NERVOSO, SISTEMA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

NERVOSO, SISTEMA

Ettore Fadiga
Ernesto Capanna
Gianfranco Ricci

(XXIV, p. 609; App. II, 11, p. 400; III, 11, p. 239)

Sommario. - Fisiologia generale del neurone: Flusso e trasporto assonico (o neuroplasmico), p. 567; Sinapsi, p. 569; Neurofisiologia speciale: Funzioni motorie, p. 572; Funzioni sensitive, p. 575; Sostrati neurofisiologici delle attività nervose superiori: Trasferimento interemisferico delle informazioni sensoriali, p. 578; Esperimenti di telestimolazione, p. 579; Bibliografia, p. 579.

L'ultimo quindicennio ha segnato un rilevante aumento di conoscenze nel campo delle "scienze neurobiologiche". L'impiego stesso di questa espressione di conio recente, anziché dei termini classici riferiti alle singole discipline che vi confluiscono (quali, per esempio, neurofisiologia, neuroanatomia, neurochimica, ecc.), è un portato di questo progresso, una delle cui caratteristiche è stata la sempre maggiore e sempre più rapida compenetrazione interdisciplinare: basti pensare, a questo proposito, alla profonda incidenza dei nuovi dati ultrastrutturali riguardo alla neurofisiologia generale e speciale. Altre caratteristiche possono ravvisarsi: nella sempre maggiore tendenza alla quantificazione rigorosa dei risultati e alla loro convalidazione statistica, una tendenza favorita in modo decisivo dal massiccio ingresso dei calcolatori elettronici (computers) nel campo delle tecniche di rilievo ed elaborazione dei dati; nel vastissimo impiego dei metodi microfisiologici, che sono stati largamente usati anche per lo studio di problemi di fisiologia speciale e integrativa, e non solo generale come in precedenza; nell'assai fertile associazione delle tecniche elettrofisiologiche (sia macro- che microelettrodiche) con quelle di osservazione del comportamento spontaneo o condizionato; nella rapida maturazione degli approcci modellistico e cibernetico. In questa sede, per ovvi motivi di economia di trattazione, ci si limiterà a illustrare con una certa ampiezza poche linee di avanzamento.

Fisiologia generale del neurone.

Flusso e trasporto assonico (o neuroplasmico). - In accordo con l'impostazione generale testé annunciata, ci limiteremo a esporre in questo capitolo soltanto alcune tra le acquisizioni più significative ai fini di un aggiornamento. Altri aspetti che meriterebbero menzione ma che non possono essere qui illustrati per ragioni di spazio riguardano, in particolare, la fisiologia della membrana neuronica (dati e letteratura in R. V. Hendler, 1971), i meccanismi di determinazione genetica e di controllo chimico che regolano il trofismo e le funzioni dei neuroni (dati e letteratura in R. Levi-Montalcini, P. Angeletti e G. Moruzzi, 1975; per il fattore di accrescimento nervoso, Nerve growth factor, cfr. in particolare R. Levi-Montalcini, R. Hogue Angeletti e R. Angeletti, 1972), nonché il vasto campo della fisiologia generale dei recettori, che ha ormai in parte chiarito i meccanismi e i sostrati per i quali i diversi stimoli specifici generano l'impulso nervoso (oltre alle citate opere d'insieme, cfr. in generale sull'argomento R. Granit, 1967, e W. R. Löwenstein, 1971; per i propriocettori e il vestibolo cfr. anche A. V. S. de Reuch e J. Knight, 1967; per i recettori uditivi cfr. de Reuch e Knight, 1968, e Fex, 1974; per i recettori visivi cfr. M. G. F. Fuortes, 1972). Secondo la concezione classica, che nel suo nucleo centrale risale alla fine del secolo scorso e che i dati dell'elettrofisiologia moderna avevano perfezionato ma non sovvertito (cfr. App. III, 11, pp. 239-41), la funzione essenziale dell'assone, e più in generale della fibra nervosa, è quella di assicurare la conduzione dell'eccitamento fornendo di tale processo il sostrato morfofunzionale, vale a dire una membrana biologica elettricamente polarizzata, percorribile da onde di depolarizzazione secondo un meccanismo a innesco ("tutto-o-nulla") ormai perfettamente chiarito. Negli anni recenti si è avuto un notevole risveglio d'interesse verso la dinamica del protoplasma neuronale. I dati acquisiti non consentono più di ritenere che la funzione assonica si esaurisce nella conduzione dell'eccitamento, e hanno posto in particolare rilievo il fenomeno del flusso assonico (o, più generalmente e correttamente, "neuroplasmico") che nei suoi aspetti più esteriori era noto da tempo, ma che s'integra ora in un sistema di conoscenze più vasto. Per usare l'espressione di P. A. Weiss, uno degli autori che più contribuirono in questo campo, le fibre nervose sono qualcosa di più di semplici "fili viventi" tesi una volta per tutte all'epoca dello sviluppo e capaci di eventuale rigenerazione solo in certe situazioni post-traumatiche (P. A. Weiss, 1970); esse partecipano alla costruzione della connettività neuronale, stabilendo e costantemente mantenendo una vera "codificazione chimica", alla cui presenza è subordinata la vitalità stessa dei neuroni (fig. 1). Sono noti oggi due tipi di flusso neuroplasmico "discendente" (cioè diretto dal corpo cellulare verso le terminazioni assoniche); si conosce inoltre un flusso "ascendente", sul quale i dati sono più scarsi, ma che peraltro deve ormai anch'esso ritenersi dimostrato. I due tipi di flusso discendente (ai quali limiteremo l'analisi) sono quello lento e quello rapido. Il primo fa sì che in ogni fibra nervosa la colonna cilindrassica progredisca continuamente in senso somatofugo a velocità variabili da 1 a pochi millimetri al giorno; esso non deve intendersi come un trasporto di tipo idraulico, quasi si trattasse di un flusso di liquido entro un tubo, ma piuttosto come un movimento in massa di tutto il materiale costituente l'assone, sia pure con velocità diverse per i diversi componenti. Questo movimento è legato al continuo svolgersi delle sintesi proteiche e probabilmente è destinato al rimpiazzo delle terminazioni sinaptiche usurate e alla formazione delle nuove terminazioni richieste dalle mutevoli condizioni della dinamica dei circuiti nervosi ("plasticità neuronale"). Il trasporto rapido è da 20 a 1000 volte più veloce (dati e letteratura in P. L. Jeffreye, L. Austin, 1974), e pare servirsi di un vero sistema microtubulare intra-assonico ("neurotubuli"), la cui presenza è stata definitivamente dimostrata dalle osservazioni elettronmicroscopiche e che, tra l'altro, spiega quelle ricorrenti descrizioni classiche di "filamenti nervosi" che l'orientamento elettrobiologico prevalente fino a pochi anni fa nella neurofisiologia moderna aveva portato a trascurare come artefatti di fissazione. Il meccanismo della progressione rapida intratubulare è tuttora sconosciuto e probabilmente non è univoco, ma alcune osservazioni microcinematografiche su assoni sopravviventi fanno pensare alla possibilità di onde "peristaltiche" a carico dell'axolemma; secondo altre ipotesi, sarebbero le stesse molecole proteiche costituenti la parete microtubulare a determinare costrizioni locali del microtubulo mediante modificazioni reversibili della loro conformazione, ovvero a determinare "slittamenti" progressivi del contenuto sul contenente, in modo non dissimile da quanto si ritiene avvenga per le proteine muscolari. È certo che il trasporto rapido riguarda prevalentemente mitocondri ed enzimi, nonché vescicole contenenti trasmettitori sinaptici o loro precursori: esso rivestirebbe quindi un ruolo determinante nell'assicurare il rifornimento materiale ed energetico alle terminazioni pregiunzionali. La stretta dipendenza di queste ultime dal "governo centrale" esercitato dal soma cellulare riafferma così il concetto dell'unitarietà neuronica, e le moderne interpretazioni molecolari della natura del protoplasma consentono di riconoscere così anche nel neurone adulto la presenza di due tipiche proprietà protoplasmatiche che in esso si ritenevano assenti: l'autoriproduzione e, in un certo senso, la contrattilità. Mediante queste due proprietà, i neuroni mantengono tra loro di continuo un complesso di relazioni "chimiche funzionalmente significanti, alla cui dinamica è subordinata la possibilità delle rapide comunicazioni elettriche; in una certa misura esse condizionano la connettività neuronale non solo durante l'accrescimento ("induzione chimica": cfr. A. W. Sperry, 1971), ma anche durante lo stato adulto.

Sinapsi. - Alla fine degli anni Cinquanta, i concetti di "bottone sinaptico" e del suo patrimonio di vescicole contenenti la sostanza chimica mediatrice, così come quelli di fessura sinaptica (synaptic cleft) e di membrana subsinaptica, erano ormai ben stabiliti, ma si riferivano a immagini relativamente semplici e poco differenziate, pur dopo i classici lavori ultrastrutturali dei gruppi di De Robertis (cfr. E. De Robertis e S. H. Bennet, 1954) e di Palade (G. E. Palade e S. P. Palay, 1954). Dal canto suo, la perentoria e allora recente dimostrazione elettrofisiologica dei potenziali postsinaptici eccitatori e inibitori (cfr. App. III, II, pp. 241-42) polarizzava l'attenzione sulla mediazione chimica degli effetti giunzionali, lasciando alla mediazione elettrica un valore se non storico, almeno marginale e limitato a poche sinapsi sui generis di Invertebrati (cfr. E. J. Furshpan e D. D. Potter, 1959). È inoltre da sottolineare come l'impatto dei primi tentativi concreti di stabilire sperimentalmente il wiring diagram dei centri nervosi su base microfisiologica ponesse necessariamente l'accento sui collegamenti axosomatici e axodendritici, e facesse quasi dimenticare le pur già note descrizioni di neuropili nei quali detti collegamenti non avevano parte (fig. 2). L'affinamento delle tecniche elettronmicroscopiche, neurochimiche, elettrofisiologiche e neurofarmacologiche determinatosi nel corso degli anni Sessanta, unitamente all'estensione dello studio a un numero sempre maggiore di sostrati e di preparati sperimentali, ha profondamente inciso su questo quadro morfofunzionale.

Correlazioni tra ultrastruttura e funzione. - Si scorgono ormai precise correlazioni tra il tipo morfologico di contatto sinaptico e la sua specifica azione, eccitatoria o inibitoria. Fin dal 1959 E. G. Gray, in preparati di corteccia cerebrale di Mammifero fissati con tetrossido di osmio, aveva descritto due tipi fondamentali di contatto sinaptico: il "tipo1", stabilito a livello dendritico su caratteristiche protuberanze di varia forma e lunghezza (le "spine dendritiche": v. fig. 3), ma tutte provviste di un notevole ispessimento della membrana subsinaptica, e il "tipo 2", stabilito a livello del soma cellulare, con ispessimenti subsinaptici assai meno pronunciati. In vari distretti del s. n. centrale (per es.: neopallium, ippocampo, corteccia olfattoria, collicolo superiore: per dati e letteratura, cfr. J. C. Eccles, 1964; M. Colonnier, 1968; D. Bodian, 1972 a e b), l'analisi microfisiologica ha successivamente riscontrato che nella più parte dei casi le sinapsi del primo tipo esercitano azione eccitatoria, mentre quelle del secondo sono di regola inibitorie; e negli stessi distretti, e in altri ancora, si è rilevato che nei preparati elettronmicroscopici fissati con glutaraldeide le vescicole sinaptiche riferibili al "tipo 1" si presentano di forma sferica, mentre quelle del "tipo 2" vi appaiono appiattite (cfr. E. G. Gray, 1959), come se il fissativo producesse modificazioni fisico-chimiche diverse nelle vescicole contenenti trasmettitore eccitatorio o inibitorio. Oggi appare possibile stabilire correlazioni tra la morfologia delle vescicole, quale appare nei preparati fissati, e il tipo specifico di trasmettitore in esse contenuto: così, esistono dati che fanno ritenere adrenergiche le vescicole sinaptiche a nucleo centrale denso, e colinergiche quelle col nucleo elettronicamente "trasparente" (D. Bodian, 1970, 1972b).

L'indagine ultrastrutturale (fig. 4) consente ormai d'inferire con buona sicurezza la natura chimica o elettrica della trasmissione attuata a livello di una giunzione sinaptica, anche in mancanza di dati microfisiologici. A tal fine, risultano critiche le dimensioni della fessura subsinaptica, che depongono per una trasmissione elettrica se inferiori a 130-160 Å (E. J. Furshpan, 1964) e la presenza di vescicole nel bottone sinaptico, che di regola mancano nelle sinapsi elettriche. Esistono anche sinapsi "miste", nelle quali cioè si attuano contemporaneamente entrambi i modi di trasmissione (G. D. Pappas e D. P. Purpura, 1972). La presenza di sinapsi elettriche nel s. n. dei vertebrati, inclusi i Mammiferi, è ormai accertata, ancorché sia fuor di dubbio che nei vertebrati il modo chimico di trasmissione abbia la prevalenza (M. V. L. Bennet, 1972).

Sedi e modi del contatto sinaptico. - Nell'ambito dei tipi più frequenti di sinapsi (sinapsi chimiche axodendritiche e axosomatiche) si deve a W. Rall (1967) una compiuta analisi delle conseguenze legate alla distanza che intercorre tra la sede del contatto sinaptico e quella della "zona d'innesco" nel neurone postgiunzionale. Detta analisi, che muove da considerazioni teoriche (J. C. Eccles, 1957) e da precedenti dati sperimentali (E. Fadiga e J. M. Brockhart, 1960, 1962), è impostata in termini rigorosamente quantitativi e si svolge su modelli matematici di motoneuroni spinali; essa ha portato, tra l'altro, a un'esatta collocazione del fattore posizionale tra i fattori che determinano l'efficacia di un contatto sinaptico, e pertanto a una migliore comprensione della funzione modulatrice delle sinapsi stabilite a distanza dal corpo cellulare (sinapsi dendritiche apicali). Come si è detto dianzi, i contatti axosomatici e axodendritici sono i più frequenti, ma non sono affatto i soli; le ricerche elettronmicroscopiche recenti dànno sempre maggiore evidenza, anche in Mammiferi, a tipi "non convenzionali" di sinapsi, sia chimiche sia elettriche, che presentano grande varietà di forme e di contatti (per es. axo-axoniche, dendro-dendritiche "seriate", "reciproche": per descrizioni sistematiche e dettagliate cfr. G. D. Pappas e D. P. Purpura, 1972; D. Bodian, 1972). Non è possibile soffermarsi sui dettagli in questa sede. Un cenno specifico verrà fatto solo per le cosiddette gap junctions (o zonulae adhaerentes), che si ha ragione di ritenere il sostrato morfologico dell'accoppiamento elettrotonico fra neuroni, e per le "sinapsi axo-axoniche", o meglio per un loro aspetto particolare che costituisce il sostrato di un nuovo tipo d'inibizione, l'inibizione presinaptica.

Le gap junctions sono accostamenti assai stretti (ma non fusioni: onde la denominazione latina aggiornata di zonulae adhaerentes, e non occludentes come in un primo tempo proposto: cfr. M. G. Farquhar e G. E. Palade, 1963) che si stabiliscono, in sedi convenzionali o più spesso non convenzionali, tra aree di membrana cellulare appartenenti a due diversi neuroni e caratterizzate entrambe da ispessimenti simmetrici (di regola privi di vescicole), attraverso cui si stabilisce verosimilmente un "ponte" di bassa resistenza elettrica. Le loro descrizioni vanno moltiplicandosi: oltre che nei processi claviformi delle cellule di Mauthner (J. D. Robertson, 1963) e oltre che a livello dei motoneuroni spinali di Rana (A. D. Grinnel, 1966), esse sono state osservate anche in numerose sedi e strutture del s. n. centrale di varie specie di Mammiferi, compresi i Primati (I. E. Dowling e B. B. Boycott, 1966; J. J. Sloper, 1972; altri dati e letteratura in C. Sotelo, R. Llinàs e R. Baker, 1974), tanto da far ritenere che esse possano essere addirittura ubiquitarie. Con tecniche microelettroniche, in alcune di queste strutture (per es., nucleo mesencefalico del trigemino, oliva inferiore) si è anche ottenuta una plausibile dimostrazione sperimentale della loro capacità di trasmissione elettrotonica, sotto- o sopraliminare per la scarica. Quantunque il loro significato funzionale sia ancora oscuro, esse devono ormai tenersi presenti in una sistematizzazione della connettività interneuronica, se non altro come fattore di sincronizzazione neuronale.

