SICILIA

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

SICILIA (XXXI, p. 654; App. II, 11, p. 821)

Aldo PECORA
Bruno MAVER
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La popolazione residente dell'isola è aumentata da 4.000.078 ab. nel 1936 a 4.462.220 nel 1951, e ha raggiunto i 4.711.783 ab. al censimento del 15 ottobre 1951: raccoglie pertanto, come nel 1936, il 9,5% della popolazione italiana. L'incremento naturale degli abitanti, pari all'11,6‰ nel 1936-40, è diminuito negli anni di guerra, ma da allora è andato aumentando, aggirandosi attualmente (1953-57) sul 13,2‰, cioè su una media vicina a quella degli ultimi decenni del secolo scorso (1881-85: 14,2‰). Tale incremento, tuttavia, risulta inferiore a quello delle altre regioni meridionali, pur essendo ancora cospicuo e non comparabile con quello dell'Italia Settentrionale: si mantiene cioè sempre di circa 1/3 superiore alla media italiana.

L'indice di natalità è però diminuito nell'ultimo decennio, passando da 27‰ nel 1947 a 22,3 nel 1953-57, ma contemporaneamente l'indice di mortalità si è abbassato da 11 a 9,1‰. Circa un terzo dell'eccedenza dei nati vivi sui morti lascia annualmente l'isola, o per l'alta Italia o per l'estero: l'emigrazione transoceanica è salita da 14.245 unità nel 1948 a 20.456 nel 1950, a 22.807 nel 1954, mentre negli stessi anni ne sono rientrati rispettivamente 1337, 3226 e 12.546 (di cui tuttavia, per il solo anno 1954, 4664 residenti all'estero). La maggior parte degli emigrati parte per motivo di lavoro o per atto di chiamata, ed è diretta prevalentemente verso gli Stati Uniti, l'Australia, il Venezuela e l'Argentina.

Dalla fine del 1947 alla fine del 1957 è aumentato soprattutto il carico demografico delle province di Palermo (11,8%), Catania (10,3%), Agrigento (7,1%) e Caltanissetta (6,8%), mentre molto contenuti risultano gli incrementi di Siracusa (3,7%), Enna (3,3%), Trapani (2,3%), e addirittura trascurabili quelli di Messina (1,7%) e di Ragusa (1,1%). Di conseguenza, anche le densità si sono modificate in modo ineguale: quella media della regione è salita da 171 ab. per km2 nel 1947 a 187 (1959), ma attorno a quest'ultimo valore si oscilla dai 253 di Catania ai 98 di Enna. I notevoli spostamenti interni della popolazione hanno ancor più accentuato le già forti anomalie esistenti nella distribuzione degli abitanti. La popolazione, infatti, tende ancora verso la cornice costiera dell'isola dove le città principali (soprattutto Palermo, Catania e Messina) ne attraggono forti contingenti. Così nel settennio 1952-58, la differenza positiva tra immigrati ed emigrati ha accusato una media annua di 4190 unità per Palermo, di 2449 per Catania, di 629 per Messina, di 373 per Siracusa, di 436 per Ragusa (limitatamente al periodo 1956-58). Il movimento migratorio si risolve al contrario negativamente per Caltanissetta (con una perdita media annua di 624 persone), Trapani (−220) ed Enna.

La popolazione attiva con più di 10 anni ammontava, nel 1951, a 1.482.904 persone: pertanto, ad ogni occupato corrisponderebbero ben più di tre persone economicamente inattive, contro una media nazionale di 2,4 e quella di 2,2 delle regioni poste a nord di Roma. Della popolazione attiva il 52,2% è addetto all'agricoltura, il 22,7% all'industria, l'11,8% al commercio, il 4,6% ai trasporti e alle comunicazioni, e l'8,6% alla pubblica amministrazione. Rispetto al 1936, il numero degli addetti all'industria non ha accusato variazioni di rilievo, ma è noto che l'opera di industrializzazione è stata particolarmente accentuata dopo il censimento 1951; mentre gli addetti alla pubblica amministrazione sono aumentati del 99,6%, in rapporto alla costituzione della regione autonoma siciliana: a Palermo, questi addetti rappresentano il 18,6% della popolazione attiva.

