SELENE

Enciclopedia Italiana (1936)

SELENE (Σελήνη)

Giulio Giannelli

Fu chiamata così, presso i Greci, la divinità personificante la luna; da σέλας, il fulgore del fuoco. La personificazione della luna in divinità - e di solito in una divinità del ciclo solare - è fenomeno comune a quasi tutti i popoli primitivi; per altro, non risulta che i Greci abbiano venerato S. se non in misura assai limitata e molto sporadicamente, a differenza di altre genti (specialmente quelle dell'Asia Minore), presso le quali il culto della divinità lunare tenne un posto eminente. Alcuni indizî monumentali sembrano invece attestare una maggiore importanza della religione lunare nella civiltà minoico-micenea. In età storica, la regione della Grecia per la quale ci è più abbondantemente testimoniato il culto di S. fu l'Arcadia, dove essa era venerata insieme con Pan, in una grotta del Monte Liceo. Ad Atene, si offrivano a S., come ad altre divinità (Mnemosine, le Muse, Eos, Elio, le Ninfe, Afrodite, Urania) speciali libagioni di latte, miele ed acqua, dette νηϕάλια ἱερά (cioè, sacrifici senza vino), delle quali facevano parte anche offerte di focacce in forma di luna. La dea S. veniva pure ricordata nelle rappresentazioni del culto eleusino.

Maggiore sviluppo del culto raggiunse invece, in Grecia, il mito di S. Collegata naturalmente col sole (Elio), ne veniva rappresentata come la sorella, la moglie o la figlia; e la si diceva generata da Iperione e da Teia (a loro volta, ipostasi rispettivamente di Elio e di S. stessa), oppure anche si dicevano sue genitrici Basileia o Eurifessa. La sua identificazione con Artemide la fece dire, più tardi, figlia di Zeus e di Latona. In Atene si favoleggiò anche che essa avesse generato da Zeus Pandia, la divinità eponima di quelle feste Pandie (v.), che si celebravano in onore di Zeus. Nella stessa guisa, il mito eleusino la diceva madre di Museo, che essa aveva generato da Eumolpo o da Antifemo. Il mito rappresentava anche la traslazione di S. negli spazî celesti come un volo compiuto dalla dea per mezzo di ali (onde il suo epiteto di τανυσίπτερος) oppure cavalcando un animale, che ora si diceva fosse un cavallo o un mulo, ora una capra o un cervo o un gallo. Più spesso però si immaginava che S. venisse trasportata nel suo viaggio celeste su di un carro (si ricordi il simbolo, diffusissimo, del carro del sole), tirato da buoi, da cavalli o da cervi.

L'evidente connessione della luna e delle sue fasi con molti fenomeni terrestri diede grande diffusione alla credenza che molti fatti e avvenimenti della natura terrestre e dell'umanità dipendessero da S., secondo che essa si trovava nel periodo ascendente o discendente; stimandosi in generale favorevoli e propizî alle piante e agli uomini gl'influssi della luna crescente, infesti quelli della luna calante (v. luna: Folklore). Perciò il sorgere e il crescere della luna veniva salutato con manifestazioni di onore e di gioia; si credeva che da essa dipendesse il regolare svolgersi della vita sessuale femminile e il felice e rapido esito dei parti. Influssi notevoli si attribuivano a S. anche sulla vita dei singoli uomini e specialmente sul loro stato di salute o di malattia.

Delle leggende poetiche fiorite intorno alla figura di S. la più nota fu quella del suo amore per Endimione (v.), il bel giovane simboleggiante forse il profondo sonno della notte: egli sempre dormiva in una grotta del monte Latmos, e ogni notte S. veniva ad ammirarlo e a baciarlo nel sonno. Le tendenze sincretistiche del tardo periodo ellenisiico e dell'età romana portarono S. in intima connessione con altre divinità: venne identificata dai Greci con Ecate e con Artemide, così come gli Egiziani l'avevano identificata con Iside; dall'imperatore Elagabalo fu fatta venerare come sposa del dio di Emesa, il Sol invictus.

Nell'arte. - Nelle rappresentazioni più antiche, S. è di solito indicata con un semplice disco, simboleggiante la luna piena, oppure in figura di dea col disco lunare sulla testa: più tardi, sotto l'influsso orientale, prevale la rappresentazione della dea con la testa sormontata dal crescente lunare. Antica è anche l'aggiunta di una corona raggiata intorno alla testa. La dea veniva generalmente immaginata come una figura femminile di grande bellezza (per es., Ovidio, Metam., II, 722); bella specialmente negli occhi ("occhio della notte") ed anche nei capelli (εὐπλόκαμος), per l'assimilazione di questi coi raggi della testa.

Bibl.: B. Grosse, De Graecorum dea Luna, 1880; E. Siecke, Beiträge z. genauer. Erkennt. d. Mondgottheit bei den Griechen, Berlino 1885; W. H. Roscher, Selene und Verwandtes, Lipsia 1895; id., in Roscher, Lexikon der griech. und röm. Mythologie, II, coll. 3119-3200; IV, col. 642-50; A. Legrand, in Daremberg e Saglio Dictionnaire des antiquités, III, p. 1386 segg.; O. Gruppe, Griech. Mythologie, und Religionsgeschichte, Monaco 1906, passim; Schwenn, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II A, coll. 1136-43.