SICILIA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1966)

Vedi SICILIA dell'anno: 1966 - 1997

SICILIA

A. Gallina
G. C. Susini
D. Adamesteanu
L. Bernabò-Brea
G. V. Gentili
L. Rocchetti
V. Tusa
E. De Miro
V. Tusa
A. Di Vita
E. De Miro

A). - Personificazione. - La personificazione dell'isola compare spesse volte su monete locali. Le serie più antiche sulle quali appare la testa di S. ed il simbolo della triscele, sono quelle dette della Symmachìa, battute presumibilmente ad Alesa, dopo il 338 a. C. ed alcune, simili, di Morgantina (v. serra orlando). Sulle monete romane (serie enee di Adriano ed Antonino Pio) la S. appare come una figura di donna, stante presso l'imperatore, con la consueta corona di spighe ed il simbolo dell'isola. Altra personificazione si trovava su una parete pompeiana (Regio iii, ins. i) la decorazione della quale è ormai perduta. La S. vi era raffigurata presso la personificazione della città di Alessandria. La si è voluta inoltre riconoscere su due rilievi romani: uno, conservato al Museo Pio Clementino, al Vaticano, ove sarebbe la figura femminile che si trova presso Roma e la Fortuna, l'altro, una raffigurazione che orna la fronte di un sarcofago (dalla via Latina, al Museo Nazionale Romano): la figura di S. dovrebbe essere la donna che regge la cornucopia, vale a dire una delle personificazioni di luoghi e città che circondano la scena principale (dextrarum iunctio) del sarcofago. Come busto femminile con la testa circondata dalla triscele (v.) appare su un riquadro musivo bianco-nero nell'ingresso delle Terme della Trinacria ad Ostia, del periodo adrianeo.

Bibl.: O. Höfer, in Roscher, IV, 1909-15, c. 814, s. v. Monete: British Museum Catalogue, Sicily, p. 29 ss.; B. V. Head, Historia numorum2, Oxford 1911, p. 126; G. E. Rizzo, Monete greche della Sicilia, Roma 1946, pp. 82 s.; 277; E. Gabrici, Monetazione in bronzo della Sicilia, Palermo 1927, p. 151 ss.; M. Gieseke, Italia Numismatica, Lipsia 1928, p. 69, tav. 16, 3; P. Naster, La Collection de Hirsch, Bruxelles 1959, pp. 76, 71, nn. 268, 315. Pittura pompeiana; K. Schefold, Die Wände Pompejis, Berlino 1957, p. 55. Sarcofago dell'Annona: R. Paribeni, Il Museo delle Terme, Roma 1928, n. 40799, p. 77. Rilievo del Vaticano: E. Gerhard, in Arch. Anz., 1847, tav. 4, pp. 49 ss. Mosaico ostiense: G. Becatti, Scavi di Ostia, IV, Mosaici e pavimenti marmorei, Roma 1961, n. 2785, p. 140, tav. CXXXIV.

(A. Gallina)

B). - Provincia romana. - Nel corso della prima guerra punica i Romani ebbero a che fare in S. con tre stati: il regno siracusano, che comprendeva Catania e Taormina assieme alla parte più meridionale dell'isola; il dominio dei Mamertini, includente i territori di Messina e di Tindari; e infine la parte restante dell'isola - la più vasta - sotto dominazione punica. La pace del 241 a. C. lasciò indipendente solo il regno di Siracusa, mentre il resto dell'isola passò ai Romani, che ne costituirono nel 227 la prima loro provincia, inviandovi a governarla un pretore. Nel 210 a. C., due anni dopo la caduta di Siracusa, anche la ribelle Agrigento cadde in mano romana, e tutta l'isola fu così amministrata dal pretore, che pose la sua residenza a Siracusa.

In molte comunità dell'isola il sistema tributario fu organizzato dai Romani sul modello di quello siracusano (la cosiddetta lex Hieronica); di molte altre comunità fu confiscato il territorio, ridotto ad ager publicus. Questo procedimento, assieme ai mutamenti generali dell'economia della penisola italiana, portarono ad una intensificazione della produttività granaria, ad una estensione del latifondo, ad un crescente impiego della mano d'opera servile: tra le conseguenze di questo ultimo fenomeno furono le due guerre servili combattute tra il 136 e il 131, e tra il 104 e il 100 a. C.

In età repubblicana l'ordinamento amministrativo dell'isola comprendeva quattro categorie di comunità: le civitates foederatae, e cioè Messana, Tauromenium e Netum; le civitates liberae et immunes, e precisamente Centuripae, Halesa, Halicyae, Segesta e Panormus; le civitates decumanae, vincolate alla lex Hieronica, che costituivano il maggior numero, e le civitates censoriae, quelle cioè il cui territorio era stato ridotto ad agro pubblico.

La sicurezza della provincia, la sua distanza da Roma e l'esigenza di non mutarne il favorevole equilibrio economico fecero sì che i Romani non vi dedussero in età repubblicana alcuna colonia. Le alterne vicende delle guerre civili, da Pompeo a Cesare ad Antonio a Sesto Pompeo a Ottaviano, indussero quest'ultimo a stabilirvi invece cinque colonie: Catania, Palermo, Siracusa, Tindari e Termini Imerese. Nel contempo cominciò la graduale concessione della cittadinanza romana, con la conseguente trasformazione delle città siciliane in municipî. Con Augusto, perdurando le condizioni di fondamentale sicurezza dell'isola, la S. fu attribuita all'amministrazione del senato, che vi inviò un proconsole di rango pretorio. L'amministrazione finanziaria era attribuita dalla fondazione della provincia a due questori, l'uno residente a Siracusa, l'altro a Lilibeo. Le condizioni economiche e sociali dell'isola perdurarono quali sono descritte da Cicerone nelle Verrine, che sono la fonte più cospicua per listona dell'isola in età romana.

Oltre alle vie costiere, si annoverano in S. quattro grandi strade interne: quella da Catania ad Halesa, per Centuripe, con una diramazione per Termini Imerese; qualla da Catania ad Agrigento, forse con due tracciati; quella da Agrigento a Palermo; quella da Siracusa a Gela, per Acrae. Alla provincia appartenevano anche le seguenti comunità isolane: Melita e Gaulus (Gaudus, Gozo), conquistate già dal 218 a. C.; Lipara e Cossura (Pantelleria). Con l'ordinamento tetrarchico la S., governata dapprima da un corrector poi da un consularis, fece parte della diocesi Italiciana.

Il processo di romanizzazione portò all'adozione generale della lingua latina, fuor che sulla costa orientale, specialmente a Catania e a Siracusa, dove continuò a parlarsi anche il greco. In questi luoghi, forse anche per l'afflusso di nuovi elementi dal Levante, si diffuse assai presto il Cristianesimo. La fine dell'Impero d'Occidente portò la S. nell'orbita del dominio bizantino, con qualche concessione alle mire espansionistiche dei Vandali dall'Africa. La cultura tardoantica della S. è documentata nei monumenti figurati e nella esistenza stessa della grande villa di Piazza Armerina (v.).

Bibl.: A. Holm, Geschichte Siziliens im Altertum, 3 voll., Lipsia 1870-198 (tr. it. Torino 1890-1906); E. Freeman-A. Evans, History of Sicily from the Earliest Times, 4 voll., Oxford 1891-1894; B. Pace, Arte e civiltà della Sicilia antica, 4 voll., Milano 1935-1949 (2a ed., del I vol., 1958); I. Scaturro, Storia di Sicilia. L'età antica, Roma 1950; R. Soraci, I proconsoli di Sicilia da Augusto a Traiano, Catania 1958; E. Manni, Fasti ellenistici e romani (323-31 a. C.), in Kòkalos, Suppl. I, Palermo 1961.

(G. C. Susini)

C). - Topografia storica. - Gli scavi e le scoperte avvenute nel decennio 1950-1960, specialmente nella parte orientale e centro-meridionale, hanno permesso, anche attraverso nuovi accostamenti con materiale già da tempo conosciuto, un nuovo quadro storico-topografico dell'isola. Gli scavi condotti nelle Isole Eolie e nella zona di Milazzo, quelli del retroterra di Gela e di Agrigento e dell'area centrale della Sicilia, hanno portato nuovi contributi non soltanto alla sequenza delle fasi culturali nel periodo protostorico e storico, ma anche ad una migliore conoscenza dei centri abitati stessi nel momento immediatamente precedente la colonizzazione greca. Gli stessi lavori hanno contribuito inoltre ad una migliore conoscenza delle colonie greche, nonché della formazione degli insediamenti del periodo romano. Si è passati, di conseguenza, dallo studio delle fasi culturali basato, in gran parte, sulle necropoli, ad una più attenta osservazione dei centri abitati stessi, il che ha portato ad una visione che presenta maggiore aderenza alla tradizione letteraria antica. Tutto questo rende indispensabile una aggiornata visione d'insieme, quale non è stato ritenuto necessario di fare per altre regioni dell'Italia antica (v. anche, più avanti, iv Appendice).

I risultati cronologici ottenuti nelle Eolie hanno permesso, per confronto, lo studio della formazione di tutti i centri abitati tra il periodo detto Ausonio I e la fase della colonizzazione greca. L'intensificarsi degli scavi e delle ricerche anche nell'isola hanno confermato da un lato la cronologia delle Eolie e d'altro lato hanno accresciuto il numero dei centri abitati esistenti nell'isola tra il XIII e l'viii sec., vale a dire fino al momento dell'arrivo dei primi coloni greci in Sicilia. Ai centri indigeni già noti dall'epoca degli scavi dell'Orsi (v.) si sono aggiunti ultimamente altri, disseminati un po' ovunque nell'isola, dando la possibilità della realizzazione di una carta topografica molto più arricchita di quanto non lo era fino al 1950. Ed è proprio dallo studio attento di tutti questi centri che si è potuto constatare la grande rispondenza tra testo antico e dato di scavo. Si è visto infatti quanto fosse stata giusta l'osservazione di Diodoro (v, 6) quando parla dei centri abitati dagli indigeni dell' isola, sistemati ἐπὶ τῶν ὀχυρωτάτων τόπων (nei luoghi più sicuri) esattamente come sono stati identificati in queste ultime fasi di scavi e ricerche.

I. - La Sicilia pre-greca. - A differenza delle centinaia di stazioni del periodo "castellucciano" dell'inizio dei metalli e delle ancor poche stazioni conosciute del tipo "thapsiano" e "Cassibile" (Isola Magnisi, Plemirio, Manfria) della fase finale dell'Età del Bronzo e dell'inizio dell'Età del Ferro, si delinea ora un sempre maggiore addensamento delle popolazioni in zone fortificate per natura, raramente in aree prive di possibilità di vita agricola. Mentre spariscono tutte le stazioni del tipo "castellucciano" e "thapsiano", sistemate nelle zone piane, aperte ad ogni traffico, su quasi tutte le zone collinose dell'isola, nei punti più inaccessibili, appaiono ora i primi segni di aggregati umani. Di solito, come a Pantalica, a Modica o a Monte Finocchito, esiste una sola via di accesso al centro abitato, ma anche questa sarà, col tempo, bloccata da un baluardo ad aggere. È ormai quasi regola generale ricercare i centri di quest'epoca su tutte le colline circondate da pianure e con 46 sorgenti sistemate accanto a quell'unica via di accesso all'abitato. Possono essere menzionati, per questa loro tipica posizione, i centri di Butera, (v.) Monte Bubbonia (v.), Monte S. Cataldo di Caltagirone, Terravecchia di Grammichele, Monte Desusino, Monte Saraceno, Monte Navone, Montagna di Marzo, Monte Manganello, Monte Raffe, Vassallaggi, Gibil-Gabib, Sabucina, Capo Darso, oppure gli altri di Sant'Angelo Muxaro (v.), Polizello (v.), Castellaccio di Marianopoli, Balate di Marianopoli, Cozzo Mususino, Terravecchia di Passo di Landro, Cittadella di Aidone (Morgantina: v. serra orlando), Coccolonazzo di Taormina, Metapiccola e S. Mauro di Lentini (Leontìnoi), Milazzo (Castello), tutti quanti simili ai centri già conosciuti in precedenza a Pantalica (v.), a Monte Finocchito oppure a Modica e Ragusa (v.). (Per le località il cui nome è seguito da rimando, si vedano gli esponenti relativi; le altre sono descritte nel corso della presente esposizione o nell'Appendice).

Anche nella parte occidentale della S. si assiste allo stesso fenomeno di addensamento delle popolazioni su cime fortificate, in gran parte per natura, come a Monte Giudecca, a Kassar di Castronovo di Sicilia, a Castellaccio di Termini Imerese oppure sulla Rocca di Cefalù, a Monte Cavalli e nel centro arrampicato sulla cresta della Montagna di S. Giuseppe Jato. Anche se ognuno di essi appare densamente occupato nel periodo storico (v. più oltre, 2), dagli ultimi scavi condotti a Vassallaggi, Sabucina o Cittadella di Aidone, per citarne qualche caso, è risultato che detti centri iniziano la loro formazione già nel lasso di tempo che va dal XIII all'VIII sec. a. C.

In altri casi, come a Siracusa (v.), l'addensamento si verifica su un isolotto, con capanne sistemate nella parte più alta di esso, ma pur sempre nelle vicinanze delle sorgenti di acqua. Il tipo di abitazione di questa fase è ancora la capanna, sia di tipo ovoidale sia di tipo rettangolare. Quest'ultimo tipo diventa sempre più frequente a mano a mano che si avvicina il momento della colonizzazione greca.

Quale il motivo dell'addensamento delle popolazioni su posizioni forti, così com'è apparso da quanto è stato detto finora, sia che si tratti di piccoli o di grandi centri?

