SOCIALIZZAZIONE

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

SOCIALIZZAZIONE

Anselmo ANSELMI

La socializzazione dei mezzi di produzione sorge come conclusione necessaria della concezione socialista di C. Marx e di F. Engels; infatti secondo il manifesto dei comunisti l'accrescimento progressivo della produttività nell'ordinamento capitalistico offrirebbe i mezzi materiali per una partecipazione di ognuno al benessere economico; ma a causa della concentrazione progressiva del capitale, della legge bronzea dei salarî, della costituzione delle armate di riserva dei disoccupati, dell'immiserimento crescente, l'accrescimento tenderebbe spesso a generare crisi sempre più gravi fra produzione sociale e appropriazione privata; l'unico rimedio a questo fatale andamento sarebbe dato appunto dalla socializzazione dei mezzi di produzione (che del resto sarebbe preparata dalla loro crescente concentrazione) e dalla conseguente gestione sociale allo scopo non più del profitto capitalistico, ma della integrale soddisfazione dei bisogni sociali.

Tale concezione teorica tende a trasferirsi sul piano politico; infatti nel programma di Erfurt del Partito socialdemocratico tedesco (1891) si dichiara: "soltanto la trasformazione della proprietà privata capitalistica dei mezzi di produzione - terra, miniere, cave, materie prime, strumenti, macchine, mezzi di trasporto - in proprietà collettiva e la trasformazione della produzione in produzione socialista, fatta per la società e dalla società, può mutare la grande industria e la sempre crescente produttività del lavoro sociale da una condizione di miseria e di sopraffazione delle classi sinora sfruttate in una condizione di massimo benessere e di perfezionamento armonico per tutti".

Il principio della socializzazione delle aziende è preceduto storicamente dalla tendenza, affermatasi sempre più vigorosamente soprattutto attraverso l'attività svolta dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori, dall'ultimo decennio del secolo scorso in poi, della partecipazione degli operai alla gestione delle aziende, intesa a sottoporre queste ultime al controllo operaio; esso si attua quando delegati del personale salariato partecipano alla direzione dell'impresa, dividono con i datori di lavoro il potere di decisione, posseggono funzioni consultive e deliberative nei consigli di amministrazione delle imprese. Il movimento per il controllo operaio si è attuato in varie legislazioni con la creazione dei consigli di fabbrica o delle commissioni interne: attualmente esso si sostanzia in Italia in quelli che, sia pure impropriamente, si chiamano consigli di gestione (v. consiglio: Consigli di gestione, in questa App.).

Il principio del controllo operaio è stato da taluni esaltato come un nuovo regime democratico della vita economica; da altri giustificato come la necessaria attribuzione ai lavoratori della gestione delle aziende, in relazione all'affermarsi della forza del sindacalismo operaio; da altri infine criticato come un sistema il quale, dando ai lavoratori poteri più apparenti che reali, rafforza in definitiva il regime capitalistico, mentre lascia in sostanza insoddisfatte le esigenze fondamentali delle classi lavoratrici. Perciò, secondo tale ultimo punto di vista, si dovrebbe superare lo stadio del controllo operaio delle aziende capitalistiche e giungere alla integrale socializzazione dei mezzi di produzione.

