'camera canna'; il fatto che alcuni frammenti formino un angolo di 106° sembrerebbe però indiziare, in questo caso, che la soffittatura seguisse l'andamento degli spioventi del tetto (Verzone, 1942).Durante i lavori di restauro di S. Maria in Cosmedin a Roma, Giovenale (1927) individuò, nell'impronta di una trave e di un tavolato, la prova che la basilica fosse originariamente coperta da un controsoffitto piano; questi ritrovamenti e la constatazione che i mosaici o gli affreschi dell'arco trionfale delle chiese dei Ss. Nereo e Achilleo, S. Prassede e S. Giovanni a Porta Latina sono conclusi, in alto, da una cornice rettilinea, lo indussero a sostenere che, almeno a Roma, la forma più diffusa per la copertura di un ambiente fosse il s. piano. Non è improbabile che in origine le basiliche fossero generalmente munite di analoghe soffittature per schermare le capriate e che solo con il deperimento del legname si siano abolite e si sia adottata la pratica di decorare l'intradosso del manto del tetto (Crema, 1936; Giuliani, 1990).Se molti controsoffitti di chiese medievali sono il frutto di pesanti ripristini, come per es. nel caso di St. Servatius a Quedlinburg (Giovenale, 1927), alcuni, al di là dei citati smontaggi e rimontaggi, sono pervenuti in uno stato di conservazione sostanzialmente buono.La soffittatura piana della chiesa di St. Martin a Zillis, che la recente analisi dendrocronologica ha riferito agli anni 1109-1114 (Die romanische Bilderdecke, 1997), è formata da centocinquantatré tavolette di abete, dipinte a tempera su base di gesso e distribuite in quindici file trasversali per nove longitudinali. I pannelli furono dipinti - forse su cavalletto e comunque in posizione verticale - prima di essere posti in opera, come ha rivelato l'esame della tecnica pittorica (Murbach, 1982). I centocinque campi centrali con scene della Vita di Cristo e del patrono della chiesa, s. Martino, sono circondati da quarantotto riquadri marginali con immagini di creature marine favolose, scene di pesca e, nelle tavole angolari, quattro angeli che rappresentano le regioni del mondo. Le figure, che compongono un'unica scena, sono distribuite in due o tre pannelli e gli episodi sono raffigurati in modo molto conciso, con pochi personaggi dalla corporeità massiccia; inoltre, poiché ogni singola tavola è rifinita da una cornice decorativa, l'effetto complessivo è quello di una griglia a riquadri, una sorta di grande cassettonato bidimensionale. Il racconto della Vita di Cristo si interrompe con l'Incoronazione di spine: non è possibile stabilire se l'inconsueta assenza della Crocifissione sia dovuta a ragioni teologiche, a un originario proseguimento del ciclo sulle pareti o a una perdita di parte del s., che poteva proseguire nel coro, demolito all'inizio del 16° secolo.Se, nel caso di Zillis, la decorazione pittorica rispetta la forma dei pannelli del tavolato e vi si adatta, sono numerosi gli esempi di controsoffitti medievali in cui le tavole sono dissimulate da partizioni dipinte che ignorano volutamente la giunzione tra le assi, creando nuove organizzazioni compositive. Il raffinato rivestimento pittorico del tavolato che controsoffitta la navata centrale della cattedrale di Peterborough, nel Cambridgeshire (sec. 12° o primi decenni del 13°), simula dei cassettoni romboidali di inedita profondità, abitati da agili figurine di santi, sovrani, vescovi, monaci e musicisti.Nella chiesa di Dädesjö, in Svezia, la ripartizione in otto campi della soffittatura piana (fine del sec. 13°) è ottenuta tramite un listello ligneo dipinto e modanato a torchon che prosegue lungo il perimetro dell'assito, costituendo anche la rifinitura del s. alla giunzione con le pareti. I riquadri sono poi campiti con motivi vegetali e medaglioni racchiudenti busti di angeli, scene dell'Infanzia di Cristo, della Vita della Vergine e dei Miracoli di s. Stefano, secondo un'organizzazione compositiva delle immagini che trova confronti soprattutto in miniature e affreschi parietali di area inglese (Tristram, 1917).

