PENN, Sean

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

PENN, Sean

Massimo Causo

Attore, sceneggiatore, regista e produttore cinematografico statunitense, nato a Santa Monica (California) il 17 agosto 1960. Con i suoi lineamenti marcati e l’indomito spirito ribelle, incarna nel cinema americano contemporaneo la tradizione di un divismo non conciliato con il sistema hollywoodiano e politicamente impegnato per la causa del progressismo. Nei ruoli che ha interpretato, così come nei film che ha diretto, traspare una costante attenzione per le figure in rotta con il sistema sociale, emarginate per destino e indotte al fallimento o all’errore, non mancando di esaltare la contraddittoria morale ponendosi spesso nella prospettiva del dubbio, quando non proprio interpretando personaggi dichiaratamente negativi, ai quali non sottrae mai spessore umano.

Sin dagli anni Ottanta si era imposto per la capacità di esprimere intensi contrasti emotivi, in una serie di ruoli segnati ora da violento fanatismo (Colors, 1988, Colors. Colori di guerra, di Dennis Hopper; Casualties of war, 1989, Vittime di guerra, di Brian De Palma), ora da un inesorabile destino di dannazione sociale (The falcon and the snowman, 1985, Il gioco del falco, di John Schlesinger; At close range, 1986, A distanza ravvicinata, di James Foley). Il senso del dramma psicologico e la contrapposizione tra morale e indole personale sono tematiche che hanno segnano la sua carriera nel decennio successivo e hanno trovato sviluppo anche nella sua opera da regista, come dimostrano il dramma familiare The Indian runner (Lupo solitario), con cui ha esordito nel 1991, e la tragedia psicologica The crossing guard (1995; Tre giorni per la verità). Sono questi gli anni in cui la sua carriera da attore si è consolidata in film come Dead man walking (1995; Dead man walking - Condannato a morte) di Tim Robbins, She’s so lovely (1997; She’s so lovely - Così carina) di Nick Cassavetes, Sweet and lowdown (1999; Accordi e disaccordi) di Woody Allen, e I am Sam (2001; Mi chiamo Sam) di Jessie Nelson. In seguito, come regista ha insistito sul tema della colpa con l’enfatico The pledge (2001; La promessa), mentre con U.S.A. (episodio del film collettivo 11’09”01 September 11, 2002; 11 settembre 2001) ha tratteggiato una potentissima critica della società americana dominata dalla finanza. Nel 2004 ha conquistato l’Oscar interpretando per Clint Eastwood Mystic River (2003) e si è imposto nel corale 21 grams (2003; 21 grammi - Il peso dell’anima) di Alejandro González Iñárritu.

This must be the place (2011)

Nell’ultimo decennio, la sua sempre più rilevante presenza scenica si è offerta in opere impostate sugli schemi del cinema di genere, come la commedia d’ambientazione hollywoodiana What just happened? (2008; Disastro a Hollywood) di Barry Levinson e il crime movie Gangster squad (2013) di Ruben Fleischer. Ma soprattutto ha dato corpo a personaggi che attingono alla tradizione del cinema americano d’impegno civile, come nel thriller di Sydney Pollack The interpreter (2005), dove è un agente dei servizi segreti alle prese con un complotto contro un presidente africano; nel dramma politico di Steven Zaillian All the king’s men (2006; Tutti gli uomini del re), in cui è un attivista democratico che tenta inutilmente di ribellarsi alla corruzione del sistema; e nel thriller spionistico sullo sfondo dell’intervento statunitense in ῾Irāq Fair game (2010; Fair Game - Caccia alla spia) di Doug Liman. Questi, però, sono stati soprattutto anni in cui le sue qualità attoriali sono emerse in performance interpretative spesso sul filo di un evidente virtuosismo: è il caso del vivido ritratto dell’attivista omosessuale statunitense Harvey Milk (primo gay dichiarato eletto a una carica politica negli Stati Uniti e assassinato nel 1978), tratteggiato in Milk (2008) di Gus Van Sant, che gli ha portato il suo secondo Oscar; dell’intensa interpretazione di The tree of life (2011) di Terrence Malick, in cui si è cimentato con il tormento interiore di un architetto texano ribelle all’autorità paterna e divina; e soprattutto dell’iconica prestazione offerta a Paolo Sorrentino per This must be the place (2011), dove, sotto un pesante trucco, ha dato corpo alla deriva esistenzialista della rock star al tramonto Cheyenne. Nell’arco di questo percorso attoriale non è poi mancato un ulteriore passo da regista, segnato dal successo internazionale di Into the wild (2007; Into the wild - Nelle terre selvagge), dramma biografico che ricostruisce con notevole spirito di libertà l’esperienza del viaggiatore americano Christopher McCandless, morto in solitudine in Alaska nel 1992.

Bibliografia: E. Levy, Cinema of outsiders. The rise of American indipendent film, New York 1999; N. Johnstone, Sean Penn. A biography, London-New York-Sydney 2000; R.T. Kelly, Sean Penn. His life and times, London 2004 (trad. it. Sean Penn. Un cattivo ragazzo, Milano 2005).

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