La socializzazione in teoria deve intendersi come quell'insieme di misure nelle quali si attuano le aspirazioni socialiste. Essa comporterebbe quindi, in quest'ordine d'idee, l'espropriazione della proprietà privata dei mezzi di produzione a favore della collettività; la sostituzione di una gestione centralizzata dell'intera attività produttiva, attribuita a rappresentanti della collettività, al libero gioco delle forze economiche; una consapevole e giusta distribuzione del divideudo nazionale; la realizzazione del nuovo ordine, non come risultato spontaneo di uno sviluppo socialistico immanente, bensì di una cosciente ed energica azione politica (W. Röpke). L'impresa socializzata, in sostanza, è quella condotta esclusivamente in vista dei bisogni della comunità, che non ha altro scopo che quello di procurare ai consumatori il massimo di utilità e di economia (Ch. Gide). In base a tale definizione teorica anche l'economia sovietica attuale costituirebbe un compromesso fra capitalismo e socialismo, inquantoché sussisterebbero in essa il mercato e la moneta che nell'integrale socializzazione dovrebbero invece scomparire. Le forme di socializzazione attualmente esistenti costituirebbero perciò soltanto una parziale attuazione della concezione teorica. In realtà l'indirizzo economico e sociale determinato dalle riforme che, soprattutto in relazione alle conseguenze della seconda Guerra mondiale, si sono attuate e si vanno attuando specie nell'Europa, mira non alla socializzazione intesa nel senso sopra indicato, bensì, entro certi limiti, all'attuazione di concetti diversi, ma in parte simili, cioè quelli di nazionalizzazione (Inghilterra, Francia) e di statizzazione (paesi dell'Europa Orientale).

Si ha la nazionalizzazione delle imprese, non soltanto quando si attua la gestione provvisoria da parte dello stato di determinate aziende di interesse collettivo, in specie per fini bellici, ma soprattutto quando si compie il passaggio di proprietà di determinati mezzi di produzione dai privati alla collettività; una sottospecie è la municipalizzazione, ove la proprietà e la gestione delle aziende spettano ad una collettività più ristretta: quella comunale. Si ha la statizzazione quando il potere di gestione delle aziende nazionalizzate è attribuito direttamente allo Stato, cioè quando sono accentrate nelle mani dell'organo statale non soltanto la proprietà dei mezzi di produzione, ma anche la gestione delle aziende; si ha invece la sindacalizzazione quando la proprietà e la gestione delle aziende vengono trasferite ad una collettività più ristretta della collettività interessata alla produzione delle aziende sindacalizzate; si ha il cooperativismo quando proprietà dei mezzi di produzione e relativa gestione vengono attribuite ai soli lavoratori dell'azienda; si ha cioè una sindacalizzazione ristretta al puro e semplice ambito aziendale.

Italia. - In Italia i problemi del controllo operaio e della socializzazione delle aziende cominciarono a porsi praticamente dopo la fine della prima Guerra mondiale; fra il 1920 e il 1921 si ebbero parecchi progetti, ad iniziativa del partito socialista, di socializzazione di alcune forme di produzione maggiormente interessanti la collettività. L'avvento al potere del fascismo fece sì che i progetti di socializzazione non avessero ulteriore seguito; ciò non ha significato che lo stato si disinteressasse della produzione, ché anzi l'intervento statale in essa si fece sempre più ampio ed organico, in base a quei concetti di economia manovrata che erano alla base della concezione corporativa. L'Istituto per la ricostruzione industriale (v. iri) era lo strumento principale in base al quale questo intervento più o meno sistematico si estrinsecava; detto istituto controllava, alla fine della seconda Guerra mondiale (1945) il 70% dell'industria siderurgica e dei cantieri navali, il 90% delle società di navigazione marittima per passeggeri; il 40% dell'industria meccanica, il 25% di quella elettrica, il 40% delle imprese telefoniche e le tre banche di interesse nazionale. Anche attualmente esso possiede notevoli partecipazioni di comando in molte delle principali attività produttive italiane.

La "repubblica sociale fascista" emanò (12 febbraio 1944) a scopo evidentemente politico, un decreto sulla socializzazione delle imprese, inteso a socializzare la gestione, ma non la proprietà di tutte le imprese aventi almeno un milione di capitale, o impieganti non meno di cento operai; e sulla statizzazione, in forma simile a quella delle aziende già da tempo nell'orbita dell'IRI, delle imprese fornitrici di materie prime, di quelle fornitrici di energia, e di quelle produttrici di servizî necessarî al regolare svolgimento della vita sociale; nelle imprese statizzate era consentita la partecipazione del capitale privato mediante l'acquisto di speciali titoli di gestione; era preveduta anche la costituzione di una Commissione centrale per la socializzazione. Con la fine della guerra e la totale liberazione del territorio italiano questi provvedimenti (che non avevano avuto in pratica che un pallido inizio di attuazione) sono stati abrogati.

