SEPARAZIONE personale

Enciclopedia Italiana (1936)

SEPARAZIONE personale

Fulvio Maroi

Diritto canonico. - Affermata l'indissolubilità del matrimonio (can. 1118), la Chiesa ammette che possa sciogliersi la comunione di vita coniugale per giusta causa (divortium semiplenum). Si ha così la separazione corporaliter non sacramentaliter; il vincolo coniugale, infatti, resta intatto: si scioglie solo l'individua vitae consuetudo che non appartiene all'essenza, ma all'integrità del matrimonio.

La separazione può esser completa (habitationis, mensae et thori) o parziale (ad es., di letto); perpetua o temporanea; consensuale o giudiziale. La separazione perpetua, purché consensuale, è ammessa in due casi: se uno dei coniugi entri in religione (can. 542), se l'uomo riceva gli ordini sacri (can. 987); la separazione perpetua, senza il consenso dell'altro coniuge, è consentita solo per causa di adulterio: è ammessa la tacita condonatio (can. 1129). La separazione temporanea si giustifica o per il bene dell'anima o per il bene del corpo (can. 1131); nel primo caso giusti motivi sono, ad es.: la condotta delittuosa o ignominiosa del coniuge, i delitti contro la fede, o il grave pericolo per l'anima dell'altro coniuge; nel secondo caso, ad es.: le sevizie, che rendano insopportabile la vita comune; le malattie, che espongano a grave pericolo la salute dell'altro coniuge (pazzia, morbo contagioso).

Le causae legitimae di separazione debbono esser riconosciute dal giudice ecclesiastico, il quale concede la separazione ad certum incertumne tempus e provvede per l'educazione dei figli (can. 1132).

Diritto italiano. - Il codice civile italiano riconosce due forme di separazione personale: la giudiziale e la consensuale.

La separazione giudiziale presuppone una contestazione (sull'attribuzione di determinati fatti colposi da parte di un coniuge all'altro) che si risolve in un giudizio e porta a una sentenza con cui il tribunale pronuncia la separazione per colpa del coniuge che ha violato i doveri matrimoniali o per colpa comune.

Il diritto di provocare tale pronuncia spetta solo ai coniugi e per le seguenti cause determinate dalla legge (art. 150-153):1. l'adulterio della moglie, o quello compiuto dal marito, se mantiene la concubina in casa, ovvero notoriamente in altro luogo, o col concorso di circostanze tali che il fatto costituisca ingiuria grave per la moglie; 2. il volontario abbandono (ingiustificato o intenzionalmente diretto a rompere il rapporto di convivenza); 3. i maltrattamenti fisici o morali da parte di un coniuge in danno dell'altro (il codice parla con termini esemplificativi di "eccessi, sevizie, minacce, ingiurie gravi"), quando rendano intollerabile o pongano in pericolo la vita o la salute dell'altro coniuge; 4. la condanna penale di uno dei coniugi a una pena criminale (ergastolo, interdizione perpetua dai pubblici uffici, reclusione non inferiore nel minimo ai tre anni), a meno che la sentenza sia anteriore al matrimonio e l'altro coniuge ne fosse consapevole; 5. l'arbitrario rifiuto del marito di fissare una residenza o di fissarla in modo conveniente alla sua condizione sociale e alle sue sostanze. Carattere e finalità diverse dalle cause di separazione qui ricordate ha la sospensione della vita coniugale in pendenza del giudizio di nullità del matrimonio (art. 115 cod. civ. e art. 19 legge 27 maggio 1929, n. 847).

Gli effetti della separazione giudiziale si riflettono sia nel campo dei rapporti personali (i coniugi sono liberati dall'obbligo della coabitazione: non così dall'obbligo della mutua fedeltà e da quello degli alimenti) sia in quello dei rapporti patrimoniali; se la separazione fu pronunziata per colpa di uno dei coniugi, questi incorre in varie sanzioni (pene) che consistono in svantaggi patrimoniali: perdita dell'usufrutto legale sui beni dei figli minori, dei lucri dotali, dei diritti di successione legittima e testamentaria; se fu invece pronunziata per colpa di entrambi i coniugi, le accennate sanzioni colpiscono entrambi, salvo sempre il diritto degli alimenti in caso di bisogno (art. 156 cod. civ.). Quanto all'influenza della separazione sul regime matrimoniale va osservato che, se i coniugi avevano adottato il regime della comunione, questa si scioglie (art. 1441) e i coniugi possono procedere alla liquidazione dei loro diritti (articoli 1444, 1445); se essi invece avevano adottato il regime dotale, la moglie ha solo il diritto di chiedere la separazione della dote anche se non ricorrano gli estremi di cui all'art. 1418. Quanto poi alla sorte dei figli, il tribunale decide quale dei coniugi debba tenerli presso di sé e in qual modo si debba provvedere al loro mantenimento, alla loro istruzione ed educazione e può altresì, concorrendo gravi motivi, disporre che siano collocati presso qualche istituto o presso terza persona, pur sempre lasciando ai genitori un diritto di vigilanza sulla prole (articoli 154, 155). Il nuovo codice penale (art. 388) considera reato la mancata esecuzione dolosa del provvedimento del giudice concernente l'affidamento di minori.