Nonostante l'incremento di altri settori dell'economia, l'agricoltura - che dal 1947 ad oggi ha subìto una certa evoluzione sotto lo stimolo di interventi statali e regionali, e dell'interessamento privato - costituisce ancora il fulcro delle attività siciliane, contribuendo col 42% al prodotto netto privato (media 1955-57), mentre per l'Italia tale valore scende al 22%. La riforma agraria, con la quale si è provveduto alla assegnazione di 70.000 ha di terreno (pari soltanto al 3,5% della superficie arabile della regione) a circa 15.000 famiglie (1957), sembra che abbia avuto, finora, più forti ripercussioni sul campo sociale, nell'evoluzione della proprietà fondiaria e nella meccanizzazione agricola che non sulla produzione. Tuttavia, in alcune aree particolari essa ha completamente mutato i caratteri esterni del paesaggio con la costruzione di nuovi borghi (32), di case coloniche (circa 4000), di strade rurali (km 1450), di acquedotti rurali (km 30) e di abbeveratoi pubblici (140), e con l'impianto di ben 13 milioni di barbatelle (vite), di 1,2 milioni di alberi da frutto, e di 628.000 olivi. Inoltre, con l'aiuto della Cassa per il Mezzogiorno, circa 25.000 ha di terreno sono diventati irrigui.

Tuttavia, tale evoluzione dell'agricoltura è frutto non solo e non tanto della riforma agraria, quanto dell'interesse e dell'abnegazione di molti agricoltori, anche se aiutati finanziariamente dalla regione.

Rispetto al 1945-47, la superficie destinata al frumento è aumentata del 5,8%, investendo una media di 683.000 ha (1955-57); ma un incremento incommensurabilmente più forte ha avuto la produzione, salita da 4,2 a 7,8 milioni di q (+ 85,1%): il rendimento unitario è infatti cresciuto da 6,6 a 11,5 q per ha (Italia: 17,5). La produzione di grano rimane tuttavia lontana da quella prebellica, ed è insufficiente al fabbisogno della regione. Nel triennio 1955-57 si sono importati, in media, 2,3 milioni di q di frumento e di farine da altre regioni italiane, e 1,2 milioni dall'estero; la media del grano duro esportato per le industrie pastarie fu, nello stesso periodo, solo di 151.000 quintali. La produzione dell'orzo, che rappresentava prima della guerra circa un terzo di quella nazionale, si è ridotta a circa un quarto (659.650 q nel 1958), pur risultando leggermente cresciuta, in cifra assoluta, rispetto al periodo prebellico. Stazionaria, e trascurabile, la produzione di avena e segala. Le colture specializzate sono invece andate soggette a più cospicue variazioni; la vite, pur occupando nel periodo 1953-57 una superficie (201.000 ettari) di soli 7.000 ettari superiore a quella del 1936-39, ha più che raddoppiata la produzione, passando da 5 a quasi 11 milioni di q; la produzione media di vino, già ragguagliata a 3.237.000 hl, è salita a 6656, e il contributo a quella complessiva italiana dall'8,4 al 12,4%. In questa attività la S. è superata attualmente soltanto dalla Puglia. Notevoli sono stati pure gli incrementi ottenuti nella coltura dell'olivo: la superficie investita è aumentata del 25,8% nello stesso periodo (anche se resta molto al di sotto di quella del 1909-13: 328.000 ha), e la produzione di olio del 44,7%: con 424.000 hl di olio all'anno, essa viene subito dopo la Puglia, contribuendo alla produzione nazionale col 16,8%.

Anche l'agrumicoltura tende ad estendersi, soprattutto nelle zone costiere o in prossimità del mare, utilizzando l'acqua di falde freatiche recentemente reperite, o quella superficiale raccolta in nuovi numerosi serbatoi: essa è in notevole espansione soprattutto nei territorî di Scordia, Palagonia, lungo il rio di Caltagirone (o dei Margi), nella parte meridionale della piana di Catania, attorno a Carlentini e Villasmundo, e nella conca palermitana. La produzione è pertanto in aumento: soprattutto quella delle arance, oggi la più importante quantitativamente, che è salita da 1,9 milioni di q nel 1934 e nel 1948, a 4 milioni nel 1958, contribuendo col 59,5% alla produzione italiana. Segue quella del limone, che fu già la più espansa, la quale tende a recuperare le posizioni perdute durante l'ultimo trentennio a causa del "mal secco": essa fu di 3,4 milioni di q nel 1958 (92,7% di quella italiana). La produzione dei mandarini si aggira sui 550.000 q, pari all'84,6% del totale. È diminuita al contrario la coltura del mandorlo: pur rimanendo al primo posto tra le regioni italiane, la sua produzione, di circa un terzo superiore a quella pugliese, è di 996.000 q (−18,8% rispetto al 1934).

