LUMET, Sidney

Enciclopedia del Cinema (2003)

Lumet, Sidney

Emiliano Morreale

Regista teatrale, televisivo e cinematografico statunitense, nato a Philadelphia il 25 giugno 1924. Autore fortemente legato al teatro per formazione personale e culturale, ma cresciuto come regista nella televisione statunitense degli anni Cinquanta, L. si è imposto nel cinema con il suo film d'esordio, 12 angry men (1957; La parola ai giurati), premiato con l'Orso d'oro al Festival di Berlino del 1957. A partire da allora, attraverso numerose opere realizzate nell'arco di quattro decenni, il suo modo di fare cinema ha continuato a basarsi su alcune costanti: il lavoro con gli attori, l'attenzione a tematiche di grande attualità, l'alta qualità della messinscena, esente da ogni retorica, il notevole ritmo del racconto sostenuto dal montaggio. Progressista convinto, ha tratto spesso ispirazione da testi teatrali e letterari, ottenendo i maggiori successi negli anni Settanta, quando ha puntato il suo sguardo critico, nutrito dalla cultura liberal, su alcuni aspetti nevralgici della società statunitense, indagando in particolare sui rapporti tra criminalità e legalità, politica e televisione.

Figlio d'arte (i genitori, ebrei polacchi emigrati negli Stati Uniti, erano attori di teatro e il padre Baruch fece parte dello Yiddish Art Theatre di Maurice Schwartz), L. crebbe a New York, dove già da bambino recitò in varie produzioni di Broadway (sotto la direzione, tra gli altri, di Max Reinhardt e Joseph Losey). Interrotti gli studi universitari per prestare servizio militare durante la Seconda guerra mondiale, dopo la fine del conflitto iniziò a studiare recitazione, prima all'Actors Studio, poi, insoddisfatto dei metodi di Lee Strasberg, in una compagnia off fondata nel 1947 con un gruppo di suoi colleghi. Nel 1950 cominciò a lavorare alla CBS come regista televisivo, attività cui si dedicò intensamente, collaborando a rubriche e programmi basati sulla drammatizzazione di eventi della cronaca e della storia. L'esordio nella regia cinematografica avvenne proprio con l'adattamento di un teleplay di Reginald Rose, 12 angry men, dramma giudiziario ambientato in una camera di consiglio, dove un giurato riesce a rovesciare un verdetto di condanna a morte in apparenza scontato. Nei film successivi, pur non ricorrendo a soluzioni espressive di particolare originalità, mostrò sempre una professionalità impeccabile: Stage struck (1958; Fascino del palcoscenico), That kind of woman (1959; Quel tipo di donna), The fugitive kind (1960; Pelle di serpente), A view from the bridge (1962; Uno sguardo dal ponte), Long day's journey into night (1962; Il lungo viaggio verso la notte). Spesso tratti da testi teatrali contemporanei (di A. Miller, T. Williams, E. O'Neill), questi film, per la cui riuscita risultò determinante il contributo di Boris Kaufman come direttore della fotografia, davano agli attori coinvolti, per lo più divi e attrici affermati (Henry Fonda, Marlon Brando, Katharine Hepburn, Anna Magnani e Sophia Loren, tra gli altri), la possibilità di offrire interpretazioni memorabili. Dalla metà degli anni Sessanta L. tentò con successo alcune operazioni più azzardate, in film che contribuirono a rinnovare Hollywood 'dall'interno', affrontando temi scabrosi con uno stile che guardava al cinema d'autore europeo (L. fu uno degli ultimi registi hollywoodiani a rinunciare al bianco e nero): Fail safe (1964; A prova di errore), sulla minaccia di una guerra nucleare scatenata per errore; The pawnbroker (1965; L'uomo del banco dei pegni), sulla figura di un ebreo sopravvissuto al campo di concentramento, che vive l'incubo del ricordo nel degradato quartiere di New York dove lavora; The hill (1965; La collina del disonore), duro apologo contro