Il tipo di sinapsi axo-axonica che per la sua importanza funzionale merita un commento è rappresentato dal contatto tra due bottoni sinaptici, una possibilità a lungo negata ma ormai pacificamente ammessa dopo il moltiplicarsi di ben dimostrative osservazioni elettronmicroscopiche nei più vari aggregati neuronici centrali (F. Walberg, 1965; G. D. Pappas e S. G. Waxmann, 1972). L'inferenza che di fronte a questo aspetto morfologico viene spontanea, vale a dire, che l'azione sinaptica del bottone a valle possa essere modificata per effetto dell'attivazione del contatto che impinge su di esso, costituisce in realtà la concretizzazione di un'osservazione sperimentale eseguita per la prima volta verso la fine degli anni Cinquanta (K. Frank e M. G. F. Fuortes, 1957), e ormai acquisita: la risposta di un pool di neuroni all'attivazione di una determinata via eccitatoria può ridursi non solo per iperpolarizzazione della loro membrana (è questo il caso dell'inibizione postsinaptica, sostenuta dal potenziale postsinaptico inibitore o IPSP: cfr. App. III, 11, pp. 241-42), ma anche senza che lo stimolo inibitorio aumenti il livello di polarizzazione. In questo caso, come dimostrato a livello unitario da J. C. Eccles, F. Magni e W. D. Willis (1962), viene a ridursi l'ampiezza dei potenziali postsinaptici eccitatori (EPSP) prodotti dalla via afferente e concomitantemente si osserva una parziale depolarizzazione delle terminazioni di quest'ultima; il che comporta, appunto, una riduzione della loro capacità di liberare il mediatore chimico (inibizione presinaptica). Questa forma d'inibizione è molto diffusa nel sistema nervoso centrale dei Mammiferi, e si distingue da quella postsinaptica anche per il più lungo decorso temporale e la distribuzione.

Identificazione dei mediatori. - Nell'ultimo quindicennio le indagini rivolte a questo problema hanno avuto un rigoglioso sviluppo, dovuto più all'applicazione di metodi microscopici, neurochimici e neurofarmacologici che di nuovi metodi fisiologici e microfisiologici. Sono state introdotte nuove tecniche istochimiche, come per es. la reazione alla para-formaldeide per l'osservazione microscopica della fluorescenza specifica nei sistemi monoaminergici periferici (B. Falck, 1962) e centrali (A. Dahlström e K. Fuxe, 1964). Con tecniche di frazionamento subcellulare mediante ultracentrifugazione di omogenati di tessuto nervoso, si è anche riusciti (dati e letteratura in V. P. Whittaffir, 1972) a ottenere sospensioni di frammenti di bottoni sinaptici sopravviventi, e quindi ancora capaci di metabolismo ("sinaptosomi"), o addirittura sospensioni altamente purificate di vescicole sinaptiche: queste preparazioni hanno un'importanza fondamentale come strumento d'indagine, in quanto, di regola, sono in grado d'incorporare in vitro in modo elettivo lo stesso tipo di trasmettitore che da loro viene liberato in vivo nel corso dell'attivazione sinaptica. Pertanto, aggiungendo alla sospensione un "campionario" di possibili trasmettitori diversamente marcati da elementi radioattivi, mediante il riconoscimento (radiochimico o autoradiografico) di quello captato divengono possibili solide inferenze riguardo al trasmettitore effettivamente utilizzato in vivo. La capacità di captazione specifica è sfruttata anche dalle tecniche d'identificazione fondate sulla stimolazione elettrica di fettine sottili di tessuto nervoso coltivate in vitro (culture organotipiche; per dati e letteratura sulle rilevanti acquisizioni permesse in neurobiologia generale e speciale dalle tecniche di cultura in vitro, cfr. Ph. G. Nelson, 1975) in presenza di sostanze di cui sia supponibile la funzione mediatrice: dato che anche in vitro i neuroni conservano un'eccitabilità presso che normale, lo stimolo elettrico dà luogo alla liberazione presinaptica di mediatore marcato se, e solo se, esso era stato assunto durante il processo preliminare di captazione. È importante aggiungere che ai processi di captazione deve riconoscersi non solo un valore metodologico, ma anche un rilevante significato funzionale. Si ritiene oggi, di fatto, che nella maggior parte delle sinapsi chimiche la rimozione del mediatore dalla fessura sinaptica dopo la sua azione sui recettori postgiunzionali avvenga secondo meccanismi di questo genere (che tra l'altro permetterebbero anche la riutilizzazione almeno parziale delle stesse molecole di trasmettitore per gli eventi sinaptici successivi: "recapture") piuttosto che per effetto di scissioni enzimatiche. Il meccanismo di scissione enzimatica sarebbe utilizzato solo in pochi casi, anche se tra questi va annoverato il classico esempio dell'aceltilcolina e della sua scissione idrolitica ad opera della colinesterasi (dati e letteratura in L. L. Iversen, 1974). È importante sottolineare che, in generale, i fenomeni di captazione implicano meccanismi di trasporto attivo, di cui in qualche caso si conoscono caratteristiche metaboliche e sensibilità specifiche a farmaci inibitori (per es., riguardo ai trasmettitori dei sistemi adrenergici: imipramina, desmetilimipramina, cocaina, e altri). Ciò fornisce altri strumenti tecnici e altri approcci metodologici (derivati dalla neurofarmacologia) per l'identificazione dei mediatori sinaptici.

Grazie alle tecniche ora brevemente illustrate e ad alcune di quelle già usate in precedenza (tra queste, particolare ricordo merita la microiontoforesi con derivazione contemporanea degli effetti elettrofisiologici: micropipette "a canna multipla", cfr. per dati e letteratura D. R. Curtis e G. A. R. Johnston, 1974), per il problema dell'identificazione dei mediatori sinaptici cominciano ora a prospettarsi alcune soluzioni precise, anche se ancora parziali. Nuovi dati più diretti e specifici (figg. 5 e 6) possono ormai sicuramente affiancarsi alle conoscenze classiche sul ruolo esercitato dall'acetilcolina e dall'adrenalina nella trasmissione sinaptica periferica, e sia queste sia varie altre sostanze possono fondatamente ritenersi utilizzate per i processi della trasmissione sinaptica centrale. Storicamente, la prima sostanza chimica, oltre alle due testè menzionate, per la quale è stata proposta una funzione mediatrice è un aminoacido della serie alifatica, l'acido gamma-aminobutirrico (GABA; H. Grundfest, 1960). Dopo lunghe incertezze, favorite dalla difficoltà di sceverare i suoi effetti aspecifici e farmacologici da quelli fisiologici, sembra ormai da accettare un suo effettivo ruolo di trasmettitore di effetti postsinaptici inibitori, a livello non solo di alcune sinapsi periferiche di Invertebrati (per es.: recettori da stiramento di aragosta), ma anche di alcune sinapsi centrali di Mammifero, non escluse le corticali. Anche altri trasmettitori di natura aminoacidica sono oggi conosciuti: la glicina, per esempio, è liberata da interneuroni inibitori nel midollo spinale di gatto; sempre a livello spinale, e sempre nel Mammifero, altri neuroni inibitori sembrano funzionare grazie all'acido glutammico, che è stato inoltre identificato come il mediatore eccitatorio liberato dalle terminazioni centrali delle afferenze primarie di origine fusale e, con minor sicurezza, anche di altri sistemi. Riguardo all'acetilcolina e all'adrenalina (o meglio alla nor-adrenalina, cioè alla sua forma metilata, che si riscontra in modo quasi esclusivo nel s. n.: U. S. von Euler, 1956), si dispone oggi di numerosi dati che rafforzano, approfondiscono ed estendono le nozioni da tempo acquisite, e che hanno consentito vari tentativi di sistematizzazione. La loro distribuzione differenziale nell'ambito di diverse regioni del s. n. (letteratura in J. C. Eccles, 1964) è ormai comprovata: l'acetilcolina è scarsamente presente nelle radici dorsali, nei nervi ottici, nel cervelletto, mentre è abbondante (fino a 7 μg/g) nelle radici ventrali, nel midollo spinale, nel nucleo caudato e nella retina; la nor-adrenalina è scarsamente presente nel neostriato (nucleo caudato, e putamen), nel midollo spinale, nella corteccia cerebrale, nel cervelletto, nell'ipocampo, mentre è abbondante (fino a 5 μg/g) nel mesencefalo, nel ponte e nel bulbo.

Le tecniche d'istofluorescenza, lo studio dei processi di captazione, l'analisi neurochimica (disponibilità in situ di catene enzimatiche specifiche) e neurofarmacologica (blocchi selettivi della biosintesi per mezzo di inibitori enzimatici specifici) hanno portato l'indagine a livello cellulare e hanno consentito d'identificare nel tronco dell'encefalo l'esistenza di tre sistemi neuronici che con notevole grado di probabilità sono monoaminergici, due originati dalla tirosina e il terzo dal triptofano (dati e letteratura in A. Dahlström, 1973; fig. 7). Il primo è noradrenergico e dalle regioni laterali del tegmento pontomesencefalico e del bulbo (regioni ove i metodi d'istofluorescenza rivelano i pirenofori) si distribuisce con le sue terminazioni assoniche fino al midollo da un lato, e dall'altro (forse in via transinaptica) fino all'ipotalamo, al talamo, alla neocorteccia, al cervello limbico e ai gangli della base, con l'eccezione del nucleo caudato e del putamen. In questi ultimi nuclei sono invece presenti terminazioni che contengono dopamina (diidrossifenilalanina decarbossilata; sistema dopaminergico), che della noradrenalina è l'immediato precursore metabolico e che si ritiene svolga essa stessa funzioni di mediatore; i pirenofori di questo sistema si trovano principalmente nella sostanza nera mesencefalica e in strutture ad essa vicine. La terza monoamina è la 5-idrossitriptamina (5-HT) o serotonina (sistema serotoninergico); essa è stata riscontrata con tecniche istochimiche a livello delle terminazioni ascendenti e discendenti (distribuite a un dipresso come quelle noradrenergiche) di fibre il cui corpo cellulare si trova nei nuclei del rafe mesencefalico e pontobulbare, ed è stata identificata anche in altri distretti tra cui, con particolare concentrazione, nella ghiandola pineale e nella retina. Dei sistemi monoaminergici troncoencefalici si parlerà ancora più oltre, giacché essi hanno parte importante in specifici capitoli di neurofisiologia integrativa, di psicofisiologia e di neuropatologia.

Plasticità sinaptica; funzioni induttive. - La determinazione genetica dello schema generale ("macrodeterminazione", Weiss, 1970) della connettività interneuronale in ogni s. n. è ormai un fatto solidamente acquisito, e non sono più sostenibili quelle teorie che, specialmente tra il 1930 e il 1940, riavvisavano nell'uso il fattore ontogeneticamente determinante per organizzare secondo gli schemi appropriati alla specie i rapporti tra popolazioni di neuroni originariamente collegati tra loro in modo pressoché casuale e indifferente. Ciò non toglie, peraltro, che ai collegamenti sinaptici non debbano riconoscersi proprietà plastiche, promosse dal loro stesso impiego ("microdeterminazione"); la loro importanza nel corso dell'accrescimento va anzi sempre meglio delineandosi da quando le ipotesi di lavoro tengono conto dei loro limiti operativi (C. Blakemore, 1974). L'intervento di proprietà plastiche è oggi ammesso, a breve termine, nei vari fenomeni funzionali di "potenziamento posttetanico" osservabili a livello non solo periferico ma anche centrale (J. C. Eccles, 1972), e a termine più lungo nella comparsa di vere modificazioni morfologiche, espresse da variazioni nel numero di bottoni sinaptici per unità di superficie postgiunzionale impegnata nel contatto e/o da differenziazioni strutturali nello stesso elemento postgiunzionale (per es., crescita di nuove "spine dendritiche"). Per converso, il disuso può implicare la regressione e l'atrofia, verificate in quest'ultimo quindicennio ormai più volte, non solo sul piano funzionale ma anche su quello morfologico (v. fig. 8) in sostrati riferibili a s. n. di Invertebrati e di Vertebrati, Mammiferi compresi (F. Valverde, 1967, 968). L'importanza della plasticità sinaptica nei processi di apprendimento e di condizionamento è ovvia, e sul piano concettuale è stata già sufficientemente discussa nell'App. III; una considerevole raccolta di nuovi dati sperimentali può reperirsi in A. C. Karczmar e J. C. Eccles (1972).

Neurofisiologia speciale.

Funzioni motorie. - Nel quindicennio trascorso, la sempre maggiore applicazione anche ai livelli più elevati dei metodi di analisi e degli strumenti concettuali da tempo-utilizzati per lo studio della motricità ai livelli spinale e troncoencefalico ha ridotto notevolmente il tradizionale distacco tra la fertilità dei due tipici campi d'indagine della fisiologia integrativa delle funzioni motorie, tanto che riguardo al movimento volontario può dirsi aperto un processo di concreta identificazione sia dei sistemi neuronali che stanno alla base della sua regolazione quanto a forza, direzione e velocità (cioè delle tre principali variabili che ne rendono possibile la corretta esecuzione), sia dei sistemi posti, per così dire, "a monte" della corteccia motrice e implicati nella predeterminazione del movimento stesso (letteratura d'insieme ed esposizioni critiche in C. G. Phillips, 1966; 1973; E. V. Evarts, 1971; V. B. Brooks e S. D. Stoney, 1971; H. Asanuma, 1973; R. Porter, 1973).

Corteccia motrice e sistema piramidale. - Gli effetti dell'attivazione delle vie piramidali e/o della "sequenza motoria" del giro precentrale (v. App. III, 11, pp. 252-53) sono stati esplorati con nuove tecniche, che hanno consentito da un lato l'analisi degli effetti stessi anche a livello di singoli motoneuroni e interneuroni spinali direttamente impalati da microelettrodi intracellulari, dall'altro la loro produzione in focolai corticali di estensione minimale, ristretta a frazioni di millimetro e limitata a singoli strati della corteccia (tecniche di microstimolazione corticale: S. Landgren, C. G. Phillips e R. Porter, 1962 a e b; H. Asanuma e H. Sakata, 1967). Un'estesa sperimentazione comparativa in Carnivori e Primati ha consentito di precisare specifiche tendenze filogenetiche. Oltre alla definitiva conferma dell'esistenza nel Primate di rilevanti connessioni monosinaptiche tra gli assoni delle cellule piramidali e gli α-motoneuroni, le ricerche qui ricordate hanno dimostrato, riguardo all'organizzazione funzionale della corteccia motrice, due nuovi aspetti di particolare rilevanza: a) le cellule piramidali collegate monosinapticamente con uno stesso motoneurone spinale (colonie corticomotoneuronali) sono distribuite in corteccia non secondo "punti" discreti e giustapposti a mosaico, ma secondo aree spazialmente embricate: lo stesso motoneurone può essere reclutato, con diversi gradi di accessibilità, da focolai corticali diversi e collegati secondo gradienti continui (cfr. dati e letteratura in C. G. Phillips, 1966 e 1969); b) gli effetti motori periferici ottenuti a seguito di stimolazioni liminari seriate, applicate attraverso un microelettrodo fatto penetrare in direzione normale alla superficie della corteccia, sono simili tra loro; spostando progressivamente il punto di penetrazione essi cambiano in modo discontinuo ("discreto"), sicché in ordine a un determinato movimento periferico (il quale, com'è noto, richiede di norma la partecipazione di diversi muscoli, che si contraggono e si rilasciano in modo spazio-temporalmente integrato) si possono identificare nella corteccia popolazioni di cellule funzionalmente omogenee, collegate con un medesimo output piramidale e disposte in colonne radiali (organizzazione colonnare della corteccia, v. oltre). Queste colonne (fig. 9) similmente rappresentano altrettanti "moduli funzionali " della corteccia motrice (dati e letteratura in H. Asanuma e I. Rosén, 1972; H. Asanuma, 1975). I due aspetti sono, ovviamente, complementari, e la loro correlazione con i dati della citoarchitettonica e dell'odologia (che per la corteccia hanno ricevuto negli ultimi anni un grandissimo impulso; cfr. dati e letteratura in M. Colonnier, 1966; G. von Bonin e V. R. Mehler, 1971) lascia vedere la possibilità di decisivi sviluppi. D'altra parte, l'esistenza nella corteccia motrice di neuroni e circuiti inibitori, oltre che eccitatori, è un fatto ormai acquisito con sicurezza (fig. 10: cfr. J. Szentágothai, 1969); oggi si può concludere che il grado elevatissimo di localizzazione che può essere ottenuto durante i più delicati movimenti volontari non si fonda tanto sulla "finezza di grana" di un mosaico di cellule piramidali anatomicamente inteso, quanto su specifici istradamenti, ottenuti per eccitazioni e inibizioni nei vari strati corticali e tra uno strato e un altro, secondo circuiti e reti che si avvicendano di continuo in funzione di specifici "programmi motori" (C. G. Phillips, 1966, 1969, 1973). Questa conclusione sembra risolvere la classica questione riguardo al modo della rappresentazione motoria corticale ("movimenti" o "muscoli" ?); essa del resto è suffragata anche da risultati di altri autori, e in particolare da quelli ottenuti da E. V. Evarts (1967) in scimmie sveglie e portatrici croniche di microelettrodi impiantati nella corteccia motrice. La tecnica di Evarts (fig. 11) consente di studiare le relazioni tra la scarica di singole cellule piramidali (identificate come tali con particolari accorgimenti) e specifici movimenti (per es., flesso-estensione del polso) di carattere assai prossimo al volontario, in quanto eseguiti "spontaneamente" dall'animale secondo precisi modelli spazio-temporali appresi in sedute preliminari di condizionamento operante (spostamento di una leva in vista di una gratificazione alimentare). Tra le varie osservazioni rese possibili da questa tecnica, spiccano quelle che mostrano, nella scarica di due cellule piramidali registrate contemporaneamente, presenza o mancanza di correlazione secondo lo specifico movimento eseguito, nonché quelle che rendono possibile la definizione quantitativa della forza sviluppata durante il movimento, sulla base della frequenza di scarica della cellula piramidale coinvolta.