Il giudizio deve promuoversi dal coniuge avanti il tribunale civile del domicilio del marito (che è naturalmente anche quello della moglie); tali giudizî, dato il loro interesse pubblico, non possono formare oggetto di compromesso. Il cod. di proc. civ. (art. 806 segg.) prescrive le forme con cui si deve svolgere il giudizio, che è sempre preceduto da un tentativo di conciliazione. La sentenza che ammette la separazione ha carattere costitutivo.

Separazione consensuale o volontaria (separatio bona gratia). - I coniugi possono separarsi inoltre per mutuo consenso, quale che sia la causa del disaccordo e dell'interruzione della vita coniugale (più spesso viene addotta la semplice incompatibilità di carattere); è richiesto anche qui l'intervento del magistrato, ma non perché egli pronunci la separazione in sede contenziosa, sibbene perché egli, in sede di volontaria giurisdizione, approvi l'accordo intervenuto fra i coniugi circa la loro separazione. L'omologazione è elemento essenziale per l'efficacia giuridica del verbale di separazione personale, non ammettendosi in questa materia pattuizioni che rientrino nell'esclusiva disponibilità delle parti (salvo che si tratti di patti relativi ai loro rapporti economici). Deve precedere anche qui il tentativo di riconciliazione da parte del magistrato.

I coniugi separati bona gratia non incorrono in sanzioni e perdite di diritti patrimoniali: essi sono liberi soltanto dall'obbligo della coabitazione. Quanto alla sorte della prole si provvede col verbale di separazione, che, anche per ciò, deve esser omologato dal tribunale: l'accordo dei genitori non costituisce un ostacolo per il giudice a modificare le condizioni nell'interesse della prole, sempre che ne sia richiesto successivamente da uno dei coniugi.

Intervenuta separazione, sia giudiziale sia consensuale, i coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della separazione o con un'espressa dichiarazione o col fatto della coabitazione senza che sia necessario l'intervento dell'autorità giudiziaria (art. 157 cod. civ.).

Il legislatore non disconosce, infine, la separazione di fatto avvenuta, e ciò per evitare spese, senza l'osservanza delle formalità prescritte per quella giudiziale o consensuale: anzi, l'art. 236 cod. proc. civ. si riferisce anche ai coniugi separati di fatto. Tuttavia la legge non attribuisce a tale separazione alcun effetto giuridico: in particolare il marito separato solo di fatto non può agire per il disconoscimento della prole avvalendosi della presunzione di cui all'art. 163, come invece può il marito che viva legalmente separato dalla moglie.

Regime concordatario. - La Chiesa, pur rivendicando a sé la competenza esclusiva nelle cause matrimoniali (can. 1960), con l'art. 34 del concordato dell'11 febbraio 1929 ha consentito che le cause di separazione personale siano giudicate dall'autorità giudiziaria civile. La sentenza di separazione, quando sia passata in giudicato, viene comunicata all'autorità ecclesiastica (art. 19 cit. legge di applicazione), ossia all'ordinario diocesano o al parroco.

Bibl.: A. Esmein, Le mariage en droit canonique, 2ª ed., Parigi 1929; A. Bertola, Matrim. religioso, in Diz. dir. priv., III, iii, p. 931; D. Schiappoli, Il matrim. secondo il diritto canonico e la legisl. concordat. ital., Napoli 1932; M. Massol, Traité de la sépar. de corps, 2ª ed., Parigi 1875; O. Sechi, La separ. personale dei coniugi nella legisl. it., Torino 1894; F. Ciccaglione, Separ. personale, in Dig. it., XXI, ii, p. 804; N. Stolfi, Dir. civile, V, Torino 1921, pp. 219-293; R. De Ruggiero, Istituzioni dir. civ., II, Messina 1935, p. 183 segg.

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