La superficie dipinta del controsoffitto che copre la navata centrale di St. Michael a Hildesheim presenta uno schema compositivo più complesso, articolato in una fascia centrale a grandi riquadri, affiancata da pannelli rettangolari di minori dimensioni e da fasce longitudinali esterne. Nonostante la ripartizione in campi, la composizione ha un respiro ampio e continuo perché nei riquadri centrali si snoda un monumentale albero genealogico, che lega tra loro le immagini di Iesse addormentato, dei quattro re in trono, di Maria e di Cristo. Nei riquadri rettangolari che affiancano queste figure principali sono raffigurati le personificazioni dei fiumi del Paradiso, gli evangelisti, i profeti e gli angeli; infine, sulle fasce più esterne, racchiusi entro medaglioni a viticci, altri antenati spirituali di Cristo. La datazione oscilla tra gli anni 1193-1196, con riferimento alla committenza dell'abate Teodorico II, che promosse importanti interventi costruttivi nella chiesa (Sommer, 1966; Denninger, 1969), e gli anni 1240-1259, in relazione ai lavori eseguiti per volontà dell'abate Godescalco (Demus, 1968; Schneider, 1996).Nell'Europa settentrionale, soprattutto in Svezia e nelle Isole Britanniche, ma anche in alcuni centri italiani - in particolare in area veneta -, fu molto diffuso l'impiego del controsoffitto a carena, soprattutto tra 13° e 15° secolo. In genere tale struttura era formata dall'intersezione tra incavallature di legno e una foderatura lignea a forma di chiglia di nave rovesciata (di sagoma trilobata, polilobata, mistilinea o archiacuta), appesa ai puntoni della capriata stessa.A Padova la costruzione di soffittature a carena si lega al nome di frate Giovanni degli Eremitani, cui si devono il s. della chiesa degli Eremitani (1306) e il s. del palazzo della Ragione (1306-1309), che subì pesanti interventi - se non un vero e proprio rifacimento - in seguito all'incendio del 1420 e al turbine che nel 1756 scoperchiò buona parte dell'edificio. Nella stessa città era probabilmente coperta a carena anche la chiesa trecentesca di S. Maria del Carmine, distrutta nel 1491.Il s. a carena di S. Fermo Maggiore a Verona (1330-1334 ca.) è in discreto stato di conservazione, anche se, per rinforzarne la struttura, sono stati aggiunti numerosi tiranti, soprattutto nel restauro del 1906. L'analisi compiuta nel sottotetto ha evidenziato che il problema estetico della migliore visibilità dal basso della carena fu affrontato dall'anonimo ideatore del s. adottando una mezza incavallatura - o incavallatura zoppa - e sostituendo un tratto della catena lignea con un tirante metallico, mentre il problema strutturale del forte momento flettente provocato dal peso della carena appesa al puntone fu risolto riducendo la luce libera di quest'ultimo mediante il puntone inclinato. Tuttavia queste ardite soluzioni hanno generato una struttura composta (legno-metallo-muratura) molto deformabile, soprattutto per le difficoltà tecniche dell'epoca nella realizzazione dei collegamenti tra i diversi materiali. Di conseguenza, tali scelte costruttive furono probabilmente