Le ricerche rivolte a conoscere i meccanismi intimi dei "programmi motori" a cui si è dianzi accennato hanno seguito due ipotesi di lavoro, che sono ora pervenute entrambe a notevoli livelli di concretezza. La prima si rifà alla classica dimostrazione fornita da F. W. Mott e C. S. Sherrington (1895) sull'importanza dell'innervazione afferente per la corretta esecuzione dei movimenti volontari, l'altra alla non meno classica osservazione di K. S. Lashley (1917), secondo la quale anche in mancanza di tale innervazione, dopo un congruo periodo di adattamento un considerevole grado di precisione è pur sempre possibile.

Il risultato più significativo ottenuto reinvestigando nel quindicennio 1960-75 l'organizzazione delle afferenze sensoriali all'area motrice è stato, probabilmente, il riconoscimento che il principio dell'organizzazione colonnare vale anche per le afferenze corticipete (cutanee e profonde; riguardo all'accertata esistenza di proiezioni corticipete di origine fusale, cfr. O. Oscarsson e I. Rosén, 1963; J. E. Swett e Ch. M. Bourassa, 1967), e che in ciascuna colonna esistono precise relazioni tra la rappresentazione dei campi recettivi periferici e la sede degli effetti motori ottenibili per microstimolazione (H. Asanuma, S. D. Stoney e C. Abzug, 1968). Nel gatto, per esempio, le colonne la cui stimolazione porta alla comparsa di movimenti in una zampa ricevono afferenze da quella zampa (fig. 9), secondo un'organizzazione significante che in questa sede non può essere illustrata. Per la corteccia motrice si può quindi parlare di "moduli costitutivi elementari" (le colonne), capaci di assicurare per ogni movimento periferico precise relazioni input-output (esposizione critica e bibliografia in H. Asanuma, 1975). Si è visto inoltre che ogni colonna mette in opera, durante il suo funzionamento, meccanismi capaci di deprimere l'eccitabilità delle colonne adiacenti, e cioè di esaltare in via funzionale e dinamica la specificità dei suoi effetti (inibizione collaterale).

L'identificazione di "moduli elementari" nella corteccia motrice, ancorché di grande importanza concettuale riguardo alla comprensione degl'intimi meccanismi degli aggregati neuronici centrali, non deve indurre ad accostamenti troppo spinti con la sistematizzazione delle relazioni ingresso-uscita da tempo note per i segmenti spinali: a livello corticale, l'input dalla periferia non ha effetti direttamente motori, ma solo facilitanti o inibenti. Grazie alla tecnica di E. V. Evarts, sono ben documentati esempi indiscutibili di attivazione precentrale in tempi precedenti l'insorgere di qualunque movimento muscolare e, pertanto, di qualunque stimolo di origine periferica; strettamente parlando, l'input periferico non può quindi considerarsi un input reflessogeno, ma piuttosto un flusso di retroazione (feed-back) che serve a mantenere informata la corteccia dell'evolversi temporo-spaziale di un movimento già in atto in base a schemi "preprogrammati", e che costituisce il più periferico tra i molti sistemi operanti in base allo stesso principio e innestati a livello della via motrice. Come si è già accennato dianzi, in questi ultimi anni il concetto di "programma motorio" ha acquistato grande importanza, sul fondamento di considerazioni teoriche e di dati sperimentali (cfr. J. C. Eccles, 1973, pp. 104-45). Su alcuni di questi conviene soffermarsi, poiché da essi viene chiaramente emergendo che la corteccia motrice, lungi dall'essere la "sede" dove ha inizio l'attività neurale correlata con la motilità volontaria, è piuttosto la "via finale comune" di un complesso di eventi nervosi che hanno inizio altrove e che, con ogni probabilità, la determinano. Secondo l'analisi elettroencefalografica eseguita nell'Uomo da H. H. Kornhuber e collaboratori (Kornhuber, 1974), circa 800 msec prima di ogni movimento volontario comincia a manifestarsi in vaste aree corticali, non solo pre- ma anche postrolandiche, il cosiddetto "potenziale di approntamento" (readiness potential; Bereitschaftspotentiale). Si tratta di un'onda negativa a lento incremento, che circa 100 msec prima dell'inizio del movimento culmina, in corrispondenza del focolaio corticale specifico per il movimento stesso ma non altrove, in un potenziale positivo più rapido. È suggestivo vedere un nesso (ovviamente, in pura via d'ipotesi) tra questi fenomeni elettroencefalografici e i processi nervosi per la formazione del "comando di movimento", comando che verosimilmente agisce attuando un progressivo incanalamento dell'attività nervosa verso il centro motore specifico. A un livello di maggiore concretezza interpretativa, anche se (per la natura stessa delle tecniche impiegate) di minore validità statistica, si collocano risultati ottenuti da altri autori mediante derivazioni unitarie da varie strutture centrali di animali svegli, portatori cronici di microelettrodi e condizionati all'esecuzione di vari movimenti di tipo volontario mediante opportuni procedimenti preliminari (W. M. T. Thach, 1968; E. V. Evarts, 1970); alcuni di questi risultati hanno trovato riscontro anche in registrazioni unitarie eseguite nell'Uomo durante interventi neurochirurgici. Si è rilevato che neuroni appartenenti alla corteccia del cervelletto (cellule di Purkinje), ad alcuni suoi nuclei profondi (n. dentato; n. interposito), nonché al nucleo talamico ventralis lateralis, che è il relais specifico per la via cerebello-talamo-corticale, presentano segni di attivazione prima della comparsa del movimento e anche, con ogni verosimiglianza, prima dell'attivazione delle cellule piramidali motrici. Diviene a questo punto legittima l'ipotesi che il neocervelletto e le strutture talamiche con esso collegate non solo abbiano parte nel controllo dell'esecuzione del movimento (mediante i due classici sistemi a retroazione cortico-ponto-cerebello-talamo-corticale e cortico-olivo-cerebello-talamo-corticale: cfr. E. V. Evarts e W. M. T. Thach, 1969; G. I. Allen e N. Tsukahara, 1974), ma anche costituiscano un vero e proprio meccanismo per l'attivazione primitiva (initiation) del movimento, secondo precisi programmi inviati "in copia" alla corteccia cerebellare da parte di centri corticali "ideomotori" e da essa ritrasmessi alla corteccia motrice dopo avervi elaborato le "correzioni richieste dalle concrete situazioni afferenziali in cui il movimento dovrà svolgersi (H. H. Kornhuber, 1971). L'effettività di relazioni reciproche tra neocervelletto e aree associative parietali, recentemente riprese in esame e approfondite da K. Sasaki e coll. (1972 a e b, 1973), potrebbe consentire un nesso tra questa ipotesi interpretativa e i "potenziali di approntamento" ricordati più sopra.

Cervelletto. - La teoria, ora ricordata, dell'elaborazione di "programmi motori" nel cervelletto (D. Marr, 1969; W. T. Thach, 1972) è una suggestiva ipotesi che si fonda su considerazioni di carattere speculativo suggerite da determinate precessioni osservate nella sequenza temporale dei fenomeni nervosi che sfociano nell'atto motorio, ma che è ancora lontana dalla dimostrazione sperimentale (per un'analisi critica cfr. J. D. Cowan, 1973). Senza dubbio, la concezione secondo la quale il cervelletto è l'organo che controlla l'adeguatezza del tono posturale e la corretta esecuzione dei movimenti (nelle loro componenti toniche e fasiche) in base ai principi dei sistemi a retroazione, anch'essa ricordata più sopra, contiene egualmente molti elementi di vero, e del resto la grande ricchezza d'informazioni afferenti della quale il cervelletto dispone (di origine sia periferica sia centrale: cfr. App. III, 11, pp. 245-248) può essere volta a favore di entrambe. Di fatto, in registrazioni microelettrodiche croniche dai nuclei cerebellari profondi e dalla corteccia, W. T. Thach (1970 a e b) ha visto che mentre nel nucleo dentato (collegato essenzialmente, come si è detto dianzi, con la corteccia motrice) l'attivazione neuronale precede in genere (ma non sempre) il movimento, nel nucleo fastigiale (tipica via di uscita del cervelletto verso il tronco encefalico e il midollo spinale; ma anche verso la corteccia: cfr. App. III, l.c.) la scarica in genere segue il movimento: i due modi di vedere non sono necessariamente antitetici. È pur vero che quando ci si voglia attenere al concreto, i risultati conseguiti in tema di fisiologia cerebellare nell'ultimo quindicennio non consentono d'inquadrare il significato e il meccanismo funzionale di quest'organo in una sintesi molto diversa da quella tracciata nell'App. III.

Riguardo invece alla conoscenza dell'organizzazione intrinseca della corteccia cerebellare e delle sue proiezioni si sono compiuti enormi progressi: non è azzardato affermare che da questi punti di vista il cervelletto è divenuto oggi una delle strutture meglio conosciute dell'intero s. n. centrale, e in un aggiornamento sia pure sintetico ciò non può essere taciuto. Questa sede non si presta a una trattazione completa dell'argomento, che è di natura tipicamente specialistica e per il quale si rimanda all'opera fondamentale di Eccles, Ito e Szentágothai (1967) e ai successivi approfondimenti sintetizzati da Eccles nel 1972 e nel 1973 (si veda anche, per un lucido riassunto, Strata, 1975). Basti dire, riferendosi allo schema riportato al riguardo nell'App. III (p. 247, fig. 14), che, a parte alcuni problemi marginali, di tutti gli elementi neuronici corticocerebellari si conosce o mai il significato e le connessioni sinaptiche. Così, si sa oggi (fig. 12) che l'attivazione delle fibre muscoidi (una delle due classiche vie di entrata alla corteccia cerebellare, l'altra essendo costituita dalle fibre rampicanti) non si limita all'eccitazione indiretta delle cellule di Purkinje (la ben nota, e unica, via di uscita dalla corteccia cerebellare) attraverso la mediazione dei granuli e dei loro prolungamenti assonici. L'afferenza muscoide è in sé eccitatoria per le cellule di Purkinje, ma coinvolge anche le cellule del Golgi, le cellule a canestro e le cellule stellate, elementi di significato prima oscuro, ai quali ora può attribuirsi con certezza la funzione di interneuroni inibitori. Le cellule del Golgi impiegano tale funzione per controllare l'entrata stessa degl'impulsi dalle fibre muscoidi ai granuli; le cellule a canestro e quelle stellate esercitano invece un controllo di uscita, inibendo le cellule del Purkinje a livello somatico (le prime) o dendritico (le seconde). Accurati studi sulla "geometria" delle arborizzazioni dendritiche e assoniche di tutti gli elementi testé nominati hanno permesso, dal canto loro, di conoscere l'estensione tridimensionale della loro influenza. Quanto all'azione delle fibre rampicanti, che classicamente entrano in stretto rapporto sinaptico coi dendriti a spalliera delle cellule di Purkinje, essa è di per sé potentemente eccitatoria, ma ha effetti commisurati al livello d'inibizione stabilito in quest'ultima dai circuiti interneuronici sopra descritti. Si è visto che, in condizioni fisiologiche, la frequenza degl'impulsi lungo le fibre rampicanti è assai più bassa di quella degl'impulsi trasmessi dalle fibre muscoidi (che promuovono l'attività continua degli elementi granulari e degl'interneuroni inibitori), e si ritiene probabile che ogni fonte d'impulsi cerebellipeti, periferica e centrale, disponga di connessioni con entrambe le vie di accesso (più diffusa, quella muscoide; fortemente localizzata, quella rampicante): è così possibile che mediante le fibre rampicanti venga compiuto un regolare "rilevamento" del livello d'inibizione vigente all'uscita di ogni particolare "punto" della corteccia cerebellare, ovvero - in alternativa - che esse servano al periodico "azzeramento" dell'uscita stessa. Bisogna aggiungere che, secondo l'analisi microfisiologica recente, le cellule di Purkinje sono risultate anch'esse, e con sicuro fondamento, elementi inibitori: tutto il lavorio sinaptico della corteccia cerebellare sfocia dunque in un accurato "dosaggio" temporo-spaziale d'inibizione sulle strutture-bersaglio degli assoni purkinjani, vale a dire, sui nuclei cerebellari profondi e su parte del complesso nucleare vestibolare. Ora, grazie a un'altra recente dimostrazione, si sa che le vie dirette alla corteccia del cervelletto mandano di regola, lungo il loro decorso, branche eccitatorie a tutte queste strutture nucleari: pertanto, la corteccia cerebellare si prospetta come un complicato sistema di calcolo inserito in parallelo, dal quale dipende l'aggiustamento della reattività dei nuclei profondi in funzione dell'organizzazione spazio-temporale degl'impulsi che li colpiscono, e che sono così destinati, quasi in via riflessa, ad attivare in modo conseguente le proiezioni efferenti. In ultima analisi, tali proiezioni sono rivolte ai centri della motilità volontaria e a quelli del tono posturale.

Gangli della base. - Un aggiornamento anche sintetico sui meccanismi delle funzioni motorie non può oggi trascurare un cenno ai gangli della base, queste grosse strutture grigie situate in massima parte tra la faccia laterale del talamo e la corteccia. Com'è noto (cfr. App. III, 11, p. 295, fig. 37), essi sono costituiti dal corpo striato (cui appartengono il claustrum, il nucleo caudato e il putamen, e dal quale si tende a distinguere il globus pallidus, che pure anatomicamente gli appartiene ma che filogeneticamente è più antico e odologicamente ne costituisce la principale stazione di uscita) e da alcune strutture più caudali, tra cui il corpo subtalamico del Luys, la sostanza nera mesencefalica e il nucleo rosso. Sul significato funzionale dei gangli della base recenti indagini odologiche, elettrofisiologiche e neurochimiche hanno aperto prospettive nuove. Esse consentono ormai di avviarsi alla comprensione dei meccanismi dei vari disturbi della motilità che l'osservazione clinica e anatomo-patologica classica aveva da tempo riferito a lesioni di tali strutture, ma che restavano oscuri nella loro patogenesi. Riguardo all'odologia, le nozioni classiche si sono venute concretando in un quadro che dà evidenza a singolari parallelismi tra le connessioni dei gangli della base e quelle del neocervelletto (W. J. H. Nauta e W. R. Mehler, 1966; per ulteriori dati e per un'elaborazione critica cfr. J. M. Kemp e T. P. S. Powell, 1971; cfr. anche H. H. Kornhuber, 1971 e M. R. De Long, 1974). Il modo di vedere tradizionale, che in sostanza considerava i gangli della base come una struttura efferente inserita lungo la via motoria extrapiramidale e che riteneva ordinate a questa funzione le loro pur già note connessioni afferenti, deve oggi misurarsi con una concezione alternativa, secondo cui i gangli medesimi sono elementi di un servomeccanismo essenzialmente corticocorticale, rivolto in via principale alla regolazione dei neuroni piramidali (H. H. Kornhuber, 1971). Sia il corpo striato sia il neocervelletto ricevono afferenze da tutte le aree corticali, ed entrambi inviano una considerevole parte delle loro efferenze all'area prerolandica attraverso relais situati nel talamo ventrale (nuclei ventralis anterior e ventralis lateralis); come a proposito del cervelletto, anche nei gangli della base (globus pallidus e putamen: De Long e Evarts, 1971; De Long, 1971,1972) durante registrazioni unitarie in preparati cronici di scimmia sono stati osservati segni indubbi di attivazione durante lo svolgersi di movimenti volontari, talora con chiara precessione temporale rispetto all'inizio di questi ultimi. Se si prescinde dai rapporti reciproci tra il corpo striato e il mesencefalo (sostanza nera, tegmento mesencefalico), entrambe le strutture possono quindi ritenersi innestate in parallelo sulla corteccia, con effetti canalizzati verso l'area motrice. Ne consegue che per chiarire la fisiologia dei gangli della base converrà, da un lato, chiarire i meccanismi e le ragioni delle differenze tra l'espressione sintomatologica della loro deficienza (acinesia, tremore statico, rigidità, movimenti coattivi) e quella del deficit neocerebellare (dismetria, tremore dinamico, ipotonia), e dall'altro prendere in esame le eventuali differenze nelle prestazioni motorie volontarie che fisiologicamente si valgono di entambi o di uno solo dei due circuiti in parallelo sopra ricordati. H. H. Kornhuber fa rilevare, al riguardo, che l'analisi comparativa delle connessioni odologiche dell'area somatomotrice (area 4) e dell'area frontale oculogira (area 8) mostra come, a differenza della prima, quest'ultima sia prova di rapporti diretti o indiretti coi gangli della base; correlativamente, egli ritiene che non sia una coincidenza il fatto che la velocità dei movimenti volontari delle membra possa essere finemente e continuamente variata, mentre per i movimenti volontari oculari (a meno che non si effettuino per mantenere lo sguardo su un oggetto mobile; ma allora entrano in gioco altri fattori, ormai noti) tale parametro è tipicamente invariabile, come se essi fossero eseguiti secondo programmi prefissati di tipo balistico. Su questo fondamento, corroborato anche dall'analisi sintomatologica che esporremo tra breve, nonché da altri elementi che qui devono essere trascurati, Kornhuber ravvisa nei gangli della base le strutture capaci di fornire alla corteccia motrice le "rampe " toniche a pendenza variabile lungo le quali si evolvono i programmi motori trasmessi dal cervelletto, rampe che invece non sarebbero disponibili alla corteccia oculogira. Si tratta, ovviamente, di un'argomentazione inferenziale, ma in effetti negli esperimenti elettrofisiologici di derivazione cronica dianzi ricordati è risultato che l'attivazione di unità striali avviene di preferenza durante (e talora anche immediatamente prima) i movimenti lenti degli arti, e assai meno durante i movimenti rapidi (balistici).

