SIGILLO

Enciclopedia Italiana (1936)

SIGILLO (lat. sigillum, dimin. di signum, anche signaculum; gr. αϕραγίς, donde "sfragistica", lo studio sistematico dei sigilli)

Cesare MANARESI
Goffredo BENDINELLI
Cesare MANARESI
Filippo ROSSI
Goffredo BENDINELLI
Filippo ROSSI
Virgilio ANDRIOLI

La "negativa" di un segno convenzionale inciso o intagliato in materia dura, come pure l'impronta "positiva" di quello, usata come segno di riconoscimento, prendono ugualmente il nome di sigillo. In diplomatica la parola è usata solo nel secondo significato. Così inteso, il sigillo si può definire una figura generalmente accompagnata da una leggenda, assunta come distintivo da una persona o da un ente che ne cura l'impressione su cera, su metallo o altra materia a corredo di uno scritto per autenticarlo o per garantire con la chiusura che esso non sia aperto indebitamente. Nei rapporti di affari l'uso del sigillo precede di gran lunga l'impiego della "firma" autentica. Quanto meno diffusa fu la scrittura, tanto maggiormente doveva essere sentita la necessità di altro pratico mezzo di riconoscimento personale e di garanzia; tale da renderne assai difficile, se non impossibile, l'imitazione e la falsificazione.

Diplomatica. - L'uso del sigillo è antichissimo; tuttavia presso i Romani fu adoperato solo a scopo di chiusura, mentre a scopo di autenticazione fu usato solo nel Medioevo per effetto della diminuita cultura e capacità di scrivere. È nel Medioevo che esso divenne il segno che rappresentava giuridicamente in tutte le manifestazioni della sua volontà l'autorità che ne faceva uso, e che, quando non era usato per chiusura, sostituiva la sottoscrizione autografa, come il monogramma e il signum manus. Cosi nel Medioevo esso può considerarsi il più importante mezzo di prova per la genuinità e per il valore giuridico dei documenti.

Fino al sec. XVI i sigilli furono in prevalenza di metallo o di cera; dopo si usò anche la ceralacca; nei tempi più moderni si ebbe infine anche la sostituzione dei sigilli con timbri in nero o in altro colore.

I sigilli di metallo, o bolle, erano solitamente di piombo, assai raramente d'oro.

Usarono sigillare quasi esclusivamente in piombo fin dai primi tempi e fino al sec. XV la cancelleria pontificia e la Repubblica Veneta. È probabile che si sia seguito in ciò un analogo uso della cancelleria imperiale romana trasmesso a quella degl'imperatori d'Oriente. Si ha notizia che sigilli di piombo furono usati anche nella cancelleria dei Carolingi a cominciare da Carlo Magno, per quanto le più antiche bolle pervenute siano di Carlo il Calvo. Nella cancelleria degl'imperatori tedeschi se ne hanno esempî da Ottone II a Enrico III, ma soltanto sotto Ottone III si usò per qualche tempo sostituire il sigillo di piombo a quello di cera, per i noti influssi della cancelleria pontificia su quella imperiale.

I sigilli di cera potevano essere aderenti o pendenti. I sigilli aderenti, che sono di uso antichissimo, si applicavano sul documento solitamente in basso a destra. I sigilli pendenti, che si attaccavano al documento come le bolle, cominciarono a entrare nell'uso soltanto nel sec. XI, ma poi si diffusero talmente da sostituire quasi totalmente i sigilli aderenti. Sul sigillo pendente si poteva applicare come sulle bolle una doppia impronta, che si distingue col nome di controsigillo e che di solito è più piccola. Alle volte poi si usò collocare sugli stessi allacci del sigillo pendente, un altro sigillo di piccole dimensioni, che si suole indicare col nome di sottosigillo.

Per appendere il sigillo e impedire che esso potesse facilmente strapparsi si usò rinforzare la parte inferiore del documento ripiegandola e praticando poi su questa parte ripiegata, detta plica, i buchi attraverso i quali dovevano passare gli allacci.

Per imprimere i sigilli si usavano matrici diverse secondo la qualità delle materie che dovevano ricevere l'impronta. Per i sigilli di metallo occorrevano strumenti d'acciaio o di ferro o d'ottone, per quelli di cera invece si adoperavano anche strumenti di bronzo e si ricorse talvolta anche a metalli preziosi, come l'oro (anelli-sigillo e sigilli di sovrani), o l'argento; o a metalli vili come il piombo, il rame, lo stagno, o a leghe, come l'ottone; ferro e acciaio sostituiscono sempre più frequentemente il bronzo dal Rinascimento in poi. Le altre materie furono di uso più raro o addirittura eccezionale (avorio nel sec. XI e nel XVIII; osso, legni duri, marmo, ardesia, selce, vetro, porcellana nell'Estremo Oriente), se se ne tolgono le pietre fini (rubino, corniola, zaffiro, onice, ecc.) e il cristallo degli antichi intagli (più raramente cammei) che servirono di frequente come sigilli dall'età merovingia in poi, montati in anelli, e che furono forse i primi sigilli usati nel Medioevo (vi sono tuttavia anche sigilli intagliati in pietre preziose da incisori medievali, specialmente italiani).