La costituzione della repubblica italiana non ha sanzionato in questo campo principî intesi a una riforma di struttura, ma si è limitata a riconfermare il principio della libertà dell'iniziativa privata da esercitarsi non in contrasto con l'utilità sociale; e l'eventualità di programmi e di controlli, da fissarsi per legge allo scopo che l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (art. 41); ha riconosciuto inoltre il diritto dei lavoratori a collaborare, nei limiti e nei modi stabiliti dalle leggi alla gestione delle aziende (art. 46).

Le discussioni sulla nazionalizzazione o sulla statizzazione di complessi industriali di preminente importanza per l'economia del paese, o delle aziende fornitrici di servizî che riguardano la generalità dei produttori e dei cittadmi (come le aziende fornitrici di energia elettrica, acqua, gas), la necessità di riforme di struttura in ordine al presente assetto sociale ed economico, costituiscono materia di ampia discussione specialmente da parte di alcuni partiti, ma sino ad ora tale attività si è mantenuta nel campo della disputa teorica, senza scendere a proposte legislative concrete.

Francia. - Dopo la fine della prima Guerra mondiale la Confédération générale du travail propose (1919) la formula della nationalisation industrialisée con una gestione tripartita composta di rappresentanti dei produttori, dei consumatori e della collettività pubblica, per le ferrovie, i grandi mezzi di trasporto, le miniere, le industrie elettriche e gli istituti bancarî; ma queste richieste rimasero lettera morta in relazione allo svolgersi degli avvenimenti politici. Dal canto suo lo stato ampliò sempre più, nel periodo fra le due guerre mondiali, il suo intervento e moltiplicò le forme di imprese a carattere pubblico, che assunsero due caratteristiche principali: quella degli "uffici", cioè di gestioni statali dirette (ufficio delle miniere della Sarre, ufficio nazionale dell'azoto, ufficio nazionale dei combustibili liquidi), e quella di imprese miste nelle quali lo stato entrava in parte più o meno grande (compagnia nazionale del Rodano, società commerciale della potassa di Alsazia, compagnia francese dei petrolî).

Il Consiglio nazionale della resistenza proclamò il principio del ritorno alla nazione dei grandi mezzi di produzione monopolistica; in base a tale direttiva la prima Assemblea costituente votò, fra il dicembre 1945 e il giugno 1946, le leggi sulla nazionalizzazione di alcune principali attività economiche del paese, che furono organizzate secondo il principio dell'impresa pubblica, così definito dalla legge: "organismo di stato dotato di personalità giuridica e di autonomia finanziaria al quale, nell'interesse di una buona gestione economica e sociale, la nazione trasferisce la proprietà di un'attività commerciale, industriale o agricola compresa nel settore pubblico". Sono state nazionalizzate (2 dicembre 1945) la Banca di Francia e le quattro grandi banche di deposito: Crédit Lyonnais Société générale, Comptoir national d'escompte, Banque nationale pour le commerce et l'industrie; le industrie dell'elettricità e del gas sono state nazionalizzate (8 aprile 1946) costituendo per l'elettricità un Servizio nazionale dell'elettricità francese, e per il gas un ente intitolato Gas di Francia. Nel settore delle assicurazioni private sono state nazionalizzate solo alcune grandi Compagnie di assicurazioni (25 aprile 1946), creando così nell'interno di questa attività produttiva due settori: uno nazionalizzato e l'altro libero; con legge 17 maggio 1946 è stata nazionalizzata la Banca di Algeria; il 17 maggio 1946 è stata nazionalizzata l'industria dei combustibili minerali, creando un'azienda pubblica nazionale, intitolata Charbonnages de France, la quale si articola territorialmente in nove Houillères de bassins. La legge del 28 febbraio 1948 ha dato alla marina mercantile francese una nuova struttura indirizzata soprattutto all'interesse pubblico; con legge 16 giugno 1948 è stata nazionalizzata l'industria dei trasporti aerei ed è stata creata la Compagnia nazionale Air France.