L'ipotesi dell'esistenza di un "generatore di rampa" nei gangli della base trova sostegno anche in vari dati di carattere neuropatologico e clinico. In clinica, alcuni dei sintomi tipici sopra ricordati (e precisamente la rigidità, il tremore statico, i movimenti coattivi) sono comunemente riferiti a liberazione (release) di strutture striatali da un controllo estrinseco, mentre altri (e principalmente l'acinesia) s'interpretano meglio come sintomi da deficienza. Stando ai risultati di recenti osservazioni elettrofisiologiche intracellulari (C. D. N. Hull, N. A. Buchwald e L. N. Vernon, 1969), le unità striatali sembrano avere livelli fisiologici di polarizzazione di membrana molto elevati: è concepibile come varie maniere e misure di disinibizione nei generatori elementari di rampa possano portare a una loro disorganizzazione, e di conseguenza ai sintomi del primo gruppo. D'altra parte, un loro arresto funzionale più o meno completo potrebbe spiegare bene i sintomi acinetici: in effetti, dati sperimentali molteplici e ormai ben noti dimostrano come lesioni o blocchi farmacologici della sostanza nera mesencefalica e/o delle vie nigro-striatali (che al nucleo caudato e al putamen forniscono un considerevole supporto tonico e che, come si è già ricordato in sede di sinaptologia generale, sono caratteristicamente dopaminergiche: cfr. fig. 7) provocano nella scimmia deplezione dopaminica nel corpo striato, tremore e acinesia, reversibili mediante somministrazione di L-dopa (desossifenilalanina), il precursore diretto della dopamina che, a differenza di questa, è capace di attraversare facilmente la barriera ematoencefalica. Il modo di vedere sopra esposto, infine, risulta convalidato dal confronto tra i risultati terapeutici ottenuti, in pazienti affetti da morbo di Parkinson, mediante gli ormai numerosi interventi neurochirurgici di lesione del globus pallidus (cfr. App. III, 11, p. 255) o delle sue proiezioni efferenti (a livello dell'ansa lenticolare o del talamo), ovvero mediante somministrazione di L-dopa, un trattamento più recente, introdotto sul fondamento dei dati sperimentali dianzi citati e sul postulato che la disorganizzazione anatomofunzionale riscontrabile nel corpo striato dei parkinsoniani implichi deplezione dopaminica, secondaria a lesioni o ad alterazioni neurochimiche del sistema dopaminergico. Nei pazienti operati, si ottengono netti miglioramenti della rigidità e del tremore, ma l'acinesia non si modifica o addirittura peggiora; invece, anche l'acinesia migliora sensibilmente nei pazienti non operati e trattati con L-dopa (dati e letteratura in E. Costa, L. J. Coté e M. D. Yahr, 1966, e in G. E. Crane e R. Gardner, 1969).

Funzioni sensitive. - A questo proposito, i progressi più innovatori hanno avuto luogo in tema di organizzazione centrale delle proiezioni della sensibilità generale somatica e di quella delle proiezioni visive. L'aggiornamento s'incentrerà quindi su questi due punti (oltre alle opere di sintesi citate all'inizio, per la sensibilità uditiva cfr. V. D. Keidel e W. D. Neff, 1975; per quella olfattiva e quella gustativa, cfr. L. M. Beidler, 1971).

Sensibilità generale. - Secondo la concezione tradizionale, la capacità di riconoscimento e di localizzazione degli stimoli periferici sarebbe dipesa dall'esistenza di rigidi sistemi odologici attivabili per superamento di una soglia recettoriale specifica e tesi "punto a punto", in base a rigidi schemi anatomici, tra la periferia e la corteccia recettrice. Tale concezione, che suggerisce immediatamente il paragone con una centrale telefonica manuale, appare oggi insostenibile. I concetti di "punto a punto" e di "soglia" hanno assunto connotazioni assai più funzionali e dinamiche dopo il riconoscimento dell'esistenza di una "inibizione laterale" (o "afferente") e di un "controllo centrifugo" delle afferenze. I nuovi dati cominciarono a emergere nei tardi anni Cinquanta, ma solo nel decennio successivo ebbero compiuto approfondimento e giunsero alla sistematizzazione, in buona parte grazie ad applicazioni del metodo microfisiologico (per un'esposizione sintetica ma completa cfr. V. B. Mountcastle, 1974, pp. 285-381; per un'esposizione trattatistica generale cfr. A. Iggo, 1973). Volendo ricorrere a un'immagine, si potrebbe dire che il flusso di informazioni somestesiche è oggi paragonabile a un fiume che s'intaglia da solo il proprio letto, provvede da solo ai propri argini, e vede la propria portata mutarsi non soltanto in relazione all'intensità dello stimolo che lo ha prodotto, ma anche in relazione alla recettività dei distretti corticali e sottocorticali da raggiungere. Questa concezione, del resto, può essere estesa a gran parte delle informazioni trasmesse nel sistema nervoso, avendo i concetti sopra illustrati assunto una validità che ormai trascende il caso specifico delle vie sensoriali.

Lo studio dei campi recettivi periferici di singole unità neuronali (cioè della sede ed estensione delle aree cutanee la cui stimolazione modifica la loro attività) dislocate a livelli successivi delle vie di proiezione ha dimostrato che i campi di unità secondarie (cioè postsinaptiche) sono in genere più ampi di quelli di unità primarie (cioè collegate direttamente con le terminazioni recettoriali), il che è prova indiscutibile di convergenza. Ciò peraltro non implica necessariamente una perdita di capacità localizzatoria, poiché il "segno locale" è affidato a differenze nella frequenza e nella successione temporale degl'impulsi di volta in volta destati nelle unità reattive (pattern theory). Nella determinazione di tali differenze una parte fondamentale va riconosciuta alla presenza di campi recettivi inibitori a fianco di quelli eccitatori (fig. 13); gli stimoli periferici possono modificare la scarica dei neuroni centrali non solo aumentandola, ma anche riducendola, grazie alla presenza di interneuroni inibitori ai vari livelli delle vie di proiezione. La distribuzione topografica relativa dei campi inibitori e di quelli eccitatori è tale da costituire, in genere, una frangia d'inibizione intorno alle unità centrali di volta in volta attivate (surround inhibition, o "inibizione di contorno"), con conseguente aumento del contrasto tra il focolaio attivo e quelli in riposo (fig. 13). Va rilevato come lo studio dei campi recettivi di singole unità abbia mostrato anche nella corteccia somestesica la presenza di un'organizzazione colonnare, improntata ai principi discussi più sopra (cfr. p. 573); si deve anzi dire che, dal punto di vista storico, è stato proprio a livello della corteccia somestesica che si è riscontrato il primo esempio e si è elaborato il concetto microfisiologico (V. B. Mountcastle, 1957; per i dati citoarchitettonici cfr. M. L. Colonnier, 1966) di tale organizzazione, che ormai si tende a generalizzare a tutta la corteccia proiettiva, sia afferente che efferente.

Anche il riconoscimento delle diverse possibilità di controllo centrifugo dell'eccitabilità dei vari neuroni in cui si articola la via corticipeta, in senso sia eccitatorio sia inibitorio, si può attribuire essenzialmente allo studio analitico dei campi recettivi unitari. A livello dei nuclei gracile e cuneato questi fenomeni sono stati meglio approfonditi. Essi si provocano, in via sia pre- che postsinaptica, per stimolazione di aree specifiche sensitivo-motrici e aspecifiche della corteccia cerebrale, ovvero di strutture talamiche e/o reticolari. Strumento degli effetti ottenuti per stimolazione delle aree sensitivo-motrici sono principalmente le collaterali (F. Walberg, 1957; H. G. J. M. Kuypers, 1958; cfr. F. Magni, R. Melzack, G. Moruzzi e C. J. Smith, 1959) che il fascio piramidale invia ai nuclei anzidetti; vi concorrono peraltro altri sistemi corticifughi, che in via polisinaptica affluiscono alla formazione reticolare troncoencefalica (dati e letteratura in M. G. Cesa-Bianchi e Sotgiu, 1969, M. L. Sotgiu e Cesa-Bianchi, 1972), della quale sono ora noti i rapporti coi nuclei delle colonne dorsali. Degne di rilievo, riguardo alle influenze piramidali, sono le osservazioni (O. Ghez e G. L. Lenzi, 1971; Ghez e M. Pisa, J. D. Coulter, 1974; Pisa, 1972; altri dati e rassegna critica in J. M. Coquery, 1972) secondo le quali in preparati cronici e liberi di muoversi (gatti) l'afflusso alle aree corticali somestesiche risulta depresso durante l'esecuzione di movimenti volontari ottenuti con tecniche di condizionamento operante.

La concretizzazione sperimentale dei criteri per valutare il carattere specifico o aspecifico di un sistema proiettivo è ora possibile in termini di sede ed estensione dei campi recettivi e di modalità di risposta dei singoli elementi che costituiscono il sistema stesso. La ristrettezza e contralateralità del campo, così come l'unimodalità di risposta ("proprietà lemmiscali": V. B. Mountcastle, 1961), consentono un giudizio di specificità; la maggiore ampiezza e frequente bilateralità del campo, e la frequente plurimodalità di risposta ("proprietà extralemniscali": cfr. Mountcastle, 1961), depongono per l'aspecificità. Questo approccio ha dato modo di constatare come assai spesso nelle aree di proiezione corticali e/o nei centri sottocorticali una medesima popolazione neuronica possa mostrare reattività dell'uno o dell'altro tipo, secondo le condizioni funzionali del preparato. Il livello e il genere di narcosi impiegati sono, per es., fattori importanti. Ciò fornisce un'ulteriore conferma della validità della concezione dianzi citata, che pone l'accento sui meccanismi funzionali della canalizzazione sfumando, in un certo senso, il dato anatomo-odologico puro. Ovviamente, la neurofisiologia di oggi non nega l'esistenza di vie specifiche: a questo riguardo, va anzi segnalata la descrizione di una nuova via, la spino-cervico-talamica, che fu osservata per la prima volta nel gatto da F. Morin (1955) ma è stata ora riscontrata con sicurezza anche nel Primate e nell'Uomo. All'analisi fisiologica essa risulta composta esclusivamente da unità di tipo lemniscale, indipendentemente dal grado di narcosi e dalle condizioni funzionali del preparato, sicché andrebbe considerata come una via equivalente a quella dei cordoni dorsali. Le uniche differenze sarebbero da ravvisare nella sede del relais, che anziché nei nuclei delle colonne dorsali (gracile e cuneato) si trova nel nucleo cervicolaterale, e nell'origine delle fibre spinali ad esso destinate, che sono secondarie in quanto il loro pirenoforo si trova nel corno posteriore del midollo e non nel ganglio spinale: il sistema possiede dunque, rispetto a quello delle colonne dorsali, un neurone in più. Come per lo studio delle funzioni motorie, anche per quello delle funzioni sensitive ha avuto in questi ultimi anni grande incremento l'impiego di preparati cronici (in genere Carnivori o Primati) e il ricorso a tecniche di condizionamento operante. Il confronto sistematico tra il comportamento dell'animale col nevrasse integro e quello dell'animale portatore di lesioni centrali opportunamente localizzate ha permesso di studiare le vie elettive per il trasporto delle varie modalità sensoriali. I dati classici sono stati in parte confermati, ma in parte si sono avuti risultati contrastanti: il significato stesso dei cordoni dorsali del midollo (considerati tradizionalmente il sistema spinale specifico per il trasporto delle informazioni epicritiche estero- e propriocettive: cfr. App. III, 11, p. 252) è stato da alcuni autori posto in dubbio poiché in varie condizioni di esperimento si è visto che i deficit sensoriali conseguenti a loro lesioni croniche sono in realtà assai scarsi (cfr. peraltro, nella scimmia, D. A. Myers, G. Hostetter, G. N. Bourassa e J. H. Swett, 1974). Nella fisiologia dei sistemi sensoriali esistono certamente estese possibilità di vicarianza e di ridondanza, per cui una conclusione definitiva è su questo problema ancora prematura. Un'estesa analisi critica è stata scritta a questo riguardo da P. D. Wall (Wall, 1970).

Sensibilità nocicettiva. - Allo stesso Wall, unitamente a B. Melzack, si deve una teoria sulla percezione dolorifica (gate theory, o teoria del controllo d'ingresso: Melzack e Wall, 1965; cfr. Melzack, 1973) che ha suscitato ampio dibattito per alcune sue generalizzazioni forse eccessive, ma che pur tuttavia merita un cenno per la fecondità del suo approccio al problema; essa si fonda sull'analisi microfisiologica dei campi recettivi degli elementi neuronici del corno posteriore del midollo in corso di stimolazioni periferiche e reticolari di varia intensità. Secondo Melzack e Wall, a livello dei singoli segmenti spinali esistono, nella sostanza gelatinosa di Rolando (lamine II e III di Rexed), interneuroni inibitori che controllano presinapticamente l'accesso alle cellule d'origine del tratto spinotalamico, cioè della classica via ascendente che trasmette le sensazioni dolorifiche (fig. 15). Detti interneuroni sarebbero eccitati da collaterali delle grosse fibre esterocettive delle radici dorsali, e inibiti da collaterali delle loro fibre sottili, che costituiscono le afferenze nocicettive primarie. L'accessibilità alle cellule d'origine del fascio spinotalamico dipenderebbe pertanto dalla dinamica del bilancio tra eccitazione e inibizione in atto a livello degl'interneuroni presinaptici, che svolgerebbero quasi una funzione di cancelli d'ingresso; ogni aumento di traffico nei sistemi a grosse fibre tenderebbe a ridurre l'accessibilità stessa, mentre ogni aumento di traffico nei sistemi a fibre sottili tenderebbe ad accrescerla. Di fatto, l'esistenza di collaterali che dalle grosse fibre esterocettive delle radici dorsali si perdono nella sostanza grigia del midollo era stata ammessa fin da Cajal, e non mancano osservazioni di effetti analgesici ottenuti a seguito della stimolazione dei cordoni dorsali o anche di afferenze periferiche (agopuntura, v. in questa App.). Fuori da ogni schematismo, il nucleo vitale della teoria sta nel riconoscimento delle possibilità di governare in via afferente l'accesso alle vie dolorifiche. Siccome è noto che gl'interneuroni della sostanza gelatinosa di Rolando sono reclutabili anche in via discendente (in ispecie, per stimolazione del griseum periaquaeductalis mesencefalico: letteratura in J. C. Liebeskind, D. J. Mayer e H. Akil, 1975), essi potrebbero essere coinvolti anche nel governo centrifugo delle afferenze nocicettive, assumendo così un ruolo cardinale nella percezione del dolore. Perfino gli effetti analgesici della morfina potrebbero spiegarsi, almeno in parte, con un'elevazione della "soglia d'ingresso" in seguito all'intervento degl'interneuroni anzidetti: alcuni autori (dati e letteratura in J. J. Bonica, 1974) hanno recentemente rilevato che durante il trattamento morfinico il griseum periaquaeductalis mostra un'attivazione precoce ed elettiva.

Proiezioni visive e organizzazione delle aree visive corticali. - Quello della rappresentazione visiva centrale è indubbiamente uno dei campi della neurofisiologia in cui nell'ultimo quindicennio sono stati compiuti i maggiori progressi, al punto da ottenerne elementi utili non solo per il problema specifico, ma anche per la comprensione dei meccanismi generali dell'elaborazione corticale dei messaggi afferenti. Alla base delle nuove acquisizioni sta un affinamento tecnico rivelatosi di fondamentale importanza, vale a dire l'abbandono dei metodi di stimolazione con luce diffusa e l'impiego, al loro posto, di stimoli "figurati" di varia intensità, estensione e forma, esattamente localizzabili nelle coordinate del campo visivo (e quindi della retina), non solo statici, ma anche in movimento (J. Y. Lettvin, H. R. Maturana e V. S. McCulloch e W. H. Pitts, 1959). Ciò ha reso possibile l'esatta determinazione dei campi recettivi di singole unità neuronali localizzate nelle successive stazioni delle vie visive (v. App. III, 11, p. 251), il, loro confronto, la conseguente correlazione delle loro caratteristiche con quelle dell'organizzazione microstrutturale delle varie sedi di derivazione, nonché il rilievo di peculiari proprietà dinamiche, che necessariamente sfuggivano ai metodi di stimolazione tradizionali. Lo studio sistematicamente perseguito con le nuove tecniche da vari autori, e in particolar modo da D. H. Hubel e T. N. Wiesel dell'università di Harvard, ha fornito una messe di risultati che non può qui essere esposta nella sua interezza (per una buona sintesi, cfr. C. F. Poggio, 1974; per un'ampia esposizione trattatistica cfr. R. Jung, 1973 a e b). Ci limiteremo a ricordarne alcuni, dopo aver premesso che, come e forse più di ogni altra proiezione sensoriale, anche quella visiva ha rivelato all'analisi unitaria una grande ricchezza di connessioni afferenti inibitorie, oltre che eccitatorie.