una delle principali cause dei dissesti strutturali riscontrati, cioè i notevoli e disuniformi abbassamenti in corrispondenza delle incavallature e la rottura della muratura in corrispondenza degli appoggi (Cevese, Modena, 1990). Non è possibile stabilire se alcuni dissesti cominciassero a verificarsi già poco tempo dopo la costruzione; va rilevato tuttavia che, ca. un cinquantennio più tardi, il s. a carena della chiesa di S. Zeno, sempre a Verona - poi ampiamente restaurato nell'Ottocento -, non accoglieva l'incavallatura zoppa associata al tirante metallico adottata a S. Fermo, bensì recuperava la più tradizionale soluzione della catena che attraversa trasversalmente l'edificio intersecando la soffittatura. Analoga struttura presenta il controsoffitto carenato della basilica patriarcale di Aquileia, riferibile agli interventi promossi dal patriarca Marquardo (1365-1381).In area iberica, soprattutto nei secc. 13° e 14°, era diffuso un sistema di copertura che costituisce quasi un incrocio tra il tetto a vista dipinto e il controsoffitto piano: il techo de pares y nudillos, formato da due spioventi intersecati, a un terzo della loro altezza, da una superficie orizzontale che trasforma il profilo triangolare del tetto in una sezione trapezoidale. Il termine par designa ciascuna delle travi inclinate che costituisce l'armatura delle falde, mentre i nudillos sono i travetti che formano l'ordito del piano orizzontale (almizate o harneruelo); gli spazi tra i pares e quelli tra i nudillos sono occupati da pannelli lignei in cui sono ricavati dei cassettoni poligonali, spesso campiti con grande varietà di figurazioni. Queste coperture erano in genere provviste di catene lignee per ovviare alle spinte oblique dei pares. Tra gli esempi più significativi si ricordano il s. che copre la navata centrale della chiesa di Santiago del Arrabal a Toledo (fine sec. 13°-primi decenni 14°) e il coevo s. della navata maggiore della cattedrale di Teruel, in Aragona, entrambi opera di carpentieri mudéjares. I cassettoni esagonali del s. di Teruel sono dipinti in stile gótico lineal con motivi floreali, immagini di animali tratte dai bestiari, scene del ciclo della Passione, figure di re, regine, santi, chierici, musicisti, cavalieri, nonché pittori e carpentieri intenti alla costruzione del soffitto.In epoca tardomedievale, le falde interne del tetto erano talora decorate da tavole lignee istoriate inquadrate da raffinate cornici scolpite. Gli spioventi del coro della Lady Aisle di St Helen ad Abingdon (1391-1404) sono rivestiti da coppie di pannelli dipinti, entro cornici ad arco inflesso; al di sopra dei pannelli, la salita delle falde è interrotta da un piano orizzontale ligneo finemente lavorato a traforo. Sebbene la perdita di alcune tavole renda difficile la comprensione dell'iconografia del s., il motivo a girali che corre ai piedi delle figure rappresentate sui pannelli superstiti (re, profeti, la Vergine annunciata, l'Angelo annunciante, il Cristo crocifisso) consente di pensare a un'elaborata versione dell'albero di Iesse (Borenius, 1936; Rickert, 1954).