La ragione di questo ritirarsi su posizioni alte va ricercato, specialmente alla luce delle nuove scoperte, nelle condizioni sociali del tutto diverse da quelle verificatesi in periodi anteriori. Da una parte si constata l'apparizione sempre più frequente di arrivi di materiale miceneo e postmiceneo sulle coste sicule come, altrove, sulla costa ionica e tirrenica. D'altra parte, nello stesso periodo di tempo, in base ad una revisione della letteratura antica e ad un accurato vaglio dei risultati di scavo, è apparso che la S. ha assistito anche ad uno spostamento di popolazioni arrivate dalla penisola italica. Si tratta infatti dell'arrivo dei Siculi, dei Morgeti e degli Ausòni (Diod., v, 7), apportatori della cultura appenninica (v. appenninica civiltà), completamente diversa quindi da quella sviluppatasi, prima del XIII sec., nell'isola. A giustificare l'abbandono delle zone di pianura e la scelta delle zone alte, ben difese, v'è anche la possibilità di vedere trapiantati in S. gruppi piuttosto compatti di uomini venuti dall'Egeo orientale. In tal caso si potrebbero più facilmente spiegare le tombe a thòlos di S. Angelo Muxaro, dovute, più che a soli influssi, alla presenza di ἀνάκτορες (capi, signori) nella stessa zona.

I due nuovi elementi inseritisi nello sviluppo della vita dell'isola giustificano sia l'accentramento delle popolazioni, sia il cambiamento culturale. Da questo momento in poi, con la eccezione della S. ad occidente del Salso e, ancor più, del Platani, le manifestazioni culturali dell'isola si uniformano a quelle dell'Italia meridionale e dell'Egeo orientale, formando un tutto omogeneo ed una massa abbastanza compatta di fronte ai primi veri colonizzatori greci dell'VIII secolo. Pur seguendo le vie commerciali conosciute già dall'epoca micenea, e pur attestandosi in approdi già raggiunti dai movimenti micenei, l'opposizione indigena ai primi arrivi dell'VIII e del VII sec. resta sempre forte; sulle coste e nell'interno dell'isola, ovunque si è spinta la colonizzazione greca, ogni emigrazione (a' TroiKfa) ha dovuto seguire una tattica diversa per poter piantare la pòlis e sviluppare il territorio della sua colonia.

Per una migliore comprensione della colonizzazione greca, così come essa appare dallo studio dei risultati degli scavi e da una interpretazione della letteratura antica alla luce degli stessi scavi, questi rapporti si possono riassumere sotto i seguenti aspetti: 1) conflitti con gli indigeni sul posto, com'è avvenuto tra Archia e gli abitanti di Ortigia; 2) conflitti avvenuti tra i primi Rodio-cretesi e gli abitanti di Omphake, nell'immediato retroterra di Gela; 3) coabitazione tra Calcidesi ed indigeni, com'è avvenuto a Lentini; 4) invito da parte degli indigeni all'oikistès di Megara di prendere possesso nella zona del golfo di Augusta; 5) continue trattative commerciali tra Falaride ed il principe Theutes di Ouessa, città indigena molto ricca in grano, nella zona di Agrigento; 6) asilo offerto dagli indigeni alla popolazione geloa sollevatasi contro i παχεῖς (i "grossi", cioè i ricchi).

II. - La Sicilia greca. - Dall'VIII al V sec. a. C., la S. diventa terra di colonizzazione, similmente a quanto è avvenuto con la costa ionica e tirrenica dell'Italia meridionale. Non appena rinforzata la sua posizione nel sito e nella regione immediatamente circostante, ogni colonia inizia un nuovo capitolo della sua vita fondando sottocolonie, assicurandosi un territorio sempre più vasto, una zona di influenza economica e, nello stesso tempo, strategica, di proporzioni talmente estese da richiamare alla mente l'estensione dei territorî e dell'influsso delle potenti colonie elleniche del Bosforo Cimmerio e dell'Asia Minore sul cadere del IV e durante tutto il III sec. a. C. L'espandersi delle zone di influenza è la vera causa dei continui conflitti tra colonia e colonia, mentre la distruzione completa di colonie, come nel caso di Megara per opera di Gelone, sta ad indicare, per il periodo dei tiranni, una politica di totale assorbimento non solo di territorî, ma di ingenti masse necessarie al popolamento delle colonie con grandi risorse, ma prive di popolazione. È appunto il caso di Siracusa nei confronti della vicina Megara, di Gela e di Carnarina nel momento del passaggio dei Dinomenidi nella futura capitale dell'isola. E la stessa politica di allargamento e potenziamento delle nuove fondazioni può essere osservata anche nel caso in cui un indigeno ellenizzato, come Ducezio, imbevuto dunque delle nuove correnti politiche dell'epoca, diventa ὀικιστής (fondatore) di Menai, di Palike o di Kaleacte. Nel periodo dell'oligarchia, della tirannia o della democrazia, il filo conduttore dell'azione di ogni colonia è sempre legato al consolidamento militare nell'interno, all'allargamento del territorio all'esterno e al predominio quanto più vasto nell'isola. Oltre al conflitto di stirpe - calcidese e dorico - va aggiunto ora anche l'altro, di carattere economico-strategico.

Siracusa, non appena consolidata la posizione interna, e ancor prima di mettere il piede sulla terraferma di fronte a Ortigia, inizia movimento di espansione nel retroterra, fondando a poca distanza di tempo l'una dall'altra, Akrai, Casmene e Camarina, seguendo in questo atto la politica già messa in atto dal fondatore di Naxos, Teucle, con la spinta a S, intorno alla ricca valle del Simeto con la fondazione di Catania, e verso i ricchi campi di S. Leonardo ed Agnone, con la fondazione di Lentini. Mentre i Calcidesi ed i Corinzi si dividevano quanto di meglio offriva il terreno agricolo della S. orientale, Megara, spremuta da ogni lato dalle due forze, prima di scomparire (483-2) dalla funzione di stato-cuscinetto tra i due maggiori contendenti della costa orientale, fonda, nell'estremo limite occidentale della S. meridionale, Selinunte. Ed è proprio da questa fondazione megarese di. Selinunte, aldilà del Platani, che si può meglio capire la rapidità con cui anche i Rodio-cretesi di Gela si erano assicurati la posizione chiave di Monte Eknomos (Licata) e di Agrigento, spingendosi poi immediatamente fino a Capo Bianco, ad Eraclea Minoa. Se la zona di Monte Eknomos e della Rupe Atenea non fosse stata già sotto l'influsso di Gela, non si potrebbe minimamente immaginare la fondazione di Selinunte in una posizione già di per sé movente di conflitti con il mondo fenicio-cartaginese.

Visto così, questo movimento di continua spinta per quasi due secoli, apparirebbe soltanto come una corsa per il predominio della costa. Guardando invece la spinta siracusana, essa ci indica, oltre alla costa, quell'altra direttrice della colonizzazione ellenica e precisamente la spinta nell'interno: Akrai e Casmene sono documenti decisivi di questa politica e confermano pienamente l'altro conflitto, avvenuto sempre per ragioni di confini, nell'interno, tra Selinunte e Segesta. In questa maniera anche le poche informazioni della letteratura antica riguardanti le fondazioni delle colonie ed i loro primi passi acquistano un valore del tutto diverso da quello finora accordato loro, spostando i termini in cui avvengono i conflitti, dagli interessi commerciali soltanto marittimi o puramente ideologici, indirizzandoli invece verso il vero motivo di essi, verso il problema del dominio territoriale.

È sottinteso, però, che nel continuo allargarsi di un territorio coloniale, i Greci della S. hanno incontrato sempre gli ostacoli frapposti dai centri indigeni. Molti di questi centri vengono conquistati con la viva forza e di questo fanno fede tutti i testi riguardanti l'azione, per citare un esempio, di Antifemo nei confronti di Omphake e può darsi anche di Anaiton. Sia che Omphake si debba identificare con Butera o con Monte Bubbonia, resta sicuro che tutta la pianura di Gela, già nell'immediato momento della fondazione della colonia rodio-cretese di Gela, appartiene ad essa, e quindi tolta agli indigeni. Le altre città, legate anch'esse alla pianura di Gela, come Monte Desusino, Monte S. Mauro di Caltagirone, debbono essere immaginate come partecipanti alla vita della prossima colonia, mentre il deposito sacro di terrecotte figurate di Monte Eknomos (S. Angelo) indica l'altra via di spinta, lungo la costa, verso Agrigento. Così si spiegano i centri indigeni ellenizzati in periodo arcaico a Castellazzo e Piano della Città a Palma di Montechiaro e la stessa spiegazione trovano gli xòana di Mintina nonché le sepolture arcaiche di Casserino nelle vicinanze della stessa località di Palma di Montechiaro.

Ma anche Casmene ed Akrai possono ritenersi centri indigeni ellenizzati e trasformati dai Siracusani, come ovunque nel mondo greco periferico, in vere città-stato (πόλεις). L'esempio evidente di queste trasformazioni rapide dei centri indigeni, oltre ai documenti di Casmene, è quello della Cittadella di Aidone, recentemente messa in luce ed identificata con Morgantina (v. serra orlando). È certo però che per poter avere una sottocolonia siracusana a Morgantina, anche il resto del territorio tra Siracusa stessa e Morgantina dev'essere considerato incorporato al territorio siracusano assieme a tutti i centri indigeni ivi esistenti. In questo vasto territorio si trovano infatti altri insediamenti indigeni, come quelli di Terravecchia di Grammichele, di Mineo, di Catalfaro, di S. Cataldo, di Poira, di Centuripe, di S. Giuseppe di Regalbuto, di Agira, di Assoro e di Enna, per citare soltanto quelli più rappresentativi sul lato meridionale del Simeto. A questi si debbono aggiungere infine gli altri centri, etnei, come Paternò, Adrano, S. Maria Licodia, Mendolito, vicino ad Adrano. Tutti questi centri sono indigeni; siculi, luoghi di presidio, ϕρούρια come li considera Diodoro (xi, 88), assoggettati con forza dalla politica siracusana e sempre pronti a sfuggire questo dominio quando si presenta una occasione propizia, come in occasione della ribellione di Ducezio o dell'arrivo degli Ateniesi. Questo, dei Siracusani, sul cadere del VI e l'inizio del V sec., più che un influsso più o meno attivo, si può considerare un vero impero coloniale con i confini ad Enna e Camarina e con dominio incontrastato da Naxos alla punta S-O dell'isola.

Lo stesso fenomeno di espansione e quindi di trasformazione rapida o lenta di molti centri indigeni situati nella sua χῶρα, la sua area, si osserva anche nel caso di Agrigento. Dalle prime mosse di Falaride nei confronti della εὐδαιμονηστάτη πόλις la floridissima città, Οὐήσσα, si passa, con la politica degli Emmenidi, alla penetrazione rapida, sia in direzione S-O sia sulla direttrice settentrionale, lungo le strade che conducevano a Imera e ad Enna. Con il dominio di Eraclea Minoa, i centri indigeni situati sul Platani, l'antico Halykos, vengono avvolti dalla civiltà greca: Monte Giudecca, S. Angelo Muxaro, Vaccarizzo di Casteltermini, Monte Cavalli vengono associati alle forme di vita greca mentre gli scavi dell'Orsi, del Marconi e le ricerche del Gabrici hanno dimostrato già da tempo l'incunearsi del mondo agrigentino sulla grande vallata che dal mare Africano si spinge sulla strada che si dipartiva da Imera per penetrare nel cuore dell'isola. Più che di presenza imerese, mai fattasi sentire nel retroterra, è la presenza agrigentina che si è rivelata negli ultimi scavi di Monte Raffe, di Castellazzo di Marianopoli, di Vassallaggi, Gibil-Gabib, Sabucina e Capo Darso, di Balate di Marianopoli e specialmente nei centri meridionali di Monte Saraceno e Monte Eknomos. La continua pressione sulle due grandi vie di penetrazione, verso N e N-E, vie rintracciabili sul terreno, viene denunciata inoltre dalle scoperte di terrecotte figurate e dalla presenza della monetazione di tipo agrigentino in tutti questi centri. Se molti di questi restano al di fuori della tattica militare, qualcuno di essi, e in questo caso si tratta di Vassallaggi, diventa perno della difesa agrigentina sulla direttrice N-E, verso Enna, nella stessa maniera in cui la cittadella di Morgantina diventava perno militare della spinta siracusana in direzione N-O. L'intento delle colonie era quindi di rinforzare questi punti estremi del suo territono, mentre tutto ciò che restava alle spalle di essi doveva fatalmente subire la lenta trasformazione delle forme di vita di una borgata indigena in vere pòleis, oppure attardandosi nel suo sviluppo fino al IV sec. a. C.

Se pur non ancora opportunamente studiato, anche il territorio di Selinunte (v.) doveva spingersi nell'interno. Prova ne è il continuo alternarsi di conflitti sorti tra la sottocolonia megarese e l'elima Segesta (v.). La via di avvicinamento, per accerchiare il territorio segestano e per fissare limiti naturali, si può considerare quella che dalla vallata del Belice si divideva ai piedi di Salaparuta e Poggioreale per scendere, in linea retta, verso il Fiume Freddo. Ed è proprio a questo bivio che la scoperta di una iscrizione greca arcaica fa credere che l'antico abitato di Castellazzo di Poggioreale possa essere identificato con Halicie, già menzionata nei trattati ateniesi del 458-57 (I. G., i2, 20). Castellazzo di Poggioreale, Porto Palo, vicino al mare, Entella ed altri centri ancora sottintesi nel testo riguardante la spedizione di Dionisio contro Mozia (Diod., xiv, 48, i ss.), ma non ancora svelati dalle ricerche, debbono considerarsi entrati di buon'ora nel territorio selinuntino nell'intento di raggiungere Castellammare del Golfo.