L'applicazione del sigillo avveniva di solito quando il documento era già completo, come appare anche dal fatto che di essa si fa menzione alla fine del testo del documento. Consta che nel tardo Medioevo agli speciali uffici incaricati dell'applicazione del sigillo nelle cancellerie pontificia, imperiale, signorili e comunali, era dovuta una tassa, e si può presumere che essa fosse dovuta nelle principali cancellerie laiche ed ecclesiastiche, anche nel periodo precedente.

Le matrici dei sigilli venivano cambiate abbastanza frequentemente a scopo di maggior garanzia. L'adozione di un sigillo nuovo si rendeva necessaria tutte le volte che cambiava la posizione pubblica del suo portatore.

Per impedire che della matrice del sigillo venisse fatto un uso indebito si applicò nel sec. XIII un secondo sigillo, il sigillo segreto, che veniva custodito con particolare cura. Allo stesso scopo si fissarono con documenti i termini dell'uso legittimo di un determinato sigillo. Ma il miglior modo per impedire gli abusi fu quello di tenere bene custodite le matrici, e di distruggere o annullare le stesse in caso di morte del portatore o di dichiarazione di nullità di qualche matrice.

Dato il grande valore giuridico che si annetteva al sigillo, si curò anche di salvaguardare quelli di cera dal pericolo di infrangersi. Si usò dapprima dare alla cera un grande spessore, in modo che una parte sotto la pressione della matrice uscisse fuori ai lati e formasse a difesa il cosiddetto colletto. Più tardi si rinchiuse il sigillo, avvolgendolo nella stoppa, in borse di pergamena. A volte però si versava la cera entro apposite scatole o teche di legno, di latta, di ottone e perfino d'argento.

Il complesso delle figure e dei segni anche grafici rappresentati nei sigilli, ne costituisce il contenuto o il tipo. Si è tentato di fare una distinzione dei sigilli secondo i varî tipi, ma l'infinita varietà dei medesimi non permette delle classificazioni in cui si possano far rientrare tutte le specie di sigilli. Il tipo di sigillo che durò più a lungo è quello delle bolle pontificie: fissatosi in principio del sec. XII dopo Pasquale II col nome del pontefice su uno dei lati, e con le teste degli apostoli Pietro e Paolo dall'altra, esso dura anche attualmente.

Quasi tutti i sigilli portano delle leggende che sono disposte o tutt'intorno alla figura del sigillo, oppure occupano tutto un campo del sigillo disponendosi verticalmente o orizzontalmente. Verso il sec. XIII si usò talvolta aggiungere al sigillo l'indicazione dell'anno.

La lingua usata per le leggende dei sigilli medievali fu prima in ogni regione il latino; leggende nelle lingue o nei dialetti locali sono assai rare, almeno fino al sec. XIV e in Italia anche dopo; mentre da allora in poi sono sempre più numerose le leggende inglesi, francesi (anche in Inghilterra), tedesche. I caratteri impiegati sono prima il maiuscolo lapidario (nei più antichi sigilli imperiali) e l'onciale, nella sua forma più semplice fino al sec. XIII e poi più ricco e variato fino alla sua trasformazione in maiuscolo gotico. Con la metà del sec. XIV appare in Germania e in Inghilterra il minuscolo gotico che diventa di uso generale nel successivo (le leggende sono allora di solito inscritte in un nastro); mentre in Italia rimane predominante l'uso del maiuscolo gotico fino al Rinascimento inoltrato che segna in tutta Europa il ritorno definitivo del carattere capitale. La leggenda contiene quasi sempre il nome del possessore del sigillo: solo le gemme dei sigilli più antichi recano talvolta un'invocazione a Dio in favore di lui; i ritratti sono sempre accompagnati dal nome e dal titolo che dalla fine del sec. XII solo eccezionalmente è sostituito, nei sigilli di persone, da leggende riferentisi al tipo, più frequenti naturalmente in quelli di enti (ad es., il nome del santo patrono per gli enti ecclesiastici). La leggenda comincia di solito in alto con una croce, una stella, una rosetta o altro segno; le parole sono divise da punti, doppî punti, o piccoli fregi. S'inizia prima col nome (talvolta anche col pronome personale) al nominativo e solo alla fine del sec. XII con la parola sigillum (o altra relativa alla forma o al tipo del sigillo) premessa al nome del possessore e qualche volta preceduta da un pronome dimostrativo: il nominativo rimane solo nei sigilli imperiali e reali. Meno frequenti sono le leggende dedicatorie; piü comuni, specie nei sigilli di città e di enti quelle con detti biblici, sentenze, imprese e quelle relative al tipo. Le leggende hanno importanza grandissima in quanto forniscono spesso dati genealogici, biografici e storici utilissimi, anche relativi alla natura del sigillo e al suo uso. Rare sono le date: in Francia dal sec. XIII, in Germania dalla metà del sec. XV, in Italia dal sec. XVI, in Inghilterra solamente dal regno di Elisabetta.

