SINDACALISMO

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

SINDACALISMO (XXXI, p. 830)

Gino LUZZATTO

La fine della prima Guerra mondiale era stata seguita in tutti i paesi dell'Occidente da un rapido e forte incremento del movimento operaio (v. XXV, p. 404). Non solo i sindacati, per la massima parte a direzione socialista, erano enormemente cresciuti di numero e di aderenti, ma forme nuove di organizzazione avevano cominciato a farsi strada, con la creazione di commissioni o consigli di fabbrica, le quali non avrebbero dovuto aver soltanto la funzione di tutelare gl'interessi sindacali degli operai nell'interno dell'officina, ma anche di creare fra gli operai elementi che si preparassero tecnicamente all'eventuale gestione dell'azienda, e intanto collaborassero coi suoi attuali dirigenti.

Il movimento, che in Italia è stato largamente attuato nella grande industria metallurgica e meccanica, specialmente torinese, e che aveva trovato i suoi teorici e propagandisti più efficaci nel gruppo di intellettuali comunisti che redigevano l'Ordine Nuovo e facevano capo a A. Gramsci e U. Terracini, si è in realtà diffuso, quasi contemporaneamente, in molti altri stati dell'Occidente, e può - almeno in parte -considerarsi come una conseguenza della guerra, per le difficoltà che la disciplina introdotta dovunque nelle industrie d'importanza militare aveva creato all'azione delle federazioni di mestiere. Prima che altrove in Inghilterra si era largamente diffuso l'istituto degli shop Stewards, molto affine alle commissioni interne o commissioni di fabbrica (riconosciute ufficialmente, in Italia, nel 1906; v. commissione interna, in questa Seconda App., I, p. 659), che dall'industria meccanica si era esteso alle industrie tessili e delle calzature, favorito poi dal fatto che durante la guerra era tolta ai segretarî dei sindacati ogni possibilità di azione e soltanto i delegati di fabbrica potevano agire in difesa degli operai.

I sindacalisti rivoluzionarî (soreliani) in Francia e in Italia, i fautori del Guild Socialism, fra cui in prima linea C. D. H. Cole, in Inghilterra, come i comunisti dell'Ordine Nuovo a Torino, videro in questa istituzione, e particolarmente nei consigli di fabbrica, un passo decisivo verso l'azione diretta della classe operaia, che avrebbe dovuto muovere dalla fabbrica singola, e permettere l'attuazione di un socialismo democratico, non accentrato e burocratico.

Lo sviluppo degli anni successivi, in cui l'iniziativa e la direzione del movimento operaio sono state riprese dai sindacati nazionali di categoria, sembrerebbe confermare l'ipotesi, secondo la quale più che di un nuovo indirizzo si trattava di una necessità contingente determinata dalla disciplina di guerra. Questa ipotesi risulterebbe confermata dal fatto che durante la seconda Guerra mondiale e nell'immediato dopoguerra il fenomeno si è ripresentato press'a poco nelle stesse proporzioni ed ha fatto sorgere le stesse speranze, concretatesi in modo particolare nella creazione di consigli di gestione, concepiti soprattutto come uno strumento per educare gli operai alla futura gestione diretta dell'azienda (v. consiglio: Consigli di gestione, in questa seconda App., I, p. 676).

Subito dopo la prima Guerra mondiale, l'organizzazione sindacale raggiunge in tutti i paesi dell'Occidente uno sviluppo considerevole. Le Trade Unions inglesi, le quali nel 1915 contavano 4 milioni di soci, salgono ad 8 milioni nel 1920, conservano sempre, malgrado le diverse tendenze che si manifestano anche iu Gran Bretagna, la loro vecchia unità e la completa indipendenza dai partiti politici.

Sul continente, mentre si manifesta, in misura alquanto minore, lo stesso incremento degli effettivi, non si riesce invece a conservare l'unità del movimento sindacale. In Francia la scissione è determinata dal dissenso fra socialisti e comunisti, scoppiato a proposito della soppressione, votata dalla maggioranza della Confédération Générale du Travail (C. G. T.), dei Comités Syndicalistes Révolutionnaires (C. S. R.), costituiti da gruppi che nelle singole fabbriche rappresentavano la tendenza comunista o sindacalista rivoluzionaria. Contro la C. G. T., che seguita ad aderire all'Internazionale sindacale di Amsterdam, si costituisce la nuova C. G. T. Unitaire (C. G. T. U.) che aderisce all'Internazionale comunista.

A questa prima scissione altre se ne aggiungono negli anni successivi. I sindacalisti rivoluzionarî si staccano nel 1927 dai comunisti e fondano la Confédération Générale du Travail Syndicaliste Révolutionnaire (C. G. T. S. R.), mentre sopravvive la Confédération des Travailleurs Chrétiens, fondata nel 1919 con 140.000 iscritti, che nel 1936 erano saliti a 500.000.

In Italia alle Federazioni nazionali di mestiere e alle Camere del lavoro, che fanno capo alla Confederazione Generale del Lavoro, a direzione socialista, si contrappongono le Unioni cattoliche, le cosiddette leghe bianche, forti soprattutto nelle campagne; ma le une e le altre si vedono esposte, dopo la fallita occupazione delle fabbriche (settembre 1920), alla violenza delle squadre di azione fasciste, che nella sua opera di terrorismo e di distruzione coinvolge non solo il movimento di resistenza, ma anche le cooperative ed istituzioni prevalentemente culturali, come la Società umanitaria di Milano.

