SENATOCONSULTO

Enciclopedia Italiana (1936)

SENATOCONSULTO (Senatus consultum)

Vincenzo ARANGIO-RUIZ

È, nel significato originario dell'espressione, il parere che il senato romano esprime sulla questione sottopostagli dal magistrato che lo convoca e presiede. Essendo infatti il senato un corpo essenzialmente consultivo, esso non può dare che pareri, ai quali il magistrato non è originariamente tenuto a uniformarsi: da ciò l'uso costante del verbo censere. Ma nell'apogeo della repubblica il magistrato si considera tenuto a seguire le direttive che il senato gli prefigge, e talvolta il senato stesso lo vincola in questo senso, stabilendo che nessuna decisione possa essere presa in una determinata materia se non su suo parere conforme (de senatus sententia), V. roma, XXIX, p. 687 segg.; ove è anche accennata la massima esplicazione che il potere del senato aveva nel senatusconsultum ultimum, autorizzazione data ai magistrati di esercitare senza limiti la coercizione in periodi di torbidi civili.

Anche durante il principato le decisioni del senato, per quanto ispirate o controllate dall'imperatore, sono riconosciute come atti di governo aventi efficacia definitiva; a cominciare da quel conferimento del titolo di Augusto e dei corrispondenti poteri al nuovo principe, che è il modo più usuale di provvedere alla vacanza del trono.

Nella teoria delle fonti del diritto, il nome di senatoconsulto è però riservato a quelle decisioni del senato che introducono nuove norme giuridiche. Come tali non vanno considerate le varie deliberazioni che tendono a promuovere o controllare l'attività propriamente legislativa (p. es. l'invito ai consoli di proporre determinate leggi al comizio centuriato, o l'auctoritas, preventiva o successiva, che in varî periodi il senato è stato chiamato a dare ai plebiscita): in queste ipotesi, infatti, l'atto rimane proprio delle assemblee popolari e del magistrato proponente. Ma negli ultimi tempi della repubblica il senato cominciò ad arrogarsi il potere di dispensare singoli cittadini dall'osservanza di determinate leggi; e le resistenze opposte dai rappresentanti della democrazia ebbero il solo risultato di promuovere una legge che esplicitamente riconosceva entro certi limiti al senato il controverso potere. Analoghe ingerenze si producevano quando il senato negava validità a una legge per inosservanza delle formalità prescritte, ad es. per non essere stati presi regolarmente gli auspici, o quando decideva in via di massima se un dato gruppo di casi cadesse o meno sotto la sanzione di una legge determinata. Infine il senato si avvalse del suo prestigio in confronto dei magistrati per suggerire al pretore urbano di reprimere nell'esercizio della giurisdizione determinati fatti: così fu il senato a suggerire che fosse denegata la proclamazione in libertà al cittadino che si fosse lasciato vendere per dividere il prezzo col venditore. Ma anche qui la rigida applicazione dei principî giuridici faceva considerare la sanzione come proveniente piuttosto dalla discrezione del magistrato che dal senatoconsulto.

Il cambiamento di punto di vista ha luogo col sorgere del principato, che, esaurendo rapidamente la funzione legislativa delle assemblee e togliendo ogni potere discrezionale ai superstiti magistrati repubblicani, lascia assorbire dal senato tutte quelle funzioni che l'imperatore stesso non considera come sue proprie.

Fin dall'epoca di Augusto vediamo emanati dal senato, su proposta dei consoli ma previo accordo col principe, provvedimenti normativi di efficacia diretta: tale, nel 4 a. C., il senatoconsulto ultimamente ritrovato in calce all'editto ai Cirenei, relativo alla procedura del reato di concussione; tale, nel 10 d. C., il senatoconsulto Silaniano, per cui, in caso di assassinio di un cittadino, gli schiavi che potendo non lo avessero soccorso dovevano essere messi a morte e il testamento non poteva essere aperto se prima tutto il servidorame non fosse stato sottoposto alla tortura. In seguito i senatoconsulti sono sempre più numerosi e importanti: ricordiamo il Macedoniano e il Velleiano, che limitavano in vario modo la facoltà di indebitarsi per i figli di famiglia e per le donne; il Tertulliano e l'Orfiziano, che sancivano diritti reciproci di successione fra madre e figli; il Neroniano, che equiparava il più possibile negli effetti le varie forme di legati; il Pegasiano e il Trebelliano, che regolavano la materia dei fedecommessi; il Claudiano, che faceva cadere in schiavitù la donna che avesse persistito nella tresca con uno schiavo contro il divieto del padrone. Nelle sue Institutiones (I,4), Gaio accenna a dubbî che sarebbero stati avanzati, anche - a quanto pare - da giuristi di età imperiale, circa la validità dei senatoconsulti; ma considera la disputa come superata. L'universale accettazione del principio risulta particolarmente dal fatto che, anche quando il senato ricorreva al vecchio sistema d'incaricare dell'attuazione di una nuova regola di diritto il magistrato giusdicente, i giuristi non consideravano più i provvedimenti come proprî del pretore, ma citavano direttamente il senatoconsulto.

Questa fonte di diritto continua a scorrere abbondante fino a quasi tutto il sec. II d. C.; ma già a partire dall'età degli Antonini il fatto che la proposta parte sempre dall'imperatore, e che il senato l'accetta senza discussione, fa sì che si preferisca far risalire la norma alla proposta stessa (oratio principis), intendendola come uno dei tanti modi di espressione della volontà imperiale. E del resto dopo la dinastia dei Severi senatoconsulti non se ne emanano più, riservandosi la produzione del diritto alle constitutiones principum.

Bibl.: A. F. Rudorff, Römische Rechtsgenschicte, Lipsia 1857-59, I, p. 110 segg.; G. F. Puchta, Cursus der Institutionen, 8ª ed., Lipsia 1875, I, pp. 169 seg., 294 seg.; P. Willems, Le sénat de la républ. rom., Lovanio 1883; II, p.231 segg.; M. Wlassak, Kritische Studien zur Theorie der Rechtsquellen, Graz 1884; O. Karlowa, Römische Rechtsgeschicte, I, Lipsia 1885, p. 640 segg.; P. Rossi, Le origini del potere legislativo del senato, Siena 1890; G. Pacchioni, Corso di dir. rom., 2ª ed., I, Torino 1918, p. 258 segg.; B. Loreti-Lorini, Il potere legislativo del senato rom., in Studi Bonfante, IV, Milano 1930, p. 377 segg.

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