Storia artistica. - Antichità - Già presso le società costituite più antiche il sigillo si trova come distintivo di personaggi particolarmente autorevoli e facoltosi. Nel mondo babilonese-assiro il sigillo, all'inizio della sua storia, è un cilindro di pietra intagliato con figure all'intorno, e traforato nella sua lunghezza, per appendere al collo. Delle varie forme, cilindrica, prismatica, conica, ecc., di cui l'oggetto è suscettibile, prevale ben presto, a cominciare dall'Egitto, la forma elissoidale, che è poi quella dello "scarabeo" quale dall'Egitto si diffonderà in tutto il mondo mediterraneo preferita alle altre per la sua adattabilità come pietra d'anello.

Dalla necessità che il sigillo non potesse essere contraffatto deriva l'aspetto volutamente complicato degli intagli su pietre di anello: con motivi figurati complessi e caratteri cuneiformi sui cilindri babilonesi, simboli e geroglifici sugli "scarabei" egiziani, composizioni miniaturistiche, suggerite dalle credenze religiose, come dalla pura fantasia degli artisti intagliatori, sui castoni aurei degli anelli di Micene.

S'intensifica in piena età classica da parte dei δακτυλιογλύϕοι (incisori di anelli) la produzione dei sigilli. Nel mondo greco classico si osserva una crescente semplificazione dei motivi degl'intagli su gemme (pietre dure), con la tendenza a una maggiore raffinatezza formale. Gl'intagliatori greci traggono spesso la loro ispirazione da opere d'arte - specialmente di scultura. Per tal modo in intagli di piccolissime proporzioni, capolavori d'arte e di tecnica per sé medesimi, ci è pervenuto il ricordo di autentici capolavori della grande arte: come l'Atena fidiaca del Partenone riprodotta nella gemma a firma di Aspasios (al Museo naz. romano). Consci del valore artistico dell'opera loro, gli specialisti intagliatori incidono non di rado, in calce all'opera, il proprio nome.

Di impronte positive di sigilli, su dischetti di finissima argilla, si sono trovati interi depositi così nell'isola di Creta (per l'età minoica), come in Sicilia, a Selinunte (per l'età classica, sec. V a. C.), e più recentemente a Cirene. Si ha motivo di ritenere che tali depositi segnino il luogo di archivî, dei cui documenti null'altro è rimasto se non il sigillo. Particolare importanza doveva essere attribuita ai sigilli ufficiali, emananti da un'autorità religiosa o politica (δημιοσίαι σϕραγίδες).

La perfezione e la conseguente rinomanza dei prodotti della glittica greca, cioè degl'intagli su pietre dure, assicura per lunghi secoli a questa arte il favore delle classi ricche. Policrate di Samo, Alessandro Magno, Augusto, ebbero al loro servizio incisori di gemme famosi; tra cui si ricordano espressamente Teodoro di Samo per Policrate, Pirgotele per Alessandro, e Dioscoride per Augusto. Rimangono inoltre testimonianze storiche di collezionisti e di collezioni illustri di gemme intagliate (daktyliothékai). L'aspetto estetico della gemma intagliata non andava, di regola, disgiunto dal suo carattere pratico. Era proprio del cittadino romano l'anulus signatorius, ricordato anche nel Digesto. Nella casa di Lucio Cecilio Giocondo, a Pompei, si sono rinvenuti atti di quietanza, su dittici di legno, con le firme dei testimonî, accompagnate ciascuna dal sigillo personale di riconoscimento, impresso su cera.

Nelle case pompeiane si trovano frequentemente dei signacula di metallo, sotto forma di stampiglie rettangolari, portanti inciso profondamente il nome del padrone di casa, intagliato alla rovescia; stampiglie consimili usavano nel mondo romano i commedianti, professionisti, ecc. Nel campo della sigillografia rientrano inoltre le matrici o sigilli, di metallo per lo più, con cui si eseguivano le impressioni su anfore, su ceramiche fini (donde la denominazione di terra sigillata), nonché su laterizî (esclusivamente nel mondo ellenistico e romano), a contrassegno delle fabbriche, come veri e proprî marchî d[ fabbrica (doliare, figlinum opus), costume in uso dalla fine della repubblica al sec. VI d. C.