Sono state riscontrate differenze assai nette tra le caratteristiche dei campi recettivi degli elementi retinici e genicolati, da un lato, e quelle dei campi recettivi dei neuroni visivi corticali, dall'altro. Ai primi due livelli, i campi sono in genere circolari e di piccole dimensioni, e sono contraddistinti dall'opposto segno degli effetti generati nell'unità in esame dall'illuminazione del loro centro o del loro contorno. Si hanno così unità che vengono attivate dall'illuminazione centrale del campo e inibite da quella periferica (unità on-center), e unità che si comportano nel modo opposto (unità off-center): in entrambi i casi la stimolazione più efficace è quella "statica", vale a dire, eseguita proiettando sulla retina cerchi luminosi fermi (il discorso vale per i Mammiferi; negli Anfibi esiste a livello retinico una chiara elettività per gli stimoli in movimento: cfr. J. H. Lettvin e altri, 1959). A livello corticale, le unità di solito non presentano campi recettivi circolari, ma allungati, ovvero di forma complessa, con rapporti sui generis tra zone eccitatorie e zone inibitorie; inoltre, gli stimoli più efficaci sono in molte unità quelli in movimento, e le risposte sono in qualche misura correlate con la direzione, il verso e la velocità del movimento stesso.

L'accurata analisi di D. H. Hubel e T. N. Wiesel, ormai confermata da vari autori su diverse migliaia di unità neuroniche della corteccia visiva, ha permesso di distinguere in base alle proprietà dei campi recettivi tre tipi fondamentali di unità corticali: le semplici, le complesse e le ipercomplesse (Hubel e Wiesel, 1962, 1968). Le unità di tipo semplice (fig. 16) sono influenzate in modo elettivo (con effetti eccitatori o inibitori, secondo i casi specifici) da sottili strisce luminose (o da strisce oscure che contrastano col fondo chiaro, o da semplici margini lineari di separazione tra luce e oscurità), situate in una data regione del campo visivo, e quindi della retina. Generalmente un aumento della loro larghezza abolisce la risposta, poiché la "striscia" attiva è di solito contornata da due "fianchi" (talora da uno solo: è questo il caso dei "margini") che nella stessa unità corticale generano effetti opposti, e che di conseguenza ne annullano la risposta quando vengono anch'essi illuminati. Oltre allo spessore, è critico anche l'orientamento della striscia, sicché ogni unità semplice "vede" solo le strisce disposte secondo un dato asse, che è quello che permette di escludere il contemporaneo illuminamento di porzioni antagoniste del campo recettivo; naturalmente, spesso accade che una striscia che da ferma non viene "vista" divenga subito efficace non appena sia posta in movimento. Le unità di tipo complesso, meno numerose di quelle semplici, mostrano anch'esse la cosiddetta "specificità di orientamento", ma i loro campi recettivi sono più ampi, tanto che apparentemente sembrerebbero meno specifici. In realtà lo sono maggiormente, dato che queste unità palesano un'altra proprietà, che in genere manca a quelle semplici, e cioè la "specificità direzionale": esse cioè rispondono in modo elettivo a determinati versi di spostamento dello stimolo nel campo, e solo a quelli. Le proprietà dei neuroni ipercomplessi non sono facilmente schematizzabili, ma rivelano gradi di specificità ancora maggiori. Per es., essi discriminano anche la lunghezza, e non solo la larghezza degli stimoli luminosi; e oltre alla specificità direzionale, mostrano anche elettività di risposta per determinate velocità di spostamento dello stimolo.

L'interesse maggiore dell'analisi ora schematizzata risiede non solo nell'acquisizione di questi dati in sé stessi, ma soprattutto nelle correlazioni che è stato possibile tracciare fra le sedi delle varie unità corticali saggiate e le proprietà reattive che esse dimostrano. Innanzi tutto, si è visto che i neuroni visivi corticali non sono disposti a caso, ma in modo ordinato: valgono cioè anche per la corteccia visiva i principi dell'organizzazione colonnare, che abbiamo illustrato in precedenza e che trovano anzi qui la loro massima espressione. Così, accade che tutte le unità registrate durante un'unica penetrazione microelettrodica eseguita in direzione radiale (perpendicolare alla superficie piale) mostrino le stesse caratteristiche riguardo alla specificità di orientamento, o alla specificità direzionale, siano esse semplici o complesse: evidentemente, la colonna è il modulo funzionale che raccoglie unità destinate a elaborare, grazie alle loro interconnessioni, i vari aspetti informativi che giungono da una stessa zona del campo visivo (fig. 17). Inoltre, i tre tipi sopra descritti non si ritrovano uniformemente nelle diverse aree della corteccia visiva. Le unità semplici costituiscono la grande maggioranza delle popolazioni neuroniche isolate dall'area 17 (cioè dall'area di proiezione primaria) e mancano, per converso, nelle aree 18 e 19 (cioè nelle due aree visive di significato essenzialmente associativo); queste ultime sono invece ricche di unità complesse e ipercomplesse, che sono assai scarse nell'area 17. Se si riflette sul fatto che la massima parte delle afferenze specifiche all'area 17 proviene dal corpo genicolato laterale (per altre vie corticipete, "extragenicolate", cfr. J. Sprague, G. Bertocchi e G. Rizzolatti, 1973; E. G. Jones, 1974), e che entro certi limiti le altre due aree visive possono considerarsi disposte "a cascata" dopo quella primaria, si può capire l'importanza dei tentativi di spiegare la progressiva emergenza di nuove caratteristiche dei campi recettivi e di sempre maggiori capacità discriminative riguardo agli stimoli luminosi come il frutto del lavorio eseguito dai circuiti neuronici corticali sulla "informazione grezza" di origine retinica ad essi ritrasmessa dal corpo genicolato. Di fatto, sono stati proposti vari modelli di circuiti sinaptici che, posti in serie, riescono a "costruire" alcune tra le varie proprietà emergenti nei neuroni visivi corticali (cfr. fig. 16, H); tali modelli operano partendo da caratteristiche ricettive simili a quelle dei neuroni retinici e impiegano varie combinazioni di "strumenti" relativamente semplici e ben conosciuti, come l'inibizione, l'occlusione, la convergenza, la sommazione, e così via (dati e letteratura in P. O. Bishop, 1967; O. Creutzfeldt e B. Sakmann, 1969). Non è possibile trattarne in questa sede, nemmeno in modo schematico; si deve peraltro far rilevare che si tratta di modelli controllabili (e in parte controllati) sperimentalmente, e che essi tengono conto delle ultime analisi microstrutturali della corteccia (cfr. J. Szentágothai, 1973); il loro valore euristico è pertanto di fondamentale importanza.

Sostrati neurofisiologici delle attività nervose superiori.

Ci occuperemo a questo riguardo soltanto di due specifiche linee di ricerca, i cui risultati hanno avuto grande risonanza nell'ultimo quindicennio: lo studio delle funzioni del corpo calloso e quello degli effetti comportamentali della telestimolazione di strutture nervose centrali. Per altre acquisizioni di rilievo, che concernono alcuni correlati delle funzioni mnestiche, di apprendimento e attentive e che non è possibile illustrare in questa sede, si rinvia il lettore a quanto accennato nella sezione dedicata alla sinaptologia (cfr. p. 572) e, più esaurientemente, alle trattazioni monografiche e alle raccolte (cfr. per es. J. Konorsky, 1970; K. H. Pribram, 1971; G. Adam, 1971; A. G. Karczmar e Eccles, 1972, op. cit.; S. Rose, 1973; per un'esposizione sintetica cfr. G. Werner, 1974; per un'utile esposizione divulgativa cfr. D. S. Halacy, 1975).

Trasferimento interemisferico delle informazioni sensoriali. - Gli sviluppi di un'osservazione non più recente di R. E. Myers e R. W. Sperry (1953) hanno portato, ad opera degli stessi e di altri autori, a una nuova concezione della fisiologia del corpo calloso.

L'osservazione iniziale, eseguita nel gatto, fu compiuta sfruttando una possibilità offerta dalla disposizione anatomica delle vie visive. È noto che a livello del chiasma ottico le fibre del nervo ottico soggette a incrociamento sono solo quelle che provengono dalla metà nasale della retina (su cui si forma l'immagine della metà temporale del campo visivo): quelle che provengono dalla metà temporale della retina rimangono infatti dallo stesso lato. La parzialità della decussazione fa sì che, a chiasma intatto, ciascun emisfero riceva informazioni visive da entrambi gli occhi. Invece, dopo sezione sagittale del chiasma ciascun emisfero resta collegato solo con la metà temporale della retina ipsilaterale; a livello corticale ciò comporta la completa separazione delle informazioni visive provenienti dai due occhi. Mediante opportuno condizionamento, Myers e Sperry addestrarono gatti operati di chiasmotomia sagittale a compiere una determinata scelta tra due stimoli visivi di forma diversa facendo uso di un solo occhio, l'altro essendo bendato; essi rilevarono che la scelta era conservata quando gli stimoli erano presentati all'occhio che era rimasto bendato, cioè all'occhio corrispondente all'emisfero che durante il condizionamento non era stato "addestrato". Avveniva pertanto un completo e adeguato trasferimento interemisferico dell'apprendimento visivo. Viceversa, gli autori anzidetti notarono che se, oltre al chiasma, si sezionava anche il corpo calloso (preparato "cervello diviso", o split brain), l'animale eseguiva solo scelte casuali quando gli stimoli erano proiettati sull'emisfero non addestrato: esso si comportava come se, mediante quell'emisfero, non fosse capace di riconoscere quegli stessi stimoli che erano perfettamente riconosciuti e scelti con l'altro. Dunque, il trasferimento interemisferico dell'apprendimento visivo era mediato dal corpo calloso, e a questo riguardo la sezione callosale realizzava una vera e propria indipendenza funzionale dei due emisferi; essa si spingeva fino a far sì che un animale potesse essere addestrato a compiere, tra una coppia di stimoli, una determinata scelta con un occhio e, con l'altro, la scelta opposta. Questi studi sul trasferimento (transfer) d'informazioni visive (semplici o elaborate: vedi oltre) furono facilmente confermati nella scimmia e furono presto seguiti da altre ricerche, rivolte allo studio del trasferimento di capacità connesse con altre modalità sensoriali, e in particolare di quelle somestesiche. Dopo alcuni risultati contraddittori si ammette oggi che nelle sue componenti più fini anche l'apprendimento tattile sia trasferito da un emisfero all'altro mediante il corpo calloso, mentre per quelle più grossolane interverrebbero commissure sottocorticali (dati e letteratura in E. G. Ettlinger, 1965; per le commissure intertalamiche, dati elettrofisiologici e letteratura in E. Fadiga e T. Manzoni, 1969).

Il filone di ricerca di cui abbiamo riassunto ora le fasi iniziali non solo ha indicato una solida via per la soluzione del classico problema del significato funzionale del corpo calloso, ma nel quindicennio 1960-75 si è rivelato fecondissimo di dati e d'idee anche per quanto attiene a problemi più generali di neuropsicologia. M. S. Cazzaniga, J. E. Bogen e R. W. Sperry (1965,1967) hanno studiato in modo approfondito i sintomi rilevati nell'Uomo dopo interventi di callosotomia eseguiti a scopo terapeutico in casi altrimenti intrattabili di epilessia. Com'era da attendersi, i dati della sperimentazione animale sono stati largamente confermati, e l'analisi clinica e semiologica ha dimostrato che dopo la sezione del corpo calloso "ogni emisfero sembra avere le sue separate sensazioni, le proprie percezioni, i propri concetti e i propri 'privati' impulsi ad agire" (Sperry, 1968), qualora esaminato nelle opportune condizioni. Di fatto, anche dopo la sezione callosale la sintesi nell'unità della coscienza avviene egualmente e non si manifestano disturbi evidenti della motilità o della sensibilità giacché di solito, al di fuori di situazioni sperimentali, il flusso d'informazioni che arriva all'uno e all'altro emisfero è essenzialmente analogo; la duplicazione si fa invece manifesta non appena si abbia cura di presentare ai due emisferi informazioni differenti. Ciò è facile da osservare ricorrendo con opportuni accorgimenti alla presentazione di forme visive significanti nella metà destra o sinistra del campo visivo, che dopo la callosotomia, come si è detto, sono proiettate rispettivamente solo all'emisfero sinistro o solo al destro: la separazione anatomica e funzionale degli emisferi fa emergere le conseguenze psicofisiologiche della nota "dominanza" (per recenti revisioni del concetto di dominanza emisferica cfr. B. Milner, 1971; M. Kinsbourne e W. L. Smith, 1974; G. Berlucchi, 1974) che nell'Uomo contraddistingue l'emisfero sinistro riguardo alle gnosie e alle prassie legate al linguaggio e alla scrittura. Così, questi pazienti sono incapaci di attribuire il nome (a voce o per iscritto) a un oggetto presentato nella metà sinistra del loro campo visivo, come se in questa fossero ciechi, mentre riescono facilmente nel compito se la presentazione avviene a destra. Se si tratta invece di scegliere un determinato oggetto tra molti (manovre "non verbali"), l'esecuzione è corretta indipendentemente dal lato della presentazione: la cecità era dunque solo apparente, e l'oggetto era "visto" senza che del fatto vi fosse coscienza. Risultati analoghi si ottengono nell'ambito della somestesia, quando si tratti di riconoscere oggetti nascosti alla vista maneggiandoli con l'una o l'altra mano. È chiaro che dopo la callosotomia l'emisfero destro perde la possibilità di esprimere col linguaggio le discriminazioni di cui è capace e che, private di questo mezzo espressivo, possono modificare un comportamento ma non sono percepite come tali dalla coscienza.

Questi sintetici cenni a un quadro assai complesso e difficilmente schematizzabile bastano per dare un indice delle prospettive di ricerca aperte dalla sperimentazione callosale e dalle osservazioni psicofisiologiche con essa correlate. Su questa linea sembra qui opportuno aggiungere solo alcune informazioni specifiche: a) in esperimenti psicofisiologici su soggetti sani, G. Rizzolatti, C. Umiltà e G. Berlucchi (1971) hanno dimostrato che il tempo di reazione verbale a comandi scritti presentati nell'emicampo visivo destro è di qualche msec più lungo di quanto sopra esposto, il ritardo può facilmente essere riferito al tempo necessario per la trasmissione transcallosale dell'informazione dall'emisfero destro a quello sinistro; b) studi encefalometrici recenti (N. Geschwind e W. Lewitsky, 1968; cfr. Geschwind, 1972) hanno smentito la tradizionale nozione riguardo all'assoluta simmetria anatomica dei due emisferi nell'Uomo, e hanno dimostrato che nella nostra specie alcune regioni del lobo temporale sinistro (per es. l'area di Wernicke, classicamente coinvolta in funzioni gnosiche connesse col linguaggio) sono in una considerevole percentuale di casi più sviluppate delle corrispondenti regioni di destra; c) in esperimenti elettrofisiologici di derivazione dei potenziali di singole fibre, è stata dimostrata nel gatto l'esistenza nel corpo calloso di una regione posteriore in cui avviene un trasferimento d'impulsi da una corteccia visiva all'altra durante l'illuminazione retinica (dati e letteratura in G. Berlucchi, 1972) e di una regione rostrale, in cui si compie un analogo trasferimento tra le cortecce somestesiche durante la stimolazione cutanea o propriocettiva (G. M. Innocenti, T. Manzoni e G. Spidalieri, 1974; R. Caminiti, T. Manzoni, S. Michelini e G. Spidalieri, 1976). Non è possibile, in questa sede, discutere il rilevante problema concernente la natura e il significato psicofisiologico degl'impulsi transcallosali, che secondo alcuni dati sembrerebbero trasportare informazioni sensoriali di carattere ancora primario, mentre secondo altri conterrebbero informazioni almeno in parte già elaborate nell'emisfero connesso con la periferia recettrice.