La menzione dei s. nelle fonti medievali è in genere connessa alla descrizione di eventi drammatici che ne hanno compromesso la conservazione, quali incendi e terremoti, o alla narrazione di interventi ricostruttivi conseguenti a tali episodi. Nelle cronache viene talora adoperato il termine coelum per designare sia il solaio sia il controsoffitto, mentre il tetto viene di solito indicato con la parola tectum. In fonti tarde, quali registri contabili e atti di pagamento, si può però trovare designato con la parola tectum un s. vero e proprio: il citato contratto relativo ai restauri dello Steri riferisce di un intervento alle travi "tecti depicti sale magne regii hospicii" (Bologna, 1975, p. 4). D'altra parte, coelum non significava esclusivamente s., ma, più in generale, copertura e poteva designare anche un ciborio o un baldacchino (Golob, 1990).I termini laquear e lacunar (pl. laquearia e lacunaria) indicavano letteralmente i lacunari o cassettoni, diffusi sin dall'Antichità, o, per sineddoche, il s. a lacunari nel suo complesso. I cassettoni potevano comporre la parte inferiore di un solaio - derivando dall'incrocio delle travi e dei travicelli - o essere appesi alla struttura portante del tetto, costituendo, quindi, un controsoffitto; potevano essere di legno, di stucco o illusionisticamente dipinti e decorare una soffittatura o rivestire gli spioventi di un tetto. Tra gli esempi di quest'ultimo caso documentati dalle fonti si ricordano le basiliche di S. Pietro e di S. Paolo f.l.m. a Roma e la basilica di S. Felice a Nola (prov. Napoli; Deichmann, 1957). Tra i s. a lacunari dipinti il cui aspetto originario sia ricostruibile dai frammenti superstiti vanno segnalati il citato controsoffitto della basilica settentrionale di Treviri, con amorini e figure femminili allegoriche entro cassettoni quadrati, e la summenzionata soffittatura della basilica teodoriana di Aquileia, ornata da lacunari di forma ottagonale, quadrata e circolare con motivi floreali.Un recente esame delle fonti medievali relative ai s., oltre a rilevare lo sporadico uso dei vocaboli solarium e tabulatum, ha evidenziato come il termine maggiormente adoperato per designare la copertura di un ambiente non fosse coelum, ma laquear (o lacunar, laquearia, lacunaria) e ha indotto a ipotizzare che questa parola fosse divenuta sinonimo di soffittatura lignea piana (Golob, 1990).Raramente le testimonianze documentarie informano sui temi iconografici dei s. medievali: sul s. di una chiesa lignea di Wilton, nel Wiltshire, si disponevano le Storie della Passione di Cristo; nell'abbazia benedettina di Petershausen, presso Costanza, l'oratorio dedicato a s. Giovanni fu provvisto, al tempo dell'abate Corrado (1127-1164), di "laquearia habentia materiam S. Iohannis Baptistae depictam" (Golob, 1990, p. 9), mentre il s. del coro dell'abbaziale accoglieva, poco tempo dopo, l'effigie della Vergine circondata dai dodici apostoli (Golob, 1990).Gli esempi superstiti attestano l'attenzione rivolta dai committenti alle decorazioni dei s., tanto per gli edifici religiosi quanto per quelli profani, di destinazione pubblica o privata. Per l'edilizia civile i soggetti più diffusi, oltre a semplici motivi vegetali e geometrici, erano figurazioni araldiche o stemmi che facevano riferimento alle famiglie committenti (casa delle bestie a Lione), immagini desunte dai bestiari (case private a Metz), scene ispirate alla vita dell'epoca o alla letteratura cortese e cavalleresca (Steri).Se il repertorio profano non era assente dai s. degli edifici religiosi, i temi più diffusi erano scene della Vita dei santi titolari ed episodi del Vecchio e Nuovo Testamento. Tra i soggetti biblici, uno dei temi iconografici prediletti era l'albero di Iesse, documentato, oltre che a Hildesheim e ad Abingdon, anche nel distrutto s. della chiesa di St Leonard a Colchester (Essex), di incerta datazione (Borenius, 1936), e forse nel distrutto s. della navata dell'abbaziale di San Gallo, decorato "de materia genealogiae Christi" per volontà dell'abate Manegoldo (m. nel 1133; Lehmann-Brockhaus, 1938, I, nr. 2608).In taluni casi un unico programma figurativo legava soggetti dell'Antico Testamento a immagini evangeliche: l'iconografia del perduto s. ligneo di St. Emmeram a Ratisbona (post 1166), nota da descrizioni quattrocentesche, poneva a confronto i quattro antichi regni del mondo della visione di Daniele con l'opera di redenzione di Cristo e la fondazione della Chiesa, articolandosi secondo i tre stati di grazia: ante legem, sub lege e sub gratia (Demus, 1968).Negli ambienti di servizio degli edifici religiosi si univano spesso, in un programma iconografico complesso, immagini di soggetto sacro ad altre legate alla realtà contemporanea: le sei tavolette (Genova, Mus. di S. Agostino) che costituivano parte della soffittatura di una delle sale prospicienti la galleria settentrionale del chiostro della cattedrale di Genova, datate ora ad appena oltre la metà del sec. 13° (Di Fabio, 1994) ora alla fine del sec. 13°-inizi 14° (Botto, 1994), sono ornate da figure (lo stemma crociato del Comune, sei armi araldiche piccole e una grande, l'Agnus Dei, i simboli degli evangelisti Matteo e Giovanni e un santo vescovo) che hanno fatto ipotizzare un'originaria pertinenza a un programma di ordine allegorico mirante all'esaltazione del potere della famiglia Fieschi nel Capitolo della cattedrale e dell'importanza rivestita dal vescovo nell'organizzazione politica 'laica' del Comune (Botto, 1994).