Per esplicita testimonianza di uno tra i migliori conoscitori della S. di questo periodo, e precisamente di Diodoro (xi, 91), oltre a questi centri già ellenizzati o in via di trasformazione, vi debbono essere altri, da lui considerati ϕρούρια τῶν Σικελῶν, presidi dei Siculi, centri quindi non ancora incorporati nei vasti territori delle colonie della costa. Che questi ultimi siano veramente centri indigeni, con uno stato di evoluzione diverso da quello constatato finora nei centri menzionati, non lo si può affermare con la stessa dovizia di documenti di cui si dispone invece per la valutazione dell'ellenizzazione di quelli entrati a far parte delle diverse χῶραι (zone) siceliote. Resta assodato soltanto che esistono, accanto ai ϕρούρια τῶν ῾Ελλήνων presidî degli Elleni, anche ϕρούρια τῶν Σικελῶν, presidî dei Siculi. La loro identificazione è ancora ben lontana dall'essere completa, ma ciò nondimeno qualcuno è stato già rivelato dalle ultime ricerche a terra o per mezzo dello studio delle coperture aerofotografiche dell'isola. Essi si trovano ai margini dei vasti territori delle colonie oppure in quelle zone appartate, spesse volte constatate nell'ambito di questi. In primo luogo indigeni nel vero senso della parola debbono considerarsi tutti quei centri nella parte settentrionale dell'isola, lontani dai territorî siracusano, gebo, agrigentino e selinuntino e lontani anche dai centri greci di Mylai, Imera o addirittura di Messina. Questi si trovano ai piedi meridionali delle Madonie o nei Nebrodi, in quell'area mai intaccata, fino al cadere del V sec., dagli interessi o dall'influsso diretto delle colonie greche. A questo gruppo appartengono senz'altro i centri di Alburchia, di Cozzo Mususino, di Terravecchia di Passo di Landro, di Fagheria, di Polizello o di Castellazzo di Imera. Tutti questi e molti altri, che vengono continuamente individuati in queste aree periferiche del mondo greco nella sua espansione, possono essere considerati indigeni anche se ai primi scavi e alle prime ricerche si sono rivelati anch'essi superficialmente permeati dall'influsso greco. Va considerato, a questo proposito, quanto ha rivelato, alle prime indagini minute, il centro di Terravecchia di Passo di Landro. Alla stessa stregua debbono essere considerati anche i centri di Troina, di Nicosia e di Polizello: insediamenti indigeni che vivono nelle vicinanze delle diverse χῶραι ma, proprio per questa loro posizione, tenaci conservatori di usi e costumi antichissimi e, nello stesso tempo, introduttori di prodotti della costa greca e sempre pronti alla imitazione di quanto più appariscente rappresentano gli usi ellenici.

Accanto a questi centri ἐκτὸς τῆς χώρας vi sono inoltre quelli rimasti isolati nei grandi territori delle colonie. Così è il caso di Lavanca Nera, di Monte Navone, Monte Manganello, Montagna di Marzo e Monte Ramata, tutti sorti su quelle piattaforme inclinate a meridione e racchiusi quasi nella stessa vallata del Gela superiore, del Braemi e del Dittaino superiore. Anche se non lontani da Gela e, a prima vista, facenti parte del suo territorio, o della vicina Morgantina, essi presentano una facies attardata rispetto agli altri centri situati sulle grandi arterie di penetrazione. Anche se l'indagine è rimasta finora allo stato di ricognizione, questi centri appaiono intenti più alla imitazione dei manufatti greci della costa che alla vera importazione constatata in centri siti molto più lontano dalla costa ma più intimamente collegati dalle arterie di penetrazione siracusana, geba o agrigentina.

Va detto ora qualcosa anche sull'aspetto dei centri entrati a far parte già dal primo momento, oppure nei primi due secoli, del territorio di una colonia. Questa differenza di tempo in cui vengono ellenizzati, più che ad un più radicato sentimento conservatore, va messa in rapporto con le diverse fasi di sviluppo della χῶρα, avvenuta a tappe. Le caratteristiche invece, in quelle vicine o lontane dalla costa, sono sempre le stesse.

Di solito essi si sono stabiliti, già dall'epoca protostorica, su quelle colline che sorgono in mezzo alle pianure, estese o piccole, formate dai fiumi. Nessuno, almeno tra quelli finora conosciuti, possiede sorgenti nell'ambito della sua fortificazione; queste, come al solito, si trovano a valle. L'abitato è nettamente separato dall'acropoli. Di solito questa è situata su una punta, rammentando così gran parte dei centri italici ed etruschi, come a Caere, a S. Venere vicino a Laterza o a Monte Sannace. Tra l'abitato e l'acropoli, se questa non si trova completamente isolata dall'abitato, situato su una collina a parte, com'è il caso di Monte Navone o di Lavanca Nera, si trova un altro sbarramento in pietrame irregolare con una sola porta, com'è il caso di Monte Bubbonia. Questa disposizione, che si ripete con costanza in quasi tutti i centri del retroterra di Gela, si può osservare anche in centri giustamente considerati finora sottocolonie greche, come Casmene. Non mancano infine i casi in cui l'acropoli si trova su una balza rocciosa, dominante tutto l'abitato. Si allude agli insediamenti di Monte Raffe, di Castellaccio di Marianopoli, di Gibil-Gabib, di Montagna di Marzo, di Monte Desusino e di tanti altri dispersi ovunque in Sicilia. L'influsso o l'importazione greca arcaica o classica, oltre che nei ricchi corredi in cui contrasta il quantitativo di ciò che è importazione pura e di ciò ch'è imitazione locale - specialmente le köhkes ed i kothònes - vanno ricercati nell'acropoli e precisamente nei tempietti arcaici decorati con antefisse dipinte, nella prima fase, o plastiche, nella seconda fase di sviluppo. Così si presenta l'acropoli di Monte Saraceno, di Vassallaggi, di Monte Desusino o di Monte Bubbonia, di Morgantina, per accennare soltanto ai centri ultimamente individuati e studiati: in base a quanto si è potuto constatare finora in qualche centro lo stesso significato è da attribuire anche ai monumenti sacri da tempo messi in luce a Monte S. Mauro di Caltagirone o a Terravecchia di Grammichele. Piccoli sacelli di tipo greco possono essere rintracciati inoltre anche nei più lontani centri della costa e precisamente a Terravecchia di Passo di Landro. Si tratta, in questi casi, di una semplice imitazione il cui scopo pare che sia sfuggito anche agli abitanti. Un altro aspetto di questo processo di ellenizzazione è anche quello dei santuarî all'aperto, a ridosso o negli antri delle rocce, rivelati dalla esistenza di immensi depositi sacri, come a Fontana Calda di Butera, nella grotta della seconda collina di Vassallaggi, ai piedi dello sperone roccioso di Monte Raffe, sul lato settentrionale della piattaforma di Monte Bubbonia e infine dal vasto deposito di vasi rinvenuto ai piedi della rocca di Segesta, nelle vicinanze del santuario arcaico recentemente messo in luce. Ed è proprio in questi depositi sacri che si possono rintracciare le origini dell'influsso sotto il quale si sviluppa il centro: studiando i tipi delle terrecotte figurate si arriva facilmente ad individuare, per esempio, gli stretti rapporti esistenti tra Vassallaggi ed Agrigento, tra Monte Bubbonia e Gela.

Se l'apporto della costa è stato intravisto finora nell'aspetto religioso, ve n'è ancora un altro che merita attenzione. Si tratta del sistema difensivo e della pianta dell'abitato indigeno entrato a far parte del territorio ellenico.

In primo luogo sono le porte dei centri indigeni. Se queste, inizialmente, erano concepite senz'alcun accorgimento tattico, a mano a mano che i centri entrano nell'orbita del mondo greco, vengono trasformate, assumendo il carattere tipico di porta scea. Così a Monte Desusino, a Monte Saraceno oppure a Gibil-Gabib. Lo stesso avviene per i centri rimasti fuori del territorio delle colonie, e questo si verifica a Terravecchia di Passo di Landro.

Lo stesso fenomeno di adattamento alle forme di vita greca avviene anche per la pianta dei centri. Al posto della disordinata disposizione delle capanne o delle abitazioni rettangolari, per influsso o per la presenza stessa dei Greci, i centri prendono in prestito una pianta urbanistica che più si addice al loro terreno. Se la terrazza su cui esso sorgeva era piana, l'impianto è quello per strigas, con uno o due decumani. È il caso di Monte Bubbonia o di Monte Desusino, ripetendo così quant'era avvenuto a Casmene. Se invece il centro era situato su una collina in cui la migliore sistemazione poteva essere quella a terrazze, come appare a Morgantina, a Vassallaggi, a Gibil-Gabib, per citare qualche esempio della S. centro-meridionale, oppure come a Castellazzo di Poggio Reale o S. Giuseppe Jato, per rammentare esempi della S. occidentale, si è di fronte ad un impianto regolare a terrazze.

Una tale disposizione presuppone però, più che un semplice influsso greco di tipo siracusano, agrigentino o selinuntino - dato che qui si trovano i migliori esempi di piante del cosiddetto tipo ippodameo - la presenza stessa di un nucleo ellenico. E l'insieme dei fattori di diretta ispirazione greca: vasi, terrecotte figurate, sistemazioni di porte e pianta urbana ad assi incrociati o a terrazze regolarmente disposte in discesa - come a Vassallaggi - impongono una conclusione del tutto diversa da quella che si aveva finora. L'opinione che si tratti soltanto di borgate indigene oppure di una πόλις ἀτείχιστος; va, alla luce delle nuove scoperte e delle nuove considerazioni sotto le quali possono essere vagliati questi centri, decisamente mutata; molti tra questi debbono essere considerati altrettante piccole sottocolonie su cui poggiava, nel predominio nell'interno, la forza delle vere colonie della costa. Al pari delle ἀποικία della costa, essi diventano vere κτῖσεις e quindi un vero lievito di carattere greco nella massa degli indigeni.

Il fenomeno di trasformazione, lento o rapido, continua fino al momento del grave turbamento apportato dalla conquista cartaginese sul cadere del V sec. e con la momentanea rivincita siracusana in tutta l'isola. Ma già nella prima metà del V sec., gran parte della S. centroorientale e centro-meridionale aveva subito una interruzione nel suo oramai normale cammino verso l'ellenizzazione. Da una parte la marcia degli ξένοι, cacciati da Siracusa ed ora vaganti attraverso la S., dall'altra parte la creazione, anche se di poca durata, di una συντέλεια sicula, sotto la guida di Ducezio, fermano, per circa cinquant'anni, questo normale sviluppo dell'interno. Similmente ai tiranni siracusani, Ducezio assolda mercenarî con cui rinforza le sue fondazioni di Aitna, Menai, Palikè e, probabilmente, con l'aiuto di questi e dei suoi Siculi riesce a conquistare Morgantina e Motyon, quest'ultima città da identificare probabilmente con Vassallaggi, ἐν τῇ χώρᾳ τῶν ᾿Ακραγαντῖνων.

Dalle falde dell'Etna e fino a Morgantina e Vassallaggi, compresi i centri di Paternò, Adrano, Poira, Centuripe, S. Giuseppe di Regalbuto, Agira, Mineo, Catalfaro, S. Cataldo e Terravecchia di Grammichele si estende ora un nuovo territorio da cui viene esclusa l'influenza siracusana e in cui si stanzia e comanda il vecchio sottostrato siculo. Il nuovo organismo politico, similmente al concetto greco, il quale viene imitato da Ducezio fino nei minimi particolari, sceglie anche un luogo di culto indigeno, concentrato nel santuario del Lago Naftia ai piedi della città di Palikè, individuato sulla collina di Roccichella, in mezzo alla ricca vallata del fiume Caltagirone. A questo periodo di rinascita sicula appartengono non soltanto i rifacimenti constatati nei varî centri menzionati, ma anche uno sviluppo riconosciuto recentemente anche nei centri siculi non ancora incorporati nei territorî delle diverse colonie. Oltre alle fondazioni della valle del fiume Caltagirone, sempre nel V e nei primi anni del IV sec., vi sono altre, e sempre per opera dei principi indigeni, ma profondamente ellenizzati, sulla costa settentrionale dell'isola, come Kaleakte oppure Apollonia vicino a S. Fratello, Longane vicino a Rodì-Milici. Questo di Ducezio è un momento di grande floridezza dei centri dell'interno che trova un riscontro soltanto in un altro periodo, anche esso della massima importanza per la S. della costa e dell'interno e soltanto da poco riportato in discussione.

Si tratta del periodo immediatamente seguente ai torbidi avvenuti in S. in seguito alla guerra cartaginese e alle fluttuazioni politiche siracusane a causa delle lotte per la successione di Dionisio il Giovane. Le vecchie colonie, oramai annientate dai Cartaginesi, come Selinunte, Imera, Agrigento, Gela, Camarina e Lentini erano prostrate dalle vicende belliche e con esse, per esplicita testimonianza di Diodoro (xiv, 83, i), anche le loro χῶραι, compresi quindi i centri ellenizzati o le sottocolonie ivi esistenti. Nella maniera in cui i nuovi scavi, riallacciandosi a quelli vecchi, hanno permesso la ricostruzione non solo di una nuova visione del mondo siceliota ma anche una nuova impostazione del tessuto storico-topografico dell'isola, altrettanto importanti si sono rivelati anche nella valutazione del momento timoleonteo.

Con Timoleonte e Agatocle si ha un nuovo ordinamento non soltanto nelle città greche della costa ma anche - e specialmente - nei centri dell'interno divenuti, tutti, (Diod., xvi, 73, 2) autonomi, con diritto di battere moneta, con libertà di procedere a nuove fortificazioni, a nuovi edifici pubblici e con vaste ripercussioni nella vita privata. Gli ultimi scavi, oltre a dimostrare in maniera evidente e con dovizia di documenti quanto debbono a questo uomo politico le città della costa, quali Agrigento, Gela, Camarina, la risorta Megara, hanno rivelato la profonda trasformazione avvenuta, con Timoleonte, in tutti i centri dell'interno: in questo periodo si può finalmente considerare raggiunta l'uguaglianza di vita tra l'interno e la costa. I teatri, i bouleutèria, le edicole sepolcrali variopinte, gli epitömbia appaiono oramai da Centuripe ad Agyrion e da qui fino a Monte Cavalli, vicino a Prizzi e da Gela a Butera, a Monte Saraceno e ad Agrigento e ovunque si percepisce quell'atmosfera di rinnovamento constatata anche nei centri meno danneggiati dalle guerre cartaginesi, come Siracusa o Morgantina. Se finora pochi erano i centri che presentavano una pianta urbana in cui le aree sacre ed i monumenti pubblici, come l'agorà, il teatro ed il bouleutèrion potevano inserirsi in un tessuto organico ed unitario, con Timoleonte si assiste alla completa realizzazione della πόλις ideata da Ippodamo e preconizzata dagli scrittori greci del IV secolo.

