Yoshida, Shigeru

Dizionario di Storia (2011)

Yoshida, Shigeru


Politico giapponese (Tokyo 1878-Oiso 1967). Tra le personalità più significative del Giappone del 20° sec., entrò nel 1906 nella carriera diplomatica, nel 1919 partecipò come membro della delegazione giapponese alla Conferenza di pace di Versailles e fu poi console generale a Mukden e viceministro degli Esteri dal 1928 al 1930. In questo periodo emersero aspetti contraddittori o almeno problematici del suo orientamento. In Manciuria Y. si comportò come rigido tutore degli interessi del Giappone, ma nel quadro del tradizionale allineamento espresso dall’alleanza, peraltro cessata definitivamente nel 1923, con la Gran Bretagna. Nello stesso tempo, tuttavia, si mostrò avversario altrettanto fermo dell’influenza sulla politica estera della classe militare, specialmente all’epoca della seconda Conferenza di Londra sul disarmo navale. In seguito ambasciatore in Italia dal 1931 al 1932, continuò a criticare l’andamento della politica in Cina e in particolare il fatto che, con la creazione del Manchukuo, il Giappone venisse a isolarsi sempre di più sul piano internazionale. Nel 1936, dopo un fallito colpo di Stato militare, alla formazione del governo Hirota fu proposto come ministro degli Esteri, ma la sua candidatura cadde per l’opposizione dell’esercito e della marina. Nominato ambasciatore a Londra, mantenne la carica fino al 1938, continuando a cercare una soluzione negoziata ai contrasti con il Regno Unito in Cina e criticando l’avvicinamento del Giappone alle potenze dell’Asse. Dopo il suo ritorno in patria, Y. lasciò nel 1939 la carriera diplomatica e iniziò un’attività più strettamente politica, divenuta più intensa durante la guerra del Pacifico, come esponente di un gruppo di oppositori all’egemonia dell’esercito, orientato a uscire dalla guerra spingendo l’imperatore a imporre una soluzione in questo senso. Per questa ragione fu anche imprigionato per un breve periodo nel 1945, nel corso del cd. incidente del «Badoglio giapponese» (➔ Konoe, Fumimaro). Dopo la resa del Paese Y. assunse la carica di ministro degli Esteri nel governo Shidehara, al quale successe come premier nel 1946. Nel corso dell’occupazione alleata, Y. si affermò come leader del Partito liberale e con le elezioni del 1948 divenne primo ministro, nel quadro della nuova Costituzione introdotta nel 1947. Conservò la carica per quattro successivi mandati fino al dicembre 1954. La sua attività fu significativa principalmente in ambito internazionale e nell’itinerario che portò alla Pace di San Francisco del 1951. Di fronte alla difficoltà di raggiungere una soluzione accettata sia dalle potenze dello schieramento occidentale sia da quelle del blocco sovietico, Y. scelse la strada, ostacolata da una parte dell’opinione pubblica interna, di una pace accettata soltanto dalle prime, alla quale verosimilmente sperava che si sarebbe associata anche la nuova Cina comunista nata nel 1948. Adeguandosi alla politica degli USA, il Giappone concluse comunque un trattato di pace con il governo della Repubblica di Cina, rifugiato a Taiwan. A questi anni risale anche l’elaborazione definitiva della cd. dottrina Y., rimasta un pilastro della politica estera nipponica per la maggior parte della seconda metà del Novecento. Per quanto formulata con elasticità, essa comprendeva la rinuncia da parte del Giappone al possesso di autentiche forze armate, la delega della sicurezza nazionale a un trattato con gli Stati Uniti e la concentrazione degli sforzi verso il ristabilimento della prosperità economica. Dopo la fine dell’occupazione alleata nel 1952, Y. si impegnò nel tentativo di aderire alle principali organizzazioni internazionali dando inizio a un itinerario che lo avrebbe condotto a entrare nel GATT e nell’ONU. Nel 1954 il governo di Y. venne rovesciato e, l’anno seguente, egli si fece definitivamente da parte anche nella politica interna, mantenendo tuttavia una certa influenza indiretta fino alla morte.

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