L'orticoltura ha avuto un forte sviluppo dall'anteguerra ad oggi: soprattutto la coltura dei pomodori, a carattere industriale. Questa ha aumentata la sua superficie da 9 a più di 22.000 ha (1955-57), e la produzione da 1,5 a 3,3 milioni di q: si basa soprattutto sulla produzione precoce, che viene per la maggior parte esportata nei varî paesi dell'Europa settentrionale. La produzione complessiva ammonta annualmente a più di otto miliardi di lire. Cospicue anche le produzioni di fave, ceci, fagioli, e carciofi, di cui vanta il primo posto in Italia. Tra le piante industriali, sono importanti soprattutto quelle del lino da tiglio e da seme, del cotone (con una superficie di 35.000 ha, e una produzione di 85.000 q di fibre e 137.000 q di seme nel 1955-57), e della barbabietola da zucchero. Quest'ultima è stata introdotta da non molti anni, con buone prospettive di produzione e di rendimento (1957: resa di 349 q per ha, di fronte ai 280-300 della Valle padana).

Nel campo dell'allevamento, si nota che, nonostante i tentativi di miglioramento in atto, i bovini risultano ancora grosso modo altrettanto numerosi che nel 1942 (232.000 capi nel 1956); gli ovini sono invece aumentati da 577 a 727.000, mentre una cospicua contrazione si è verificata tra gli equini, passati da 458.000 nel 1930 a 402.000 nel 1954: tale contrazione è evidente soprattutto tra gli asini, i muli e i bardotti. Questo non è soltanto in relazione con i primi tentativi di meccanizzare il mondo rurale, ma anche con l'introduzione di numerosi motocicli e biciclette, dei quali si servono sempre più anche i giovani della campagna.

In netto miglioramento la pesca, alla quale sono dedite ben 60.000 persone, che utilizzano in complesso 600 motopescherecci, 1100 motobarche, e circa 10.000 barche a remi e a vela.

La produzione, per il triennio 1955-57, è stata valutata in 417.000 q di pesci (per più della metà costituiti da alici, sarde e sgombri), oltre 32.000 q di molluschi e 18.000 di crostacei. I pesci rappresentano circa un terzo della produzione italiana, ma la produttività siciliana rimane sempre scarsa rispetto alle forze di lavoro e ai mezzi impiegati.

Tra le industrie estrattive, una nuova cospicua fonte di ricchezza, e fattore senza dubbio importante per la trasformazione economica della regione, si è aggiunta recentemente a quelle già note: gli idrocarburi. Le prime prospezioni furono iniziate nel 1949, e la prima importante scoperta è stata compiuta nel 1954 nei pressi di Ragusa, dove si trova il più vasto giacimento petrolifero dell'Europa occidentale. La produzione di grezzo fu di 2500 tonn. nel 1954, di 493.000 nel 1956, di 1.437.308 nel 1958: pari cioè, nell'ultimo anno, ai 9/10 della produzione nazionale, e a circa 1/10 del fabbisogno italiano. Un oleodotto lega i campi petroliferi di Ragusa alla raffineria di Augusta e alla sua area portuale. Nuovi giacimenti di petrolio sono stati recentemente scoperti a Gela (1957: 45.000 tonn.) e a Vittoria, e di metano a Castelvetrano (Trapani). Anche la produzione di roccia asfaltica è aumentata, aggirandosi ora sulle 140-180.000 tonn. annue, mentre i minerali di zolfo, nella cui attività estrattiva sono impiegati circa 10.000 operai, è in leggera ma continua discesa: da 265.117 tonn. nel 1933, la produzione è diminuita a 150.000 nel 1957 (−43,4%). In fase depressiva trovasi anche l'industria del sale marino, in connessione forse con l'eccessivo frazionamento aziendale (nel 1950 la produzione, pari a 187.450 tonn., fu molto vicina a quella del 1938, ma è scesa nel 1957 a 90.000 tonn. circa), mentre la produzione di salgemma, soprattutto dalle miniere di Cammarata, Racalmuto e Cattolica Eraclea (prov. di Agrigento), è passata da 21 a circa 200.000 tonn. negli ultimi anni. Recentemente sono stati inoltre scoperti varî giacimenti di sali potassici in una larga fascia, che dalla foce del Platani si spinge fino alla valle del Simeto, con una produzione annua preventivata di 1,2 milioni di tonn.