In quanto superficie che delimita superiormente un ambiente, il s. evocava facilmente l'immagine della volta celeste (v. Cielo); conseguentemente, una delle soluzioni più diffuse per decorarlo era la riproduzione del cielo stellato, attestata per le chiese, per gli edifici profani pubblici e per le residenze degli esponenti delle classi più elevate: un cielo con i suoi astri è documentato per il s. della cattedrale di Saint-Pierre a Nantes, consacrata nel 567; stelle dorate su un fondo azzurro, i dodici segni dello Zodiaco e i sette pianeti decoravano il s. del palazzo della Ragione a Padova; una carta del cielo con le costellazioni, i segni zodiacali, le stelle e i pianeti era raffigurata sul s. della camera da letto della contessa Adele di Blois, descritto dall'abate e poeta Baudri de Bourgueil all'inizio del sec. 12° (Barral i Altet, 1988).All'immagine del cielo-cosmo si accostava inoltre l'idea del cielo come paradiso e il s. veniva spesso assimilato al regno celeste. A questa associazione tra il s. e il cielo-paradiso si può ricondurre anche la raffigurazione di angeli su tetti e s., ampiamente attestata in Liguria tra i secc. 13° e 14°: il perduto tavolato del duomo di S. Siro a Sanremo, della fine del sec. 13°, presentava pannelli dipinti con figure di vescovi benedicenti, agnelli nimbati e angeli sotto arcate trilobe: ne rimane una tavoletta con effigie angelica, insieme a due coprigiunti decorati (Genova, Mus. dell'Accad. Ligustica di Belle Arti); il tetto, pesantemente restaurato, di S. Paragorio a Noli (fine sec. 13°-primi 14°) era ornato da figure vescovili e angeliche iconograficamente simili a quelle del duomo sanremese e agli angeli dipinti sulle coeve tavolette che ornano le testate delle travi del tetto di S. Donato a Genova.

