SIBARI

Enciclopedia Italiana (1936)

SIBARI (Σύβαρις, Sybăris)

Giulio Giannelli

Colonia greca della Magna Grecia, situata sulla costa del golfo di Taranto, presso il confine settentrionale della Calabria (antico Bruzio), nella piccola piana racchiusa tra il corso del fiume Crati, identificabile sicuramente con l'antico Crathis, e quello del Coscile, in cui generalmente si riconosce l'antico Sybaris: in tal caso, è da supporre, per varie ragioni, che i due fiumi (Crati e Coscile), che oggi si riuniscono in uno solo, circa sei chilometri prima della foce, arrivassero fino al mare divisi.

Recentemente però è stata avanzata, con buoni argomenti, l'ipotesi (Kahrstedt) che il nome di Sybaris fosse portato in antico dall'odierno torrente di S. Mauro; sicché l'antica città dovrebbe ricercarsi nella zona compresa fra il corso di questo e quello del Crati, là dove sorse anche e ha lasciato non insignificanti resti di sé la successiva colonia di Turî (v.). L'ipotesi del Kahrstedt non sembra però avere piena conferma dagli scavi più recenti.

La tradizione ne ascriveva concorde la fondazione a coloni provenienti dall'Acaia, ai quali si erano uniti gruppi di altri coloni di Trezene. Ne sarebbe stato ecista un tale Is di Elice. Nei pochi indizî e nelle scarse notizie che possediamo sulla vita più antica della città, la critica moderna non trova obiezioni gravi ad accogliere sostanzialmente il racconto della tradizione. Come data di fondazione, viene tramandata quella del 720 a. C. (Pseudo Scimno) o del 708 a. C. (Tucidide): è più probabile che essa debba farsi risalire più addietro, verso la metà del sec. VIII.

La presenza di cittadini di Trezene fra gli Achei che vennero a stanziarsi in questa colonia, può forse spiegarci le ragioni per cui fu scelto, per la nuova città, un luogo adatto, oltre che all'attività agricola, anche ai traffici di ogni specie. Da una parte, infatti, la valle del Crati offriva condizioni invidiabili allo sviluppo dell'agricoltura e della pastorizia: né mancavano (nel luogo dell'odierna S. Marco Argentano) miniere d'argento. D'altra parte però la foce del Crati si raccomandava, per la sua posizione, a gente dedita ai commerci, trovandosi essa all'un capo di uno dei più brevi tragitti per i quali si poteva comunicare tra l'Ionio e il Tirreno. Infatti ben presto i Sibariti si spinsero dalla loro città nell'interno, lungo l'istmo di terra che li separava dal Tirreno, e piantarono sulle sponde di questo mare, verso la metà del sec. VII, i due stabilimenti di Lao e di Scidro. Probabilmente intorno allo stesso tempo quasi tutti i Trezenî di Sibari lasciavano la città, raggiungevano un altro stabilimento già fondato da alcuni dei loro pionieri presso la foce del Silaro (odierno Sele), e ivi fondavano la città di Posidonia.

Il periodo che corse dalla metà del sec. VII agli ultimi decennî del VI, vide l'apogeo della potenza e della ricchezza di Sibari: essa divenne allora la maggiore città dell'Occidente; gli antichi le attribuivano (con cifre indubbiamente esagerate) un perimetro di 50 stadî (pari a più di 9 chilometri) ed oltre 300.000 abitanti. E di pari passo con la floridezza economica progredì la potenza politica dei Sibariti. Dopo aver distrutto, in alleanza con Metaponto e con Crotone, la fiorente città di Siri, i Sibariti goderono per parecchi anni l'indiscussa egemonia su tutta la Magna Grecia. Cominciò allora però anche la decadenza: l'eccessiva potenza e ricchezza guastarono i costumi dei cittadini (ma è da ritenersi del pari esagerata la pittura che ci lasciarono gli antichi, del fasto e della raffinatezza della vita sibaritica) e destarono l'invidia di altre città, e specialmente della potente Crotone, dove si assisteva allora, sotto l'influsso esercitato dal filosofo Pitagora, a una mirabile rinascita di tutte le virtù civili e di tutte le energie spirituali e morali di quel popolo.

Poco prima del 510 a. C., stabilitasi in Sibari la tirannide di Teli, i partigiani dell'abbattuto governo aristocratico si rifugiarono a Crotone, che rifiutò di riconsegnarli al tiranno. Ne seguì battaglia, che si combatté sul fiume Traente (od. Trionto) e si risolse in una splendida vittoria dei Crotoniati; i quali, dopo poche settimane di assedio, costrinsero Sibari alla resa. La città fu distrutta, ma, come pare, non totalmente: i cittadini si rifugiarono in Lao e in Scidro, ma una piccola parte di essi rimase probabilmente ad abitare in qualche quartiere superstite dell'abbattuta città (v. anche turî). La catastrofe di Sibari ebbe una grande ripercussione in tutto il mondo antico: i Milesî, che mantenevano con Sibari un traffico intensissimo, misero il lutto in segno di compianto per la sorte della infelice città.

Bibl.: Per la topografia: G. Cavallari, in Notiz. scavi, 1879, p. 245; G. Candicamo, La necropoli di Sibari, Milano 1879; F. Galli, Per la Sibaritide, Acireale 1907; U. Kahrstedt, Die Lage von Sybaris, in Nachrichten von d. Gesellschaft der Wiss. zu Göttingen (Philol.-hist. Klasse), 1931, p. 279 segg.; id., Studi topografici sull'antica Sibari, in Memorie della R. Accademia di Archeol., lett. e belle arti di Napoli, XII (1931-32); U. Zanotti-Bianco, in Archivio storico per la Calabria e la Lucania, II, ii (1932). Per la storia: F. Ulrich, Rerum Sybariticarum capita selecta, Berlino 1836; D. Marincola Pistoia, Delle cose di Sibari, Napoli 1845; G. Gioia, Memorie storiche: Sibari, Napoli 1883; E. Mariotto, Ricerche storiche sulla città di Sibari, Napoli 1898; G. Giannelli, Culti e miti della Magna Grecia, Firenze 1924, pp. 114 segg., 304 segg.; E. Ciaceri, Storia della Magna Grecia, I, 2ª ed., Roma 1929, p. 142 segg.

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