GUERCIO, Simone

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUERCIO, Simone

Enrico Basso

Nacque probabilmente a Genova, in un anno che si può collocare tra il secondo e il terzo decennio del sec. XIII; non conosciamo il nome del padre, la madre fu forse una Gisla, di cui ignoriamo il casato.

Esponente di primo piano della nobile famiglia di origine vicecomitale che fu tra le più influenti nella vita politica del Comune genovese nei secoli XII e XIII, il G. è presumibilmente identificabile con il "Symonetus Guercius" che affianca la madre Gisla in un contratto con Anselmo, priore della casa degli umiliati in Genova, rogato il 27 apr. 1235. Egli appare attestato con certezza la prima volta quando fu chiamato, con un folto gruppo di influenti cittadini, a ratificare la procura conferita nel 1254 a Enrico di Bisagno come plenipotenziario genovese nelle trattative di pace con Pisa.

Una precaria tregua fallì per molteplici motivi di attrito e ben presto la guerra, che vedeva Pisa contrapposta all'alleanza tra Genova, Lucca e Firenze, tornò a riaccendersi. Mentre gli alleati toscani premevano Pisa da vicino, i Genovesi concentrarono le loro operazioni terrestri e navali contro la roccaforte pisana di Lerici e in Sardegna dove, intervenendo nelle complesse vicende interne del Giudicato di Cagliari, offrirono appoggio a Chiano di Massa, giudice titolare, contro i Pisani, che lo avevano di fatto estromesso dall'amministrazione del suo Stato. Anche dopo la defezione di Lucchesi e Fiorentini (che avevano accettato la pace separata proposta dai Pisani sconfitti presso il Serchio) i Genovesi proseguirono la lotta, espugnando Lerici e rafforzando il sostegno ai marchesi di Massa in Sardegna. Proprio in queste vicende il G. appare nuovamente nelle fonti investito di uno dei ruoli principali.

Nel 1256, con Niccolò Cigala, egli fu nominato ammiraglio di una squadra di 24 galee inviata in Sardegna per consolidare le posizioni genovesi nel Giudicato cagliaritano. La scelta di affidare questo compito al G. tenne probabilmente conto, oltre che di capacità militari, soprattutto dei legami di parentela che, attraverso i Malaspina e la comune discendenza obertenga, legavano i Guercio ai marchesi di Massa.

Dopo un attacco preventivo condotto contro Porto Pisano, la flotta genovese giunse nell'isola in un momento cruciale: Chiano era morto e il titolo giudicale era passato a suo cugino Guglielmo (III) Cepolla che, per consolidarsi sul trono, ampliò ulteriormente le già vaste concessioni effettuate dal defunto nei confronti dei suoi nuovi protettori, includenti la consegna a castellani genovesi del Castel di Castro e delle saline di Cagliari, e il 15 ottobre accettò di consegnare al G., incaricato di conferirgli l'investitura del Giudicato quale vassallo del Comune di Genova, anche la città di Santa Igia, residenza abituale degli ultimi giudici. In seguito a questa disposizione, lo stesso giorno un gruppo di maggiorenti della città fu chiamato a prestare giuramento di fedeltà al Comune di Genova e al giudice Guglielmo nelle mani del Guercio. Questi accordi vennero ratificati dal podestà e dal Consiglio di Genova (all'interno del quale sedeva lo stesso G.) il mese seguente, ma furono un successo effimero. Pochi mesi dopo, infatti, gli accordi di pace raggiunti con Lucca e Firenze consentirono ai Pisani di concentrare le loro forze sulla Sardegna e di lanciare una controffensiva guidata dai Gherardesca di Donoratico e da Guglielmo di Capraia, giudice d'Arborea, la quale, travolte le resistenze genovesi nell'isola, pose di fatto fine all'esistenza del Giudicato di Cagliari quale entità autonoma e costrinse il giudice Guglielmo a fuggire in esilio a Genova.

I rovesci subiti aprirono la strada, sull'onda di tumulti popolari, al nuovo regime del capitano del Popolo Guglielmo Boccanegra che escluse dal potere la vecchia aristocrazia consolare, e in particolare le famiglie di orientamento guelfo. Ciò contribuisce a spiegare come mai il G. scompaia dalle fonti per un lungo periodo fino a quando, ristabilito il vecchio ordinamento e raggiunto un momentaneo equilibrio tra le fazioni della nobiltà, egli venne nuovamente chiamato, nel 1265, a guidare una flotta.

Gli equilibri politici ed economici nel Mediterraneo mutavano rapidamente e, al posto dell'ormai declinante Pisa, il principale avversario dei Genovesi era Venezia, che dal 1258 aveva scatenato una guerra contro i rivali a partire dalle colonie che ambedue le potenze avevano in Siria. Alla devastazione della loro colonia in Acri i Genovesi risposero con l'accordo di Ninfeo che nel 1261 consentì il loro rientro a Costantinopoli come principali alleati del restaurato Impero bizantino di Michele VIII. Le alterne vicende di questa alleanza e l'andamento delle ostilità con i Veneziani imposero ai Genovesi una condotta militare più aggressiva, ma la necessità di rispettare la neutralità delle acque del Regno di Sicilia impedì al G. di intercettare la "muda" veneziana diretta in Siria.

