SIPARIO

Enciclopedia Italiana (1936)

SIPARIO

Valerio Mariani

Dei varî generi di tendoni e teloni teatrali, s'intende con questo termine, particolarmente, quella superficie di tela dipinta che, all'altezza del proscenio, s'alza o s'abbassa per dar luogo allo spettacolo o a varî momenti dello spettacolo stesso. Il termine ha il suo antecedente nel siparium latino che però sta a indicare il piccolo cortinaggio che nasconde parte della scena e, solo per amplificazione, il vero e proprio sipario: questo, più comunemente, viene detto aulaeum e, cosa importante per l'origine del sipario, deriva dalla parola greca αὐλαία che di per sé stessa indica l'esistenza del sipario anche nel teatro greco. Il sipario del teatro greco era di stoffa, sostenuto da tiranti e assi lignei, e veniva sollevato dal basso verso l'alto, fino a giungere all'altezza del fondale per nascondere la preparazione degli scenari e delle masse di attori: nell'abbassarsi, il sipario scendeva entro un cavo a trincea tra l'orchestra e il palcoscenico. Il movimento d'innalzamento e d'abbassamento avveniva, probabilmente, per mezzo di argani muniti di pulegge, nascosti nei due avancorpi di muratura ai lati del proscenio.

Nel teatro romano, l'aulaeum, più vasto, veniva ugualmente abbassato all'inizio dello spettacolo e innalzato per chiudere la scena.

È legittimo dedurre da quel che si conosce del teatro antico che il movimento invertito, rispetto al sipario contemporaneo, dipendesse dalla consuetudine degli spettacoli all'aperto, senza un palco al disopra del palcoscenico, che potesse comodamente ospitare il sipario ripiegato.

Quando (dopo l'abbandono dei teatri classici) nelle chiese, all'esterno delle cattedrali o sulle piazze, si diedero spettacoli religiosi che poi divennero i misteri e le sacre rappresentazioni, per lo stesso carattere semiliturgico della composizione teatrale, il sipario propriamente detto venne abolito: però innanzi all'altare o a particolari luoghi deputati si tendevano cortine di mascheramento, a guisa di tramezzi o di velarî parziali. La sostituzione del sipario generale, che comprende tutta la fronte scenica, con siparî parziali dovette essere originata, nel Medioevo, dalla messinscena simultanea, in cui era maggiormente necessario il parziale occultamento dei luoghi, che non il velario completo su tutto lo scenario.

Con la costruzione dei teatri coperti e lo sviluppo, in profondità e in complessità, del palcoscenico (v. scenografia), tornò in onore il sipario, quasi constantemente, però, con sistema di apertura a doppia partita, rientrante ai lati del proscenio.

Forse solo col predominio della scenografia pittorica del secolo XVII s'ebbe il vero e proprio telone dipinto con allegorie allusive alle arti belle, o particolarmente riferite al soggetto dello spettacolo che veniva rappresentato.

Un sipario a guisa di annuncio si osserva in una composizione di Ludovico Burnacini per il prologo della Monarchia latina trionfante (1678): sul velario, sollevato da una figura allegorica, si vede dipinta la lotta di Giove con i Giganti, mentre sul palcoscenico giungono armati ed eroi con elefanti da guerra.

Anche l'uso degli intermedî che si svolgevano spesso innanzi al sipario, e nei quali gli attori uscivano processionalmente dai lati del proscenio, impose la decorazione del telone, con figurazioni prospettiche, strettamente scenografiche.

Il sipario, dal sec. XVII in poi, soprattutto nel Settecento, fu considerato come un "frontespizio", un sontuoso titolo figurato dell'opera, destinato ad attrarre gli sguardi dello spettatore durante la preparazione delle scene e prima dello spettacolo.

Non sempre furono gli scenografi a dipingere il sipario; talvolta ci si giovò dei decoratori della sala del teatro, considerandosi il sipario una finta parete, in certo senso appartenente all'architettura, piuttosto che al mondo della finzione scenica.

Bozzetti e incisioni di siparî non mancano nelle collezioni teatrali di Monaco, Parigi, Milano, Bologna, ma sono opere del Settecento e dell'Ottocento, quasi tutte anonime.