Medioevo ed età moderna. - Antichi erano gl'intagli che usarono come sigilli i Carolingi da Carlo Magno a Carlo il Calvo (771-877): sappiamo che il primo ne aveva uno con la testa di Giove Serapide; i successori si servirono di gemme con un busto qualunque che circondarono di una leggenda col proprio nome senza preoccuparsi dell'identità del personaggio rappresentato: l'uso ne continuò anche nei secoli XIII e XIV come sigilli privati o segreti degl'imperatori, ai quali del resto esso non fu limitato, come attestano le notizie che abbiamo sul sigillo della contessa Matilde e su quello del comune di Firenze con l'Ercole, rubato nel 1308. La forma più comune del sigillo è, prima, quella circolare, sebbene possa dirsi che la più antica sia quella usuale delle gemme, e cioè l'ovale; ma anche queste, con la montatura, venivano talvolta portate alla forma rotonda, che si afferma subito coi primi sigilli imperiali di metallo (Carlo il Grosso) e che resta poi dominante, anzi quasi unica, fino alla fine del sec. XII. Diventa allora frequente una nuova forma che è completamente indipendente dall'evoluzione precedente del sigillo, e che deriva invece probabilmente dall'aureola in cui era di solito compresa l'immagine del Salvatore fino dai più antichi musaici cristiani: la forma a mandorla, di cui si hanno esempî in Francia fino dal sec. X e che divenne dal sec. XII al Rinascimento la più frequente per i sigilli di personaggi ecclesiastici, pur non mancandone esempî in quelli civili: ragione di questa preferenza fu forse il fatto che quella forma meglio si adattava al tipo della figura stante che è fra i più comuni nei sigilli vescovili; eccezionale è la disposizione orizzontale del tipo in luogo della verticale consueta. Alla fine dello stesso sec. XII l'introduzione dei nuovi tipi araldici porta seco la comparsa di una nuova forma, quella a scudo, prima arrotondato in alto, poi triangolare, che finì coll'accogliere anche tipi estranei allo scudo con cui essa si era in principio identificata. Dopo il sec. XVI la forma più comune ritornò ad essere quella ovale. Le altre forme conosciute sono assai rare (a targa) o addirittura eccezionali (a cuore, quadrata, pentagona, trilobata, quadrilobata, queste ultime quasi esclusivamente austriache). In origine le matrici facevano, come si è detto, parte di un anello; dopo che vennero in uso generale quelle metalliche, si fornirono di un picciolo, che talvolta è una prominenza del campo del sigillo; poi nel sec. XIII ebbero un vero e proprio manico saldato al rovescio e munito di un foro per permetter la sospensione della matrice a una catenella: manico che dal Cinquecento in poi divenne sempre più grosso, ricevendo anche degli ornamenti, e fu fatto anche di legno o di altra materia diversa da quella della matrice.