Esperimenti di telestimolazione. - I principi informatori di questi esperimenti non sono nuovi. Si tratta di studiare gli effetti comportamentali (ed eventualmente, nell'Uomo, anche psichici) della stimolazione di varie sedi e strutture encefaliche, eseguita mediante elettrodi impiantati a permanenza nel cervello di soggetti vigili e totalmente o parzialmente liberi di muoversi. I notissimi esperimenti eseguiti a partire dagli anni Trenta da W. R. Hess nel gatto (dati e letteratura in Hess, 1969), da W. Penfield a partire dagli anni Quaranta nell'Uomo, sfruttando occasioni offerte da interventi neurochirurgici (dati e letteratura in Penfield, 1958), da J. Olds durante gli anni Cinquanta nel ratto (dati e letteratura in Olds, 1962) ne costituiscono altrettanti esempi, e hanno dato luogo, tra l'altro, a fondamentali acquisizioni riguardo la fisiologia del sonno (W. R. Hess), le localizzazioni corticali sensoriali e motorie e la "esperienza interna" con esse collegata (W. Penfield), il ruolo di varie strutture archicorticali e ipotalamiche nel determinismo dei fattori motivazionali del comportamento (cfr., per es., gli esperimenti di autostimolazione dell'ipotalamo nel ratto: J. Olds). Ciò che è nuovo, e che indubbiamente in sede di aggiornamento merita cenno, è la tecnica impiegata, che ha raggiunto con gli esperimenti di telestimolazione un estremo grado di perfezionamento. Le possibilità, offerte dalla tecnologia moderna, di trasmettere e/o captare segnali mediante apparecchiature ricetrasmittenti miniaturizzate, nonché di costruire elettrostimolatori portatili assai compatti, leggeri, e azionabili a distanza per radiocomando, hanno infatti permesso di eliminare ogni cavo di collegamento tra il posto di lavoro dello sperimentatore e i soggetti, che vengono così studiati in condizioni del tutto fisiologiche e al riparo da qualunque fattore di disturbo. I massimi progressi in questo senso si devono a J. M. Delgado, dell'università di Yale, che è riuscito a sperimentare anche su colonie di animali libere nel loro ambiente abituale, tanto da portare l'indagine neurofisiologica ai limiti dell'etologia. I dati e le implicazioni più rilevanti della sua lunga sperimentazione sono riassunti e discussi in un'opera di recente tradotta (Delgado, 1973). Le strutture cerebrali la cui telestimolazione si è rivelata efficace coincidono in sostanza con quelle già identificate in precedenza, né si può dire che, sul piano concettuale, siano scaturiti dalla telestimolazione dati veramente originali. Ma i risultati ottenuti con questo metodo sono spettacolari, tanto da indurre l'autore a parlare di "controllo elettrico della volontà " e addirittura di "controllo fisico della mente". Le immagini di tori da combattimento la cui carica viene bloccata a comando, di scimmie che, a comando, accudiscono o trascurano la prole, di colonie di Primati che a seguito della telestimolazione di alcuni loro componenti si ristrutturano nelle loro gerarchie interne, sono immagini ormai note anche al grande pubblico attraverso i mezzi di comunicazione di massa, che non hanno perso occasione per estrapolarne le ipotesi più sensazionalistiche riguardo alla possibilità di condizionare con mezzi esterni la personalità e la volontà umane.

Bibl.: Per esposizioni d'insieme e compendi: J. C. Eccles, The understanding of the brain, New York 1973; G. Morin, Physiologie du système nerveux central, Parigi 19746; Medical physiology, a cura di V. B. Mountcastle, I, St. Louis 197413; G. Moruzzi, Fisiologia della vita di relazione, Torino 1975.

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Per la neurofisiologia speciale, oltre alle opere d'insieme citate all'inizio, si veda più specificamente, riguardo al sistema nervoso vegetativo e a quello periferico: M. Monnier, Functions of the nervous system, I, General physiology; automatic functions, Amsterdam-Londra-New York 1968; The Hypothalamus, a cura di W. Haymaker, E. Anderson, W. J. H. Nauta, Springfield 1969; V. I. Skok, Physiology of the automatic ganglia, Tokio-Berna-Stoccarda-Vienna 1973; The peripheral nervous system, a cura di J. I. Hubbard, New York-Londra 1974.

Per la fisiologia delle funzioni motorie, oltre alle opere d'insieme già citate all'inizio, si veda più specificamente, a livello monografico: C. G. Phillips, Changing concepts of the precentral motor area, in Brain and conscious experience, a cura di J. C. Eccles, Berlino-Heidelberg-New York 1966, pp. 389-421; A. Lundberg, Convergence of excitatory and inhibitory action on interneurones in the spinal cord, in The interneuron, a cura di M. A. B. Brazier, Berkeley-Los Angeles 1969; The basis of motor control, integrating the activity of muscles, alpha and gamma motoneurons and their leading control systems, a cura di R. Granit, Londra-New York 1970; E. V. Evarts, Central control of movement, in Neurosciences Res. Progr. Bull., IX (1971), pp. 1-170; V. B. Brooks, S. D. Stoney jr., Motor mechanisms: the role of pyramidal system in motor control, in Ann. Rev. Physiol., XXXIII (1971), pp. 337-92; Basic aspects of central vestibular mechanisms, a cura di A. Brodal, O. Pompeiano, in Progr. Brain Res., XXXVII, Amsterdam-Londra-New York 1972; C. G. Phillips, Cortical localization and sensory-motor processes at the "middle level" of Primates, in Proc. roy. Soc. Med., LXVI (1973), pp. 987-1002; H. Asanuma, Cerebral cortical control of movement, in Physiologist, XVI (1973), pp. 143-66; R. Porter, Functions of the mammalian cerebral cortex in movement, in Progr. Neurobiol., 1/1 (1973), pp. 1-52; E. Jankowska, Identification of interneurons interposed in different spinal reflex pathways, in Golgi centennial symposium: perspectives in neurobiology, a cura di M. Santini, New York 1975; G. Grillner, Locomotion in vertebrates: central mechanisms, in Physiol. Rev., LV (1975), pp. 247-304; P. G. Kostyuk, Interneuronal mechanisms of interaction between descending and afferent signals in the spinal cord, in Golgi centennial symposium, a cura di M. Santini, New York 1975, pp. 247-59.

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Per i sostrati neurofisiologici delle attività nervose superiori, si veda in generale; J. Konorsky, Integrative activity of the brain, Chicago-Londra 1970; K. H. Pribram, Languages of the brain: experimental paradoxes and principles in neuropsychology, Englewood Cliffs (N. J.) 1971; Biology of memory, a cura di G. Adam, in Symposia biologica hungarica X, Budapest 1971; Brain and human behavior, a cura di A. C. Karcmar, J. C. Eccles, Berlino-Heidelberg-New York 1972; S. Rose, Il cervello e la coscienza, Milano 1973 (trad. it. dall'originale inglese del 1970); D. S. Halacy jr., L'uomo e la memoria, ivi 1973 (trad. it. dall'originale inglese del 1970); G. Werner, Higher functions of the nervous system, in Medical physiology XX, a cura di V. B. Mountcastle, I, St. Louis 1974, pp. 575-600.

Per la fisiologia del corpo calloso e i fenomeni di trasferimento interemisferico: R. E. Myers, R. W. Sperry, Interocular transfer of a visual form discrimination habit in cats after section of the optic chiasma and corpus callosum, in Anat. Rec., CXV (1953), pp. 351-52; Functions of the corpus callosum, a cura di E. G. Ettlinger, Londra 1965; M. S. Gazzaniga, J. E. Bogen, R. W. Sperry, Observation on visual perception after disconnexion of the cerebral hemispheres in man, in Brain, LXXXVIII (1965), pp. 221-36; id., Dyspraxia following division of the cerebral commissures, in Arch. Neurol., XVI (1967), pp. 606-12; R. W. Sperry, Hemisphere deconnection and unity in conscious awareness, in Amer. J. Psychol., XXIII (1968), pp. 723-33; N. Geschwind, W. Lewitsky, Human brain: left-right asymmetries in temporal speech region, in Science, CLXI (1968), pp. 186-87; E. Fadiga, T. Manzoni, Relationships between the somatosensory thalamic relay-nuclei of the two sides, in Arch. ital. biol., CVII (1969), pp. 604-32; B. Milner, Interhemispheric, differences in the localization of psychological processes in man, in Brit. med. Bull., XXVII (1971), pp. 272-77; G. Rizzolatti, C. Umiltà, G. Berlucchi, Opposite superiorities of the right and left cerebral hemispheres in disriminative reaction time to physiognomical and alphabetical material, in Brain, XCIV (1971), pp. 431-42; N. Geschwind, language and the brain, in Scient. Amer., CCXXVI (1972), pp. 76-83; G. Berlucchi, Anatomical and physiological aspects of visual functions of corpus callosum, in Brain Res., XXXVII (1972), pp. 371-92; Hemispheric disconnection and cerebral function, a cura di W. Kinsbourne, W. L. Smith, Springfield 1974; G. Berlucchi, Cerebral dominance and interhemispheric communication in normal man, in The neurosciences. Third study program, a cura di F. O. Schmitt, F. G. Worden, Cambridge (Mass.) 1974, pp. 65-9; G. M. Innocenti, T. Manzoni, G. Spidalieri, Patterns of the somesthetic messages transferred through the corpus callosum, in Exp. Brain Res., XIX (1974), pp. 447-66; R. Caminiti, T. Manzoni, S. Michelini, P. Spitalini, Callosal transfer of impulses originating from superficial and deep nerves of the cat forelimb, in Arch. ital. biol., CXIV (1976).

Per gli esperimenti di telestimolazione: W. Penfield, The excitable cortex in conscious man, Liverpool 1958; J. Olds, Hypothalamic substrates of reward, in Physiol. Rev., XLII (1962), pp. 554-604; W. R. Hess, Hypothalamus and thalamus, Stoccarda 19692; J. M. Delgado, Genesi e libertà della mente, Torino 1973 (trad. it. dall'originale inglese del 1969).

Anatomia comparata.

Le conoscenze recentemente acquisite, relativamente alla trasmissione dello stato di eccitazione di membrana di tipo "cellula a cellula" attraverso giunzioni strette di membrana, hanno profondamente trasformato le vedute degli zoologi riguardo all'origine dei neuroni e della conduzione dello stimolo nervoso e, di conseguenza, circa la comparsa nel mondo animale di un s. nervoso. Così lo schema di Parker che voleva tale comparsa avvenuta nei Celenterati con il differenziamento di un binomio cellulare recettore-effettore, ovvero di un unico elemento mio-epiteliale autoeccitabile, deve ritenersi oggi definitivamente superato. Infatti per la conduzione di uno stato di eccitabilità, connesso a una polarizzazione elettrica della membrana, non è necessaria la specializzazione di un elemento cellulare con differenziamento morfologico verso la forma di neurone; una semplice cellula di tipo epiteliale può, infatti, trasferire il suo potenziale di azione a una cellula contigua se le loro membrane si pongono in contatto modificando lo spazio intercellulare così da annullare la resistenza elettrica che normalmente impedisce il trasferimento di tale potenziale da una cellula all'altra. Questi tipi di modificazioni dello spazio intercellulare, che prendono il nome di tight-Junction o di gap-junction a seconda delle modificazioni subite dallo spazio intercellulare, sono presenti nell'epidermide di tutte le forme animali che si collocano alla base della filogenesi dei metazoi, vale a dire Celenterati e Cnidari, e si conservano fino nei Vertebrati superiori ove si riscontrano ancora in particolari sistemi di conduzione non nervosa dell'eccitazione, quale, per es., il sistema specifico del miocardio. Questo tipo di giunzione sinaptica, a trasmissione puramente elettrica, si trova comunque abbondantemente rappresentata, assieme a giunzioni di tipo a trasmettitore umorale, nel s. n. di tutti gli animali e i due meccanismi di trasmissione dello stato di eccitazione possono coesistere nelle stesse forme animali, negli stessi centri nervosi e persino nello stesso terminale sinaptico. Per le sinapsi v. sopra, la sezione Fisiologia generale del neurone: Sinapsi.

Sembrerebbe, dunque, che l'origine di un s. n., inteso come sistema per il trasporto a distanza di un'informazione sotto forma di stato di polarizzazione elettrica di membrana, sia da ritenersi una specializzazione di elementi epiteliali uniti in giunzioni strette. Solo successivamente, per una più rapida conduzione dello stato di eccitazione, gli elementi epiteliali avrebbero trasformato la loro forma cellulare con la produzione di prolungamenti assonici. Anche la comparsa di un trasmettitore chimico alla sinapsi e la formazione di giunzioni funzionalmente unidirezionali deve ritenersi realizzata successivamente nel corso della filogenesi. A. Horridge ha recentemente formulato un complesso schema per illustrare l'origine e l'evoluzione dell'elemento nervoso, schema che è riportato nella fig. 18. Secondo questo schema, il primitivo sistema di conduzione cellula a cellula si sarebbe complicato per la presenza sia di recettori specializzati che di effettori adeguati e, successivamente, con l'interposizione di pace-makers capaci sia di scandire una situazione di eccitazione autonoma, sia di regolare lo stato di eccitazione generato dai recettori.

D'altro canto la trasmissione puramente elettrica, quale quella che si realizza attraverso gap-junctions, offre il vantaggio di non subire alcun ritardo sinaptico e pertanto la conduzione dell'eccitamento effettuato da una serie di neuroni legati con tali sistemi giunzionali è estremamente rapida. Questa circostanza rende oggi ragione della rapidità di conduzione nervosa osservata in forme animali molto primitive, per spiegare la quale era stata un tempo supposta la presenza di un'ipotetica "rete nervosa diffusa" (Neuroencytium di Held) che contrappose i neurologi in un'inutile disputa, protrattasi fino agli anni precedenti l'ultima guerra.

La trasmissione sinaptica con mediazione umorale comporta, nel passaggio dello stato di eccitazione da un neurone all'altro, un certo ritardo, tuttavia questo tipo di trasmissione nervosa offre il notevole vantaggio di una trasmissione dell'informazione polarizzata e unidirezionale. Pertanto le sinapsi umorali simmetriche, vale a dire con possibilità di rilascio del mediatore nei due sensi, descritte recentemente in animali primitivi, sia Protostomi che Deuterostomi, restano di enigmatica interpretazione. Tutto lascia pensare, però, che si debba trattare di qualche particolare adattamento funzionale e non di una struttura primitiva che abbia preceduto, nel corso della filogenesi, la realizzazione della sinapsi funzionalmente unidirezionale e morfologicamente asimmetrica.

Se si eccettuano, dunque, queste precisazioni, motivate da una migliore conoscenza dei meccanismi di trasmissione sinaptica, il progresso delle conoscenze zoologiche in tema di organizzazione di strutture nervose in animali non-Vertebrati, non ha apportato dati tali da modificare sostanzialmente quanto fu espresso nella breve rassegna introduttiva della voce nervoso, sistema (XXIV, pp. 609-610). Non può essere però taciuta l'individuazione, avvenuta negli ultimi decenni, di sistemi neurosecretori in quasi tutti i phyla di Invertebrati e nei Vertebrati.

Centri neurosecretori. - Già è stato detto della capacità dei neuroni di produrre un trasmettitore, o mediatore chimico, e di rilasciarlo nel luogo di terminazione dei suoi assoni, ma in taluni neuroni esiste un processo secretorio diverso. Vi sono infatti ben precisi centri nervosi ove le cellule producono particolari sostanze, che convogliate attraverso il flusso assoplasmatico, vengono versate in sinusoidi sanguigni; il riversarsi fuori dell'assolemma di tali sostanze non ha, dunque, il significato di produrre un potenziale postsinaptico, come avviene per il rilascio del mediatore chimico, bensì quello di raggiungere, attraverso il circolo sanguigno, un organo bersaglio situato generalmente a grande distanza, esattamente come avviene per gli ormoni prodotti dalle ghiandole endocrine. Per questa analogia tali centri nervosi sono anche detti neuroendocrini e i loro prodotti di secrezione neurormoni.

Centri neurosecretori negl'Invertebrati furono dapprima descritti in Insetti e Crostacei, connessi con la regolazione dei complicati cicli di accrescimento, muta e metamorfosi; furono successivamente riconosciuti in Platelminti, Molluschi, Anellidi e via via nei più diversi phyla animali, così che oggi si deve convenire che la produzione di neurormoni sia da considerarsi fenomeno tanto generale quanto antico nella filogenesi. Secondo qualche studioso la funzione neuroendocrina avrebbe addirittura preceduto nella filogenesi la capacità di sintesi e di rilascio del neurotrasmettitore sinaptico, funzione questa che sarebbe derivata come specializzazione di una più generale attività neurosecretoria. D'altra parte i meccanismi di coordinazione e regolazione che fanno di un metazoo un'unità biologica integrata, diversa dalla somma delle unità cellulari che lo costituiscono, sono essenzialmente quella nervosa e quella endocrina; non deve dunque meravigliare se tali dispositivi biologici siano tra loro strettamente correlati, non solo nelle forme animali più primitive, ma nelle organizzazioni più evolute quali quelle degl'Insetti e dei Vertebrati. In questi ultimi, infatti, sono ben noti sia la dipendenza dai centri neurosecretori diencefalici della parte nervosa dell'ipofisi, sia i rapporti stretti di quest'ultima con l'adeno pofisi la quale, a sua volta, pilota l'intero sistema endocrino.