l'autoritarismo militare, ambientato durante la Seconda guerra mondiale in un campo di prigionia inglese. Mentre passava ecletticamente da un adattamento di J. Le Carré (The deadly affair, 1967, Chiamata per il morto) a uno di A.P. Čechov (The sea gull, 1968, Il gabbiano), L. realizzò anche due film più vicini alla sua sensibilità, The group (1966; Il gruppo), tratto dal romanzo di M. McCarthy e sorretto ancora una volta da uno strepitoso cast femminile, e l'altrettanto corale, ma con interpreti solo maschili, Bye bye Braverman (1968). Furono due insuccessi commerciali, come fallimentari sotto ogni aspetto risultarono i melodrammi The appointment (1969; La virtù sdraiata) e Last of the Mobile Hot-shots (1969; La poiana vola sul tetto), tratto ancora da T. Williams e sceneggiato da Gore Vidal.Negli anni Settanta, a parte il delizioso divertissement per attori Murder on the Orient Express (1974; Assassinio sull'Orient Express) e due claustrofobici gialli psicologici sul tema del dominio (Child's play, 1972, Spirale d'odio, e The offense, 1973, Riflessi in uno specchio scuro), L. diede il meglio di sé in storie metropolitane d'azione o di duro commento politico: non tanto in Serpico (1973), film di denuncia sulla corruzione della polizia di New York, quanto piuttosto nel godibile ma non futile The Anderson tapes (1971; Rapina record a New York), nel celebre Dog day afternoon (1975; Quel pomeriggio di un giorno da cani), racconto di una rapina costruito sul perfetto e allucinato equilibrio di dramma e commedia, e nel poco raffinato ma profetico Network (1976; Quinto potere), in cui L. collaborò con un altro veterano della televisione, Paddy Chayefsky, autore della sceneggiatura, per narrare le prospettive apocalittiche dell'intreccio tra il mondo della politica e quello dei network televisivi (il film, che collezionò nove nominations all'Oscar, aggiudicandosene quattro, fu anche il suo maggiore successo commerciale). All'inizio degli anni Ottanta tornò ad affrontare il tema della corruzione con Prince of the city (1981; Il principe della città), uno dei suoi polizieschi più intensi e forse il più ambizioso, dalle atmosfere vicine a quelle di registi come Martin Scorsese o Paul Schrader. Memorabile fu anche The verdict (1982; Il verdetto), vera lezione di messinscena classica basata su una sceneggiatura di ferro di David Mamet e sostenuta da una delle prove migliori di Paul Newman. Meno riuscito, ma ambizioso e notevole nella complessità della costruzione, fu invece Daniel (1983), rievocazione del processo politico ai coniugi Rosenberg durante il maccartismo.

Successivamente L. ha realizzato prodotti di discreta qualità ma scarsamente ispirati, come Power (1986) dramma politico liberal, i polizieschi The morning after (1986; Il mattino dopo), A stranger among us (1992; Una estranea fra noi) e Night falls on Manhattan (1997; Prove ap-parenti), le 'commedie nere' Family business (1989; Sono af-fari di famiglia) e Critical care (1997; Se mi amate… Critical care) e Gloria (1999), remake del film di John Cassavetes del 1980. Running on empty (1988; Vivere in fuga) è invece un appassionante road movie (ispirato a un caso reale) sulla vita in clandestinità di una famiglia formata da una coppia di militanti di estrema sinistra e dai due figli, in fuga da anni dal FBI.

Bibliografia

G. Petrie, The films of Sidney Lumet: adaptation as art, in "Film quaterly", 1967-68, 21.

P. Bogdanovich, An interview with Sidney Lumet, in "Film quaterly", 1971, 25.

S.E. Bowles, Sidney Lumet, a guide to references and resources, Boston 1979.

Entretien avec Sidney Lumet, éd. M. Ciment, in "Positif", 1982, 251.

G. De Santi, Sidney Lumet, Firenze 1988.

J. Boyer, Sidney Lumet, New York 1993.

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