SIVIGLIA

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1999)

SIVIGLIA

C. Delgado Valero

(spagnolo Sevilla; lat. Hispalis, Spalis; arabo Ishbīliya)

Città della Spagna, capoluogo della provincia omonima e della Comunità Autonoma d'Andalusia, situata nella zona meridionale della penisola iberica, lungo la sponda sinistra del fiume Guadalquivir, che la delimita da N-O a S e il cui porto fluviale segnò il suo sviluppo nel corso della storia.La fondazione della Hispalis romana viene attribuita, secondo Isidoro di S., a Giulio Cesare, che le concesse, verso il 45 a.C., lo statuto coloniale come "Colonia Iulia Romula Hispalis" (Etym., XV, 1, 71).Scarse risultano le testimonianze della S. cristiana e visigota: il palazzo del governatore visigoto è tradizionalmente localizzato nella calle del Corral del Rey, nelle vicinanze del Salvador (Blanco Freijeiro, 1979, p. 185).Prima della fine del 712, la città, che in epoca ispanovisigota aveva assunto il nome di Spalis, fu conquistata dai musulmani guidati da Mūsā ibn Nuṣayr. Il figlio, ῾Abd al-῾Azīz, divenuto governatore, elesse come residenza un'antica chiesa, la Kanisa Rubina (Valencia Rodríguez, 1988a, pp. 569, 583), situata a N-E della città, dove fu poi assassinato nel 98 a.E./717.Le fonti arabe non fanno allusione ad alcun tipo di intervento fino alla metà del sec. 9°, quando al tempo dell'emiro ῾Abd al-Raḥmān II (822-852) si ha notizia della fondazione di una moschea, la maggiore della città, sotto la direzione di ῾Umar ibn ῾Adabbās, cadì di Ishbīliya; la data 214 a.E./829 è riportata da un'iscrizione cufica (Ocaña Jiménez, 1947, p. 145). Il sito scelto era occupato da una basilica cristiana, la più importante in epoca visigota (Guerrero Lovíllo, 1972, p. 31), che, all'arrivo dei musulmani, dovette essere adeguata al culto islamico; sotto di essa si trovava una basilica teodosiana sorta su un edificio dei tempi di Tiberio (Collantes de Teran Delorme, 1977a, p. 65; Blanco Freijeiro, 1979, p. 132). La moschea, arcaicizzante per una data così tarda, constava di undici navate perpendicolari al muro della qibla, separate da colonne di reimpiego sulle quali poggiavano archi in laterizio. Nel patio, situato a N della sala di preghiera, si elevava il minareto e al suo lato vi era una porta di accesso, in modo analogo alla moschea di Córdova. Di questo edificio (od. collegiata di San Salvador) si conservano solo resti del ṣaḥn e del corpo inferiore del minareto (Hernández Jiménez, 1975, p. 161; Valencia Rodríguez, 1988a, pp. 588-591; Valor, 1993; Cómez Ramos, 1994; Jiménez, 1995, pp. 149-151).Alcuni anni più tardi, nel 230 a.E./844, si verificò il primo attacco normanno alla città, che ebbe come conseguenza un rimodellamento urbanistico. La parziale distruzione della cinta muraria e il deterioramento delle mura romane causato dal passare del tempo indussero a una ricostruzione del recinto. I lavori furono diretti dal mawlā siriaco dell'emiro, ῾Abd Allāh ibn Sinān (Valencia Rodríguez, 1988a, p. 142). All'epoca degli emiri, la città fu dotata anche di un primitivo alcazar di governo, la cui localizzazione è controversa. Conseguenza dell'attacco normanno fu la costruzione degli arsenali, in un sito prossimo all'antico porto preislamico (Lévi-Provençal, 19673, p. 167; Bosch-Vila, 1984, p. 314; Valencia Rodríguez, 1988a, pp. 564-567).Nel 301 a.E./913, per volere dell'emiro ῾Abd al-Raḥmān III, si operò la distruzione delle mura cittadine per porre fine alle ribellioni (Bosch-Vila, 1984, p. 302; Valencia Rodríguez, 1988a, p. 143); sono stati messi peraltro in discussione il carattere globale e l'entità di questa impresa (Carriazo, 1951, pp. 22-23; Jiménez Martín, 1981, p. 16). La riutilizzazione dei materiali del recinto è stata messa, d'altra parte, in relazione con un'altra impresa dell'emiro, la costruzione dell'antico alcazar, posto a S, in posizione isolata rispetto alla città, denominato Dār al-Imāra (Valencia Rodríguez, 1988a, p. 144), di cui