Analisi comparativa del sistema nervoso su base evoluzionistica.- L'anatomia e la fisiologia comparate del s. n. dei Vertebrati meritano però un esame più approfondito di quanto è stato fatto per gl'Invertebrati. In realtà con la dizione "anatomia comparata" si suole spesso limitare il discorso alle strutture anatomiche dei Vertebrati e fare oggetto della comparazione l'organizzazione anatomica dell'Uomo, escludendo così il più complesso discorso sulle forme animali non-vertebrate. Per quanto riguarda il s. n. l'utilità pratica di una tale limitazione diviene evidente se si considera che l'informazione desunta da studi condotti su Vertebrati inferiori può fornire dati importanti sulla natura e la funzione di particolari centri nervosi dell'Uomo. Un altro punto interessante dell'analisi comparativa delle strutture nervose dei Vertebrati risiede nella possibilità di ricostruzione filetica di tali strutture nella storia evolutiva del sub-phylum. In questa ottica evoluzionistica, interessanti deduzioni emergono anche dal confronto dell'organizzazione generale del s. n. dei Vertebrati con quello degl'Invertebrati, poiché essi appaiono costruiti su modelli profondamente differenti, quasi che la realizzazione del s. n. nelle due linee filetiche, dei Protostomi e dei Deteurostomi, sia completamente indipendente, contraddicendo così un'unitarietà e una logicità del disegno filetico generale del mondo animale.

Il s. n. dei Protostomi è, infatti, costituito essenzialmente da connettivi nervosi che possono centralizzare in masse gangliari compatte, metameriche, disposte ventralmente al canale alimentare e che nel loro insieme formano il cosiddetto orthogon. Nei Vertebrati, al contrario, il s. n. è collocato dorsalmente al tubo intestinale ed è costituito da un asse originariamente cilindrico e interamente percorso da un sistema di cavità ventricolari ependimali detto neurasse. Tuttavia nelle forme che si pongono alla base della filogenesi dei Deuterostomi, gli Enteropneusti, l'orthogon coesiste con un nuovo breve s. n. dorsale, in talune specie rappresentato da una gronda epiteliale, in altre da un corto tubo aperto alle due estremità, situato nella regione del collare. Quanto questo midollo collare degli Enteropneusti sia omologo al neurasse dei vertebrati è ancora discusso: certo è che nell'embriogenesi dei vertebrati, l'origine del tubo nervoso a partire da una gronda epiteliale dorsale (doccia neurale) che, dopo la sua chiusura in tubo, rimane a lungo aperta all'esterno per mezzo di un "neuroporo", fornisce argomenti a favore di tale omologia. Anche le caratteristiche morfologiche dei neuroni di questo corto neurasse degli Enteropneusti preludono a quelle che saranno proprie del s. n. dei Vertebrati. Vi si osservano, infatti, neuroni monopolari e multipolari e, ciò che risulta sorprendente, un ben determinato numero di cellule giganti (da 12 a oltre 100, a seconda delle specie) disposte a coppie simmetriche, i cui assoni si decussano sulla linea mediana per poi impegnarsi nel cordone dorsale dell'orthogon. Questi neuroni giganti a neurite decussato ricordano da vicino, per forma, per disposizione e per comportamento dei prolungamenti, le cellule colossali di Rhode del neurasse dell'anfiosso (il gruppo anteriore consta di 10 elementi disposti in coppie in metameri alterni) o le cellule di Müller del midollo allungato dei Ciclostomi (10 coppie) e anche la coppia di neuroni giganti di Mauthner che caratterizza il rombencefalo dei Pesci ossei e degli Anfibi allo stato larvale. La presenza di questi elementi giganti farebbe supporre che già nel breve midollo collare degli Enteropneusti si realizzi un sistema di coordinazione motoria costruito su di uno schema strutturale da cui deriverà il sistema del tegmento rombencefalico dei Vertebrati. D'altro canto la decussazione che si osserva da parte di queste fibre giganti degli Enteropneusti corrisponde alla decussazione dei sistemi tegmentali dei Vertebrati che hanno come effetto l'integrazione funzionale delle attività motorie delle sue metà antimeriche. Il s. n. dell'anfiosso (Cefalocordati) è già in nuce quello dei vertebrati: la sua struttura è uniforme, da un estremo all'altro dell'animale, come un midollo spinale dal quale prendono origine alternativamente nervi dorsali sensitivi e ventrali motori; anche l'organizzazione citoarchitettonica ricorda quella del midollo spinale dei Vertebrati, con aree dorsali a funzione sensitiva e aree ventrali motorie. Resta però peculiare dei vertebrati la distinzione del neurasse in una porzione più anteriore dilatata in un "encefalo" cui segue posteriormente il "midollo spinale". La dilatazione del tubo neurale nella sua parte più anteriore è senza dubbio in rapporto con il fatto che la notocorda non raggiunge l'estremo rostrale dell'animale, come avviene invece nei Cefalocordati, tuttavia non se ne può sostenere un rapporto di causalità diretta nel senso che l'arresto della morfogenesi della corda dorsale provochi la dilatazione del tratto anteriore del tubo neurale che lo sovrasta. Con probabilità è vero il contrario, cioè che la dilatazione della porzione anteriore del neurasse, causata da una cefalizzazione degli organi di senso, fornisca un ostacolo all'estendersi della notocorda nell'estremo rostrale. Rimane il fatto certo che la presenza della corda dorsale segna la demarcazione tra due zone del neurasse, una precordale o "acrencefalo", e una che sovrasta la corda o "deuterencefalo". Il successivo sviluppo morfogenetico di queste parti darà luogo a quello stadio caratteristico di tutti gli embrioni dei Vertebrati, nel quale si distinguono cinque vescicole encefaliche - telencefalo, diencefalo, mesencefalo, metencefalo e mielencefalo - seguito dal midollo spinale (fig. 19). Il differente sviluppo delle varie vescicole, in rapporto a condizioni evolutive adattative, genera quella diversità di organizzazione neurale che fornisce l'oggetto proprio della ricerca anatomo-comparativa. Entrare nei particolari di tali differenti formazioni anatomiche diviene impossibile in questa sede; ci si dovrà dunque limitare a esporre solo qualche esempio che, della problematica e dei risultati della ricerca neurologica comparativa, risulti emblematico.

Telencefalo. - Il telencefalo, la porzione originata dalla vescicola encefalica più rostrale, è l'unica parte del neurasse che si bilateralizza, vale a dire che dà luogo alla formazione di due strutture laterali e simmetriche. Tale bilateralizzazione sembrerebbe dovuta alla duplicità degli organi olfattori con i quali i centri telencefalici sono in rapporto in tutti i Vertebrati. Tuttavia le modalità della bilateralizzazione non sono le stesse nel corso della filogenesi, anzi tale processo è caratterizzato da una precisa dicotomia filogenetica che Ariens Kappers già pose in evidenza all'inizio del secolo e che indicò coi nomi di "inversione" ed "eversione" delle pareti telencefaliche (fig. 20). In un modello teorico, desunto con qualche approssimazione dall'encefalo dei Pesci cartilaginei, la formazione telencefalica non sarebbe ancora bilateralizzata, bensì costituita da una massa nervosa ventrale, o corpi della base, ricoperti da un'area dorsale, o palliale. Nella linea segnata dall'eversione, i lembi palliali avrebbero lasciato la loro primitiva posizione dorsale per ribaltarsi verso l'esterno, così da portarsi lateralmente ai corpi della base. Tra le due pareti palliali, così evertite, resta una formazione coroidea che costituisce il tetto del ventricolo telencefalico; gli emisferi risultano infatti, in questa linea filetica, massicci e non cavitati come si troverà nella linea evolutiva alternativa, individuata dal processo d'inversione. Questa inversione è realizzata dall'incontro delle lamine mediane, palliali e basali, così da venire a costituire due entità bilaterali, ciascuna delle quali costituita da un'area dorsale, palliale, e da una ventrale, basale.

Il telencefalo di tipo evertito si viene a realizzare nella linea filetica che segna l'adattamento alla vita acquatica dei vertebrati; esso è appena accennato nei Pesci cartilaginei della sottoclasse Holocephali, ma assume una ben precisa configurazione, anche se con caratteri diversi, nei Brachiopterigi (Polypterini) e negli Attinopterigi. L'inversione delle pareti telencefaliche sembra invece caratterizzare la radiazione che porterà alla colonizzazione delle terre emerse; un encefalo invertito si trova già in Dipnoi, soprattutto nei Lepidosireniformi, e nell'unico crossopterigio vivente, Latimeria chalumnae, le pareti telencefaliche tendono all'inversione, con una modalità che è loro peculiare e che somiglia vagamente alla situazione riconoscibile nei Dipnoi Neoceratodiformi. È però solo negli Anfibi e nei Dipnoi Lepidosireniformi che l'inversione delle pareti telencefaliche si completa con la netta bilateralizzazione di due emisferi cavi per la presenza, in ciascuno di essi, di un ventricolo laterale. Tanto nei Dipnoi quanto negli Anfibi l'emisfero telencefalico risulta distinto, per la presenza di solchi ventricolari ben netti, in quattro quadranti, due dorsali palliali, rispettivamente il paleopallio lateralmente e l'archipallio medialmente, e due ventrali basali, lo striato laterale e il septum mediale. L'ulteriore complicazione che porterà gli emisferi telencefalici ad acquisire la morfologia ben nota all'anatomia umana è connessa con la comparsa di una nuova struttura palliale che s'inserisce tra paleopallio e archipallio. Queste due aree telencefaliche sono sostanzialmente centri di natura olfattoria, ma già nei Rettili tra le due formazioni s'incunea una superpositio dorsalis, area non olfattoria, bensì luogo di proiezione di fibre di origine talamica (fascio talamo-frontale) con significato di sensibilità generale, che assume pertanto il valore di primordio della neocorteccia. Nel corso della filogenesi mammaliana si verifica un progressivo, imponente sviluppo della parte neocorticale che plasma profondamente la morfologia generale dell'emisfero telencefalico. Infatti la massa delle fibre commissurali neocorticali, che nel loro insieme costituiscono il corpo calloso, schiacciano, atrofizzandolo nella posizione dorsale, l'archipallio che si divide così in due monconi, uno anteriore che regredisce, e uno posteriore ben sviluppato che costituisce la formazione ammonica o ippocampo caudale. Anche le fibre commissurali archipalliali, commissura d'ippocampo, risentono profondamente dell'ipersviluppo neocorticale e sono costrette a complicati percorsi che nel loro insieme formano il complesso sistema del fornice. Anche le stesse aree paleopalliali e basali sono profondamente modificate, nella loro forma e rispetto alla loro primitiva posizione, dall'esuberante presenza delle formazioni neocorticali; le parti paleopalliali infatti slittano dalla loro originaria posizione dorsale a quella ventrale, mentre le formazioni basali, soprattutto gli striati, vengono a essere relegati all'interno della massa grigia dell'emisfero.

Occhi parietali. - Il caso del telencefalo rappresenta un bell'esempio in cui solo un'analisi comparativa su basi filetiche riesce a rendere ragione di complicate strutture nervose che, così come si presentano allo studio dell'anatomico umano, non riescono ad avere una spiegazione logica. Un altro bell'esempio di analisi anatomocomparativa riguarda il problema degli "occhi parietali" della volta del diencefalo.

L'epitalamo dei vertebrati, infatti, è costituito tra l'altro da una serie di formazioni coroidee tra le quali alcune si differenziano in strutture che assumono il significato di organi fotorecettori. Esse sono nello schema primitivo due, distinte come organo parietale anteriore e posteriore, ma che assumono di volta in volta, a seconda delle classi di vertebrati, nomi differenti, talora senza rispetto delle omologie, quali organo pineale, parapineale, epifisi, ecc. Nei diversi vertebrati, infatti, queste strutture dell'epitalamo dànno luogo, ora l'una ora l'altra ora entrambe, a seconda delle classi, a organi particolari, di forma vescicolare, in qualche caso molto simili a occhi, comunque sempre muniti di cellule fotorecettrici i cui pezzi esterni (coni), più o meno perfettamente configurati, sporgono nel lume vescicolare. Questi occhi parietali non sono capaci, però, di una funzione visiva in alcuna classe di vertebrati (fig. 21), ma si devono piuttosto ritenere dei fotorecettori, o dei termorecettori, la cui funzione è quella di sincronizzare, con gli eventi climatici esterni, l'orologio biologico interno, scandito dall'alternarsi delle stagioni. In questa visione filetica s'inserisce bene il fenomeno di una progressiva trasformazione dell'occhio parietale in un organo endocrino: l'epifisi. Negli Uccelli, infatti, questa ghiandola regola il ciclo sessuale annuale e si possono osservare, frammiste al parenchima ghiandolare secretorio, cellule fotorecettrici, i cui pezzi esterni sporgono nell'interno del lume della ghiandola.

Cervelletto. - Il confronto tra le differenti organizzazioni strutturali che il cervelletto assume nelle varie classi, infine, pone in evidenza un altro carattere proprio degli studi anatomo-comparativi, vale a dire quello della valutazione di come e quanto diverse necessità funzionali, imposte dall'adattamento a condizioni di vita differenti, influiscano nel plasmare la forma, le dimensioni e i rapporti neurologici di un determinato centro nervoso in questa o in quella classe di Vertebrati, ovvero, operando il confronto in un ambito sistematico più omogeneo, in questa o in quella specie che abbia subito particolari adattamenti ambientali.

Il cervelletto, in tutti i vertebrati, è il centro della coordinazione motoria e dell'integrazione di ogni informazione di natura propriocettiva, statica e tonica; di conseguenza la sua organizzazione e il suo sviluppo risentiranno, da un lato, della maggiore o minore quantità d'informazione propriocettiva proveniente dagli organi di senso statico (orecchio vestibolare e simili) o dai sensori propriocettivi generali (fusi neuromuscolari, organi muscolotendinei, ecc.) e, dall'altro, della differente attività motoria e del diverso modo di locomozione attuato (nuoto, reptazione, volo, corsa e così via). Nei vertebrati primitivamente acquatici, Pesci cartilaginei e ossei, il sistema propriocettivo principale, e caratterizzante, è quello della linea laterale, dal quale si proiettano al cervelletto numerose fibre, sia dirette, sia mediate attraverso i nuclei dell'area laterale del rombencefalo. Anche l'attività motoria, attuata con un continuo battito della regione caudale, è imponente e regolata in modo preciso; il cervelletto, di conseguenza, sarà generalmente molto sviluppato e nei Pesci ossei si arricchisce di una parte nuova, la valvula cerebelli, che s'introflette all'interno del ventricolo mesencefalico. Tuttavia nell'ambito dei Pesci ossei si assiste a una considerevole variabilità dimensionale, e di organizzazione citoarchitettonica, nelle diverse famiglie, e talora anche tra specie della stessa famiglia, in rapporto a differenti atteggiamenti locomotori, ovvero al perfezionarsi di particolari sistemi propriocettivi. Per es. in alcuni Pesci ossei (Mormiridi e simili), nei quali esiste la possibilità di elettrolocalizzazione di ostacoli e di prede, informazioni queste che, attraverso i nervi della linea laterale, giungono al cervelletto, lo sviluppo di tale centro nervoso è imponente, raggiungendo dimensioni pari a oltre il doppio del volume delle restanti formazioni encefaliche.

Con l'abbandono delle acque per la colonizzazione delle terre emerse, i Vertebrati perdono la linea laterale e il cervelletto appare come una piccola struttura lamellare, che ricopre solo in parte la fossa romboidale, in Dipnoi, Anfibi e Rettili. È interessante notare che in questi ultimi si osserva un progressivo sviluppo del cervelletto in rapporto al perfezionamento della deambulazione tetrapoda, conseguenza dell'aumentata afferenza propriocettiva generale proveniente dai fusi neuromuscolari degli arti; infatti il cervelletto è estremamente ridotto in serpenti e in sauri apodi, poco sviluppato in lucertole, ma già di una discreta dimensione in camaleonti e tartarughe. Con l'adattamento al volo, è ovvio che tutta una serie di problemi propriocettivi e di coordinazione motoria si pongono agli Uccelli, e non meraviglia quindi l'enorme sviluppo del loro cervelletto; un vistoso accrescimento in superficie della sua parte corticale provoca, infatti, una ripiegatura ripetuta di essa, così che il cervelletto viene a essere suddiviso in lobi e folia, carattere questo che ritroveremo anche nei Mammiferi. In questi, però, la funzione di coordinazione motoria viene complicata dalla presenza di vie motorie volontarie - vie piramidali -, che originano dalla neocorteccia telencefalica, e che devono essere coordinate con tutte le attività motorie involontarie - vie extrapiramidali - e riflesse. Infatti, mediate attraverso i nuclei del ponte di Varolio, giungono al cervelletto informazioni relative ai movimenti volontari, fatto questo che condiziona un ulteriore ampliamento dell'organo che, oltre alla parte mediana, già presente negli Uccelli, acquista due masse laterali o "emisferi cerebellari".

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Fisiopatologia e Clinica.