Veramente notevole lo sviluppo dell'industria elettrica, e ancora in fase di espansione: nel 1946 la produzione fu di 209 milioni di kWh (la stessa che nel 1938), mentre nel 1958 era già salita a 1109 milioni, dei quali 902 di energia termica e geotermica e soltanto 207 di energia idrica (le centrali termiche sono 10 e quelle idriche 18). Il collegamento con cavi aerei attraverso lo stretto tra le reti siciliana e calabrese (1955) ha permesso inoltre il trasporto dalla Sila alla S. di altri 70.000 kWh (media 1956-57): in complesso, nel 1957 circa il 25% è stato impiegato nella illuminazione, il 4,9% soltanto nell'agricoltura, e il 53% nelle industrie (con prevalenza delle edilizie, alimentari, chimiche ed estrattive) e trasporti.

Le industrie manifatturiere hanno avuto un impulso abbastanza forte dal dopoguerra ad oggi, e in particolare dal 1950. Mentre le attività metalmeccaniche non sono molto sviluppate, hanno tratto vantaggio soprattutto quelle chimiche e quelle legate in vario modo al petrolio. Le industrie chimiche, che trattano materie prime siciliane e minerali fosfatici nordafricani, sono presenti con grandi stabilimenti a Porto Empedocle e Licata (Agrigento), Campofranco (Caltanissetta), Milazzo (Messina), Tommaso Natale (Palermo) e Priolo (Siracusa); quella petrolchimica a Catania, Ragusa, Augusta, Priolo, e la raffinazione degli olî minerali ad Augusta (un nuovo complesso sta sorgendo a Gela). Pure in fase espansiva sono l'industria del cemento (con 800.000 tonn. nel 1957) e quella cantieristica. La costruzione a Palermo di due bacini galleggianti atti a ricevere navi rispettivamente fino a 32 e a 75.000 tonn., ha notevolmente incrementato anche l'attività delle riparazioni. Un'altra grande industria, che ha molte possibilità di ulteriore sviluppo, è rappresentata dal turismo, che può oggi contare su 16.834 posti letto, distribuiti in modo un po' più omogeneo che nel periodo prebellico. Gli alberghi sono stati frequentati in media da 751.227 clienti (1955-57), con un totale di presenze pari a 1.765.450 (di cui, rispettivamente 144.421 e 423.678 per gli stranieri).

Le comunicazioni terrestri sono ancora, in complesso, difficoltose, nonostante i 2100 km di strade statali e i 6600 di ordinarie, e il miglioramento della rete ferroviaria (elettrificazione della Messina- Catania, 1958). Il commercio interno si è tuttavia molto accentuato, come pure quello con le altre regioni d'Italia. Quest'ultimo risultava nel 1956 sensibilmente superiore, per volume, a quello con l'estero, ammontando a 4,8 milioni di tonn. di merci scambiate. Il commercio con l'estero, pari a 3,6 milioni di tonn. nello stesso anno, è aumentato da un valore globale di 77,6 miliardi di lire nel 1951 a 145,9 nel 1957, con un incremento medio annuo del 13%. In particolare, le importazioni (per 9/10 costituite da olî grezzi, carbon fossile e frumento) sono salite da 25,1 a 58,4 miliardi, e le esportazioni (rappresentate per più di un terzo dagli agrumi e per più di un quinto da prodotti petroliferi) da 52,5 a 87,5 miliardi nello stesso periodo. Gli scambî avvengono sia per ferrovia (il traffico attraverso lo stretto è quasi triplicato rispetto all'anteguerra passando da 111.141 carri carichi traghettati nel 1938 a 317.473 nel 1956) sia attraverso i porti: tra questi primeggia, per volume di merci sbarcate e imbarcate, quello di Augusta (petrolio grezzo e suoi prodotti), seguito da Palermo, Catania, porto Empedocle e Messina. Il movimento dei passeggeri è notevole a Palermo (180.000 sbarcati e imbarcati nel 1954), collegato con Napoli, Tunisi e i porti dell'Europa settentrionale e scalo di linee transoceaniche, e apprezzabile a Siracusa (in collegamento con Malta, Tripoli, Bengasi, Alessandria d'Egitto, Beirut) e Trapani (collegato con la Sardegna, la Tunisia, le isole Egadi e Pantelleria). Incrementato risulta anche il traffico degli aeroporti, che sono siti a Palermo, Catania, Trapani-Marsala, Ragusa-Cosimo e Pantelleria.