l'unico resto conservato è la facciata settentrionale, situata nell'od. plaza del Triunfo, il cui paramento è realizzato in pietra con piccole torri quadrate, lievemente sporgenti (Guerrero Lovíllo, 1974, p. 90; Jiménez Martín, 1981, p. 15; Valor, 1995a, pp. 49-50).Un tenue ricordo del Qaṣr al-Mubārak, fatto costruire da al-Mu῾tamid a S., malgrado la risistemazione di epoca almohade e cristiana, è costituito dal suo nucleo fondamentale, che si può intuire sotto il rivestimento mudéjar dell'od. Salón de Embajadores (Guerrero Lovíllo, 1974, p. 108). Si trattava di un grande salone circondato da cinque sale più piccole, con cupola, denominato come al-Thurayyā che, in lingua araba, allude anche alla costellazione delle Pleiadi (Peres, 19532, p. 143). L'altro alcazar, il Qaṣr al-Zāhir, ha ricevuto localizzazioni alquanto diverse, poiché è stato situato nell'od. plaza de la Contratación (Jiménez Martín, 1981, p. 16) o è stato fatto corrispondere al complesso conosciuto come la Casa de la Moneda, dall'uso attribuitogli fino al sec. 16° (Manzano, 1995a, p. 122).Secondo le fonti arabe, i Banū ῾Abbād ricostruirono le mura in tapial (Guerrero Lovíllo, 1972, p. 35; Bosch-Vila, 1984, p. 303; Valencia Rodríguez, 1988a, p. 144). Tuttavia, niente fa supporre che questo intervento alterasse il tracciato. Pertanto, tutto sembra indicare che, dal sec. 8° fino agli inizi del 12°, esistesse un unico recinto, ricostruito sopra le mura romane ai tempi di ῾Abd al Raḥmān II e degli Abbasidi, nel quale si apriva una serie di porte (Valencia Rodríguez, 1988a, pp. 145-156, 547-554). In relazione a esse, per la loro tradizionale localizzazione fuori delle mura, si collocano i cimiteri (Valencia Rodríguez, 1988a, pp. 598-602).Durante il califfato e l'epoca dei regni di Taifas, il recinto fortificato dovette perdere il suo carattere prevalentemente difensivo, favorendo la comparsa di costruzioni esterne. Della vera e propria seconda cinta muraria della città, che inglobò i dintorni semiurbanizzati e venne utilizzata fino al sec. 19°, è dibattuta l'epoca di costruzione (Collantes de Teran Delorme, 1977a, p. 96; Bosch-Vila, 1984, p. 304). Attualmente alcuni studiosi rivendicano la totale attribuzione della cinta muraria agli Almohadi (Valor, 1995a, p. 56), mentre altri, più plausibilmente, considerano il recinto opera almoravide con rimodellamenti almohadi (Bosch-Vila, 1984, pp. 308-309; Valencia Rodríguez, 1988a, p. 157).Di particolare rilievo è la torre del Oro, di epoca almohade, dodecagonale, divisa in tre piani intorno a un massiccio pilastro centrale, la cui scala è coperta da volte a crociera su campate quadrate e triangolari.Le iniziative portate a termine dai califfi almohadi nel campo della fortificazione furono dovute all'elezione di S. (567 a.E./1171) a capitale del loro dominio, che si estendeva lungo entrambi i lati dello stretto di Gibilterra.Nell'area palatina i primi interventi realizzati da Abū Ya῾qūb Yūsuf (558-580 a.E./1163-1184) consistettero nel collegare tra loro i distinti recinti preesistenti, congiungendoli alle mura della città. Entro gli alcazar sivigliani continuarono a mantenere un ruolo di rilievo il Dār al-Imāra, del sec. 9°, e il Qaṣr al-Mubārak, del sec. 11°, anche se fu il primo dei complessi quello che, senza dubbio, ebbe maggiore importanza. Nel Dār al-Imāra il sovrano almohade costruì la sua residenza, che è stata identificata con il Cuarto Real o de Crucero. Un altro palazzo almohade è quello denominato Cuarto o palazzo del Yeso, costruito nel Dār al-Imāra sopra un edificio domestico di epoca taifa (Tubino, 1886, p. 35; Manzano, 1995a, pp. 111-117). Anche l'alcazar al-Mubārak subì grandi trasformazioni in epoca almohade. Per collegare questo complesso con il Dār al-Imāra si costruì una porta a gomito addossata alle mura, situata attualmente nel palazzo mudéjar di Pietro I, nell'angolo tra il Cuarto del Rey e il patio de las Doncellas (Vigil Escalera, 1992; Manzano, 1995a, pp. 119-122).