Indebolito e combattuto in ogni modo, il movimento operaio indipendente resiste ancora fino al 1925, quando le leggi restrittive ne rendono impossibile ogni attività e la stessa esistenza.

La crisi mondiale scoppiata nel 1929 e la grande depressione che dura fino al 1933 determinano dovunque una grave decadenza nel movimento operaio, che risorge invece dopo quell'anno, assumendo in tutti i paesi democratici proporzioni sempre più grandiose. I progressi e i mutamenti più considerevoli si manifestano negli Stati Uniti d'America, dove alla vecchia A. F. L. (American Federation of Labor), organizzata per categorie professionali, si contrappone il nuovo C. I. O. (Congress of Industrial Organizations) che raggruppa i sindacati d'industria e che, dato il moltiplicarsi dei grandi colossi industriali, comprendenti forti gruppi di operai che esercitano mestieri diversi, ha una potenzialità di azione di gran lunga maggiore. Le due fortissime associazioni non obbediscono ad alcun partito, ma partecipano alla vita politica, ed anzi ebbero una parte decisiva, specialmente il C. I. O., nella prima e seconda elezione di Roosevelt, al quale va la loro riconoscenza per avere col New Deal combattuto efficacemente la disoccupazione e per aver protetto le leghe operaie contro l'arbitrio e gli abusi dei grandi industriali e dei trusts. Lo stesso fenomeno si ripeterà, a molti anni di distanza, nel 1948, quando le due grandi associazioni determineranno, per motivi simili, l'inatteso trionfo di Truman.

Sul continente, mentre in Gran Bretagna, in Francia, nei paesi scandinavi, in Belgio e in Olanda, il movimento operaio riprende dopo il 1933 il suo cammino ascendente, in Germania ed Italia invece esso subisce un colpo mortale dall'instaurarsi e consolidarsi dei regimi totalitarî. In Germania il nazionalsocialismo, che pure nel suo sorgere aveva fatto leva anche sul movimento di forti gruppi di salariati e si era fatto promotore di varî scioperi, una volta salito al potere, guardò con estrema diffidenza ogni forma di organizzazione operaia e ne rese praticamente impossibile la vita. Soppressi i diritti di sciopero e di coalizione, proibiti i contratti collettivi di lavoro, rimasero soltanto i comitati interni di fabbrica, nominati però non dai lavoratori, ma dall'imprenditore e dal partito. Le sole associazioni permesse furono le Arbeitervereine, che avevano compiti limitati alla mutua assistenza.

Il fascismo invece creò tutta una rete di sindacati per ogni singola categoria di mestiere o professione, ma li considerò come semplici strumenti di governo, privandoli di ogni libertà di azione, e limitandone l'attività a quella di una numerosissima burocrazia sindacale, tutta nominata e controllata dall'alto.

Diversa è la situazione dell'Unione Sovietica, dove il rapido processo d'industrializzazione, raggiunto coi piani quinquennali, ha fatto sorgere un numerosissimo esercito operaio, che alla vigilia della seconda Guerra mondiale avrebbe raggiunto i 30 milioni di iscritti, tutti organizzati nei loro sindacati di categoria. Ma data la dipendenza di tutte le industrie dallo stato, i sindacati non possono avere funzioni di resistenza, ma soltanto di propaganda, di assistenza, di stimolo al miglioramento della produzione e al suo maggiore rendimento.

La seconda Guerra mondiale non sembra aver portato mutamenti sostanziali nel movimento operaio dei paesi occidentali: notevoli soltanto sono le crescenti tendenze socialiste nel laburismo inglese e la partecipazione sempre più attiva delle associazioni operaie nordamericane alla vita politica. In Italia la novità maggiore è stato il vivo e diffuso interessamento per i già ricordati consigli di gestione (v.). Le difficoltà gravi in cui si dibattono dopo il principio del 1947 molte fra le maggiori industrie italiane hanno fortemente attenuato però l'interessamento per il nuovo istituto, in cui qualcuno vedeva uno strumento efficace di collaborazione, mentre altri temeva o desiderava, secondo i punti di vista, che esso si trasformasse in un'arma rivoluzionaria. All'infuori di questa tendenza nuova e ancora molto discussa il movimento operaio, dopo la caduta del fascismo, era risorto nella forma del sindacato unico, in modo che nella segreteria della Confederazione generale italiana del lavoro erano rappresentati i varî partiti, a cui appartenevano gli organizzati; ma come era già avenuto in Francia, dove la risorta C. G. T., che aveva dovuto appoggiarsi ai comitati di impresa e d'officina, sorti spontaneamente, finì per scindersi per i dissensi fra comunisti e socialisti, così in Italia, per il distacco dei democratici cristiani, ai quali la C. G. I. L. pareva troppo legata ai partiti di sinistra, l'unità sindacale, a metà del 1948, è stata spezzata e contro la C. G. I. L., è sorta la Libera Confederazione Generale Italiana del Lavoro (L. C. G. I. L.).

Bibl.: G. D. H. Cole, Short History of the British working class movement, Londra 1932; E. Dolléans, Histoire du mouvement ouvrier, Parigi 1936 (trad. ital., Roma 1946); A. Philip, Trade Unionism et Syndicalism, Parigi 1936; G. Lefranc, Histoire du mouvement syndical en France, Parigi 1937; H. J. Laski, Reflexions on the Revolution of our time, Londra 1943; L. Valiani, Storia del socialismo nel secolo XX, Firenze 1945; I. M. Sacco, Storia del sindacalismo, Milano 1942; G. Salvemini, Sotto la scure del fascismo, Torino 1948.

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