Caratteristiche fondamentali delle nazionalizzazioni francesi sono, oltreché l'autonomia giuridica, amministrativa e finanziaria, il tipo della gestione, che generalmente è disciplinata da organi dirigenti tripartiti, composti cioè di rappresentanti degli imprenditori, dei lavoratori, e degli utenti; il controllo statale si attua sulla gestione tecnica, mediante uno speciale Commissario del governo. Una vivace polemica sulle conseguenze della nazionalizzazione, e specialmente sul deficit di gestione che alcune di esse presentano, continua sia in sede parlamentare, sia nella stampa.

Gran Bretagna. - Il movimento di socializzazione inglese ebbe sin dai principî del sec. XX un indirizzo specifico dato dal movimento gildista che tende al passaggio della proprietà dei mezzi di produzione dai privati allo stato ed alla contemporanea concessione in perpetuo del potere di gestione alle gilde (guilds), cioè alle associazioni di mestiere; caratteristica di questa speciale forma di socializzazione è il fatto che i consumatori dei prodotti ottenuti dalle aziende nazionalizzate non sono rappresentati negli organi direttivi, in quanto è lo stato che deve proteggerne gli interessi.

Le agitazioni di carattere sociale che si manifestarono in Gran Bretagna, come altrove, dopo la prima Guerra mondiale, riguardarono soprattutto una delle fondamentali industrie inglesi, quella del carbone, per cui fu creata (1919) la Coal industry Commission, che presentò tre relazioni, di cui la più importante fu il cosiddetto rapporto Sankey. Il governo istituì (16 agosto 1920) un sottosegretariato per le miniere, per provvedere ad una più razionale organizzazione dell'industria carbonifera. Fu poi emanato (1938) il Coal Mines Act inteso a sottoporre l'industria mineraria ad un piano, mediante la nazionalizzazione entro quattro anni dei diritti minerarî e la loro attribuzione ad un nuovo ente pubblico, la Coal Commission, e la fusione obbligatoria delle imprese minori..

Soltanto dopo la fine della seconda Guerra mondiale il partito laburista, venuto al potere, ha incominciato ad attuare quel programma di nazionalizzazione che aveva posto a base della campagna elettorale; programma inteso a dare una proprietà pubblica (public ownership) alle industrie chiavi mature per tale trasformazione, ed a sottoporre a controllo le altre attività importanti. La prima legge fu quella sull'aviazione civile (1° agosto 1946); è seguita quella sull'industria carbonifera (1° gennaio 1947), che ha creato un National Coal Board, incaricato della direzione di tale settore industriale, articolato in otto Divisional Coal Boards nei quali si ripartisce geograficamente la produzione inglese di fossile. Si è avuta poi la nazionalizzazione della Banca d'Inghilterra (1° marzo 1947) e si sono sottoposte a controllo statale anche le cinque aziende bancarie più importanti del paese (Big Five). Sono state nazionalizzate le telecomunicazioni (19 giugno 1947), i trasporti per strada ferrata, per via ordinaria, e quelli di navigazione interna (16 agosto 1948) ed è stato costituito un organo centrale, la British Transport Commission, divisa in altrettanti Executives, rispettivamente per le ferrovie, le vie navigabili interne, i trasporti su strada, i trasporti di Londra, gli alberghi e i ristoranti direttamente connessi ai servizî di trasporto. Il controllo statale sulla produzione e sulla distribuzione dell'energia elettrica è stato creato (13 agosto 1947), con la istituzione del Central Electricity Board che si occupa della produzione e del trasporto dell'energia, mentre la sua distribuzione è decentralizzata a 14 uffici regionali, gli Area Electricity Boards. Sono tuttora in discussione i progetti di nazionalizzazione dell'industria del gas e di quella siderurgica. Si calcola che, a realizzazione ultimata del programma di nazionalizzazione, le attività produttive gestite dallo stato impiegheranno complessivamente il 25 per cento della mano d'opera inglese. I principî fondamentali della nazionalizzazione inglese si imperniano su una vera e propria statizzazione; le Public Corporations che dirigono le singole attività nazionalizzate sono create e dirette - pur avendo un'autonomia finanziaria ed amministrativa - dai ministeri competenti, i cui capi nominano i dirigenti; non si ha gestione tripartita ed il controllo statale è più diretto e profondo che nel sistema francese. L'opinione pubblica inglese è molto discorde sui principî e sui risultati effettivi delle nazionalizzazioni, soprattutto per quanto riguarda l'industria carbonifera.