Sopra l'altro palazzo taifa, Qaṣr al-Zāhir, si elevò la residenza del grande sayyid Abū Ḥafṣ, fratello del califfo Abū Ya ῾qūb, conosciuta con il nome di Casa de la Moneda.La politica di prestigio rappresentata dagli edifici palatini fu completata con le imprese a carattere religioso la cui massima espressione è la Grande moschea (Aljama), le cui vicende costruttive sono riportate nella cronaca di Ibn Ṣāḥib al-Ṣalāt, dove è indicato che i lavori furono iniziati nel 567 a.E./1172, sotto la direzione del capo degli architetti Aḥmad ibn Bāṣo, e conclusi nel 571 a.E./1176. I lavori ripresero nel 580 a.E./1184, per costruire il minareto e un recinto murario che circondasse la moschea. Queste opere si interruppero alla morte del califfo e furono riprese nel 584 a.E./1188, sotto la direzione di ῾Alī al-G᾽umārī. Dieci anni dopo il progetto fu terminato e il jāhmūr fu collocato sopra il minareto.La moschea era orientata verso S, seguendo la tradizione imposta da Córdova e pertanto la sua qibla non era orientata verso la Mecca, il che sorprende, dato l'atteggiamento rigorista mantenuto dagli Almohadi. La sala di preghiera, distrutta per costruire la cattedrale, sembra avesse diciassette navate - di m 5,46, tranne quella centrale di m 7,01 -, organizzate mediante archi elevati su pilastri rettangolari che formavano un totale di dodici campate. Un passaggio (sābāṭ), alla sinistra del miḥrāb, consentiva al califfo l'accesso diretto dall'alcazar, come a Córdova. Il patio, a pianta rettangolare, conserva tutte le arcate tranne quelle del lato ovest, abbattute nel 1617 per costruire la chiesa del Sagrario. I suoi portici, realizzati in laterizio, con archi doppi a ferro di cavallo acuto, poggiano su pilastri e presentavano coperture lignee; la presenza di alcuni frammenti conservati ha permesso di stabilire che si trattava di un tetto di sezione trapezoidale (ogni due travi oblique si trova una trave orizzontale posta a due terzi dell'altezza), primo caso di una copertura di questo tipo attestata nell'Andalus (Torres Balbás, 1949, pp. 23, 48; Jiménez, 1984; 1991; 1995, pp. 154-160). Aveva anche volte con ornati a forma di stalattiti, come quelle esistenti nella puerta del Lagarto, vicino alla Giralda. Malgrado sia scomparsa la sua decorazione architettonica, esistono alcuni frammenti in gesso nelle porte di accesso al patio. È il caso della porta principale - oggi detta del Perdón -, in asse con la navata centrale e il miḥrāb, dove gli ornati in gesso ricoprono l'intradosso dell'arco (Salem, 1978; Jiménez Martín, 1983).La Giralda è considerata il più famoso minareto dell'Andalus, costituendo il prototipo dei minareti almohadi. È composta da una doppia torre e tra i due corpi passa la rampa di accesso alla parte superiore: a essa si adattano i vani per l'illuminazione, variando di altezza in ognuna delle facce del prisma. I paramenti sono decorati con reticoli di losanghe, cui si sovrappone una doppia trama di rombi, realizzata in laterizi profilati; altre decorazioni, come gli ornati in gesso che incorniciavano i vani, sono scomparse; sembra, invece, che la decorazione con dischi di ceramica invetriata sia stata inserita nel 16° secolo. Sempre durante questo secolo le si aggiunse una cella campanaria che nascose il suo coronamento (Terrasse, 1928; Nieto Alcaide, 1981; Almagro, Jiménez, 