Bibl.:

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Islam

Il tipo di s. utilizzato nei territori tradizionali dell'Islam, dalle coste dell'Atlantico alle steppe dell'Asia centrale, dipendeva dai materiali e dal tipo di costruzione, che poteva essere a trabeazione o ad arcate. Per gli edifici trabeati, il s. più comune era in legno ed era sostenuto da alte colonne, direttamente o mediante arcate. A causa della natura infiammabile del legno, specialmente quando l'illuminazione era fornita da lampade a olio, soltanto un numero limitato di questi s. si è conservato intatto. Comunque, la loro ampia diffusione geografica e il loro uso in edifici di generi e dimensioni varie permette di ipotizzare che i s. lignei siano stati comuni fin dagli inizi dell'islamismo.I s. di legno erano spesso costituiti da una struttura a cassettoni nella quale lunghe travi reggevano travi più brevi, che sostenevano le assi del s. vere e proprie. Tale tecnica è stata per lungo tempo nota nelle regioni mediterranee, anche se la maggior parte degli esempi conservati del mondo classico è in pietra; forse erano coperte da una struttura del genere in Iran le grandi sale a colonne (apanade) già sotto gli Achemenidi.I s. lignei a pannelli erano già consueti nell'architettura di epoca omayyade (661-750). Il primo esempio conservato è il s. al di sopra dell'ambulacro della Cupola della Roccia (692) a Gerusalemme (Creswell, 1932-1940, I, tav. 5a). Numerosi s. semplici a pannelli di epoca omayyade si conservano anche nello Yemen. Il s. che copre il portico occidentale (riwāq) della Grande moschea a Ṣanā῾ā, ascritto al periodo della fondazione della moschea, all'epoca del califfo omayyade al-Walīd I (705-715), consiste di pannelli scolpiti e dipinti sostenuti da arcate. Simili pannelli si trovano nel s. del portico meridionale della moschea di Shibam (Yemen), sebbene questo sia direttamente sostenuto dalle colonne. Le fonti lasciano presumere che s. lignei a pannelli coprissero anche altri edifici ora distrutti quali la Grande moschea del Profeta a Medina (705-715) o la moschea di Kufa, in Iraq.Nel sec. 9° i s. di legno si fecero più complessi e alternarono pannelli rettangolari ad altri quadrati; la tecnica e lo stile possono essersi sviluppati in Iraq e quindi essersi diffusi velocemente nelle regioni dell'impero abbaside. Un pannello scolpito in modo elaborato è stato ritrovato tra le rovine del palazzo costruito dal califfo abbaside al-Mu῾taṣim a Samarra (836-839), il Jawsaq al-Khāqānī o Dār al-Khilāfa (Allan, 1994, fig. 3). Pannelli rettangolari sono stati anche rinvenuti nella Grande moschea di Ibn Ṭūlūn (879) al Cairo (Allan, 1994, fig. 4) e nel coevo santuario nella moschea di Shibam, nello Yemen (Allan, 1994, figg. 6-7). L'esempio di Shibam, anche se provinciale, è particolarmente elaborato, con diversi metodi di costruzione dei pannelli e vari motivi scolpiti e dipinti.I s. a pannelli furono utilizzati in quest'epoca anche nel Maghreb, le terre islamiche dell'Occidente. Resti di s. a pannelli sono stati ritrovati a Madīnat al-Zahrā, la città fondata dagli Omayyadi nei pressi di Córdova nel 936, e nell'estensione della Grande moschea di Córdova, ordinata dal califfo al-Ḥakam II (961-976), coperta da un s. a pannelli splendidamente scolpiti e dipinti. La Grande moschea a Kairouan conserva travi dipinte databili al sec. 9° e s. a pannelli dipinti dell'11° secolo.Tali esperimenti nella forma dei pannelli possono aver condotto allo sviluppo di un nuovo genere di s. ligneo nel quale le travi maestre erano sostituite da travi perimetrali al di sotto di un tetto a spioventi. Con la sua forma 'a schifo' questo tipo di s., che aumenta lo spazio sottostante a disposizione, godette di una considerevole popolarità. I primi s. noti di questo genere vennero realizzati nelle moschee della dinastia degli Almohadi nell'Africa