Presupposti fisiologici del linguaggio. - Gli studi intesi a chiarire le possibili correlazioni tra la funzione del linguaggio e quelle di determinate strutture cerebrali, corticali o sottocorticali, hanno portato ad acquisizioni che modificano le concezioni e gli schemi già ritenuti classici, legati soprattutto ai nomi di P. Broca (VII, p. 906), di K. Wernicke (XXXV, p. 716), di P. Marie (XXII, p. 320) e la stessa dottrina delle afasie (I, p. 676). Oggi il concetto di localizzazione non è più riferito a un'area "assoluta" del linguaggio ma è inteso in senso statistico e riferito a regioni che sono coinvolte frequentemente nei disturbi di questa funzione, a differenza di altre che non lo sono mai: esemplificando, si ritiene che le lesioni dei labbri della scissura di Rolando di sinistra o delle circonvoluzioni poste anteriormente ad essa interferiscano con la produzione della parola (afasia motoria), mentre la comprensione del linguaggio (afasia sensoriale) è alterata in caso di lesioni del lobo parietale sinistro e delle prime porzioni rostrali del lobo temporale (centro di Wernicke); mancano prove sicure che l'area di Broca sia in rapporto con la parola più specificamente delle aree ad essa adiacenti. Altri dati portano a supporre con sufficiente attendibilità che il linguaggio non rappresenti una funzione esclusivamente corticale, ma che ad esso partecipino anche varie strutture sottocorticali connesse con la corteccia e fra di loro talora in via indiretta.

Secondo W. Penfield le aree corticali per la parola (area di Broca, di Wernicke, labbri della scissura di Rolando) sarebbero coordinate dal talamo, grazie a connessioni di ciascuna di esse col detto organo, ovviamente senza che l'interruzione di queste connessioni debba costituire una condizione necessaria a tutti i disturbi irreversibili del linguaggio. L'intervento di strutture sottocorticali è giustificato anche dai seguenti altri dati: lesioni chirurgiche del diencefalo producono disturbi del linguaggio simili alle afasie motorie; una forma pura di gergoafasia è stata osservata per sezioni del talamo o del globo pallido; disturbi degli aspetti motori della parola si sono avuti per stimolazioni o per lesioni del nucleo ventro-laterale del talamo; l'insorgenza di una disartria (mancanza di controllo e di coordinazione dei muscoli della fonazione) per lesione della sostanza grigia che circonda l'acquedotto di Silvio.

Su quelle già definite classiche, queste concezioni hanno il vantaggio di meglio armonizzare con il carattere altamente integrato del s. n. centrale e di meglio cogliere l'importanza che nel linguaggio ha l'ordinamento temporale, che predomina nettamente sugli aspetti puramente spaziali. Questo dato è particolarmente importante perché quasi tutti i disturbi del linguaggio e della parola presentano come denominatore comune disturbi dell'ordinamento temporale: le eccezioni a questa regola sono costituite da disturbi dovuti a paralisi o a lesioni muscolari neurogene.

L'alterazione della regolazione temporale è facilmente evidenziabile nelle afasie, che presentano alterazioni dell'ordine, della frequenza e del ritmo, e nei mancati coordinamenti, quando diversi organi dell'articolazione fonetica non interagiscono al momento dovuto. Gli stessi sintomi afasici più caratteristici si possono riguardare come alterazione di fenomeni temporali. Nelle parafasie invece non sono i muscoli o gli organi articolatori del linguaggio che presentano alterazioni della successione temporale, ma le unità superiori dei suoni delle intere parole, che dànno origine a gergoafasie, caratterizzate da un linguaggio fatto di frasi strane e nel quale ricorrono parole di uso comune, o parti piuttosto cospicue di frasi, che dànno origine ad agrammatismi: le frasi vengono disgregate nel loro ordine sintattico e ricostruite in modo caotico.

Particolare sviluppo hanno avuto anche gli studi relativi al problema della "dominanza" emisferica (lateralizzazione, o meglio, lateralità della funzione), cioè dell'importanza specifica di un emisfero - nel caso in questione l'emisfero sinistro - nella funzione del linguaggio: se esista una correlazione tra lateralizzazione del linguaggio e altre condizioni soggette a dominanza emisferica (per es., con lo spostamento della dominanza all'emisfero destro nei mancini) e se l'emisfero controlaterale abbia anch'esso un ruolo in particolari aspetti della funzione. In quest'ordine di ricerche si collocano i lavori di G. von Bonin (1962) comprovanti che all'asimmetria di funzione corrisponde un'asimmetria nella struttura del cervello evidenziabile solo statisticamente; l'osservazione che la lateralizzazione non è presente alla nascita ma si realizza con la "maturazione" del s. n. centrale; che il corpo calloso non ha parte nell'apprendimento del linguaggio né nella lateralizzazione, dato che nei casi di agenesia del corpo calloso non sono scaturiti elementi significativi in proposito; le conclusioni di A. A. Critchley secondo cui le lesioni dell'emisfero destro comportano diversi deficit, quali difficoltà nell'articolazione, compromissione delle capacità creative letterarie, difficoltà nel trovare le parole e nell'apprendere nuovi materiali linguistici; un diffuso abbassamento dell'efficienza intellettuale per quanto riguarda gli aspetti verbali. All'emisfero destro spetterebbero quindi le funzioni generali non verbali della percezione e della conoscenza, dato che nelle lesioni di questo emisfero si osserva una compromissione di queste funzioni maggiore che in quelle dell'emisfero sinistro.

Nuovi mezzi d'indagine clinica. - La diagnostica neurologica, grazie allo sviluppo di questi ultimi anni della biochimica, della fisica e della biofisica, si è arricchita di nuovi e particolarmente precisi metodi d'indagine.

Metodi biochimici. - Comprendono tecniche che trovano applicazione in quel vasto gruppo di malattie del sistema nervoso, in maggioranza a carattere ereditario (v. genetica: Genetica umana, in questa App.) che sono dette dismetaboliche perché la loro patogenesi è riferita a un errore insito in una o più tappe del metabolismo dei glicidi, oppure dei protidi o dei lipidi (v. metabolismo: Malattie congenite del metabolismo, in questa App.). La diagnostica biochimica è tesa all'individuazione del difetto metabolico causa della malattia, per esempio la mancanza degli enzimi: aldolasi-fruttosio-l-fosfato, che blocca la produzione del glucosio dal glicogeno epatico, nella fruttosuria; galattosio-l-fosfato-uridiltransferasi che comporta l'accumulo di galattosio-l-fosfato, con danni cellulari di vari tessuti, talora mortali, nella galattosemia; L-fenilalanina-idrossilasi, con blocco della trasformazione della fenilalanina in tirosina, nella fenilchetonuria (v. oligofrenia, in App. III, 11, p. 300); della sfingomielinasi, con conseguente accumulo di sfingomielina in vari tessuti nella malattia di Niemann Pick. La sistematica esecuzione di questi test biochimici alla nascita, che sarebbe auspicabile fosse resa obbligatoria da apposita legge, rivelando l'indicazione all'istituzione dell'opportuno trattamento terapeutico, potrebbe determinare la guarigione completa di molti casi di queste malattie.

Metodi fisici. - Appartengono a questo gruppo i metodi strumentali per la diagnosi selettiva di alcune malattie neurologiche: l'elettromiografia, l'ecoencefalografia, la scintigrafia cerebrale, la stereoelettroencefalografia.

1) L'elettromiografia è impiegata nella diagnosi di malattie che colpiscono l'apparato neuromuscolare. Essa si avvale della registrazione su di un oscilloscopio a raggi catodici dei potenziali d'azione delle unità motorie durante la contrazione muscolare. Con C. S. Sherrington s'intende per "unità motoria" l'insieme di una cellula nervosa di moto, del suo assone e delle fibre muscolari da esso innervate; ogni muscolo contiene numerose unità motorie.

La registrazione dei potenziali d'azione può effettuarsi o mediante elettrodi superficiali (simili a quelli impiegati per l'elettroencefalografia) applicati sulla pelle in corrispondenza del muscolo da esaminare, oppure con elettrodi concentrici ad ago (simili ai comuni aghi per iniezioni) che vengono infissi nel ventre muscolare. Il primo metodo consente di svelare la presenza o l'assenza di attività elettrica nel muscolo esaminato (elettromiogramma globale), mentre il secondo consente di analizzare i potenziali d'azione da una singola o da pochissime unità motorie (elettromiogramma elementare). I potenziali derivati dagli elettrodi sono amplificati e riportati sullo schermo di un oscilloscopio, dove possono essere fotografati. La forma dei potenziali d'azione derivabile dagli elettrodi ad ago può essere monofasica, difasica o polifasica ed è correlata all'attività sincrona delle unità motorie più prossime all'ago. Nel muscolo a riposo di soggetti sani non si registrano potenziali di azione. Per registrare questi ultimi è necessario far contrarre il muscolo volontariamente o in via riflessa. In condizioni normali i potenziali d'azione sono di breve durata e hanno una frequenza variabile da 5 a 70 potenziali al secondo, proporzionalmente al grado della contrazione e al numero di unità motorie attivate. L'attivazione delle unità motorie avviene con il meccanismo del reclutamento temporale (con aumento della frequenza di scarica della singola unità motoria) e con il meccanismo del reclutamento spaziale (più unità motorie vengono attivate contemporaneamente). Per contrazioni muscolari energiche e sostenute si ottengono tracciati con potenziali d'azione molto fitti e ravvicinati che assumono un andamento sinusoidale (onde di Piper).

Nelle malattie con danno del motoneurone periferico o del muscolo si assiste a una modificazione nell'ampiezza, durata e frequenza dei potenziali d'azione. Nelle atrofie spinali o neurali si osserva un aumento di durata e di ampiezza del potenziale d'azione; nelle atrofie muscolari neurogene si osserva nel muscolo a riposo la presenza di attività elettrica con comparsa di potenziali bifasici spontanei di brevissima durata: 1-2 msec., sono i cosiddetti "potenziali di fibrillazione", mai riscontrabili nel muscolo sano a riposo. Molte altre malattie muscolari presentano dei quadri elettromiografici caratteristici - così nella miastenia grave si osserva una progressiva e rapida diminuzione di ampiezza dei potenziali d'azione durante la contrazione volontaria sostenuta fino all'appiattirsi del tracciato, ecc. - la descrizione, seppure sommaria, dei quali esula dai fini di questa breve rassegna (fig. 22, 23, 24). Infine, recentemente, ha suscitato notevole interesse lo studio elettromiografico dell'attività muscolare evocata con appropriata stimolazione elettrica del nervo. Questa metodica consente di studiare quei parametri che hanno molta importanza in neurologia (velocità di conduzione del nervo; morfologia, ampiezza e tempi di latenza dei riflessi, ecc.) e la cui interpretazione conduce a una corretta diagnosi delle malattie che interessano l'apparato neuromuscolare.

2) L'ecoencefalografia (EcoEG) è una recente tecnica di diagnosi consistente nella registrazione dell'eco prodotta da ultrasuoni riflessi dalle strutture del cervello e dai suoi processi patologici.

La sonda ultrasonica viene applicata su determinati punti del capo del paziente e gli ultrasuoni riflessi dal cervello (o da un eventuale processo patologico) sono registrati su uno schermo fluorescente e fotografati.

Nei soggetti normali l'EcoEG si compone di tre impulsi o echi caratteristici: un'eco iniziale, che comprende il segnale emesso e quello riflesso, un'eco finale prodotta dalla superficie opposta della scatola cranica, e un'eco mediana, la più importante dal punto di vista diagnostico, prodotta dalle strutture mediane dell'encefalo (terzo ventricolo e setto pellucido). In condizioni normali l'eco mediana occupa una posizione esattamente equidistante dall'eco iniziale e finale, e con l'applicazione del segnale da un lato e dall'altro del capo i due echi si sovrappongono. Se invece è presente una malformazione delle strutture mediane ovvero un processo patologico (edema, tumore, ematoma, ecc.) in un emisfero cerebrale, l'eco mediana appare spostata verso il lato opposto e gli echi ottenuti applicando il segnale ai due lati del capo sono sfalsati.

Oltre a questo metodo di Eco-EG, detto "metodo A-scope" o "A-mode", di recente è stata elaborata una tecnica che permette di ottenere informazioni più precise, poiché può fornire un'immagine bidimensionale delle sezioni orizzontali dei ventricoli (B-scann). Questa tecnica, chiamata "Ecoencefalografia B-mode con scansione a tratti finiti", permette una più facile interpretazione dei tracciati e una più completa esplorazione delle strutture intracraniche. Essa permette inoltre di definire la posizione, la forma e le dimensioni dei ventricoli cerebrali in modo più rapido, preciso e innocuo della pneumoencefalografia.

L'Eco-EG trova utile applicazione nelle diagnosi di molteplici condizioni morbose: processi espansivi e versamenti ematici sopratentoriali; edema e/o contusioni sopratentoriali; idrocefalo ventricolare, atrofia cerebrale interna; tumori e malformazioni della fossa cranica posteriore (fig. 25).

3) La scintigrafia cerebrale (o scintillografia) è un metodo diagnostico relativamente recente che permette di localizzare processi espansivi endocranici e malformazioni vascolari. È basata sul principio della rilevazione e registrazione, per mezzo di un contatore Geiger-Müller, delle radiazioni gamma emesse da un isotopo radioattivo introdotto nell'organismo e fissato da un organo o tessuto malato (v. anche nucleare, medicina, in questa App.). In questi ultimi anni ci sono stati notevoli miglioramenti tecnici tanto nel campo strumentale quanto nell'uso dei traccianti con tempo di dimezzamento sempre più breve. Attualmente gl'isotopi più in uso sono il mercurio e il tecnezio, mentre il gallio è ancora in via di sperimentazione. Questi isotopi vengono introdotti nell'organismo per mezzo di iniezioni endovenose in dosi di 10 Curie. I processi espansivi che maggiormente possono evidenziarsi attraverso tale indagine sono i gliomi di grado III e IV, i meningiomi e le metastasi. Sempre con l'uso di radioisotopi possono essere messe in evidenza alterazioni patologiche della circolazione del liquido cefalo-rachidiano tramite l'introduzione intratecale lombare di I131 legato a sieroalbumina umana. La diffusione e il riassorbimento dell'isotopo permettono la valutazione della circolazione del liquido cefalo-rachidiano.

La scintigrafia è un metodo di ricerca iniziale importante, perché al pari dell'elettroencefalografia non è traumatica e perché offre la possibilità di determinare con relativa sicurezza sia la sede sia la grandezza della lesione cerebrale. I limiti di questo metodo sono rappresentati dalle dimensioni della lesione in esame, poiché è difficile determinare esattamente la sua presenza quando essa ha un diametro inferiore a 1 cm. Da numerose casistiche cliniche si ricava che la percentuale di positività di questa metodica varia dall'85 al 90% per le lesioni sopratentoriali e dal 65 al 75% per quelle sottotentoriali. Per tali ragioni l'esame scintigrafico dev'essere considerato un esame complementare degli accertamenti neuroradiografici con mezzi di contrasto (fig. 26).

4) La stereoelettroencefalografia consiste nell'applicazione della tecnica stereotassica (v. neurochirurgia, in App. III, 11, p. 258) alla derivazione e registrazione dell'attività elettrica dalle strutture cerebrali sottocorticali, per l'individuazione di focolai epilettogeni profondi. È attuata con l'uso di elettrodi ad ago che, sotto controllo radiologico, raggiungono le zone profonde da esplorare, grazie ai movimenti direzionali dell'apparecchio stereotassico su cui sono montati. Con gli stessi elettrodi che lo hanno localizzato si provvede a distruggere, mediante elettrocoagulazione, il focolaio epilettogeno.

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Linguaggio: E. H. Lenneberg, Fondamenti biologici del linguaggio, Torino 1971; G. Benedetti, Segno simbolo linguaggio, ivi 1971.

Elettromiografia: A. Marinacci, Clinical electromyography, Los Angeles 1955; J. Paillard, Réflexes et regulation d'origine proprioceptive chez l'homme, Parigi 1955; A. J. Arieff, N. Dobin e coll., Electrodiagnosis and electromyography in progressive spinal muscolar atrophy. Atti IV Congresso EEG & Clin. neurophysiol., Bruxelles 1957; F. Buchthal, An introduction to electromyography, Copenaghen 1957; J. A. Baston, E. H. Lambert, The clinical value of electromyography and electric stimulation of nerves, in Med. Clin. of North Amer., 44 (1960), p. 1025; Progress in electromyography, a cura di P. Pinelli, Suppl. n. 22 di Electroenceph. and clin. neurophysiol., 1962; Handbook of electroencephalography and clinical neurophysiology, vol. XVI: Electromyography, a cura di F. Buchthal; vol. XVIB: Neuromuscolar diseases, a cura di J. A. Simpson, Amsterdam 1973.

Ecoencefalografia: H. S. Barrows e coll., The diagnostic applications of ultrasound in neurological diseases, in Neurology (Minneap.), 15 (1965), pp. 361-65; C. Alvisi, L'ecoencefalografia, Bologna 1967; H. R. Muller, die transdurale Ecoenzephalographie, Berna 1971; C. Alvisi e coll., Esplorazione Eco delle strutture encefaliche, in Boll. delle scienze mediche, 145, 3, 1973.

Scintigrafia cerebrale: M. C. Overton e coll., Brain scans in nonneoplastic intracranial lesion. Scanning with Chlormerodrin Hg203 and Chlormerodrin Hg197, in J. Amer. Med. Ass., 191 (1965), pp. 431-36; P. Huber, H. Rosler, Die Bedeutung der Angioszintigraphie in der Neuro-radiologie, in Schweizerische Medizinische Wochenschrift, 99 (1969), pp. 757-63.

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