1985; Jiménez, Cabeza, 1988; Falcón Márquez, 1989).La disposizione anomala del minareto, in un fianco della moschea, è stata interpretata come una conseguenza del progetto di Abū Ya῾qūb di edificare un muro che congiungesse la moschea con la cittadella. In tal modo la Giralda fu concepita con una duplice funzione: di minareto e di torre. Nei suoi dintorni è stata scoperta nel 1994 la midda o sala delle abluzioni della moschea, costruita da Abū Yūsuf nel 595 a.E./1199 (Vera Reina, 1995).Nell'ambito di questa politica edilizia si deve collocare la costruzione di alcuni nuovi arsenali nel 580 a.E./1184; furono ubicati in siti diversi da quelli dell'epoca degli emiri e, probabilmente, corrispondono a quelli che ricostruì Alfonso X nel 1252 (Guerrero Lovíllo, 1972, p. 36; Jiménez Martín, 1981, p. 19; Bosch-Vila, 1984, p. 315; Valencia Rodríguez, 1988a, p. 567).Insieme a queste opere che davano prestigio alla dinastia, i monarchi almohadi dotarono la città di nuove infrastrutture: una grande cisterna nella calle Mayor, che fu inaugurata dall'emiro nel 567 a.E./1172 (Jiménez Martín, 1975; Pavón Maldonado, 1990, p. 241); l'incremento dei bagni (ḥammān), di cui si conservano pochi resti (Salem, 1956; Larrey Hoyuelos, 1995, p. 231; Oliva Alonso, 1995, p. 193; Valor, 1995d); mercati e botteghe in prossimità della nuova moschea maggiore (Valor, 1995c). Si configurarono così nuovi quartieri residenziali nella zona sud-est della città, l'od. quartiere di San Bartolomé.Con la conquista di S. nel 646 a.E./1248 a opera di Ferdinando III il Santo ebbe inizio il fenomeno mudéjar. Gli edifici più rappresentativi della fase iniziale sono la chiesa di Santa Ana de Triana, la torre di don Fadrique, gli arsenali e il palazzo gotico dell'alcazar. Tutte queste imprese sono da mettere in relazione con il monarca Alfonso X il Saggio, che elesse S. capitale del suo regno.Per costruire il suo palazzo scelse nel Dār al-Imāra il Cuarto Real o del Crucero almohade. Le fonti medievali denominano questo palazzo Cuarto del Caracol ovvero della Chiocciola, per le quattro scale elicoidali situate nelle torri angolari dell'edificio. Constava di una sala preceduta da un portico e circondata da tre stanze, coperte con volte nervate su pilastri addossati al muro. Si tratta, dunque, di una costruzione modesta, di radice islamica con una veste gotica. Il giardino sotterraneo, invece, fu rispettato alterando la copertura con volta a crociera della galleria centrale con rinforzi di nervature gotiche (Marín Fidalgo, 1990, pp. 60-67; Manzano, 1995a, pp. 109-111).La chiesa di Santa Ana de Triana, datata tra il 1276 e il 1280, il cui modello fu prototipo per le chiese parrocchiali sivigliane, si caratterizza per avere tre navate e tre absidi poligonali. Il suo spazio, distribuito mediante pilastri di laterizio, è completamente coperto da volte a crociera che si distinguono per una nervatura che passa per le chiavi e collega longitudinalmente le volte; tale tipologia era stata utilizzata nella cattedrale di Burgos in una data anteriore al 1250. Così dunque, agli elementi gotici vengono uniti due tratti di tradizione islamica, come l'impiego del laterizio e del pilastro come sostegno (Angulo Iñiguez, 1932, pp. 19-22).A partire dal sec. 14°, S. si trasformò in un centro artistico che elaborò nuove concezioni che