settentrionale, per es. la moschea Kutubiyya (1158) a Marrakesh (Allan, 1994, fig. 8).La struttura rettangolare che si trova al di sotto di questo tipo di copertura a spioventi formava a sua volta l'armatura per un s. ligneo connesso in maniera complessa, nel quale listelli supplementari sono intrecciati con i travicelli di sostegno del tetto a formare motivi geometrici decorativi. Noto in Spagna come artesonado, questo genere di s. fu comune in Spagna e nell'Africa settentrionale in edifici musulmani, ebraici e cristiani.Begli esempi provenienti da edifici islamici del sec. 14° si conservano nei palazzi edificati dai Nasridi a Granada, in particolare l'Alhambra. Il s. del Salón de Comares (o degli Ambasciatori) ha migliaia di singoli elementi lignei uniti insieme a formare una volta piramidale, che rappresenta il firmamento stellato e può avere una simbologia cosmologica riferentesi ai sette cieli della tradizione islamica. La vicina Sala de la Barca prende il nome dal s. a carena di nave, ricostruito nel 1890. I s. di tipo artesonado continuarono a essere edificati dopo la Reconquista della penisola iberica nel sec. 15° e nel Rinascimento.Alla stessa epoca gli architetti dell'Egitto e del Mediterraneo orientale continuavano a sperimentare coperture lignee di diverse forme. Il s. ligneo del distrutto Piccolo Palazzo occidentale edificato dai Fatimidi al Cairo (Allan, 1994, fig. 5) aveva pannelli sia ottagonali sia rettangolari. Il complesso di Qalā'ūn (1284-1285), sempre al Cairo, presenta numerosi generi di pannelli, dorati e decorati in modo elaborato (Allan, 1994, figg. 16-17). I s. a pannelli vennero utilizzati anche nell'architettura domestica, come nei palazzi degli emiri mamelucchi Bashtak e Ṭāz.Alcune piccole moschee situate in un'ampia fascia di territorio che va dall'Anatolia, attraverso l'Iran, fino all'Asia centrale avevano tetti lignei piani sostenuti da colonne lignee (qualche volta di pietra). Molti begli esempi di legno intagliato provengono dalla moschea uzbeca di Khiva, presso il lago d'Aral, e nelle regioni superiori dello Zarafshān, in particolare intorno alla città di Isfara e nella valle meridionale del Farghana. Nella maggior parte dei casi, si conservano soltanto dei frammenti e i s. sono stati ricostruiti, ma il complesso funerario del sec. 12° del villaggio di Chorky conserva un s. a pannelli elaboratamente intagliato in modo elaborato che si appoggia su mensole (Ruziev, 1975, figg. 5-8).La tradizione dei s. lignei a pannelli con elaborata decorazione divenne popolare in epoche successive nelle terre orientali dell'Islam a copertura dei portici a colonne, definiti in lingua persiana come talar. Si tratta di una tipologia tipica dei palazzi, tra cui in Iran i più noti sono del sec. 17°, costruiti dai Safavidi a Isfahan (Blair, Bloom, 1994, figg. 239, 243).A differenza dei s. lignei utilizzati nelle costruzioni trabeate, gli edifici ad arcate nelle regioni islamiche avevano generalmente s. di stucco, spesso utilizzato al di sopra della pietra o del laterizio.Già in epoca omayyade il s. di stucco veniva inciso e/o dipinto in maniera elaborata, in particolare in edifici a destinazione profana. La piccola sala per le Udienze nel palazzo di Khirbat al-Mafjar a N di Gerico, per es., era coperta da uno straordinario s. di stucco che culminava in un elemento circolare intagliato nel quale sei teste emergevano da foglie d'acanto (Gerusalemme, Rockefeller Mus.; Ettinghausen, Grabar, 1987, fig. 34), una composizione che suggeriva l'apoteosi del sovrano. Una delle più piccole sale del complesso termale a Quṣayr ῾Amrā, a E di ῾Ammān nel deserto della Giordania, è coperta da un s. a cupola dipinta con uno zodiaco nel quale le costellazioni sono raffigurate così come esse apparirebbero nella volta celeste (Ettinghausen, Grabar, 1987, fig. 35).I pochi edifici civili di epoca medievale conservati