I più antichi sigilli conosciuti sono dell'epoca dei re franchi: recavano, quelli dei re, un rozzo busto di prospetto con lunga chioma, circondato dal nome; quelli dei vescovi sappiamo che ebbero in principio solamente dei monogrammi. Già alla fine del sec. VI l'uso del sigillo è attestato in Germania e anche per gl'imperatori bizantini; e continua coi Carolingi che da Carlo il Grosso in poi vi si effigiarono in busto, laureato o diademato e paludato, qualche volta con scudo e lancia; il tipo di profilo viene a poco a poco sostituito da quello di prospetto, la cui evoluzione appare compiuta nel sigillo di Lotario re di Francia (954-986). Questo tipo, che fu imitato dai loro successori nelle varie regioni dell'impero, perdura fino a Ottone II; con Ottone III appare la figura intera stante, e con Enrico II la figura sedente in trono, con scettro e globo, che rimane poi il tipo costante dei sigilli imperiali per tre secoli ancora. In Italia i sigilli più antichi sono quelli di piombo del ducato napoletano (sec. VII-VIII) recanti solamente delle iscrizioni e dei monogrammi di carattere bizantino: in Inghilterra il primo sigillo rammentato è dell'857, di Etelwulfo di Wessex. Il diffondersi dell'uso del sigillo che fu generale nel sec. XII, non portò a una varietà molto notevole dei suoi aspetti nelle diverse regioni: ché anzi essi obbedirono a norme relativamente costanti: tale è quella della leggenda nel giro, enunciante il nome e i titoli delle persone o dell'ente a cui il sigillo apparteneva o un loro motto, e quella della connessione del tipo con la persona o l'ente che lo adoperavano. Specialmente frequente è il passaggio di tipi dall'una all'altra categoria di persone o dall'una all'altra regione: così i vescovi fino dalla metà del sec. X imitarono i sigilli degli ultimi Carolingi nella forma, nell'iscrivervi il proprio nome, nel munirli del proprio busto e successivamente della propria effigie in trono. I sigilli imperiali servirono da modello fino alla fine del sec. XII (cfr. anche i sigilli dei re inglesi con la figura seduta in trono, da Edoardo il Confessore in poi): a quest'epoca sono ormai concretati anche nuovi tipi speciali per i dignitarî civili e ecclesiastici che usavano il sigillo, sui quali a lor volta si modellarono quelli delle città. Un'innovazione importante avviene nella seconda metà del sec. XII, nei sigilli civili, con l'introduzione dei tipi araldici in luogo del ritratto, prima limitati al vero e proprio scudo, poi estesi ad altri elementi quali l'elmo, il cimiero, ecc.; né mancarono tipi che non rientravano né fra i ritratti né fra quelli araldici, e che consistevano in figure di vario genere, pur sempre in qualche modo connesse col titolare del sigillo. Anche questi tipi fondamentali subiscono tuttavia variazioni: il ritratto a busto è presto sostituito da quello a figura intera: talvolta quello del sovrano o del vescovo compare anche nei sigilli dei dignitarî o uffici da essi dipendenti; il ritratto del titolare del sigillo porta sempre il costume ufficiale della carica (abito d'incoronazione per i sovrani, pontificale per i vescovi), ma talvolta lo raffigura anche in atto di esercitare la propria dignità. Relativamente scarso è il valore di questi ritratti da un punto di vista strettamente iconografico, mentre grande ne è quello per la storia del costume; e grande è il valore dei tipi araldici per la genealogia, mentre quello delle altre figure è puramente storico e non relativo all'epoca del sigillo stesso. Più che i sigilli imperiali e reali (dove appare anche il tipo del ritratto equestre) sono quelli ecclesiastici e quelli civili a darci un quadro completo dell'evoluzione dei tipi. In quelli vescovili e abbaziali l'uso di mettere nel sigillo il ritratto del titolare si fa sempre più frequente dal sec. XI al XIV: prima in busto, quindi in figura intera, stante o seduta sulla cattedra che è spesso ornata con teste di animali ai braccioli e con zampe ferine, o infine genuflessa dinnanzi alla divinità o alla figura del santo patrono della diocesi o del convento, la quale più tardi sostituisce talvolta il ritratto del vescovo o dell'abate. In Italia, dove i ritratti sono più rari che altrove, è frequente per i sigilli ecclesiastici la rappresentazione della Madonna col Bambino fino dal sec. XIII. Nel sec. XIV le figure sono collocate sotto baldacchini di gusto gotico, che rimarranno poi a lungo nei sigilli anche nel Rinascimento, per la tendenza naturale a mutarne meno che