Una pesante incisione riproduce il proscenio e il sipario del Teatro della Pergola di Firenze, nel 1657, con la figurazione allegorica di Pegaso che spicca il volo verso il cielo. Squisitamente settecentesco è il bel sipario ideato, con il proscenio, da L. Vanvitelli, forse con la collaborazione di Carlo Bibiena, per il teatro improvvisato a Napoli nel 1772 per le feste del duca d'Arcos, conservato in un ottimo rame inciso dal Nolli. Rappresenta la "Piacevolezza" sotto le spoglie d'una giovane donna circondata da amorini, sul cielo di Napoli, col mare e il Vesuvio lievemente impennacchiato di fumo. Graziosissimo è un disegno di sipario schizzato da Francesco Guardi, insieme con le decorazioni pittoriche di tutta la sala, per un teatro progettato da Pietro Bianchi, da costruirsi a Venezia sul Canal Grande, intorno al 1787, preludendo così alla costruzione del teatro La Fenice inaugurato nel 1793. Appunto per La Fenice Pietro Gonzaga, dipinse, nel 1792, il sipario che, dopo restauri e ritocchi, fu distrutto dall'incendio del 1836. Di carattere neoclassico, per il soggetto (Il trionfo di Cesare) e per la maniera pittorica di largo effetto monumentale, è, invece, il sipario dell'antico Teatro Lodovico, ora San Marco, a Livorno, dipinto da Luigi Ademollo: telone di notevole impianto compositivo, nel gusto magniloquente di David, compiuto per l'inaugurazione del teatro nel 1806, in stretta relazione con tutta la decorazione bellissima delle balaustrate e dei palchetti.

Più tardi, durante la seconda metà dell'Ottocento, si svilupparono poi sempre più, sotto la spinta della pittura cosiddetta storica, quei teloni descrittivi, affollati di figure, spesso allusivi alle glorie della città a cui il teatro apparteneva. Nel 1856 fu dipinto e assai lodato dai contemporanei il sipario del nuovo teatro di Padova, opera di Vincenzo Gazzotto, composto con qualche centinaio di figure, il Carroccio, e lo sfondo del borgo Torricelliano. Il Teatro Apollo di Roma, ebbe il sipario dipinto da Cesare Fracassini con Apollo che affida il Carro del Sole a Fetonte, circondato dalle Ore e preceduto dall'Aurora. Il grande telone, trasportato poi al Teatro Argentina, è dipinto ancora nella tradizione di Tommaso Minardi (v.).

Più luminoso, invece, come macchia pittorica, il sipario che dipinse lo stesso Fracassini per il teatro di Orvieto nel 1866: vi compose Belisario che libera la città di Orvieto dall'assedio dei Goti (Museo Civico di Orvieto).

Il sipario moderno dopo le esperienze romantiche e simboliste, che ne facevano, in fondo, un quadro, riacquistò una sua importanza decisiva per opera, soprattutto, dell'impetuoso genio decorativo dei Russi, che, nei balletti Diagilev, fondati su puri effetti coreografici, nutriti di vena decorativa asiatica, riportarono in onore con l'arte di Bakst (v.) il gusto coloristico, prima sulla scena, poi, nei siparî, di cui si rammentano quelli, bellissimi, per il Boris Godunov, Petruška, Principe Igor, Sheherazade, di schietta ispirazione orientalizzante. Notevole anche il sipario di C. Parravicini (Teatro Reale dell'Opera a Roma) ispirato a scialli spagnoli per il Barbiere di Siviglia. Con ciò il sipario, sorto nelle sue lontane origini di "velario" sacro, come un tessuto riccamente trapunto, ritrovava, attraverso il gusto moderno, la sua funzione di favolosa stoffa arabescata. (V. tavv. CLIX e CLX).

Bibl.: Raccolta in disegni incisi delle feste celebrate in Napoli da S. E. il signor d'Arcos, Napoli 1772; E. Caffi, Illustrazione del sipario del nuovo teatro di Padova dipinto da Vincenzo Gazzotto, Padova 1856; A. Müller, Untersuchungen zu den Bühnemaltertümer, in Philologus, Suppl. VII (1898); Carton, Le théâtre romain de Dougga, in Mém. de l'Académie des Inscriptions, XI, ii (1902); E. Romagnoli, Il teatro greco, Milano 1918; G. E. Rizzo, Il teatro greco di Siracusa, Roma 1923; F. Guerri, Il teatro "San Marco", in Liburni civitas, I (1928), pp. 33-108; G. Fiocco, Francesco Guardi pittore di teatro, in Dedalo, XIII (1933), pp. 360-67. Vedi anche la bibl. sotto le voci scenografia; teatro.