mostrano una continuità nella tradizione del s. decorato a stucco, nonostante l'introduzione di nuovi temi decorativi. Il palazzo di Tirmidh, sulla riva destra dell'Amu Darya, in Uzbekistan, per es., aveva s. dipinti con motivi floreali e iscrizioni.Gli esperimenti in stucco inciso e modellato possono avere condotto al più peculiare tipo di s. sviluppato dalle regioni islamiche, il s. a muqarnas. Assimilate talvolta a stalattiti, le muqarnas consistono in serie di elementi 'a nicchia' che sporgono dalla fila sottostante. Sviluppatesi probabilmente nel tardo sec. 10°, le muqarnas vennero applicate per la prima volta a sostegno degli elementi all'interno delle cupole, quali per es. i pennacchi agli angoli. Nel sec. 11° elementi a muqarnas venivano utilizzati per coprire l'intera superficie delle volte. Il primo esempio conservato di copertura a muqarnas è quello del piccolo mausoleo noto come Imām Dūr, edificato nel 1085-1090 a N di Samarra per onorare un discendente del quinto imām sciita (Ettinghausen, Grabar, 1987, figg. 314-315). Anche se le prime muqarnas possono avere avuto un ruolo strutturale, esse acquisirono un carattere sempre più decorativo e, costruite come le volte di stucco, venivano applicate a un tetto portante oppure a una volta mediante una cornice lignea.Come i s. lignei con formelle dalla foggia alterna, le muqarnas si svilupparono probabilmente in Iraq e si diffusero velocemente in tutte le regioni abbasidi. Molti esempi di epoca medievale provengono dall'Africa settentrionale, per es. la Qubbat al-Bārūdiyyīn (1107-1143) a Marrakesh (Hillenbrand, 1994, fig. 20) e le serie di cupole a muqarnas aggiunte al di sopra della navata assiale della moschea al-Qarawiyyīn a Fez durante la sua ricostruzione nel 1135-1140 (Ettinghausen, Grabar, 1987, fig. 125). Queste volte di stucco erano spesso costolonate e forate per permettere alla luce di riflettere sulla superficie interna, come nella cupola della Grande moschea a Tlemcen (Hillenbrand, 1994, tav. 23).Sviluppatesi in stucco, le muqarnas vennero adattate anche ad altri materiali. Gli esempi nordafricani in stucco furono probabilmente la fonte per il s. a muqarnas che copre le navate della Cappella Palatina di Palermo (1132-1153; Ettinghausen, Grabar, 1987, figg. 200-203). Realizzato in legno, coperto da cuoio dipinto, il s. è decorato da scene di corte con personaggi che bevono, musicisti e cacciatori. Costruita, a quanto si ritiene, da artigiani musulmani, la Cappella Palatina offre un'idea di come dovessero apparire i palazzi, ora perduti, edificati dai sovrani fatimidi nell'Africa settentrionale e in Egitto dal 969 al 1171. I s. a muqarnas furono talvolta realizzati in legno, come nello straordinario esempio di copertura al di sopra di una navata nella moschea del sec. 13° di Zafar Dhivbin, nello Yemen (Allan, 1994, figg. 12-13).I s. a muqarnas di stucco divennero un segno dell'architettura islamica in epoca tardomedievale e furono utilizzati negli edifici dalla Spagna all'Asia centrale. Superbi esempi di s. a muqarnas si conservano in numerosi ambienti intorno al Patio de los Leones nell'Alhambra, in particolare nella Sala de Dos Hermanas (Blair, Bloom, 1994, fig. 164) e in quella de Abencerrages (Hillenbrand, 1994, fig. 300), entrambe edificate nella seconda metà del 14° secolo.Cupole a muqarnas ugualmente straordinarie coprono numerosi ambienti del mausoleo dello shaykh sufi Aḥmad Yasavī a Turkestan, nell'od. Kazakistan (Blair, Bloom, 1994, fig. 48).Tali s. si distinguono per la loro complessa composizione in una miriade di piccoli elementi, molti dei quali sospesi. Essi erano spesso considerati un'adeguata metafora della cupola del paradiso, poiché le ombre create dalla luce del sole, passando da finestra a finestra nel tamburo, generavano l'effetto di un cielo stellato rotante.

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