A questo riguardo è interessante il testo di Diodoro relativo ad Agyrion, sua patria di origine (xvi, 82, 6), oppure le osservazioni sulla sistemazione delle porte di Monte Desusino, degli edifici pubblici di Morgantina, delle terme di Siracusa e Gela, delle necropoli di Butera oppure dei sacelli nei più piccoli centri indigeni, come quelli di Terravecchia di Passo di Landro. Ed è esattamente con questo momento che anche le antiche χῶραι vengono disseminate da sempre più grosse fattorie, spesse volte impiantate su quelle del periodo arcaico, pronte a ricevere le numerose κληρουχίαι (Diod., xiv, 82, 5) da lui chiamate dalla Grecia o composte da gente forzatamente portata dai Cartaginesi nella epicrazia ed ora libera di spostarsi. È il caso delle fattorie di Manfria (v.) vicino a Gela, di Priorato di Butera oppure di insediamenti più grandi come quello di Scornavacche o Porto Palo di Selinunte.

Pur se tormentato da continue guerre, anche il periodo agatocleo si manifesta come un periodo di ripresa, una continuazione e perfezionamento di quanto si era iniziato con Timoleonte. Questa continuazione e conclusione di tutto quanto era iniziato con Timoleonte si percepisce meglio a Morgantina e nella ultima sistemazione delle fortificazioni di Capo Soprano a Gela, mentre nel mondo dell'epicrazia gli impianti urbani di Segesta e di Solunto possono essere considerati l'imitazione pedissequa di ciò che si era verificato aldilà dell'Halykos, come ad Eraclea Minoa. Halesa, Apollonia e Tindari, sulla costa settentrionale dell'isola, soltanto in questo momento assumono l'aspetto di veri impianti greci regolari, mentre ai piedi della rocca di Cefalù sorge un nuovo impianto, anch'esso di tipo greco, pur facente parte dell'epicrazia cartaginese, ripetendo il caso di Segesta e Solunto.

Con Timoleonte e Agatocle la S. vive il suo ultimo capitolo di ordinamento greco. Con la metà del III sec., con rarissime eccezioni, le colonie della costa, le sottocolonie ed i centri che avevano ricevuto nel periodo timoleonteo l'autonomia (Diod., xvi, 73, 2), abbandonano le posizioni alte occupate già nella fase protostorica e s'inizia l'altro capitolo della storia dell'isola, il capitolo del dominio romano, della vita condotta nelle campagne, decentrata e disseminata su arterie che attraversano le pianure, evitando quindi le montagne e le alte colline.

III. - La Sicilia romana e bizantina. - Il fenomeno di abbandono dei grandi centri greci o ellenizzati iniziatosi già nel periodo arcaico e classico e accentuatosi durante e subito dopo il periodo timoleonteo ed agatocleo, raggiunge il suo momento culminante nel I sec. a. C. e nel I sec. d. C. Selinunte, Gela, Camarina e Lentini risultano completamente abbandonate mentre Siracusa si ristringe nuovamente nell'isolotto di Ortigia ed Agrigento permane soltanto nell'area del cosiddetto quartiere di S. Nicola. I centri dell'interno di cui si è fatta menzione finora, anch'essi con rarissime eccezioni, restano deserti: le ultime tracce di vita appartengono, come a Monte Bubbonia, a Monte Desusino, a Castellaccio di Marianopoli o altrove, al III sec. a. C. mentre intorno ad essi, nelle pianure sulle fertili colline appaiono nuove fattorie accanto a quelle preesistenti. L'isola si popola di centinaia di piccoli centri che s'ingrandiscono nel periodo imperiale fino a diventare grosse borgate, riconoscibili sul terreno ed anche sulle carte topografiche per i loro nomi che si ripetono continuamente da un estremo all'altro della S.: Tenutella, Petursa, Ramilia, Chiesazza, Piano della Camera, oppure, per designare centri di maggiore importanza all'incrocio delle nuove arterie, il Passo, come quello di Piazza o del Biviere, tutti e due nell'area di Gela.

Non rare volte questi centri assurgono a tale importanza da essere menzionati quali stationes o mansiones negli Itineraria e, a quanto è stato finora documentato, sempre con nomi derivati da personaggi con cariche amministrative nella S. del III-IV sec. d. C.

Così è il caso di Filippiana a Sabucina, Capitoniana, oggi Capezzana, all'estremo limite occidentale della Piana di Catania, Petiliana nella zona di Ramilia, vicino a Delia, Calvisiana sita nella pianura di Gela o la grossa borgata di Sofiana il cui nome antico dev'essere stato quello di Philosophiana dell'Itinerarium Antonini, sulla grande arteria tra Catania ed Agrigento. Come si è detto, accanto a queste, vi sono numerosissime altre fattorie, come a Vito Soldano, a Roccapalumba o ad Alimena, tutte situate in mezzo alle pianure su piccoli poggetti, come quella di Bitalemi e di Madonna dell'Alemana ai piedi della collina di Gela, di Poggio dell'Oro e di Monumenti, di Tenutella e di Suor Marchesa; di Mangiova e S. Giacomo di Priolo, di Casa Mastro e di Petrusa di Niscemi, tutte inserite nel nuovo tessuto di abitati che hanno preso il posto in quella pianura che era χῶρα τῶν ῾Ακραγαντῖνων καὶ τῶν Γελῴον. Il posto della colonia è preso ora da decine di piccoli e grossi centri mentre la collina di Gela resta completamente deserta. Anche se soltanto due o tre tra tante centinaia di simili borgate sono state finora oggetto di scavi regolari è utile fermarsi sui risultati ottenuti da queste indagini.

Se qualcuna di queste borgate è situata su una arteria principale, com'è, per esempio, il caso di Sofiana, nel nucleo primitivo di essa s'inserisce, nei primi anni dell'Impero, se non anche nell'ultima fase repubblicana, come si è verificato a Castroreale, l'impianto termale. Non esiste una piccola o grande borgata che non abbia il suo impianto termale, anch'esso in continua trasformazione nella misura in cui si sviluppa il centro. Durante il III-IV sec. d. C. gli embrici di copertura vengono stampigliati con il nome del proprietario del latifondo, com'è il caso di quelli recanti il timbro calv o filosof, appartenenti rispettivamente alla famiglia Calvisius e del non ancora meglio identificato Philosophus della zona di Sofiana. Per quel poco che finora si conosce, ancora nel IV, V e VI sec., la lingua scritta è quella greca mentre rarissimi sono i casi di scritture in latino. Uno tra i più interessanti documenti di latino volgare è anche l'iscrizione del Cozzo Cicirello sul Dirillo. Ed è proprio a questo periodo che appartiene anche il maggior sviluppo di questi centri: vi affluiscono genti di ogni razza, apportando, anche in abitati dell'interno, i loro culti ed il loro ordinamento sociale, come appare evidente dall'epigrafe di Attinis, presbyteros, di Sofiana.

Lo stato di floridezza continua, specialmente sulla costa meridionale, fino alla metà del V sec.; da questo momento in poi, le continue incursioni dei Vandali di Genserico sconvolgono la vita pacifica di questi nuovi aggregati. Queste borgate si diradano sempre di più, mentre tesori interi vengono seppelliti, com'è avvenuto a Comiso e a Butera, zone, tutte e due, sottoposte alle invasioni vandaliche. Persistono e continuano a svilupparsi invece i centri dell'interno, com'è il caso di Sofiana o di Mimiani; è a questo periodo che appartengono le più sontuose sepolture ed i più ricchi corredi. La vita dell'interno dell'isola, dal momento in cui entra a far parte del dominio bizantino, appare sempre più ricca, con gli impianti termali ridotti però a poco spazio in confronto a ciò che rappresentava un simile impianto nell'età dei tetrarchi e ancor prima. S'ingrandiscono invece le basiliche e, con esse, le cripte, ma il culto cristiano, in varî centri, assume sfumature gnostiche. Anche il periodo degli attacchi dei Mussulmani non influisce molto sullo sviluppo delle vecchie stationes; gli usi "saraceni" si risentono in qualsiasi centro dell'interno soltanto nella circolazione monetaria o nella maniera di decorare i vasi. Soltanto intorno al 1000 comincia il vero decadimento della S. romano-bizantina e questo fenomeno, intravisto d'altronde soltanto di recente, va ancora verificato in più centri.

Con le monete di Guglielmo il Malo, con l'eccezione delle antiche basi come Palermo, Lilibeo, Siracusa, Catania e Taormina, tutti i centri interni cominciano a ridursi a qualche casolare, mentre inizia l'esodo delle popolazioni della pianura per rifugiarsi nelle piazzeforti naturali, come Naro, S. Angelo Muxaro, Butera, Piazza Armerina. È certo però che con Federico II di Hohenstaufen tutti i centri nati in pianura vengono abbandonati mentre già cominciano a sorgere nuovi centri, di solito militari, come Augusta o Terranova di S. o semplicemente castelli intorno ai quali inizia la formazione delle attuali comunità siciliane. Le condizioni sociali impongono quindi un nuovo spostamento verso l'alto.

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3. Gela e retroterra (diamo qui la bibl. relativa alla esplorazione condotta negli ultimi decennî, raggruppata per autori): P. Griffo, Le recenti scoperte di Gela, in Arch. St. Sicilia orientale, 1948, p. 181 ss.; Gela preistorica ed ellenica, Agrigento 1949-Gela 1951; Novità a Capo Soprano, in Arch. St. Sicilia orientale, 1951, p. 281 s.; Bilancio di cinque anni di scavo nelle province di Agrigento e Caltanisetta, in Atti Acc. Agrigento, 1953; Scavi, scoperte e restauri nei territori delle antiche Gela e Agrigento, in La Giara, 1954-55; Aspetti archeologici della provincia di Caltanisetta, Agrigento 1955; Il museo nazionale di Gela, Agrigento 1958; Sulle orme della civiltà gelese, Agrigento 1958. - D. Adamesteanu, Vasi gelesi arcaici di produzione locale, in Arch. 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Scavi, XII, 1958, pp. 288-408; L'opera di Timoleonte nella Sicilia centro-meridionale, ecc., in Kòkalos, IV, 1958, pp. 31-68; Rapporti tra Greci ed Indigeni alla luce delle nuove scoperte in Sicilia, in Atti del VII Congresso Internazionale di Arch. Class., II, Roma 1961, pp. 45-52. - P. Orlandini, Vasi fliacici trovati nel territorio di Gela, in Boll. d'Arte, 1953, p. 155 s.; Nuovi vasi del pittore di Pan a Gela, in Arch. Class., V, 1953, p. 34 s.; Due nuove lekythoi del pittore di Bowdoin, ecc., in Boll. d'Arte, 1954, p. 76 s.; Kore fittili dell'acropoli di Gela, in Arch. Class., VI, 1954, p. i s.; Le nuove antefisse sileniche di Gela e il loro contributo alla conoscenza della coroplastica siceliota, in Arch. Class., VI, 1954, p. 251 s.; Due graffiti vascolari relativi al culto di Hera a Gela, in Rend. Lincei, IX, 1954, p. 454 s.; Nuovi graffiti dagli scavi di Gela, in Röm. Mitt., LXIII, 1956, p. 140 s.; Piccoli bronzi in forma di animali rinvenuti a Gela e Butera, in Arch. Class., VIII, 1956, p. i s.; Altre antefisse sileniche di Gela, ibid., VIII, 1956, p. 47; Storia e topografia di Gela dal 405 al 282 a. C. alla luce delle nuove scoperte archeologiche, in Kòkalos, II, 1956, p. 3 s.; Nuovi acroteri a forma di cavallo e cavaliere dall'acropoli di Gela, in Miscellanea G. Libertini, 1958, p. 117 s.; Scavi, ricerche e scoperte nelle provincie di Agrigento e Caltanisetta, in Nuova Antologia, 1957, p. 511 s.; Tipologia e cronologia del materiale archeologico di Gela dalla nuova fondazione di Timoleonte all'età di Ierone II, in Arch. Class., IX, 1957, pp. 44-75; 153-173; Il gusto per l'imitazione dell'antico nella Gela del IV-III sec. a. C., in Arch. Class., X, 1958, p. 240 s.; La rinascita della Sicilia nell'età di Timoleonte alla luce delle nuove scoperte archeologiche, in Kòkalos, IV, 1958, pp. 24 s.; Noterelle epigrafiche di Gela, ibid., III, 1957, p. 94 s.; Il nuovo Museo Nazionale di Gela, in Annali Pubblica Istruzione, V, 1959, p. 151 s.; I nuovi scavi archeologici in Sicilia: Scoperte e problemi, ibid., V, 1959, p. 538 s.; Arule arcaiche a rilievo nel Museo Nazionale di Gela, in Röm. Mitt., LXVI, 1959, p. 97 s.; Materiale archeologico gelese del IV-III sec. a. C. nel Museo Nazionale di Siracusa, in Arch. Class., XII, 1960, p. 43 s.; Gela rediviva, in Z Otchlani Wiekow, XXVI, 1960, pp. 1-11; Scavo di un villaggio della prima età del bronzo a Manfria, presso Gela: rapporto preliminare, in Kòkalos, VI, 1960, pp. 26-33; Gela stipe votiva arcaica del Predio Sola, in Mon. Ant. Lincei, LXVI, 1963, c. 1-78; Il villaggio preistorico di Manfria, presso Gela, Palermo 1962. - D. Adamesteanu - P. Orlandini: Gela. Scavi e scoperte 1951-56, I, in Not. Scavi, X, 1956, pp. 203-401; Guida di Gela, Pleion - Milano 1958; Gela, Scavi e scoperte 1951-56, II, in Not. Scavi, XIV, 1960, pp. 67-246; L. Bernabò-Brea, L'Athenaion di Gela e le sue terrecotte architettoniche, in Arch. Scuola Italiana Atene, XXVII-XXIX, 1949-51, pp. 7-102; R. Van Compornolle, Les Deinoménides et le culte de Démeter et Kore à Géla, in Hommages à W. Déonna, Coll. Latomus, XXVIII, 1957, pp. 474-479.