fosse possibile l'aspetto, dato il vigore di autenticazione che essi davano ai documenti. Meno costante è l'uso del ritratto da parte dei dignitarî ecclesiastici che lo sostituivano volentieri con l'immagine del santo titolare se si tratti di appartenenti a capitoli o collegiate di cattedrali, o con emblemi a esso allusivi cui si aggiungono talvolta delle armi o altri elementi che accennino alla discendenza del possessore. Un carattere analogo hanno quelli degli enti ecclesiastici che oltre alla figura del santo patrono usano porre nel loro sigillo anche scene della sua vita o vedute della propria chiesa che sono però quasi sempre schematiche o addirittura ideali, o soggetti religiosi in genere (Crocifissione, Annunciazione, Coronazione della Vergine, Trinità, ecc.); rari sono quelli di singole cariche ecclesiastiche senza riferimento alla persona determinata che le riveste, eccetto che per gli abati (raffigurati in ginocchio, stanti o sedenti con scettro e libro), e per le propositure, i priorati, ecc., degli ordini minori. Fra i sigilli civili quelli dei principi e sovrani hanno di regola il ritratto che si fa sempre più frequente fino alla fine del sec. XIII sul modello dei sigilli imperiali, quando viene sostituito quasi generalmente dall'arme del possessore: si osserva una costanza di tipi per le singole famiglie, e una minore quantità di ritratti nei sigilli di quelle di minore importanza. I sigilli delle autorità civili sono per lungo tempo impersonali: rari quindi anche in essi i ritratti, che raffigurano il titolare in costume aulico o ufficiale, a caccia, a cavallo: più frequenti invece nei sigilli di singoli appartenenti a famiglie nobili o borghesi (numerosi in Germania anche quelli di donna) insieme a figure di animali reali o fantastici e a motivi tratti dal regno vegetale. Dal sec. XIII l'arme del possessore costituisce il tipo predominante del sigillo civile, sia sotto forma di semplice scudo che occupa il campo del sigillo, sia nelle sue variazioni e complicazioni con l'apparire del cimiero, dell'elmo, della figura reggiscudo che testimoniano sempre più della cura messa dagl'incisori nell'intagliare le matrici, giunta talora a rendere coll'ageminatura i varî colori araldici, e sempre volta a un'armoniosa disposizione del tipo, mediante motivi vegetali e architettonici che riempiono il resto del campo magari a scapito della leggenda. Le classi medie quando non disponevano di un'arme misero nei sigilli degli emblemi parlanti, quasi un ideogramma del nome del possessore, o lo raffigurarono genericamente nella sua qualità o in atteggiamenti allusivi a qualche fatto della sua vita, o si valsero di figure grottesche e satiriche, o di insegne e simboli dell'attività da esso esercitata. Numerosissima è la serie dei sigilli familiari in Italia: ma forse più importante artisticamente quella dei sigilli di città che cominciano fin dal primo affermarsi della esistenza politica di queste, seguendo tradizioni iconografiche proprie, anche se non vi mancano tracce di influssi stranieri, giustificati dal precedente apparire di sigilli di tal genere in Germania (Colonia 1149) e in Inghilterra (Exeter 1180 c.). I tipi più ovvii furono dappertutto costituiti da vedute delle mura civiche, del castello, della cattedrale, o di qualche altro edificio particolarmente caratteristico e importante, ma accanto a questi si hanno anche sigilli con i simboli araldici del comune, o con figure del fondatore o del patrono della città, o con un loro attributo, con scene di soggetto biblico o tolte dalla vita del patrono, o con figure allusive al nome (armi parlanti) o alla posizione geografica della città (ad es., navi o pesci per le città poste sul mare o lungo i fiumi). I santi patroni o l'arme accompagnano spesso i tipi architettonici che l'arme vera e propria del comune finisce poi col sostituire. Questi tipi ebbero in ogni regione una notevole durata al pari della leggenda che li accompagnava: in Italia ebbero favore le leggende a motto o sentenza che spesso erano formulate in versi leonini (Padova, Verona); e l'uso non ne fu limitato alle grandi città (veduta della città nei sigilli di Siena e di Padova, della facciata del duomo in quello di Cremona, della porta in quelli di Ravenna e di Fano), ma si estese anche a borghi e terre di minore importanza (torrione rotondo con falchi, Mensano; castello con torre laterale o centrale, Capannoli, Guardistallo, Marradi, Palaia, Vinci; veduta della chiesa romanica, Empoli).

