RICCI, Sebastiano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RICCI, Sebastiano

Raffaella Poltronieri

RICCI (Rizzi), Sebastiano. – Nacque a Belluno nel 1659 da Livio e dalla moglie Andreana. Il cognome mutò in Ricci solo nel XX secolo (Moretti, in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012, p. 71), come testimonia anche il documento di battesimo reso noto da Joachim von Derschau (1922, p. 168).

A partire da Pellegrino Antonio Orlandi (1704, p. 95), si ricorda l’apprendistato compiuto dal pittore presso la bottega di Federico Cervelli (Milano, 1638 - Venezia, prima del 1700), nonostante Tommaso Temanza (1738, 1963, p. 87) testimoni un periodo di alunnato presso Sebastiano Mazzoni (Firenze, 1611 - Venezia, prima del 1678): solo recentemente Lino Moretti (in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012, p. 72) ha avvalorato la veridicità della seconda ipotesi sulla base dell’informazione secondo cui Sebastiano aiutò economicamente la vedova del suo maestro, la quale, per datazione e condizione sociale, viene riconosciuta dallo studioso nella moglie di Mazzoni.

La formazione di Ricci in laguna avvenne osservando le novità della pittura di Luca Giordano, attivo a Venezia a metà degli anni Sessanta, ma anche attraverso lo studio delle opere di Pietro Liberi e di Francesco Maffei, nonché dei capolavori dei pittori veneti del Cinquecento, primi fra tutti Paolo Veronese e Tiziano Vecellio (Levey, 1962).

Nel 1681 Ricci contrasse a Venezia la promessa di matrimonio con Antonia Maria Venanzio, fanciulla diciassettenne da cui il pittore stava aspettando un figlio, seppur nello stesso anno ebbe un erede anche da Marietta Bellandis (Moretti, 1978, p. 98). Secondo Camillo Sagrestani (Matteoli, 1971) questa sorta di bigamia fu la causa della fuga di Ricci verso Bologna, avvenuta in quello stesso anno e ulteriormente giustificata dal leggendario tentativo di avvelenare la futura moglie, con cui convolò a nozze nel 1684.

In realtà oggi tale dipartita pare più ascrivibile alla necessità di ricercare nuove ispirazioni e committenze in seguito alla morte del maestro Mazzoni (Moretti, in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012).

Il soggiorno bolognese, unanimemente collocato dagli studiosi tra il 1682 e il 1685, fu solamente la prima tappa di un viaggio che tenne Ricci lontano da Venezia per circa quindici anni, dove è attestato fino al 1681: un documento del 1682 dice il bellunese «da molto tempo in qua habitante in Bologna», nella parrocchia di S. Michele al Mercato di Mezzo, dove esercitava la sua attività di pittore (von Derschau, 1922, p. 168). In terra emiliana l’artista ebbe modo di osservare le opere di Guido Reni, dei Carracci, di Carlo Cignani, di Domenico Maria Canuti e di Ferdinando Bibiena, tutti ispiratori del nuovo linguaggio pittorico che egli elaborò in quegli anni, citando spesso letteralmente i modelli più significativi (Scarpa, in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012, p. 157). Tra i dipinti eseguiti allora ricordiamo la perduta Decollazione di s. Giovanni Battista per la Confraternita di S. Giovanni de’ Fiorentini, il cui contratto è datato 28 settembre 1682, la Nascita di s. Giovanni Battista, oggi conservata presso la Pinacoteca nazionale di Bologna, nonché l’unica sua opera presente a Verona, David davanti alle armi di Saul, per la chiesa di S. Daniele, oggi al Museo di Castelvecchio (Marinelli, 1978; Tomezzoli, in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012).

L’episodio rappresenta la presa di coscienza da parte di David della morte di Saul, decapitato in battaglia e spogliato delle sue armi per mano dei Filistei. La concitazione del momento è espressa dall’artista attraverso un forte dinamismo nell’intera composizione, di cui la figura di David funge da perno. A causa di alcune decurtazioni subite dalla tela, e che conosciamo grazie a un disegno conservato al Museum Kunstpalast di Düsseldorf, oggi vediamo una scena più caotica e affollata rispetto alla volontà dell’artista, probabilmente ispiratosi all’Assunzione di Annibale Carracci (Bologna, Pinacoteca nazionale), sia per l’impetuosa gestualità sia per la figura centrale fuori asse.