URSS e paesi dell'Europa centro-orientale. - L'unico paese che abbia effettivamente sostituito il socialismo al capitalismo, cioè a dire l'URSS, ha continuato il suo programma di attuazione organica di una produzione socializzata, basata soprattutto su una pianificazione mediante i piani quinquennali, di cui il primo comprende gli anni 1928-32, il secondo il periodo 1932-37, il terzo, che è stato interrotto dalla guerra mondiale, il periodo 1938-43; il quarto piano quinquennale (1946-50), deciso con legge 18 marzo 1946, ha due scopi principali: quello di compiere una organica riparazione dei danni di guerra, e quello di spingere ancora più avanti il livello produttivo del paese, in base ai principî della socializzazione sempre più completa dei mezzi di produzione, che in alcuni settori, come quello agricolo, aveva raggiunto già prima della seconda Guerra mondiale, il 93% della totale produzione agraria.

Nei paesi dell'Europa centro-orientale, tutti ora entrati nella zona d'influenza economica e politica dell'URSS (Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Iugoslavia, Bulgaria, Romania) si stanno compiendo profonde riforme di struttura economica, intese alla socializzazione più o meno integrale dei mezzi di produzione, con una organizzazione molto simile a quella sovietica.

Stati Uniti d'America. - Negli S.U. la concezione politica ed economica profondamente radicata nella grandissima maggioranza del paese non ha permesso se non scarse e sporadiche affermazioni teoriche dei principî di socializzazione. Si è però andato affermando recentemente sia nell'ambito del controllo operaio, sia anche fuori di esso, un indirizzo di maggiore collaborazione fra capitale e lavoro. Esempio caratteristico dell'attuazione pratica di tale indirizzo è dato dalla creazione (18 maggio 1938) della Tennessee Valley Authority, un ente autonomo di diritto pubblico (Public Trust) che gestisce un notevole complesso di attività produttive nel bacino delle acque del fiume Tennessee (v. tva, in questa App.).

Bibl.: Associazione delle Soc. per azioni, La socializzazione delle imprese, Roma 1945; P. Battara, Socializzazione delle imprese monopolistiche, Roma-Milano 1945; id., Statizzazione, socializzazione e libertà, in Idea, n. 8, 1945; G. Carli, Limiti delle statizzazioni, in Idea, n. 3, 1945; G. U. Papi, Ripresa dell'attività industriale. Il problema della statizzazione, in Econ. e Comm., n. 1, 1945; G. Silva, Libertà, statizzazione e nazionalizzazione, in Idea, n. 10, 1945; B. Lavergne, Les problèmes des nationalisations; mythe ou realité?, in Rev. Éc. et soc., luglio 1945; D. E. Lilienthal, Democrazia in cammino. Dieci anni di esperienza del T.V.A., Roma 1946; S. Maierotto, Socializzazione, in Riv. intern. sc. soc., giugno 1946; F. Vito, Schema di classificazione dei programmi di socializzazione, in Riv. int. sc. soc., marzo 1946; G. Zappa, La nazionalizzazione delle imprese, Milano 1946; Aspetti e problemi della nazionalizzazione (Anidel), Milano 1946; Ministero per la Costituente, Rapporto della Commissione economica, Roma 1947; Ministère des finances et des affaires économiques, Les nationalisations en France et en Grande Bretagne (La docum. française), Parigi 1948; National Coal Board, Annual report 1947, Londra 1948; H. Finer, Le planisme économique et les nationalisations en Grande Bretagne, in Rev. int. du travail, marzo-aprile 1948.

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