Come le città e qualche tempo dopo di esse ebbero sigillo le varie corporazioni e arti e gli altri enti civili (università, ospedali, scuole, ecc.) e lo munirono di un'arme o di una figura, che per le corporazioni di mestiere è talvolta uno degli arnesi a esse proprie o il loro santo protettore: così gli ospedali usarono volentieri l'emblema dello Spirito Santo.

L'influsso esercitato dalle gemme sui primi sigilli di metallo che a esse seguirono non è stilisticamente sensibile, attraverso la rozzezza dell'esecuzione, fino a Carlomagno, dal quale comincia anche nel sigillo una rinascenza artistica che si basa sull'imitazione dell'antichità classica e bizantina, ma diventa presto capace d'invenzioni originali, da cui si svilupparono i tipi fondamentali che prevarranno nel periodo romanico (v. per es., il tipo dell'imperatore stante che procede da quello in mezza figura, di prospetto, coronato e munito di scettro che appare sotto Lotario nel sec. X). Raggiungono finezza di lavoro e di concezione i sigilli reali e dei grandi feudatarî prima di quelli delle classi inferiori: evidenti sono i riflessi dell'arte e della cultura locale nelle singole regioni: così troviamo tendenze bizantineggianti nei sigilli del mezzogiorno d'Italia ancora in epoca normanna e prevalenza di motivi derivati dall'arte di oltralpe (non senza reminiscenze classiche) in epoca sveva e angioina, prevalenza che del resto si estende anche nel resto della penisola. Nel periodo romanico i sigilli imperiali e reali di Francia, di Germania, d'Inghilterra eccellono nell'esecuzione e nell'invenzione, per vigoria di rilievo e armonia di composizione: quelli italiani contemporanei rimangono molto al disotto per la grossolanità dell'intaglio e la minore originalità dei tipi. Col finire del sec. XIII l'arte raggiunge il massimo di abilità nell'esecuzione anche se non supera la forza di certe impronte romaniche; il sigillo gotico diviene in Europa fino al Rinascimento un tipo costante, che segue l'evolversi dello stile e lo sviluppo degli elementi decorativi, da cui trae l'infinita varietà e preziosità dei suoi baldacchini e dei suoi ornamenti, riflettendo anche scrupolosamente le mutazioni del costume. Bellissimi sono allora i sigilli inglesi di corporazioni religiose e molti di quelli francesi, per correttezza di disegno e semplicità di ornamentazione: in Italia quelli comunali, delle corporazioni e di privati, dovettero essere spesso intagliati da artisti di grido che vi dimostrano finezze di orafi e gusto squisito (Guccio di Manaia 1298, sigillo di Siena): nel sec. XIII e nel XIV Firenze e Siena annoverarono molti di questi sigilli di grande valore artistico che giungono essi stessi a esercitare influssi particolari, ad es., sulla scultura funeraria, e che assimilano con originalità e con finezza le forme gotiche oltremontane, nei tipi, nelle leggende, nelle complicate inquadrature architettoniche che dànno all'insieme della composizione un valore più pittorico che plastico (Toesca). Con la prima metà del sec. XV anche il sigillo gotico, giunto a un'estrema raffinatezza che porta seco una sovrabbondanza nella composizione tale da rasentare il cattivo gusto, mostra sintomi di una decadenza artistica che in Francia risale a qualche decennio più addietro e dalla quale specie in Italia ritorna nel Rinascimento verso uno stile più libero delle figure e verso una compostezza classica cui non poco contribuiscono le architetture classiche o classicheggianti e i caratteri romani delle iscrizioni. Dalla fine del sec. XV è anzi evidente un influsso italiano specie in Francia dove la semplicità con cui si volle reagire alle esagerazioni decorative ha spesso un'eleganza che rivela l'imitazione deì nostri modelli, attestata del resto anche dalla presenza di incisori italiani alle corti (Nicola Spinelli incisore dei duchi di Borgogna, 1468). Dopo il sec. XVI, parallelamente al diffondersi delle medaglie coniate in luogo di quelle fuse e all'introduzione dell'uso del bilanciere per la coniazione, anche nei sigilli si riscontra una tendenza a una più fredda meccanizzazione dell'intaglio: gl'intagli delle matrici sono meno profondi anche in dipendenza del meno frequente uso della cera per le impronte; ritornano a essere impiegati di frequente gli anelli con sigillo, spesso in oro e recanti, come da allora in poi generalmente, quasi esclusivamente l'arme del possessore. Ma questa limitazione a un unico tipo finisce col togliere al sigillo qualsiasi pretesa e valore d'arte, e col farlo tornare alla sua prima significazione di puro contrassegno che convalida il documento cui è apposto. Fanno eccezione a questa generale decadenza specialmente i sigilli romani del Seicento e del Settecento, le cui impronte del resto troppo rivelano la comune origine con le medaglie e le monete cui soprattutto attendevano i loro intagliatori.

L'arte d'intagliare i sigilli era stata in principio prerogativa degli orefici, sebbene non sia da escludere che vi si esercitassero anche degli ecclesiastici, come nel Medioevo spesso accadde per altre arti minori (è noto solo un piccolo numero di nomi di incisori di sigilli medievali, specialmente francesi, dalla fine del sec. XII); solo col sec. XVI essa diviene dominio esclusivo degl'incisori di conî, e solo da allora noi conosciamo quindi molti nomi di incisori di sigilli, in cui non mancano naturalmente artisti di grandissima fama, a cominciare da Benvenuto Cellini che nella Vita e nel Trattato dell'oreficeria parla di quelli da lui fatti pel cardinale di Mantova e per Ippolito d'Este, e dedica anzi nel trattato un intero capitolo ai suggelli cardinaleschi. Dal sec. XVII appaiono, sebbene non di frequente, le firme degl'incisori sulle matrici. Le matrici venivano spesso incise direttamente dagl'intagliatori, come provano gli errori non troppo infrequenti nelle leggende, giustificabili solo con l'incisione diretta a rovescio; talvolta venivano incise mediante punzoni e dal sec. XIII in poi erano fuse da un modello di cera; la leggenda doveva sempre esser incisa mediante punzoni. Riappare tuttavia in Francia alla fine del sec. XV il processo d'incisione diretta che rimane in uso con quello della fusione fino al sec. XVIII.

V. tavv. CXLI-CXLIV.

Bibl.: G. A. Seyler, Geschichte der Siegel, Lipsia 1894; W. De G. Birch, Seals, Londra 1907; E. F. v. Berchem, Siegel, Berlino 1923.