La Regione siciliana. - Lo statuto della Regione siciliana è stato emanato, nel testo proposto dalla Consulta regionale, con il r. decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, e successivamente è stato convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.

Gli organi della regione sono: l'Assemblea regionale, la Giunta e il Presidente regionale. L'Assemblea regionale è costituita da 90 deputati eletti per 4 anni a scrutinio di lista con rappresentanza proporzionale. Lo scioglimento dell'Assemblea regionale può avvenire, su proposta del Commissario dello stato, con decreto del Presidente della repubblica, solo per persistente violazione dello statuto regionale e deve essere preceduto dalla deliberazione delle Assemblee legislative dello stato.

All'Assemblea regionale compete una legislazione esclusiva molto ampia ed anche in materie in cui per le altre regioni a statuto speciale non è prevista una competenza legislativa esclusiva, come ad esempio le acque pubbliche (escluse quelle che sono oggetto di opere pubbliche di interesse nazionale), il regime degli enti locali, la pubblica beneficenza e le opere pie, l'istruzione elementare e l'industria e il commercio.

Tra le materie, per cui la legislazione esclusiva è ammessa anche in altre regioni, le principali sono: agricoltura e foreste, urbanistica, lavori pubblici (eccettuate le opere pubbliche d'interesse prevalentemente nazionale), miniere, pesca e caccia, turismo, circoscrizioni comunali, espropriazione per pubblica utilità. L'Assemblea regionale può anche emanare, entro i limiti dei principî ed interessi generali cui s'informa la legislazione dello stato, leggi relative all'organizzazione dei servizî di sanità pubblica, all'istruzione media ed universitaria, alla legislazione sociale, all'assunzione di pubblici servizî e in tutte le altre materie di prevalente interesse regionale. Inoltre l'Assemblea regionale può presentare progetti di legge su materie interessanti la regione alle Assemblee legislative dello stato.

Il Presidente regionale e gli assessori sono eletti dall'Assemblea regionale nel suo seno a maggioranza assoluta e insieme costituiscono la Giunta regionale, ossia il governo della regione. Sono responsabili di fronte all'Assemblea regionale e al governo dello stato.

Il Presidente regionale ha le seguenti funzioni: promulga le leggi regionali; convoca la nuova Assemblea regionale entro 3 mesi dal termine della legislatura; provvede al mantenimento dell'ordine pubblico a mezzo della polizia statale, la quale nella regione dipende disciplinarmente dal governo regionale; partecipa con il rango di ministro al Consiglio dei ministri e ha voto deliberativo nelle materie che interessano la regione; rappresenta nella regione il governo dello stato, che può tuttavia inviare proprî commissarî per l'esplicazione di singole funzioni statali.

Lo statuto stabilisce quindi che gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la regione. In esecuzione di tale disposizione sono stati emanati i decreti legislativi -6 maggio 1948, nn. 654 e 655. Il primo stabilisce che le funzioni del Consiglio di stato in Sicilia sono esercitate dal Consiglio di giustizia amministrativa; il secondo regola l'esercizio, nella regione, delle funzioni di controllo e giurisdizionali della Corte dei conti, istituendo una sezione di controllo e una sezione giurisdizionale della Corte stessa, con sede a Palermo. Per il problema dell'Alta Corte per la regione siciliana, v. alta corte, in questa Appendice.

La Regione siciliana subentra allo stato in tutti i beni demaniali e patrimoniali dello stato con esclusione di quelli che interessano la difesa dello stato o servizî di carattere nazionale. Per quanto concerne la potestà tributaria, lo statuto stabilisce che al fabbisogno finanziario della regione si provvede a mezzo di tributi deliberati dalla medesima.