si diffusero non solo per la Bassa Andalusia ma anche per l'Estremadura e le Canarie. Tra i risultati raggiunti figura sostanzialmente l'elaborazione di due modelli di chiese. Il primo si concretizzò nel tipo di chiesa parrocchiale sivigliana a tre navate, il cui schema perdurò fino al sec. 16° inoltrato. Tra i suoi esempi più antichi si possono ricordare le chiese parrocchiali di Santa Marina, San Julián e Santa Lucia; tuttavia, il modello appare nella sua completezza a partire dal terremoto del 1356, come attestano gli esempi più significativi delle chiese di Omnium Sanctorum, di San Andrés e di San Esteban (Angulo Iñiguez, 1932, pp. 32-37, 52-56).L'altro modello deriva dalla qubba islamica e si caratterizza per l'utilizzazione di capicroce a pianta quadrata coperti con volte ottagonali, con cupola o tetto ligneo. A S., tuttavia, questo tipo di capocroce fu ampiamente utilizzato - dalla fine del sec. 14° e durante il 15° - come cappella secondaria, generalmente a carattere funerario, e si estese verso la Castiglia (Tordesillas e Toledo). Tra gli esempi si devono segnalare la cappella della chiesa di San Pedro (1379), quella di San Esteban, la Quinta Angustia nel convento di San Pablo e quella della chiesa di Santa Catalina (1400 ca.), così come la cappella della Piedad a Santa Marina (1411) e quella dei Cervantes in Omnium Sanctorum (Angulo Iñiguez, 1932, pp. 142-146).

L'architettura palatina fu più sensibile ai modelli islamici. Alfonso XI (1312-1350) per costruire la sala de la Justicia o sala del Consejo nell'Alcazar, alla metà del sec. 14° fece distruggere la galleria settentrionale del patio dell'Yeso almohade, costruendo al suo posto una stanza cubica coperta da tetto ottagonale e decorata con nicchie piane di gesso. Questo salone a pianta quadrata, ispirato al Salón de las Pléyades del Qaṣr al-Mubārak, si trasformò in un modello tipologico estesosi sia all'architettura mudéjar (Salón de los Embajadores del palazzo di Pietro I a S.) sia a quella nazarí (Cuarto de las Dos Hermanas de la Alhambra).Grande propulsore dell'arte mudéjar fu il re Pietro I di Castiglia (1350-1369), che costruì il primo edificio civile del Tardo Medioevo. Il palazzo di Pietro I negli alcazar di S. fu realizzato tra il 1364 e il 1366 e in esso si fondono influenze toledane, cordovane, sivigliane e granatine; esse diventano evidenti nella sua grande facciata monumentale, in fondo al patio de la Monteria, con reticoli di losanghe di tradizione locale sivigliana, apparecchi di pietre cordovani, cunei decorati con pampini di uva toledani, architrave con incrostazioni ceramiche granatine, il tutto coronato da una grande copertura realizzata da carpentieri toledani.L'organizzazione interna del palazzo si impernia su due patii destinati a usi ufficiali e privati. Il luogo scelto per la sua costruzione aveva come nucleo il Salón de las Pléyades del sec. 11°: si invertì perciò la sua disposizione originaria aprendolo su di un nuovo patio - quello de las Doncellas -, costruito nello spazio delimitato dalla chiusura del palazzo di Alfonso X.La cattedrale, ricostruita nei secc. 15° e 16°, ospita alcuni resti di pittura trecentesca, tra cui emerge un complesso di opere di tema mariano e influenza senese, datate verso il 1350. Appartengono a esso la Virgen de la Antigua e la Virgen de los