Antichità: Plinio, Nat. Hist., XXXVII (la fonte più importante sul soggetto per l'antichità classica): A. Furtwaengler, Antiken Gemmen, voll. 3, Lipsia-Berlino 1900; V. Chapot, in Daremberg-Saglio, Dictionnaire des antiquités s. v. signum; D. Levi, Le cretule di Haghia Triada e di Zakró, in Annuario della R. Scuola Archeologica di Atene, VIII-IX (1929), pp. 71-201; Notizie degli scavi, 1883, p. 287 segg. (per le cretule di Selinunte): H. B. Walters, History of ancient Pottery, voll. 2, Londra 1905, II, p. 474 segg.; F. Oswald e T. D. Pryce, An Introduction to the study of terra sigillata, Londra 1920; A. Mau, Pompeji in Leben u. Kunst, Lipsia 1908, p. 278 segg.; Wenger, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., s. v. signum (ampia trattazione).

Medioevo ed età moderna: British Museum. Guide to the Mediaeval room, Londra 1924; G. Demay, Le costume au Moyen-âge d'après les sceaux, Parigi 1880. - Sigilli italiani: L. A. Muratori, Antiquitates italicae Medii Aevi, II, 85 segg.; D. M. Manni, Osservazioni istoriche sopra i sigilli antichi, Firenze 1739 segg.; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Torino 1927, p. 1121 segg.; Periodico di numismatica e sfragistica, Firenze 1870-1874; Bullettino di numismatica e sfragistica, Camerino 1881. - Sigilli bizantini: G. Schlumberger, Sigillographie de l'empire byz., Parigi 1884. - Sigilli stranieri: J. Roman, Manuel de sigillographie française, Parigi 1912; W. de G. Birch, Catal. of seals in the British Museum, Londra 1887 segg.; O. Posse, Die Siegel à. deutschen Kaiser u. Könige, Dresda 1909.

Diritto.

Apposizione e rimozione di sigilli. - L'insieme delle operazioni e dei provvedimenti che vanno sotto il nome di apposizione e rimozione dei sigilli, ha due distinti oggetti, partitamente regolati nel codice di procedura civile e nel codice di commercio: conservazione del patrimonio mobiliare, facente parte di un compendio ereditario (art. 847-866 cod. proc. civ. in relazione all'articolo 928 cod. civ.), e conservazione del patrimonio mobiliare del fallito (art. 691, 733-740 cod. comm.).

Profondamente diversa è la natura dei due procedimenti, a seconda dei due oggetti, cui si riferiscono: mentre in tema di eredità l'apposizione dei sigilli costituisce un provvedimento cautelare, al punto che il codice (art. 855, n. 6) prevede il caso in cui sia disposto con sentenza, in tema di fallimento non può a essa esser riconosciuto che il carattere di atto esecutivo della sentenza di fallimento, privo di autonomia, di guisa che l'indisponibilità del patrimonio, stabilita dall'art. 699 cod. comm., prende data non dall'apposizione dei sigilli, ma dalla predetta sentenza.

Competente a emanare l'ordine di apposizione dei sigilli e a presenziarne l'esecuzione, in tema di successione, è il pretore, e, nei comuni, che non sian sede di pretura, e in caso di urgenza, il conciliatore (art. 847): essi procedono su istanza delle persone indicate nell'art. 848 (aventi diritto alla successione, esecutore testamentario, creditori autorizzati dal pretore, ecc.), ma possono procedere d'ufficio, o su richiesta del pubblico ministero o sulla dichiarazione del podestà nei casi indicati nell'art. 849 (assenza del coniuge o degli eredi, minore età o interdizione di alcuni eredi, ecc.). All'apposizione dei sigilli presenziano il pretore o il conciliatore, e il cancelliere, e delle operazioni si redige verbale, nel quale è disposta altresì la nomina di un custode.

Competente ad apporre i sigilli alla massa fallimentare, è il pretore, che vi procede, con o senza l'assistenza del curatore; se ne stende verbale, che, firmato dal pretore, viene trasmesso al giudice delegato.

La rimozione dei sigilli è l'operazione inversa alla apposizione, che si esegue almeno tre giorni dopo quest'ultima e dà luogo al procedimento dell'inventario.

Competente a ordinarla e a presenziarvi in tema di successione è il pretore, su istanza degli aventi diritto, e salva l'opposizione degl'interessati, sulla quale decide l'autorità giudiziaria competente. Alla rimozione partecipano, su citazione, le persone indicate nell'art. 868 (coniuge superstite, legittimarî presunti, creditori opponenti, ecc.). In tema di fallimento provvede invece alla rimozione il curatore, assistito dalla delegazione dei creditori, da un notaio, e dal fallito, e a seguito di autorizzazione del giudice delegato (art. 740-741).

Falsità in sigilli o strumenti o segni di autenticazione. - Per questo, v. falso (XIV, p. 760).

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