Il Movimento Indipendentista Siciliano, che alle elezioni per la prima Assemblea regionale nel 1947 aveva ottenuto oltre 170.000 voti, alle seconde elezioni nel 1951 era quasi scomparso, trasferendosi il suo elettorato in quello della DC e dei partiti di destra. L'autonomia della Regione è divenuta peraltro una realtà che con tutte le sue implicazioni d'ordine istituzionale, amministrativo, politico, sociale, economico, pesa in tutte le forze politiche dell'Isola, condizionandone spesso in modo originale il comportamento, rispetto ai grandi raggruppamenti nazionali di cui fanno parte. È certo che l'autonomia si è dimostrata assai giovevole all'Isola, perché ha messo in moto forze sociali e politiche, e ha destato problemi vivi e nuovi di vita civile. Il processo di maturazione della classe dirigente, e di attuazione delle riforme previste dalla lettera e dallo spirito dello statuto è andato peraltro spesso a rilento, tra mille difficoltà d'ogni ordine. La creazione dell'apparato amministrativo regionale non sempre è stata realizzata con criterî di efficienza e snellezza e così la riforma agraria, considerata premessa indispensabile per la trasformazione delle strutture di base economiche e sociali, altrimenti inguaribilmente depresse, è stata condotta avanti assai lentamente e spesso addirittura fermata; i rapporti col governo centrale non sono stati sempre ben chiari, nè in sede costituzionale nè in sede politica e amministrativa. È tuttavia evidente che la Regione è ormai elemento irrinunciabile della realtà della Sicilia moderna e dello Stato italiano.

Il quadro delle forze politiche siciliane, quale si profila nelle quattro elezioni per l'Assemblea (1946, 1951, 1955, 1959), vede al primo posto la DC (passata dal 21% al 38,7%), seguita dalle sinistre, PCI e PSI con uno stabile 30%, dalle Destre (neofascisti, monarchici, liberali), in costante declino ma sempre forti; esigue le forze democratiche di sinistra, PSDI e PRI (i solo deputato nel 1959), ma accanto a queste va oggi piuttosto calcolato il PSI, in fase di netto distacco dai comunisti.

Le vicende dei governi regionali siciliani sono alquanto complesse. Un lungo periodo iniziale ha visto la DC governare con l'appoggio delle Destre (governi presieduti dagli on. Alessi, Restivo, La Loggia): è il periodo della I e II legislatura, e di parte della III. Quest'ultima risentì fortemente del generale disagio derivante dalla scarsa attività della precedente e dai mutamenti in corso nell'equilibrio politico nazionale. Si ebbe così una grave crisi della DC, conclusasi in un nuovo governo fondato sull'alleanza di un gruppo di dissidenti democristiani, capeggiato dall'on. Milazzo, con i comunisti, i socialisti e i neofascisti, escludente la DC e le altre forze (formazione del governo Milazzo, aprile 1959). Il gruppo dissidente, costituitosi in Unione Siciliana Cristiana Sociale (USCS) ottenne alle elezioni del giugno 1959 per la IV Assemblea, 9 deputati, sì che poté essere formato un nuovo governo Milazzo, con la stessa formula. L'idea di una convergenza delle forze estreme (dal PCI al MSI) imperniata su una dissidenza democristiana, in funzione di opposizione alla DC ufficiale, è entrata dopo l'esempio siciliano nel linguaggio politico col nome di "milazzismo". Il governo, e la relativa esclusione della DC dal potere nell'Isola durò fino agli inizî del 1960, quando il ritiro dell'appoggio socialista e defezioni d'altro genere condussero alla caduta del Milazzo. A questi succedette un nuovo governo DC, nettamente di centro-destra (partecipazione alla giunta del MSI e del PLI), durato un anno e caduto nel febbraio 1961 in seguito al ritiro del MSI, a rivalsa della linea nazionale di centro-sinistra adottata dalla DC nelle amministrazioni provinciali e comunali. Si aprì così una lunghissima crisi, che parve dover culminare nell'anticipata dissoluzione dell'Assemblea; quando nel settembre fu rapidamente formato un governo di centro-sinistra, sulla base d'un accordo tra DC, PSI e PSDI, con la partecipazione dei tre partiti alla giunta (presidente, D'Angelo). Questo episodio pare indicare nuovi orientamenti nella storia politica della Sicilia, la cui realtà è peraltro oggi (1962) assai difficile valutare.

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