Per la zona siracusana, oltre gli articoli riguardanti gli ultimi scavi di Zancle-Messina, Naxos, Tauromenium, Catania, Lentini, Megara e Siracusa, cfr. A. Di Vita, La penetrazione Siracusana nella Sicilia Sud-orientale alla luce delle più recenti scoperte archeologiche, in Kòkalos, II, 1956, pp. 3-31; E. Militello, Avanzi greci e romani scoperti presso la foce dell'Irminio, in Not. Sc., 1958, pp. 224-231; G. Carettoni, Scavi di Alesa Arconidea, in Boll. d'Arte, 1957, pp. 319-325; id., Scavi di Halaesa, in Not. Sc., 1959, pp. 293-349; L. Gatti, Topografia antica del Casale presso Piazza Armerina, in Arch. Stor. Sic. Or., 1951, pp. 150-160; G. Rizza, Paternò, S. Cono, Giarratana, in Not. Scavi, 1957, pp. 200-207; Scoperta di una città antica sulle rive del Simeto: Etna-Inessa?, in La Parola del Passato, 1959, p. 465 ss.; Stipe votiva di un Santuario di Demetra a Catania, in Boll. d'Arte, 1960, pp. 247-262; V. Tusa, Libertinia, Rinvenimenti archeologici, in Not. Scavi, 1959, pp. 250-356; F. Barreca, Tindari, colonia dionigiana, in Rend. Acc. Linc., 1957, p. 125 ss. Per la zona occidentale: B. S. J. Isserlin-P. J. Parr-W. Culican, Excavations at Motya (Sicily), in Antiquity, 1956, pp. 110-113; A. D. Trendall, Archaeology in Sicily and Magna Graecia, in Arch. Reports, 1957, p. 26 ss.; 1960-61, p. 45 ss.; P. Orlandini, Sulla cronologia del primo strato della necropoli di Leontini, in Arch. Class., VIII, 1956, p. 210 ss.; G. Rizza, Leontini, Scavi e ricerche degli anni 1954-1955, in Boll. d'Arte, 1957, p. 63 ss.; id., Precisazioni sulla cronologia del primo strato della necropoli di Leontini, in Arch. Class., XI, 1959, p. 78 ss.

4. Sicilia occidentale: J. Bovio-Marconi, La cultura tipo Conca d'oro della Sicilia nord-occidentale, in Mon. Ant. Lincei, 1944, pp. i ss.; El problema de los Elimos a la luz de los descubrimientos recientes, in Ampurias, XL, 1950, pp. 79-90; Le più recenti scoperte dell'archeologia della Sicilia occidentale, con particolare riguardo agli scavi di Selinunte, in Atti del VII Congresso internazionale di Archeologia Classica, II, 1962, pp. 2-30; V. Tusa, Segesta - Scavi in Contrada Mango, in La Giara, 1955, pp. 341-357; Aspetti storico-archeologici di alcuni centri della Sicilia occidentale, in Kòkalos, III, pp. 79-93; Frammenti di ceramica con graffiti da Segesta, ibid., VI, 1960; Il Santuario arcaico di Segesta, in Atti del VII Congresso Internazionale di Archeologia Classica, II, 1961, pp. 31-40; R. Van Campernolle, Ségeste et l'Hellénisme, in Mélanges Joseph Hombert, Phoibos, V, 1950-51, pp. 183-228; E. Gabrici, Rinvenimenti nelle zone archeologiche di Panormo e di Lilibeo, in Not. Scavi, 1941, pp. 271 ss.; M. O. Acanfora, Panormo punica, in Mem. Acc. Lincei, S. VIII, v. I, 1948, p. 197; B. S. J. Isserlin, The Oxford University Archaeological Expeditions trial Excavations at the Phoenician site of Motya near Marsala, in Atti del VII Congresso Inernazionale di Archeologia Classica, II, 1961, pp. 41-43; A. Di Vita, Un Milliarum del 252 a. C. e l'antica via di Agrigento-Panormo, in Kòkalos, I, 1955, p. 1021; M. T. Piraino, Iscrizione inedita da Poggioreale, in Kòkalos, V, 1959, p. 159 ss.; su cui cfr. M. Guarducci, in Ann. Sc. Arch. di Atene, 1959-60, p. 272 ss.; G. Manganaro, Iscrizioni latine e greche di Catania tardo imperiale, in Arch. Stor. Sic. Or., XI, 1958, pp. 5-30; Iscrizioni tardo imperiali di Catania, in Atti del III Congresso Internazionale di Epigrafia, 1958, p. 347 ss.; La Sicilia e l'Impero d'Occidente al principio del V sec. d. C., in Arch. Stor. Sir., 1959-60, p. 21 ss.; Ancora di due epigrafi giudaiche di Catania prive di simboli, in Arch. stor. Sir. V-VI, 1959-60, p. 201 s.; R. Soraci, Appunti di epigrafia greca e romana relativa alla regione hyblenseinessea-adranita, in Rend. Acc. Linc., S. VII, v. XIII, 1958, p. 251 ss.; V. Tusa, I sarcofagi romani in Sicilia, Palermo 1957, (= Atti Acc. Palermo, 1955-56, fasc. III); G. Manganaro, Aspetti pagani dei mosaici di Piazza Armerina, in Arch. Class., XI, 1959, p. 241 ss.

(D. Adamesteanu)

IV. - Appendice. - Centri minori della protostoria siciliana.

1. - Balate di Marianopoli. - Centro abitato sistemato sul pendio meridionale della cresta rocciosa che domina Marianopoli. Presenta un'opera di difesa ad aggere soltanto sul lato meridionale ed occidentale; il resto è protetto dai tagli a picco nella roccia. È riconoscibile sul pendio una sistemazione a terrazze con andamento E-O e almeno due arterie con direzione S-N. Dalla ceramica rinvenuta sul terreno è possibile concludere che il centro abbia avuto origine nel periodo protostorico e che appartenga alla cultura di tipo S. Angelo Muxaro e Polizello. Con il VI sec. si risente l'influsso agrigentino mentre durante il VI-V sec. il centro è totalmente ellenizzato. L'abitato sparisce alla fine del IV o all'inizio del III sec. a. C.

Bibl.: D. Adamesteanu, L'opera di Timoleonte nella Sicilia centro-meridionale vista attraverso gli scavi e le ricerche archeologiche, in Kòkalos, IV, 1958; id., Rapporti tra Greci ed indigeni alla luce delle nuove scoperte in Sicilia, in Atti del VII Congresso Internaizonale di Archeologia Classica, II, Roma 1961, pp. 51-52; id., I centri indigeni al momento della colonizzazione greca nella Sicilia centro-meridionale, in Berichte über den V Internationalen Kongress für Vor- und Frühgeschichte, Berlino 1961, pp. 1-2.

(D. Adamesteanu)

2. - Calascibetta. - Gli scavi della Soprintendenza alle Antichità hanno esplorato nei dintorni di Calascibetta una stazione all'aperto e quattro necropoli assai interessanti perché appartengono a cinque momenti distinti della preistoria e della protostoria della S. interna.

La stazione all'aperto in contrada Realmese appartiene a quella cultura tipo Serraferlicchio caratterizzata da ceramica dipinta in nero opaco sul fondo rosso lucido che rappresenta in S. il passaggio dal Neolitico all'età dei metalli. Le cinque tombe a grotticella artificiale, a più ambienti, del Malpasso appartengono ormai all'inizio dell'età dei metalli (intorno al 2000 a. C.) e per l'assoluta omogeneità dei loro corredi si possono considerare il gruppo-tipo dell'età a cui appartengono. Le caratterizza una ceramica monocroma rossa, con forme evidentemente derivate da prototipi della prima Età del Bronzo anatolica (tipici soprattutto i bicchieri in cui una lunga ansa nastriforme congiunge il fondello con una soprelevazione triangolare dell'orlo). Un intervallo di circa un millennio divide questa necropoli da quella della Calcarella avente circa 130 tombe a forno che le fibule con arco a gomito e ardiglione rettilineo del tipo di Cassibile permettono di datare al X-IX sec. a. C.

In continuazione con questa è la necropoli del Cozzo S. Giuseppe presso Realmese, con oltre 300 tombe sempre del tipo a forno. La fibula caratteristica è ormai quella con arco ad occhio molto ridotto e grande spillo arcuato databile all'VIII sec. a. C. ma, probabilmente, proseguente in queste zone interne anche attraverso buona parte del VII sec. a. C. Le ceramiche sono dello stile "occidentale" di S. Angelo Muxaro e testimoniano che questa zona gravitava in questo tempo piuttosto verso la S. occidentale che verso quella orientale sicula.

L'ultima necropoli, quella di Valle Coniglio, sia per il tipo delle tombe, in numero di ventuno, a cameretta quadrangolare, sia per il tipo delle ceramiche, rientra ormai in quella cultura tipo Licodia Eubea che rispecchia la vita delle popolazioni indigene in via di progressiva ellenizzazione, nel corso del VI e dei primi decennî del V sec. a. C.

Bibl.: Fasti Arch., V, 1950, n. 2249; Rivista di scienze preistoriche, 1949, p. 226; L. Bernabò-Brea, La Sicilia prima dei Greci2, Milano 1960, pp. 156-57.

(L. Bernabò-Brea)

3. - Capodarso. - Piattaforma alta (quota 795) che domina la vallata del Salso sul lato occidentale; la parte occidentale della stessa vallata è dominata dai centri di Sabucina, Gibil-Gabib e Vassallaggi. Si trova tra Enna e Caltanissetta. La piattaforma presenta una inclinazione a meridione ed è su questo lato che si identifica l'unica grande via d'accesso al centro abitato. L'abitato si presenta con una fortificazione continua su tutta la parte meridionale; il lato settentrionale è a picco, quindi privo di ogni opera di difesa. Questa è del tipo comune nella zona, ad aggere. Sul lato meridionale si estende la necropoli. L'origine dell'abitato risale al periodo protostorico ed è nettamente di tipo occidentale, corrispondente alla facies di S. Angelo Muxaro e Polizello. Durante il VI e V sec. a. C. si assiste alla trasformazione del centro indigeno in una vera pàlis, come attesta un gruppo di frammenti di statuette fittili e tutta la ceramica a vernice nera, attica. Ogni traccia di vita sparisce con l'inizio del III sec. a. C.

Bibl.: P. Griffo, Aspetti archeologici della Provincia di Caltanissetta, Agrigento 1955, pp. 26-27; D. Adamesteanu, L'opera di Timoleonte nella Sicilia centro-meridionale vista attraverso gli scavi e le ricerche archeologiche, in Kòkalos, IV, 1958; id., Rapporti tra Greci ed indigeni alla luce delle nuove scoperte in Sicilia, in Atti del VII Congresso Internazionale di Archelogia Classica, II, Roma 1961, pp. 48-52.

(D. Adamesteanu)

4. - Castelluccio di Marianopoli. - È uno sperone roccioso orientato SE-NO che sorge in una zona di basse colline comprese tra due affluenti, Belice e Salito, del fiume Platani. Nella parte nord-orientale si alza un altro piccolo sperone, da considerarsi l'acropoli. Tre lati sono ben difesi da una fortificazione a grandi e piccoli blocchi mentre il lato orientale è difeso dallo strapiombo della roccia. Sul piano si trovano tracce di capanne e di tombe a grotticella già dal periodo, castellucciano dell'Età del Bronzo. Nel periodo protostorico il centro fa parte, per la sua ceramica incisa, della facies occidentale. L'influsso greco si fa risentire con il VI sec. ed è caratterizzato da un'imitazione fedele della ceramica corinzia e rodia.

Bibl.: D. Adamesteanu, L'opera di Timoleonte nella Sicilia centro-meridionale vista attraverso gli scavi e le ricerche archeologiche, in Kòkalos, IV, 1958; id., Rapporti tra Greci ed indigeni alla luce delle nuove scoperte in Sicilia, in Atti del VII Congresso Internazionale di Archeologia Classica, II, Roma 1961, pp. 51-52.

(D. Adamesteanu)

5. - Castellazzo di Palma di Montechiaro. - Sito, come tutti i centri indigeni della S. (v. sopra, par. 1) centromeridionale, su una piattaforma leggermente inclinata a S; l'abitato risale al periodo protostorico, si sviluppa durante il VI sec. quando assume l'aspetto di una pòlis con il suo tempietto decorato da antefisse a palmette. Assieme all'altro di Piano della città, il centro di Castellazzo domina la via costiera che collegava Gela ad Agrigento. Oltre che la via, esso domina la ricca zona posta tra le balze di Palma ed il mare.

Se nella prima fase di contatto con il mondo greco, il centro di Castellazzo di Palma di Montechiaro può essere considerato sotto l'influsso rodio-cretese di Gela, nella seconda esso dev'essere considerato caposaldo della politica di espansione di Falaride.

Bibl.: P. Orsi, Miscellanea Sicula, in Bull. Paletn. It., XLVIII, 1928, pp. 46-54; G. Caputo, Tre xoana e il culto di una sorgente sulfurea in territorio geloo agrigentino, in Mon. Ant. Lincei, XXXVI, 1938, pp. 585-685; P. Griffo, Sull'identificazione di Camico con l'odierna S. Angelo Muxaro a nord-ovest di Agrigento, in Arch. Stor. per la Sic. Or., VII, 1954, pp. 68-69; E. Demiro, Agrigento arcaica e la politica di Falaride, in La Parola del Passato, XLIX, 1956, pp. 266-270; D. Adamesteanu, Monte Saraceno ed il problema della penetrazione rodio-cretese nella Sicilia meridionale, in Arch. Class., VIII, 1956, pp. 142-143; id., Rapporti tra Greci ed indigeni alla luce delle nuove scoperte in Sicilia, in Atti del VII Congresso Internazionale di Archeologia Classica, II, 1961, pp. 45-52.

(D. Adamesteanu)

6. - Castellazzo di Poggio Reale. - È una collina leggermente spianata ed inclinata a meridione. Sulla piattaforma si riconosce ancora la linea di difesa ad aggere che chiude il solo lato meridionale, dato che gli altri lati presentano grandi strapiombi. L'intera area difesa è denominata Abità o Civita mentre la zona della porta - unica - sul lato meridionale si chiama ancora Portella. Questa area è disseminata di ceramica arcaica greca (Corinzio Medio) e di ceramica indigena, decorata a graffito, tipo Segesta. La disposizione del terreno indica facilmente l'esistenza di un impianto urbano con andamento N-S. Sul lato meridionale si trova la necropoli che si allunga sulla strada antica che conduce alla città. La stessa strada antica prosegue, lungo il fiume Belice, fino a Selinunte, con un tracciato ben visibile attraverso i campi. A settentrione, la strada, tenendosi ad oriente del Belice, quindi del territorio segestano, raggiunge il golfo di Castellammare.

È molto probabile che il centro abitato di Castellazzo possa essere identificato con la città di Halykie di cui si hanno documenti nelle I. G., (i2, 20) e in Tucidide (vii, 32, i). A tale conclusione può condurci anche la scoperta di una dedica arcaica ad Eracle non distante dall'area urbana. In questo caso, come altrove, anche nelle vicinanze di quest'abitato si può parlare di un santuario dedicato ad Eracle.