Remedios, stilisticamente correlate alla Virgen de Rocamador nella chiesa di San Lorenzo e alla Virgen del Coral della chiesa di San Ildefonso, leggermente posteriore, del 1375 (Post, 1930-1966, III, p. 300; Gudiol Ricart, 1950; Guerrero Lovíllo, 1962, pp. 52, 79, 95, 136; Bosque, 1965, p. 141; Piquero López, 1984, pp. 331-336).Tra gli oggetti di culto emerge, per il suo valore nella scultura medievale spagnola, l'immagine rivestita in argento della Virgen de la Sede, realizzata da Sancio Martinez, tra il 1366 e il 1368 (Gudiol Ricart, 1950, p. 389; Palomero Paramo, 1984, pp. 592-594). A essa si devono aggiungere la Virgen de los Reyes, la Virgen de las Batallas in avorio (Boutelou, 1872; Gudiol Ricart, 1950, p. 389), così come la Virgen de Génova e la Virgen del Madroño, entrambe in alabastro, o la Virgen de la Cinta e la Virgen del Pilar, in terracotta policroma (Hernández Díaz, 1984, pp. 221-240). Pezzo eccezionale è il Calvario della fine del sec. 14° o degli inizi del 15° (Hernández Díaz, 1979, p. 54; 1984, p. 228).Tra le opere di scultura a carattere funerario vanno segnalati i sepolcri di Perez Guzman y Ayala, della seconda metà del sec. 14° o degli inizi del 15°, messi in relazione con una bottega toledana legata a Ferrand González (Hernández Díaz, 1984, p. 228).Una delle opere più rilevanti dell'oreficeria gotica spagnola è il trittico reliquiario delle tavole alfonsine, commissionato da Alfonso X ed eseguito tra il 1252 e il 1284. È realizzato in legno di larice placcato in argento dorato, con incrostazioni di smeraldi, ametiste, smalti e cammei (Angulo Iñiguez, 1925, p. 5; Guerrero Lovíllo, 1962, p. 62; Cómez Ramos, 1976, p. 175; 1979, pp. 203-207; Palomero Parano, 1984, pp. 596-597). Emerge anche la pace-reliquiario di Filippo V di Francia e di donna Giovanna di Borgogna, opera in oro, argento e smalti, ascritta alla scuola di Parigi e datata tra il 1317 e il 1322 (Guerrero Lovíllo, 1976, p. 37; Palomero Parano, 1984, pp. 598-599).Nelle sale destinate ai paramenti sacri si conserva lo stendardo di S. Fernando, datato alla prima metà del sec. 13° (González Mena, 1984, pp. 649-652).Il Mus. Arqueológico Prov., installato dal 1946 nel Pabellón Renacentista costruito per la Exposición Iberoamericana del 1929, ospita materiali archeologici della preistoria, protostoria, epoca romana, visigota, islamica, mudéjar e gotica di S. e dei suoi dintorni. Dell'epoca paleocristiana pezzo rilevante è un sarcofago trovato a S., in cui è rappresentata la defunta con un volume nella mano e cesti di frutta ai piedi. I resti visigoti sono rappresentati da frammenti di sarcofagi, un pilastro, una pila dell'acqua santa e un'iscrizione di s. Ermenegildo. Tra i pezzi di epoca islamica si trovano rilievi califfali provenienti da Madīnaṭ al-Zahrā', una pila per le abluzioni, un puteale e una collezione di capitelli. Di epoca gotica sono una coperta sepolcrale in bronzo e due rilievi di alabastro con scene della Pietà e della Risurrezione.Il Mus. de Bellas Artes, nato in conseguenza delle misure di alienazione dei beni ecclesiastici del 1835 - data dalla quale hanno origine la sua collezione e l'assegnazione dell'antico convento della Merced Calzada, che continua a occupare attualmente - conserva dipinti e sculture del 14° secolo.

Bibl.:

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