Nel dicembre del 1685 Ricci è documentato a Parma, dove strinse importanti legami personali e professionali con Ranuccio II Farnese. Eseguì in questi anni alcuni dipinti come l’Assunzione della Vergine nell’oratorio della Madonna del Serraglio a San Secondo o la Pietà nella chiesa delle cappuccine di Parma, ma si dedicò anche all’allestimento della scena teatrale per il dramma Il favore degli dei, recitato al teatro Farnese in occasione del matrimonio di Odoardo II nel 1690. Ranuccio II gli affidò anche l’esecuzione delle dodici storie di Paolo III in palazzo Farnese a Piacenza, tra cui è possibile ascrivergli con certezza solamente l’Apoteosi del papa e l’Udienza papale.

Il favore dei Farnese nei confronti di Ricci fu fondamentale quando, tornato a Bologna nel 1688, il pittore intrecciò una relazione con Maddalena Peruzzini, con la quale scappò a Torino, dove fu condannato a morte per rapimento e bigamia; tale sentenza venne in seguito abolita, con l’unica clausola che l’artista non tornasse mai più nella città piemontese, solo grazie all’intervento del duca di Parma, presso la cui corte il pittore trovò rifugio e dove il 2 marzo 1691 venne insignito del titolo di «servitor familiare», onore replicato nel 1701 anche da Francesco Farnese (Scarpa, 2006, pp. 21, 28).

Proprio nel 1691 il bellunese intraprese un viaggio alla volta di Roma, dove il 12 aprile venne registrato come residente presso palazzo Farnese (p. 21). Nella capitale pontificia rimase affascinato dalle pitture di Annibale Carracci, dalle figure eleganti e affusolate di Giovan Battista Gaulli, detto il Baciccio, dai soffitti ariosi e affollati di Pietro da Cortona e dalle vertiginose prospettive di Andrea Pozzo (Flores d’Arcais, in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012, p. 249), che lo ispirarono nell’esecuzione di dipinti come l’Allegoria della battaglia di Lepanto affrescata nel soffitto del salone dei Paesaggi in palazzo Colonna, di cui sono noti i pagamenti avvenuti tra il 1693 e il 1695, il Transito di s. Giuseppe nella chiesa di S. Pantaleo e il soffitto della sacrestia dei Ss. Apostoli.

Ipotesi accreditata (Spinosa, in Sebastiano Ricci, 2012, p. 175) è che durante il viaggio verso Roma l’artista si fosse fermato a Firenze, dove ebbe modo di vedere le opere di Luca Giordano, Paolo de Matteis, Giambattista Lama e Francesco Solimena, ma anche di contrattare futuri incarichi con il granduca di Toscana. Le calibrate composizioni fiorentine, insieme al prezioso utilizzo della luce accanto a tonalità più scure, diventarono così una personale rivisitazione dei grandi maestri veneti del XVI secolo, pur non dimenticando l’eco dei grandi pittori emiliani (p. 183).

Successivamente al periodo romano si colloca l’attività milanese, databile tra il gennaio 1694 e il settembre 1696 (Morandotti, in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012). In questi anni fu fondamentale il rapporto intercorso con Alessandro Magnasco (Genova, 1667-1749), con il quale s’instaurò uno scambio stilistico, particolarmente intenso per quanto concerne i soggetti di genere. Di fondamentale importanza fu senza dubbio anche il legame con il marchese Cesare Pagani (p. 217), che conobbe l’arte di Ricci durante un soggiorno a Parma negli stessi anni in cui l’artista splendeva presso la corte dei Farnese. Pagani, presumibilmente insieme a Giorgio II Clerici (Coppa, in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012), lo volle dunque a Milano per eseguire l’opera più importante realizzata dal bellunese in terra lombarda, vale a dire gli affreschi della cupola della cappella dell’Ossario nella chiesa di S. Bernardino alle Ossa.