Bibl.: V. Tusa, Aspetti storico-archeologici di alcuni centri della Sicilia occidentale, in Kòkalos, III, 1957, pp. 89-90; M. T. Manni Piraino, Una dedica arcaica ad Eracle, ibid., V, 1959, p. 12 ss.; M. Guarducci, Nuove note di epigrafia siceliota arcaica, in Annuario Atene, XXXVII-XXXVIIII, 1959-60, pp. 272-275; M. T. Manni Piraino, Atene ed Alicie in I.G., I2, 20, in Kòkalos, VI, 1960, pp. 58-70.

(D. Adamesteanu)

7. - Castroreale Terme. - Non lontano dalle Terme di Castroreale (2 km a O), in località S. Biagio, che nell'antichità veniva a ricadere in una zona intermedia tra Mylai (Milazzo) e Tyndaris (Tindari), gravitando più verisimilmente verso quest'ultima città, sorgono i resti cospicui di una villa romana, che ha strette analogie con le domus di Pompei e di Ercolano, del I sec. a. C., non ancora completamente scavate. La costruzione originaria, che fu condotta sul terreno suggellante uno strato ellenistico ed un più profondo strato in ceramica d'impasto, intorno all'età cesariana, è basata su una planimetria assai semplice pressoché quadrata. Tale pianta è suggerita dal nucleo centrale dell'edificio, il grande peristilio-viridario con bacini d'acqua, circondato da portici con colonne in opera laterizia stuccata, legate fra loro da plutei in muratura. Attorno ai portici si sviluppano gli ambienti di abitazione, di soggiorno e di servizio della villa. Sul corridoio opposto all'ingresso si affaccia, secondo l'asse del peristilio, la grande sala di soggiorno aperta con un grande ingresso a colonne: questo triclinium era ornato nella parete di fondo da una grande nicchia in funzione di ninfeo. Nel grande rinnovamento edilizio della villa, avvenuto in età giulio-claudia si è ampliato il corpo dell'edificio con un complesso termale con frigidarium, tepidarium, calidarium e laconicum, muniti questi ultimi del dispositivo ad hypocaustum e del riscaldamento parietale a condotti d'aria calda in tubi di cotto. In questa età le più antiche pavimentazioni in cocciopesto (opus signinum) nelle sale più nobili sono sostituite con pavimenti a mosaico bianco e nero con motivi geometrici, che richiamano il repertorio decorativo dei mosaici romani del I secolo. Nel triclinium l'opus musivum con motivo a meandro fa da cornice ad un opus sectile di elementi in marmo esagonali. Un solo mosaico, quello del frigidarium, presenta motivi figurati, rappresentati da una barca con pescatori, attorno a cui, con regolare distribuzione compositiva, ricorrono dei pesci.

Adattamenti di minore entità e restauri sono stati praticati in età imperiale romana, quando la villa dovette divenire il centro di un latifondo. In questo momento lungo il suo lato orientale, ad un più alto livello, venne ad adattarsi un complesso di ambienti di destinazione rurale.

Bibl.: Fasti Arch., VI, 1953, n. 4589; VII, 1954, n. 363; La Giara, numero speciale 1954-55, p. 412 s., figg. 43-45; Arch. Anz., 1954, p. 478 s.

(G. V. Gentili)

8. - Cozzo Mususino. - Centro fortificato dominante la via naturale che conduce dalla costa orientale e meridionale verso quella settentrionale della Sicilia. La fortificazione è, come di solito nella S. centrale, a secco. Data l'inclinazione del terreno da N a S, gli edifici sono disposti a terrazze. Nella parte meridionale si può seguire un decumanus da un punto all'altro del centro. La presenza della ceramica di tipo Polizello e a flabelli riporta l'origine del centro nell'VIII-VII sec. a. C., ma il suo massimo sviluppo cade nella seconda metà del IV sec. a. C.

Bibl.: D. Adamesteanu, Le fortificazioni ad aggere nella Sicilia centro-meridionale, in Rend. Lincei, XI, 1956, p. 13; id., Monte Saraceno ed il problema della penetrazione rodio-cretese nella Sicilia meridionale, in Arch. Class., VIII, 1957, p. 140.

(D. Adamesteanu)

9. - Desusino. - È un complesso collinoso che domina la via tra Phintias (l'attuale Licata) e Gela. Le pareti della montagna sono sede di tombe del periodo castellucciano mentre sulla parte più alta (quota massima 428) si osservano le tracce di una fortificazione a secco, con uno spessore medio di m 2. Nella linea fortificata - lunga circa m 4000 - si aprono tre porte di cui due già messe in luce durante i lavori di scavo: quella orientale, con torrette interne e quella meridionale, con torrette esterne. La porta occidentale, con torrette interne, non è stata ancora messa in luce. Dallo scavo risulta chiaramente che le torrette sono state aggiunte in un secondo momento mentre la fortificazione dev'essere ritenuta di età arcaica. Questa opera militare arcaica potrebbe corrispondere all'età di Falaride a cui si deve un grande interessamento per la delimitazione del territorio agrigentino nei confronti della colonia madre, Gela. Il centro fortificato andrebbe dunque identificato con quel Phalarion di cui parla Diodoro (xi, 1o8, 2), punto di partenza dell'esercito di Agatocle contro quello di Amilcare, nel 311 a. C.

Bibl.: D. Adamesteanu, Due problemi topografici del retroterra gelese: Phalarion, Stazioni itinerarie e bolli laterizi, in Rend. Lincei, X, 1955, p. 199-203; id., Le fortificazioni ad aggere nella Sicilia centro-meridionale, ibid., XI, 1956; id., Nouvelles fouilles et recherches à Géla et dans l'arrière-pays, in Rev. Arch., 1957, pp. 149-153; id., Scavi e ricerche archeologiche a M. Desusino, in Not. Scavi, XII, 1958, pp. 335-350; id., L'opera di Timoleonte nella Sicilia centro-meridionale vista attraverso gli scavi e le ricerche archeologiche, in Kòkalos, IV, 1958.

(D. Adamesteanu)

10. - Gibil-Gabib. - Centro fortificato su una montagna rocciosa che domina tutte le colline a N-O di Caltanissetta. Nato da un insediamento di età preistorica - domina infatti la ceramica di tipo castellucciano - il centro si fortifica durante il VI sec. a. C., nel momento in cui la produzione locale viene sostituita da quella greca di importazione dalla costa e dalla Grecia. L'opera di difesa, sistemata sul solo tratto che non era a picco, verso S-E, presentava due porte di cui una, la seconda, viene completamente occultata durante la seconda metà del IV sec. a. C. Con il VI sec. appaiono, nell'interno, anche le prime case di tipo greco, disposte a terrazze e provviste di pozzi e cisterne. Con la metà del III sec. a. C. il centro viene abbandonato per essere rioccupato in età bizantina. La necropoli, con sepolture a forno (preistoriche), a camera (di età arcaica) e con fosse rettangolari intagliate nella roccia viva è disposta tutta ai piedi della balza.

Bibl.: D. Adamesteanu, ᾿Ανάκτορα o Sacelli?, in Arch. Class., VII, 1956, pp. 185-186; id., Le fortificazioni ad aggere nella Sicilia centro-meridionale, in Rend. Lincei, XI, 1956, pp. 10-11; id., Nouvelles fouilles et recherches archéologiques à Géla et dans l'arrière-pays, in Rev. Arch., XLIV, 1957, pp. 172-173; id., Gibil-Gabib - Scavi e scoperte, in Not. Scavi, XII, 1958, pp. 387-408; id., L'opera di Timoleonte nella Sicilia centro-meridionale vista attraverso gli scavi e le ricerche archeologiche, in Kòkalos, IV, 1958, pp. 24-26.

(D. Adamesteanu)

11. - Kassar. - Centro abitato di vaste dimensioni a N di Castronovo di Sicilia. Domina la vallata del Platani e la via naturale che collegava Agrigento a Imera. Le origini dell'abitato risalgono alla fase protostorica ed è precisamente incorporato alla fase conosciuta sotto il nome di S. Angelo Muxaro. Pur non essendo stato finora oggetto di scavi regolari, da Kassar proviene una serie di bronzi figurati, unici, come tipologia, nella S. arcaica. Questa produzione si collega tuttavia alla produzione fittile arcaica di altri centri della zona, come Polizello, S. Angelo Muxaro e Castellazzo di Marianapoli. Essi rappresentano figure di serpenti, bovini ecc. fissati su un astragalo, oggetto, questo, spesso incontrato nei centri dell'interno della S., come per esempio, a Vassallaggi.

Con la ceramica attica a vernice nera, il centro prende sempre più il carattere di una vera città greca ed è forse a questo periodo che si può attribuire anche la fortificazione ad aggere che difende la città. Da quasi tutti gli studiosi il centro di Kassar viene considerato il perno della spinta agrigentina verso Imera.

Bibl.: L. Tirrito, Sulle città e sulla comarca di Castronuovo, in Giornale di Scienze, Lettere, Arti per la Sicilia, XXVIII, 1875; P. Marconi, Castronovo (Palermo). Ricognizione archeologica e scoperte fortuite, in Not. Scavi, 1930, pp. 555 ss.; P. Griffo, Sull'identificazione di Camico con l'odierna S. Angelo Muxaro a nord-ovest di Agrigento, in Arch. Stor. Sic. Or., VII, 1954, p. 69; E. De Miro, Agrigento arcaica e la politica di falaride, in La Parola del Passato, XLIX, 1956, pp. 271-272; D. Adamesteanu, Monte Saraceno ed il problema della penetrazione rodio-cretese nella Sicilia meridionale, in Arch. Class., VIII, pp. 140-141; id., Rapporti tra Greci ed indigeni alla luce delle nuove scoperte in Sicilia, in Atti del VII Congresso Internazionale di Archeologia Classica, II, 1961, pp. 50-52.

(D. Adamesteanu)

12. - Lavanca Nera. - Alta collina disposta a ferro di cavallo sul fiume Gela. La parte meridionale della collina è leggermente più alta di quella settentrionale ma tutte e due sono fortificate sul lato sud-occidentale; la parte orientale è difesa dai tagli a picco. Sulle due terrazze della collina si osservano tracce di edifici sistemati, almeno per quanto risulta sulla piccola piattaforma settentrionale, su tre cardines con perfetto orientamento N-S. Sulla piattaforma più alta si conservano tracce di un grande edificio, con orientamento E-O, appartenenti, molto probabilmente, ad un tempio. La necropoli, con tombe a camera nella parete in parte rocciosa, ha dato materiale fittile del VII-VI sec., parte di importazione, parte di imitazione della produzione arcaica geloa. Alla prima osservazione il centro - sicuramente di origine indigena - sparisce con la fine del IV sec. a. C.

Bibl.: D. Adamesteanu, Nouvelles fouilles et recherches archéologiques à Géla et dans l'arrière-pays, in Rev. Arch., XLIV, 1957, pp. 147-180; id., Monte Lavanca Nera (Mazzarino), Necropoli sicula e tracce di abitato arcaico, in Not. Scavi, XII, 1958, pp. 383-387.

(D. Adamesteanu)

13. - Longane. - Località in provincia di Messina, conosciuta solo da fonti letterarie, il cui sito è stato rinvenuto nel territorio di Rodì-Melici sul Monte Ciappa. La città era nei lati più scoperti cinta di mura ad aggere datate al V sec. a. C. Nell'area dell'antica città sono stati trovati resti di due costruzioni di età greca, ceramiche d'impasto protostorico, numerosi frammenti a figure nere e a figure rosse di fabbriche italiote.

In contrada Grassorella è stata scoperta una necropoli dell'Età del Ferro, che ha restituito 24 tombe a grotticella artificiale, a camerette rettangolari con soffitto piano, nelle quali sono state rinvenute oinochòai d'impasto incise a motivi geometrici, ciotole a orlo rientrante di tipo villanoviano, catenelle di bronzo, fibule di ferro. Singolare il contrasto di rito funebre con la vicina Milazzo; analogie più evidenti con la civiltà calabrese di Torre Galli.

Bibl.: G. V. Gentili, in Fasti Arch., V, 1953, n. 2524; L. Bernabò-Brea, ibid., VII, 1954, n. 2018.

(L. Rocchetti)

14. - Mineo. - Centro fortificato che occupava, sotto il nome di Menai o Menaion, il posto dell'attuale cittadina. Dai rinvenimenti finora avvenuti nella zona si può dire che le sue origini, come quelle della vicina Terravecchia di Grammichele e di Molino della Badia, risalgono alla fine dell'Età del Bronzo. Acquista importanza già durante il VI sec. ma la sua prosperità coincide con la fondazione della città da parte di Ducezio (Diod., XI, 78, 5). Recentemente è stato messo in luce un piccolo tratto della fortificazione in blocchi di taglio greco. Vi sono resti di edifici anche del periodo ellenistico e riprende la sua importanza nel periodo bizantino. Assieme a Terravecchia di Grammichele, sfrutta la grande pianura del fiume Caltagirone.

Bibl.: J. Schubring, Die Landschaft des Menas und Erykes nebst Leontinoi, in Zeitschrift der Gsellschaft für Erdkunde, IX, p. 365 ss.; E. A. Freeman, History of Sicily, Oxford 1891-1894, p. 152; II, p. 361; P. Orsi, in Not. Scavi, 1899, p. 70; 1903, p. 436 ss.; 1905, p. 348; 1909, p. 383 ss.; 1920, p. 337; id., in Bull. Paletn. It., 1900, pp. 275; 284.

(D. Adamesteanu)

15. - Montagna di Marzo. - È una piattaforma che si erge sul lato settentrionale del Braemi, a N-O di Piazza Armerina, con i lati a strapiombo meno un tratto sul lato S-E. L'intera area è stata occupata, già nel periodo protostorico, da un abitato che si è sviluppato fino allo inizio del periodo repubblicano romano. Le tracce di fortificazione - ad aggere - si riscontrano soltanto sulla parte meridionale; sugli altri lati questa è rappresentata da un solo filare di blocchi. La punta settentrionale si rialza ancora di qualche metro a forma di acropoli difesa da un'altra fortificazione. Sul lato meridionale si trova la necropoli con corredi che vanno dal VII alla metà del III sec. a. C.