Nel corso degli anni successivi il G. si dedicò probabilmente alla gestione delle sue attività personali in Genova, dove lo troviamo attestato in qualità di testimone di due atti notarili nel 1266. Nel 1269 fu incaricato, con Janella Avvocato e Simone Cancelliere, delle trattative per la stipulazione di un trattato con Carlo d'Angiò, che fu siglato il 12 ag. 1269 a Napoli, e risultò assai vessatorio per Genova, costretta al ruolo di satellite politico del re di Sicilia. Il G. fu però inizialmente risparmiato dall'esclusione dalle cariche che colpì gran parte dei nobili guelfi dopo l'avvento, nel 1270, del regime ghibellino dei due capitani del Popolo Oberto Doria e Oberto Spinola. L'esperienza e il prestigio personale del G. non dovettero essere infatti indifferenti alla scelta, patrocinata da uno dei capitani con l'avallo dell'arcivescovo di Genova Gualtiero da Vezzano, di conferirgli, nell'agosto 1271, l'incarico di reggere le sorti delle colonie genovesi in Terrasanta in qualità di "consul, vicecomes et capitaneus Ianuensium in Syria".

Dalla sua sede in Tiro, dove la colonia genovese si era ricostituita sotto la protezione di Filippo di Montfort, il G. si trovò così a gestire nell'agosto 1272 la delicata fase delle trattative con il bailo veneziano in Acri, Pietro Zeno, circa la fideiussione di 25.000 lire tornesi che i Veneziani avrebbero dovuto prestare in Terrasanta a garanzia dell'osservanza degli accordi di tregua del 1270, in cambio delle fideiussioni di eguale importo che i Genovesi avevano già prestato in Francia presentando quale garante re Enrico di Navarra. Al termine di una serrata trattativa il bailo propose come fideiussori in nome di Venezia i grandi maestri dei templari e degli ospedalieri, ma il G., pur professando il massimo rispetto per i due Ordini religiosi, rifiutò di accettare, in quanto la loro natura particolare avrebbe reso praticamente impossibile una rivendicazione giudiziale nei loro confronti in caso di mancato rispetto degli accordi.

Il precipitare della crisi nei rapporti tra il governo dei due capitani e la fazione guelfa, sempre più strettamente legata a Carlo d'Angiò, condusse infine all'aperta rottura in coincidenza con lo scoppio delle ostilità fra Genova e il re di Sicilia nello stesso 1272; il G. pertanto, come altri suoi congiunti, dovette prendere la via dell'esilio ed è assai probabile che abbia trascorso gli anni successivi in stretto contatto con le corti di Napoli e Roma, dove si raccoglievano tutti gli oppositori del regime dei diarchi.

La speranza dei guelfi di rientrare in Genova con la forza si rivelò priva di fondamento e tanto gli esuli quanto re Carlo dovettero piegarsi all'evidenza del fatto che la lotta era senza speranza; la mediazione, messa in atto dal papa Innocenzo V, trovò quindi terreno fertile e nel 1276 si giunse a un compromesso fra le parti, che si incontrarono a Roma per definire gli accordi. In questa occasione il G. fece parte della delegazione guelfa con altri maggiorenti della sua fazione, come il suo parente Nicola Guercio e i nipoti del cardinale Ottobono Fieschi (il vero capo dei fuorusciti, e futuro papa Adriano V).

La riammissione degli esuli in città seguita agli accordi di Roma consentì anche al G. di tornare in patria e lo portò in breve tempo a ricoprire nuovamente incarichi di fiducia. In considerazione dell'esperienza maturata nell'ambiente degli insediamenti commerciali in Terrasanta, egli dovette essere scelto per esercitare nuovamente funzioni pubbliche in quel settore; infatti, dall'ultima attestazione documentaria nota a lui relativa, del 17 ag. 1277, risulta giudice presso la curia del ricostituito consolato genovese in Acri in una causa per il recupero di proprietà immobiliari sottratte ai Genovesi dai Veneziani ancora al tempo della guerra del 1258 e non più restituite.

Del G. rimangono ignoti luogo e data di morte.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto, bb. 2724, doc. 57 (28 ag. 1272, Acri); 2725, doc. 24 (17 ag. 1277, Acri); Notai antichi, cartulare 16/II, c. 137r; cartulare 36, c. 123v; A. Ferretto, Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante, I, Roma 1901, pp. 31, 245, 263; II, ibid. 1903, pp. XXIII, 76, 170; Annali genovesi di Caffaro e de' suoi continuatori, IV, a cura di C. Imperiale di Sant'Angelo, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XIV, Roma 1926, pp. 21-23, 68; P. Lisciandrelli, Trattati e negoziazioni politiche della Repubblica di Genova (958-1797), in Atti della Soc. ligure di storia patria, n.s., I (1960), p. 79; I "Libri iurium" della Repubblica di Genova, I, 6, a cura di M. Bibolini, Roma 2000, pp. 150, 215, 218 s., 221, 223 s.; U. Foglietta, Dell'istorie di Genova, Genova 1597, p. 201; M.G. Canale, Storia civile, commerciale e letteraria dei Genovesi dalle origini all'anno 1797, Genova 1844-49, III, p. 214; A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, a cura di G.B. Spotorno, Genova 1854, I, p. 434; C. Manfroni, Storia della Marina italiana, Livorno 1897-1902, I, p. 431; E. Besta, La Sardegna medioevale, Palermo 1908-09, I, pp. 215-217; V. Vitale, Il Comune del podestà a Genova, Milano-Napoli 1951, p. 361; A. Boscolo, Chiano di Massa, Guglielmo Cepolla, Genova e la caduta del Giudicato di Cagliari (1254-1258), in Miscellanea di storia ligure, IV, Genova 1966, p. 19; G. Caro, Genova e la supremazia sul Mediterraneo (1257-1311), I, in Atti della Soc. ligure di storia patria, n.s., XIV (1974), pp. 29-31, 179, 292 s., 364; M. Balard, La Romanie génoise (XIIe - début du XVe siècle), II, ibid., XVIII (1978), p. 541.

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