L’affresco rappresenta l’Ascesa al cielo delle anime purganti, mentre quattro apoteosi di santi si trovano nei pennacchi, di tre delle quali conosciamo anche i bozzetti preparatori, ovvero Gloria di s. Sebastiano (Milano, Museo civico d’arte antica presso il Castello Sforzesco), Santo in gloria (Marano di Castenaso, Bologna, Collezione Molinari Pradelli) e Santo in gloria (Cleveland Museum of Art; Morandotti, in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012, p. 220).

Tra le numerose opere realizzate per la collezione di Cesare Pagani si segnalano Ercole e Nesso, del 1696 circa (collezione privata), e il Ritratto di Michele Pagani in veste di schiavo turco, opera che ricorda le origini del figlio adottivo del mecenate.

Dopo aver lasciato moglie e figlia a Bologna nel 1688, il 12 settembre 1696 Ricci sposò a Venezia Maddalena Vendramer, dando inizio a un periodo di prolifica attività artistica dentro e fuori la città veneta. Tra le commissioni ricevute in laguna ricordiamo le tele per le chiese dell’Ascensione, di S. Marziale e di S. Basso, nonché gli affreschi realizzati a palazzo Barbaro (Aikema, 1987). Del 1697 è invece il telero inviato al Duomo di Monza raffigurante la Regina Teodolinda che fonda la basilica (Coppa, in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012, pp. 229-247), mentre al 1700 si datano gli affreschi e la pala eseguiti nella chiesa di S. Giustina a Padova.

Una particolare attenzione merita l’attività svolta per la chiesa benedettina dei Ss. Cosma e Damiano alla Giudecca (Basso, 2008), le cui opere si trovano oggi conservate in diversi musei e luoghi di culto italiani in seguito alla chiusura del monastero avvenuta nel 1805. Le tele commissionate a Ricci facevano parte di un programma di decorazione relativo alla tematica del costante rinnovamento del rapporto tra il fedele e Dio, decorazione che vide coinvolti negli anni molti altri artisti di rilievo, da Antonio Zanchi a Giambattista Tiepolo (Paul, in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012, pp. 309-324). Datate 1697 e 1698 sono le tele del bellunese raffiguranti Re Salomone parla al popolo (Duomo di Thiene, deposito delle Gallerie dell’Accademia di Venezia) e il Trasporto dell’Arca (chiesa parrocchiale di Somaglia, nel Lodigiano, deposito della Pinacoteca di Brera); mentre del 1729 è Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia (Venezia, Gallerie dell’Accademia).

Nel 1702 Ricci si trasferì a Vienna (Flores d’Arcais, in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012) per lavorare al servizio di Giuseppe I d’Asburgo e decorare il soffitto della sala degli Specchi nella reggia di Schönbrunn con il Trionfo delle Virtù del principe.

Risultano ancora evidenti le ascendenze veronesiane del pittore, mediate dalle novità compositive assorbite a Roma pochi anni prima, in particolare per la scansione dello spazio, che prevede la creazione di episodi laterali a contorno di una più rilevante scena centrale. Il principe condotto dalla Virtù e dal Merito al trono è infatti affiancato da due scene di battaglia e da due scene tese all’esaltazione delle virtù del principe contro i piaceri terreni: L’Amore delle Virtù distoglie il principe dai piaceri sensuali e Le forze delle Virtù abbattono i demoni della sensualità.

Durante il soggiorno viennese Ricci continuò comunque a lavorare per i suoi committenti veneziani, dipingendo per esempio un’Aurora per palazzo Pisani, l’Investitura di Marco Cornèr a conte di Zara e la Glorificazione di tre eroi di casa Cornèr in palazzo Cornèr Tacchi, e Marte curato da Peone, tela datata intorno al 1703-04, oggi in collezione privata.