(D. Adamesteanu)

16. - Monte Cavalli. - È questa una montagna alta m 1007, posta a S dell'odierna Prizzi da cui dista circa 3 km. Nel punto più alto c'è un pianoro dove sono ben visibili i resti di antiche costruzioni; nella vallata sono le necropoli. Fin dal secolo scorso rinvenimenti casuali hanno portato alla luce resti archeologici di varia natura che hanno confermato appunto l'esistenza di un antico centro abitato.

Da questo hanno avuto origine varî studî, in gran parte dovuti a studiosi locali, i quali, sulla scorta di notizie desunte dagli storici antichi (Polyb., i, 24, 10; Diod., xxiii, 9, 5, che parla però di Sittana interpretata da alcuni come Hyppana), hanno voluto identificare con il centro abitato su Monte Cavalli l'antica Hyppana; i pareri però non sono affatto concordi: mentre infatti lo Holm (St. di Sicilia, iii, i, p. 32, n. 51) identifica Hyppana con il centro antico posto su Monte Castellaccio nei pressi di Termini Imerese e il Raccuglia con Caccamo, B. Pace, seguendo la tradizione di G. Crispi e altri, identifica con Hyppana il centro posto su Monte Cavalli.

Solo alla fine del 1960 vi furono condotti alcuni saggi regolari di scavo i quali hanno anzitutto confermato l'esistenza di un centro abitato antico identificando la cinta muraria, le abitazioni e un piccolo teatro; sia queste costruzioni che il materiale rinvenuto sono databili ad un periodo che va dal IV sec. a. C. in poi, fino ad epoca ancora non precisata; sporadicamente poi, sia in occasione di questi saggi di scavo che prima, casualmente, sono stati rinvenuti alcuni frammenti di ceramica incisa e dipinta, tipica dei sec. IX-VII a. C.: tutto questo ci induce a pensare all'esistenza di un centro abitato indigeno anteriore alla città del IV sec. a. C.

Il materiale rinvenuto documenta l'esistenza di un centro abitato che ebbe contatti sia con la cultura greca che con quella punica.

Bibl.: G. Crispi, Opuscoli di letteratura e di Archeologia, Palermo 1936, pp. 234 ss.; F. S. Cavallari, Di talune città greche di Sicilia, in Arch. Stor. Sic. Or., V, 1908, p. 342, n. i; S. Raccuglia, Hippana, ricerca d'una città antica siciliana, Palermo 1910; B. Pace, Arte e civiltà della Sic. antica, I, Città di Castello 1935, pp. 333-338, n. 7; L. Pareti, St. di Roma, II, Torino 1952, p. 122; A. Milazzo, Storia di Prizzi, Palermo 1959; V. Tusa, Il centro abitato su Monte Cavalli è identificabile con Hippana?, in Kòkalos, VII, 1961, pp. 113-121; E. Manni, Hippana, Sittana o Hipana?, ibid., VII, 1961, pp. 122-23.

(V. Tusa)

17. - Monte Dessueri. - Fa parte del complesso collinoso che costituisce l'ultimo sbarramento del fiume Gela, prima che questo penetri nella pianura. Sulla piattaforma della montagna si riconoscono tracce di capanne preistoriche cui appartengono le grandi necropoli scavate dall'Orsi, databili, per ceramica e bronzi, in un periodo che va dal XIII al IX sec. a. C. I bronzi sono, in gran parte, una tipica imitazione dei lavori tardo-micenei.

Bibl.: P. Orsi, Le necropoli sicule di Pantalica e M. Dessueri, in Mon. Ant. Linc., XXI, 1913; P. E. Arias, in Not. Scavi, 1936, p. 368; L. Bernabò-Brea, La Sicilia prima dei Greci2, Milano 1960, pp. 148-153.

(D. Adamesteanu)

18. - Monte Giudecca. - A N di Cattolica Eraclea (da cui dista km 2 circa), sulla sinistra del fiume Platani. Sito di un'antica anonima città, non è stato ancora oggetto di ricerche. Il monte, sui cui fianchi si conservano, affioranti dal terreno, tratti della cinta muraria in piccoli blocchi di gesso, è coronato da un ampio pianoro limitato a E da un acrocoro; questo - vera piazza militare - è intorno, su tre lati, difeso da muri e torri, mentre il lato orientale strapiomba, inaccessibile, sul vallone sottostante.

Bibl.: P. Griffo, Sull'identificazione di Camico con l'odierna S. Angelo Muxaro, in Arch. St. Sic. Or., 1954, I-III, p. 77.

(E. De Miro)

19. - Monte Iato. - Centro fortificato situato sulla collina allungata, con orientamento E-O, ad oriente dell'attuale cittadina di S. Giuseppe Iato. Pur non ancora scavato, il materiale fittile rinvenuto occasionalmente nella zona offre la possibilità di considerarlo già in formazione durante il periodo protostorico ed arcaico.

Bibl.: V. Tusa, Aspetti storico-archeologici di alcuni centri della Sicilia occidentale, in Kòkalos, IV, 1957, pp. 151-162.

(D. Adamesteanu)

20. - Monte Lusa: v. Agrigento.

21. - Monte Navone. - È sito sul lato settentrionale dell'alto corso del fiume Gela, a S-O di Piazza Armerina. La montagna si presenta con due aree abitate ben distinte da un taglio naturale. Sulla piattaforma orientale, ove l'abitato appare impostato su uno schema a vie incrociantisi ad angolo retto, è ben visibile l'opera di difesa ad aggere. Sul lato meridionale e settentrionale si trova la necropoli dalla quale provengono corredi della fine del VII e del VI secolo. Durante il VI sec. si osserva la preponderanza del materiale di importazione dalla costa ed una maggiore produzione locale che imita i vasi greci. La parte occidentale della montagna può essere considerata una vera area sacra.

Bibl.: A. W. Van Buren, in Am. Journ. Arch., LX, 1956, p. 399; D. Adamesteanu, I centri indigeni al momento della colonizzazione greca nella Sicilia centro-meridionale, in Bericht über den V. Internationalen Kongress für Vor und Frühgeschichte, Berlino 1961, pp. 1-2.

(D. Adamesteanu)

22. - Monte Raffe. - Centro fortificato assai probabilmente in età arcaica e nella seconda metà del IV sec. a. C. Un'altra fortificazione ebbe anche durante il Medioevo. È un punto chiave sulla vallata del fiume Salito, affluente del Platani. La fortificazione del IV sec. a. C. presenta una serie di torrette rettangolari. L'impianto urbanistico è a terrazze, con una pianta obbligata del terreno in forte pendio. L'insediamento indigeno è ben documentato già dall'VIII sec., con la ceramica di tipo Polizello e S. Angelo Muxaro. Durante il VI sec. si risente l'influenza di Agrigento e alla fine dello stesso secolo si assiste alla trasformazione in pòlis. La plastica è di tipo agrigentino.

Bibl.: P. Griffo, Aspetti archeologici della Provincia di Caltanissetta, Agrigento 1955, p. 27; D. Adamesteanu, Le fortificazioni ad aggere nella Sicilia centro-meridionale, in Rend. Lincei, XI, 1956, p. 13; id., Nouvelles fouilles et recherches à Géla et dans l'arrière-pays, in Rev. Arch., XLIV, 1957, pp. 147-180.

(D. Adamesteanu)

23. - Monte S. Mauro di Caltagirone. - Il centro abitato si estende su una collina allungata a S-E di Caltagirone. La collina è formata a sua volta da cinque successive strozzature, conferendo all'abitato un aspetto quasi sconosciuto ai centri antichi dell'isola, riavvicinandosi di più a quello di Monte Navone, Lavanca Nera o Vassallaggi. Per la sua posizione, esso domina, assieme al centro di M. Bubbonia, la vallata del fiume Maroglio che prolunga la pianura di Gela ai piedi della montagna di Caltagirone, quindi fin sotto S. Mauro.

Sede di villaggi di tipo castellucciano, la stessa area continua ad ospitare diversi piccoli insediamenti fino alla metà del VII sec. a. C. quando vi penetrano gli usi di sepoltura e la ceramica tipicamente geloa. Da questo momento e fino alla prima metà del VI sec., il centro indigeno risente sempre più l'influsso di Gela, assumendo rapidamente i caratteri di un insediamento in fase di piena ellenizzazione. Alla prima metà del VI sec. appartiene anche la decorazione architettonica fittile di uno dei templi della ormai pòlis mentre un altro tempietto è decorato con una serie di antefisse gorgoniche, anch'esso di tipo geloa. Anche se messa in dubbio, la città aveva una sua fortificazione ad aggere, simile a quella degli altri centri indigeni dell'interno. Entro questa difesa si svolge la vita di una città la cui popolazione è "prettamente greca": i templi, le case, un bassorilievo, le decorazioni architettoniche giustificano pienamente il ritrovamento di una lamina di bronzo contenente una legge sugli omicidi, in caratteri e di ispirazione calcidesi, databile nella seconda metà del VI secolo.

La città scompare agli inizî del V sec. e la sua fine può essere messa in rapporto con le spedizioni di Ippocrate. Riprende, ma timidamente, nel periodo timoleonteo per scomparire per sempre con l'inizio del III sec. a. C.

Bibl.: P. Orsi, in Not. Sc., 1904, p. 373; id., Di una anonima città siculo-greca a M. S. Mauro presso Caltagirone, in Mon. Ant. Lincei, XX, 1910, c. 279-850; id., in Not. Sc., 1915, p. 225 ss.; id., in Boll. Palet. It., 1927, p. 38 ss.; E. D. Van Buren, Archaic Fictile Revetmentes in Sicily and Magna Graecia, Londra 1923, p. 49 ss.; T. J. Dunbabin, The Western Greeks, Londra 1948, pp. 115-119; 128-129; D. Adamesteanu, ᾿Ανὰκτορα o sacelli?, in Arch. Class., VII, 1956, pp. 180-186; id., Monte Saraceno ed il problema della penetrazione rodio-cretese nella Sicilia meridionale, ibid., VIII, 1957, pp. 145-146; G. Scichilone, Tre rivestimenti fittili selinuntini e alcuni problemi della produzione siciliana arcaica, in Ann. Scuola Arch. Atene, XXIII-XXIV, 1961-62, pp. 182-217.

(D. Adamesteanu)

24. - Monte Saraceno. - Centro antico a S-E di Ravanusa (provincia di Agrigento), sulla sponda occidentale del fiume Salso (l'antico Himera inferiore). Sul lato N-O si alza una spianata su cui ha trovato posto, dalla fine del VII e fino alla fine del IV sec. a. C., l'acropoli; la parte bassa della montagna è sede della città disposta a terrazze. La città è difesa da una fortificazione arcaica con muro a secco. A questa fortificazione sono state aggiunte, verso la fine del IV sec., due torrette costruite con materiale riadoperato, raccolto dall'area sacra della città bassa. L'acropoli ospita un santuario formato da un tempio maggiore e da almeno due thesauròi. Vicino alla porta orientale si trova un altro piccolo sacello a cui appartengono due depositi sacri con materiale arcaico e della fine del IV sec. a. C. La decorazione di uno dei templi dell'acropoli è fatta in terrecotte architettoniche dipinte di tipo geloo, mentre del sacello inferiore si conosce meglio la decorazione della seconda metà del IV sec. a C. Le necropoli si svolgono sul lato orientale e meridionale della città Il centro può essere identificato con la città di Kakyròn menzionata durante la ritirata dei mercenarî siracusani (Pap. Oxyrh., iv, 1-7) e da Tolomeo (iii, 4, 6).

Bibl.: P. Marconi, in Not. Scavi, 1928, pp. 499-510; id., ibid., 1930, pp. 411-413: P. Mingazzini, Su un'edicola sepolcrale del IV secolo rinvenuta a M. Saraceno presso Ravanusa, in Mon. Ant. Lincei, XXXVI, 1938, cc. 621-680; D. Adamesteanu, Monte Saraceno ed il problema della penetrazione rodio-cretese nella Sicilia meridionale, in Arch. Class., VIII, 1957, pp. 121-146; id., L'opera di Timoleonte nella Sicilia centro-meridionale vista attraverso gli scavi e le ricerche archeologiche, in Kòkalos, IV, 1958, p. 31 ss.

(D. Adamesteanu)

25. - Palikè (Lago Naftia). - È il santuario dei Palikoi, divinità ctonie della gente sicula. Il santuario, come lo indica anche Diodoro (xii, 89, 8) era situato ἐν πεδίῳ ϑεοπρέπει ed era ἱκανῶς κεκοσμημένον da diverse stoà ed altri edifici sacri e civili. Il sito è ai piedi della collinetta di Rocchicella, sul cui lato occidentale si conserva ancora la traccia disseccata del lago bollente chiamato Naftia. La località si trova in mezzo alla grande pianura a N di Minco e Caltagirone ed è naturale incrocio di molte vie antiche che si dipartono in tutte le direzioni. Sulla collina sono ancora visibili i resti di fortificazioni di tipo greco che possono essere assegnati a Ducezio, similmente alla fondazione ed abbellimento del santuario. Dalle indicazioni di Diodoro (loc. cit.) risulta infatti chiaramente che accanto al santuario (τέμενος), Ducezio, ἔκτισε πόλιν ἀξιόλογον, cui dette il nome di Palikè, Dallo studio del terreno e dai resti ancora visibili si può dedurre che il centro fortificato di Rocchicella sia proprio la città fondata da Ducezio nel 453 e distrutta dai Siracusani nel 439. Accanto alla città il santuario sopravvive fino alla guerra servile (Diod., xxxvi, 7, i).

Bibl.: E. A. Freeman, History of Sicily, II, Oxford 1891-4, pp. 367-368; L. Bello, Ricerche sui Palici e Delii, in Kòkalos, VI, 1960, pp. 71-79; D. Adamesteanu, Ducezio, in Kòkalos, (in stampa).

(D. Adamesteanu)

26. - Piano della Città (Palma di Montechiaro). - Si trova a quota 292 a quakhe chilometro a N-E di Palina di Montechiaro. L'area dell'abitato conservava anche il nome di Terravecchia, come tanti altri centri antichi della Sicilia. Anche se di piccola estensione, il centro presenta una cinta muraria di l'orma pstudo-megalitica databile al VI sec a. C. Assieme a Castellazzo di Palma domina la via costiera tra Gela ed Agrigento e come questo ha avuto la stessa sorte, un primo influsso geloo cui si costituisee, durante la forte politica di Falaride, il predominio agrigentino.