Nulla si conosce di quest’opera, né chi fu il committente, né dove fosse collocata originariamente, né sono pervenuti disegni preparatori, ma l’ipotesi più accreditata (Mangili, in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012) è che si tratti di una commissione da parte di un’istituzione ospedaliera, per il rilievo dato alla figura del medico Peone. La tela venne probabilmente eseguita in collaborazione con il nipote Marco Ricci, figlio del fratello Girolamo (Belluno, 1676 - Venezia, 1730), al quale spettò il ruolo di quadraturista con l’esecuzione delle architetture che ospitano la scena. Le ispirazioni stilistiche indicate da Renzo Mangili confermano l’elaborazione da parte del pittore dei modelli veneti, romani ed emiliani, con la particolare ripresa di alcuni modelli dal Trionfo di Venezia di Paolo Veronese nel Palazzo ducale.

Tornato in Italia nel 1704, il pittore portò a termine gli affreschi in palazzo Fulcis a Belluno, la pala I ss. Procolo, Fermo e Rustico del Duomo di Bergamo e si dedicò alla decorazione dei palazzi fiorentini Pitti e Marucelli tra il 1705 e il 1707 (Haskell, 1966, p. 364; Flores d’Arcais, 1973a; 1973b; 1973c; Scarpa, 2006, p. 33).

Tra le cinque stanze decorate in palazzo Marucelli con episodi dedicati al contrasto tra vizio e virtù, di particolare interesse è il salone di Ercole, con l’Apoteosi di Ercole, Ercole e Caco, Ercole e Nesso ed Ercole al bivio, quest’ultimo evidentemente debitore nei confronti dello stesso soggetto affrontato da Annibale Carracci per palazzo Farnese a Roma, residenza in cui Ricci trascorse molto tempo durante il suo soggiorno nella capitale pontificia. Dal gran principe Ferdinando de’ Medici venne invece commissionata la decorazione di una saletta al piano terra di palazzo Pitti, che affrescò con episodi mitologici insieme al quadraturista Giuseppe Tonelli. Introdotte da uno stemma mediceo sopra la porta d’ingresso, nella sala si snodano cinque raffigurazioni, tra cui ricordiamo in particolare Aurora e Cefalo, sia per la presenza di un relativo modelletto al Musée des beaux-arts di Orléans, sia per alcune necessarie precisazioni iconografiche (Levey, 1991, pp. 149 s.; Moretti, in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012, pp. 93 s.): per molto tempo identificato come Venere e Adone, l’affresco rappresenta in realtà una giovane alata avvolta in un manto giallo, provvista di fiori e di una fiaccola accesa, necessariamente identificabile con l’Aurora.

Sono molteplici le opere realizzate per la città lagunare in questi stessi anni, quando il linguaggio di Ricci si fece più personale grazie a nuove soluzioni cromatiche, anatomiche e spaziali rispetto alle suggestioni utilizzate negli anni passati, avvalendosi inoltre della costante collaborazione del nipote Marco, noto soprattutto in qualità di paesaggista e quadraturista. Del 1704 sono le cinque tele realizzate per palazzo Mocenigo a Venezia, forse in occasione delle nozze di Alvise IV e Pisana Cornèr (Moretti, 1978, p. 104); datata 1708 è la Madonna in trono con il Bambino e santi per la chiesa di S. Giorgio Maggiore; del 1711 l’Allegoria della Fama nel palazzo ducale, nonché il perduto affresco della cupola di S. Sebastiano, che oggi conosciamo solo attraverso un modelletto conservato nei depositi del museo di Strasburgo (Musée des Beaux-Arts).

Un nuovo spostamento internazionale avvenne tra la fine del 1711 e il 1716, quando Sebastiano si recò a Londra per realizzare numerose opere all’interno della residenza di lord Burlington (Salomon, in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012, pp. 295-307), oggi divise tra la Royal Academy of art e Chiswick House; due affreschi andati perduti per il conte di Portland; e un’unica opera pubblica, la Resurrezione affrescata nel catino absidale della cappella del Royal Chelsea Hospital. L’ipotesi che il pittore avesse in realtà eseguito solo parzialmente i numerosi dipinti affidando gran parte dell’incombenza al nipote (Dean, 1950) è stata ridimensionata in tempi recenti, attribuendo con più certezza la paternità dei dipinti al maestro, pur lasciando aperte alcune questioni sulla committenza e la datazione, poiché non sono stati reperiti documenti in merito (Daniels, 1976, p. 74; Salomon, in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012).

L’affresco raffigurante la Resurrezione è stato messo in relazione da Xavier Salomon (ibid.) con due tele raffiguranti lo stesso soggetto, ovvero la Resurrezione alla Dulwich picture Gallery di Londra e quella del Columbia Museum of art (University of South Carolina), opere riconosciute come possibili modelli presentati ai committenti dell’affresco. Una Resurrezione venne precedentemente dipinta dall’artista per il soffitto della cappella del Cristo nella chiesa di S. Geminiano a Venezia tra il 1700 e il 1705, ed è oggi conservata nella Pinacoteca Egidio Martini a Ca’ Rezzonico. I modelli ispiratori di tali dipinti sono stati individuati dallo studioso in Paolo Veronese (Resurrezione per la chiesa di S. Giacomo a Murano), Annibale Carracci (Resurrezione, Parigi, Musée du Louvre) e Salvator Rosa.

Il ritorno a Venezia di Sebastiano e Marco Ricci avvenne tra il 1715 e il 1716, facendo tappa a Parigi per prendere contatti con l’Académie royale de peinture (Scarpa, 2006, p. 39). Negli anni successivi, l’attività del maestro si fece sempre più diversificata: oltre a essere attivo fuori Venezia (ricordiamo per esempio la decorazione del 1718 della residenza estiva di Giovanni Francesco Bembo a Belluno; ibid., p. 40), eseguì in laguna l’Immacolata per la chiesa di S. Vidal (1723) e la tela raffigurante S. Rocco (Ca’ Rezzonico), forse proprio commissionata dalla Scuola Grande del santo, che Filippo Pedrocco (in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012, p. 341) colloca intorno agli anni Venti del Settecento.

Al rientro dall’Inghilterra Sebastiano non si limitò a esercitare l’attività di pittore, ma si occupò di restauro, come testimoniano i lavori sull’affresco di Paolo Veronese Andrea Contarini reduce da Chioggia nel palazzo ducale a Venezia (Moretti, 1978, pp. 113 s.), e intraprese l’attività di impresario del teatro di S. Angelo a partire dal 1719 (Moretti, 1978, p. 111).

Tra le prestigiose committenze ricevute dall’artista negli ultimi anni della sua produzione, di fondamentale importanza furono il disegno per la Traslazione del corpo di s. Marco per il quarto portale della basilica veneziana, opera eseguita a mosaico da Leopoldo dal Pozzo nei primi mesi del 1727 (Moretti, in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012, p. 115); e il Martirio di s. Maurizio e il S. Luigi di Francia mostra la corona di spine per la basilica di Superga a Torino, eseguiti due anni dopo (Scarpa, 2006, p. 42).Tra i più illustri committenti di Sebastiano a Venezia ricordiamo, infine, il maresciallo tedesco Johann Matthias von der Schulenburg (1661-1747), nella cui collezione sono note cinque tele del bellunese: Venere e Adone (Venezia, Collezioni privata), Diana ed Endimione (ubicazione ignota), Baccanale in onore di Pan (già Venezia, antiquario Frezzati), Festino di Sileno (già Venezia, antiquario Frezzati) S. Michele (Londra, Dulwich College Picture Gallery; Binion, 1990). L’ultima opera realizzata dal pittore fu l’Assunzione della Vergine per l’altare maggiore della chiesa di S. Carlo a Vienna nel 1734, che testimonia sino alla fine le grandi ispirazioni tratte dalla pittura veneta del Cinquecento.

È infine da ricordare l’ampia produzione grafica che ha caratterizzato tutta la vita dell’artista (Sebastiano Ricci, 1975), ben esemplificata in due importanti raccolte che testimoniano la varietà di tecniche utilizzate e le tematiche affrontate: l’Album dei disegni di Sebastiano Ricci, conservato nel Gabinetto dei disegni delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, costituito da 134 fogli, e l’Album della Royal Collection, Windsor Castle, con 211 disegni (Morassi, 1926; Perissa Torrini, in Sebastiano Ricci. 1659-1734, 2012).

Morì a Venezia il 15 maggio 1734 (Scarpa, 2006, p. 42).

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