Bibl.: P. Orsi, Miscellanea Sicula, in Bull. Palet. It., XLVIII, 1928, pp. 46-54: G. Caputo, Tre xoana e il culto di una sorgente sulfurea in territorio geloo agrigentino, in Mon. Ant. Lincei, XXXVI, 1938, pp. 585-685; P. Griffo, Sull'identificazione di Camico con l'odierna S. Angelo Muxaro a N-O di Agrigento, in Arch. Stor. Sic. Or., VII, 1954, pp. 68-69; E. De Miro, Agrigento arcaica e la politica di Falaride, in La Parola del Passato, XLIX, 1956, pp. 266-270; D. Adametseanu, Monte Saraceno e il problema della penetrazione rodiocretese nella Sicilia meridionale, in Arch. Class., VIII, 1956, pp. 142-143; id., Rapporti tra Greci ed indigeni alla luce delle nuove scoperte in Sicilia, in Atti del VII Congresso Internazionale di Archeologia Classica, II, 1961, pp. 45-52.

(D. Adamesteanu)

27. - Priorato. - Contrada sita a N-O di Butera in una zona fertilissima che forma un incrocio di strade antiche che vanno dal mare verso l'interno dell'isola. Abitata già in periodo preistorico, diventa sede di grosse fattorie di età arcaica ed ellenistica. Ad una di queste fattorie appartiene un complesso impianto per la spremitura delle olive e la conservazione dell'olio e dei vino, parte ricavato dalla roccia, parte costruito a grandi blocchi intonacati. Quest'ultima fase è di età timoleontea.

Bibl.: D. Adamesteanu, Scavi e scoperte nella contrada Priorato, in Not. Scavi, XII, 1958, pp. 364-379; id., L'opera di Timoleonte nella Sicilia centro-meridionale vista attraverso gli scavi e le ricerche archeologiche, in Kòkalos, IV, 1958, p. 31 ss.

(D. Adamesteanu)

28. - Sabucci. - Contrada sita sulle colline che chiudono ad oriente la pianura di Cela. Zona ricca in acque e perciò sede di aggregati umani dall'età castellucciana fino al Medioevo. Di questo periodo è il crocifisso, la cui origine orientale è attestata dalla iscrizione in paleoslavo.

Bibl.: D. Adamesteanu, Scavi e scoperte nella Pianura di Gela, in Not. Scavi, XI, 1956, pp. 203 ss.

(D. Adamesteanu)

29. - Salemi. - Sorge su un colle alto 440 m nell'interno della S. occidentale. Il nome attuale le deriva dall'epoca araba, ma essa esisteva forse già in antico, probabilmente nel Sito dell'antica Halicyae che fu città sicana o elima.

All'identificazione di Halicyae con S. è pervenuto il Cluverio (388), il quale nel nome di Salemi ha creduto di trovarvi lo stesso significato della parola Halicyae (entrambi i nomi alluderebbero al sale); lo stesso Cluverio sostiene che il passo di Tucidide (vii, 32) dal quale si deduce che Halicyae si trovava vicino a Centuripe, e quindi nella S. orientale, si debba leggere ᾿Αγυριναίους e non ᾿Αλικυαίους; in realtà, a prescindere dall'identificazione del nome, che si dimostra inconsistente, Halicyae si deve porre nella S. occidentale (Diod., xiv, 55; xxii, 10; xxiii, 5), non abbiamo però alcun elemento che possa permetterci di identificarla con Salemi. Le uniche testimonianze archeologiche finora note sono i resti di costruzioni paleocristiane, tra cui una basilica, posti in piano ad una certa distanza dal centro abitato; della basilica restano, oltre a qualche struttura, alcune parti del pavimento a mosaico, costituito da tre strati sovrapposti io strato centrale, il più consistente, è decorato con motivi geometrici che ricordano i mosaici dell'Africa; anche per le iscrizioni che contiene tutto il complesso può datarsi al IV-V sec. d. C.

Bibl.: B. Pace, La basilica di Salemi, in Mon. Ant. Lincei, XXIV, 1917, c. 9 ss.

(V. Tusa)

30. - Scornavacche. - Piccolo centro greco, di origine verosimilmente siracusana, che occupava un pianoro alto 6o m sulla riva sinistra del Dirillo, là dove si congiungono i due bracci del fiume, provenienti da Vizzini l'uno e dai pressi di Chiaramonte l'altro.

Sorto sulla via interna Siracusa-Gela-Agrigento-Seli nunte già nella prima metà del VI sec. a. C., e distrutto nel 406-5 quando i Cartaginesi, occupata Agrigento, devastavano i territorî di Gela e di Camarina (Diod., xiii, 108, 3), questo villaggio tornò ad esistere solo in età timoleontea. Esso, però, non venne ricostruito sull'area dell'abitato più antico ma circa 500 m più ad E, sul pianoto già occupato dalla necropoli arcaica che fu in buona parte devastata e che, anzi, fornì materiale per le nuove costruzioni con i suoi lastroni calcarei ed i grandi tegoloni delle tombe a cappuccina.

Il nuovo abitato, che pare non fosse difeso, fu distrutto intorno al 280 a. C. probabilmente in un'azione di guerra inaspettata, o comunque improvvisa, tanto che in alcuni dei forni da vasaio rinvenuti si sono trovati degli oggetti pronti per la cottura. Era questo, infatti, un villaggio la cui attività principale, favorita dalle vicine ottime cave d'argilla, era rappresentata dalla produzione ceramica ad uso, evidentemente, delle popolazioni indigene circostanti.

Il primo impianto dell'abitato, del quale sono stati esplorati sino ad oggi più di 200 vani per un complesso di circa 8.ooo mq, è timoleonteo, ma ben poco di esso ci è rimasto sotto le ricostruzioni e le modifiche più tarde.

Il villaggio appare articolato su rare strade parallele, generalmente non lastricate, lungo le quali si allineavano grandi isolati rettangolari o quadrangolari comprendenti ognuno parecchie abitazioni, composte da non molti vani, che affacciavano su cortili interni di varia grandezza, mentre le porte esterne si aprivano non sulle strade principali ma su arterie secondarie costituite dagli spazi vuoti lasciati fra un isolato e l'altro. Nel tetto, grandi lastre di terracotta, con oblò al centro, servivano da finestre, attraverso le quali veniva eliminato anche il fumo in quegli ambienti che non avevano una regolare "cappa di camino", non di rado presente.

Un piccolo tempietto dedicato ad Asklepios sembra attestato da una breve iscrizione in dialetto dorico incisa sull'orlo di una coppa attica a vernice nera della fine del IV sec. a. C.

L'importanza eccezionale dello scavo di Scornavacche consiste nel fatto che esso ci ha rivelato, per la prima volta in S., un vero e proprio quartiere di ceramisti e, per di più, compreso in limiti cronologici ben precisati e ravvicinati.

Questo centro di coroplasti non è all'altezza di elaborare un proprio stile ma, avvantaggiato dall'ubicazione su una delle strade più battute della S. centro-orientale, copia senza posa innumerevoli tipi, dall'origine più disparata: sia essa agrigentina o attica italiota o dell'Egitto ellenistico.

Le numerosissime matrici e terrecotte recuperate a Scornavacche ci danno pertanto un quadro singolare ed esauriente dei tipi che fra la seconda metà del IV sec. e gli inizî del III a. C. giravano con maggiore o minore fortuna fra le più importanti città siceliote dell'epoca e ci confermano quanto già rilevato nella non lontana Gela, cioè che un classicismo tardivo caratterizzò la coroplastica siceliota dell'età di Timoleonte.

Bibl.: A. Di Vita, in Arch. Stor. Siracusano, II, 1956, pp. 36-41: id., in Kòkalos, II, 1956, p. 203 s.; id., ibid., IV, 1958, pp. 91-99; id., in Boll. d'Arte, 1959, pp. 347-363.

(A. Di Vita)

31. - S. Cataldo di Caltagirone. - Nella contrada Sette Feudi, a Piano dei Casazzi, è stato parzialmente messo in luce un tratto di una fortificazione tipicamente greca. Essa appartiene ad una vera città di tipo greco, molto probabilmente databile nella prima metà del V sec. a. C. Nelle vicinanze è stato rinvenuto un deposito di bronzi databile nel VII e VI secolo. È assai probabile che la città sia una fondazione di Ippocrate per assicurarsi il passaggio dalla zona geba in quella calcidese della S. orientale. La città può essere identificata con Eryx, indicata da Kallias (ap. Macrobius, 19, 25) distante da Gela 90 stadî.

Bibl.: P. Orsi, in Boll. Palet. It., 1927, pp. 50 ss.; 126; T. J. Dunbabin, The Western Greeks, Oxford 1948, pp. 125-126; 380; L. Bernabò-Brea, La Sicilia prima dei Greci2, Milano 1960, pp. 197-198.

(D. Adamesteanu)

32. - Terravecchia di Cuti (o di Passo di Landro). - Si trova nell'angolo S-E della provincia di Palermo, a circa Ilin 4 a S di Resutano, in posizione dominante sulla via che dalla parte centrale dell'isola scende, attraverso la vallata del Belice, fino ad Imera. Gli scavi hanno messo in luce la fortificazione, una parte della necropoli e qualche ambiente nell'interno dell'abitato. È stato scavato anche un tempietto in antis ed il suo thesauròs. Intorno a questi due monumenti sono state recuperate varie terrecotte figurate databili nel V e nel IV sec. a. C. I primi contatti con il mondo greco della costa risalgono però, come dimostrano i vasi greci, già alla prima metà del VI sec. a. C. Questo momento corrisponde inoltre alla pressione esercitata da Falaride sia verso Imera sia nella direzione dell'alta valle del Salso e di Belice. Il carattere delle iscrizioni sui "pesi da telaio", la monetazione e la plastica sono strettamente collegate ad Agrigento.

Sorto in età protostorica, con manifestazioni d'arte di tipo S. Angelo Muxaro e Polizello, il centro acquista il suo maggior sviluppo durante il VI e V sec. a. C., mentre nel periodo timoleonteo, contrariamente a quanto è stato verificato nei centri della zona, esso si spegne lentamente. Può essere considerato quindi una vera piazzaforte indigena, occupato dall'elemento greco, ai margini del territorio agrigentino. Per ora il tempietto messo in luce a Terravecchia di Cuti rappresenta il più settentrionale santuario di tipo greco conosciuto finora nell'isola.

Bibl.: D. Adamesteanu, Monte Saraceno ed il problema della penetrazione rodio-cretese nella Sicilia meridionale, in Arch. Class., VIII, 1956, pp. 145-147; id., Le fortificazioni ad aggere nella Sicilia centro-meridionale, in Rend. Lincei, XI, 1956, pp. 12-13; V. Tusa, Aspetti storico-archeologici di alcuni centri della Sicilia occidentale, in Kòkalos, III, 1957, pp. 91-93; D. Adamesteanu, L'opera di Timoleonte nella Sicilia centro-meridionale vista attraverso gli scavi e le ricerche archeologiche, ibid., IV, 1958, pp. 26-29; E. Militello, Terravecchia di Cuti, Palermo 1960.

(D. Adamesteanu)

33. - Vassallaggi. - Centro antico della S. occidentale, situato sulla grande arteria che collegava Agrigento alla zona N-E del suo territorio; esso occupa una catena di cinque colline, richiamando così il tipo di insediamento di S. Mauro di Caltagirone (v. par. 23). Gli scavi hanno messo in luce l'opera difensiva, una parte della necropoli arcaica e classica, disposta sul lato meridionale della città, un quartiere di abitazione e un tempietto in antis.

Il centro storico si sovrappone ad una serie di villaggi castelluciani (dell'Età del Bronzo), del quale sono state messe in luce diverse capanne. Con l'inizio dell'Età del Ferro, il centro di Vassallaggi entra a far parte della cultura di tipo S. Angelo Muxaro, con ceramica a decorazione geometrica incisa. Con la metà del VI sec., quando il centro pare ormai ben articolato, risente fortemente l'influsso agrigentino nella plastica. Alla fine di questo secolo si attribuisce il primo impianto a terrazze, rifatto nel V-IV sec. a. C. Al V sec. appartiene anche l'edificio templare con una prima decorazione a palmette dipinte, sostituita dalla decorazione ad antefisse plastiche raffiguranti teste sileniche. La necropoli, con sarcofagi di alabastro, è ricca in corredi attici ed italioti, conservando ancora nel V sec., il costume della oinochòe di tradizione locale. In base ai dati di scavo e all'indicazione del testo di Diodoro (xi, 91) riguardante la politica di conquista di Ducezio, il centro può essere identificato con Motyon, ultima conquista del principe siculo. Si spegne durante il III sec. a. C., ma riprende, debolmente, durante il IV-V sec. d. C. A questa fase appartengono le sepolture nelle camerette della parete rocciosa su cui sorgeva il centro.

Bibl.: P. Orsi, in Not. Sc., 1905, p. 449; D. Adamesteanu, Le fortificazioni ad aggere nella Sicilia centro-meridionale, in Rend. Lincei, XI, 1956, p. 13; id., Nouvelles fouilles et recherches archéologiques à Gela et dans l'arrière-pays, in Revue Arch., XLIV, 1957, pp. 174-175; id., Monte Saraceno ed il problema della penetrazione dei Rodio-cretesi nella Sicilia meridionale, in Arch. Class., VIII, 1957, pp. 138-139; id., L'opera di Timoleonte nella Sicilia centro-meridionale vista attraverso gli scavi e le ricerche archeologiche, in Kòkalos, IV, 1958, p. 31 ss.

(D. Adamesteanu)

34. - Vito Soldano. - Località in provincia di Agrigento, tra Castrofilippo e Canicattì. Sito di un borgo romano-bizantino sistemato in un pianoro alle cui spalle è una serie di alture ricche di tombe cristiane.

Recenti scavi hanno messo interamente in luce un notevole edificio termale.

Bibl.: M. R. La Lomia, Ricerche archeologiche nel territorio di Canicattì: Vito Soldano, in Kòkalos, VII, 1961, pp. 157-165.

(E. De Miro)

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