Scuola

Libro dell'anno 2000

Mauro Palma

Scuola

Un mosaico di leggi per disegnare la scuola italiana del futuro

La riforma dei cicli scolastici

di Mauro Palma

2 febbraio

Il Senato approva, con centoquarantasei voti a favore e sessantacinque contrari, la 'Legge quadro in materia di riordino dei cicli dell'istruzione'. La nuova normativa - che sarà applicata dal settembre 2001 per quanto riguarda il ciclo primario, dal settembre 2002 per il ciclo secondario - dà una nuova fisionomia al sistema italiano dell'istruzione, ridefinendone le finalità, le articolazioni, le connessioni con la formazione professionale, con l'università e con il processo di educazione permanente.

Il nuovo inquadramento della scuola italiana

La legge 10 febbraio 2000, nr. 30 sul riordino dei cicli scolastici (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale nr. 44 del 23 febbraio 2000), richiamandosi ai principi sanciti dalla Costituzione italiana e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, finalizza il complessivo sistema educativo alla "crescita e valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell'età evolutiva, delle differenze e dell'identità di ciascuno, nel quadro di cooperazione tra scuola e genitori" (art. 1) e intende produrre, oltre a un innalzamento del livello culturale dei cittadini, la crescita della coscienza democratica.

Per raggiungere tali obiettivi, viene ridefinito il quadro del sistema dell'istruzione, istituendo tre segmenti scolastici che coprono un periodo complessivo di quindici anni, dai tre anni di età ai diciotto: scuola dell'infanzia, scuola di base (ciclo primario) e scuola secondaria (ciclo secondario), la cui durata è rispettivamente di tre, sette e cinque anni. Sia al termine della scuola di base, sia al termine della scuola secondaria è previsto un esame di Stato: dal primo deve emergere anche un'indicazione orientativa, non vincolante, per la scelta da operare nel ciclo secondario.

L'obbligo scolastico inizia al sesto anno di età e termina al quindicesimo; coinvolge, quindi, se il percorso scolastico è regolare, la scuola di base e i primi due anni della scuola secondaria. Fino al compimento del diciottesimo anno di età vi è tuttavia l'obbligo di frequenza di attività formative, secondo quanto previsto dall'art. 68 della l. 17 maggio 1999, nr. 144, connessa per più aspetti a questa riforma.

La messa in opera della legge di 'riordino dei cicli' avviene attraverso l'adozione da parte del Parlamento di una deliberazione sui singoli aspetti contenuti in un programma di attuazione di progressiva implementazione del processo riformatore, presentato dal governo nel novembre 2000.

I cicli scolastici

Un 'ciclo' indica un periodo di tempo in cui si svolge una data attività, finalizzata a uno o più obiettivi. Nel linguaggio scolastico, il termine 'ciclo' è stato soprattutto utilizzato per indicare ciascuna delle due successioni di classi in cui è suddiviso l'intero corso della scuola elementare, prevedendo che al primo ciclo appartenessero le prime due classi e al secondo le tre restanti. Per le successive articolazioni del sistema scolastico si è usualmente preferito parlare di 'grado' o di 'ordine': nella loro scansione verticale, infatti, le istituzioni scolastiche danno luogo a una catena ascendente di ordini formativi, i primi dei quali sono obbligatori in tutti i sistemi e hanno struttura unitaria, mentre i successivi si differenziano anche orizzontalmente, dando diversa prevalenza ai vari ambiti disciplinari e al raggiungimento di specifiche competenze. Così, siamo a tutt'oggi abituati a parlare di scuola materna, scuola elementare, scuola media, scuola secondaria o anche, per le ultime due, di scuola secondaria di primo e di secondo grado.

Il termine 'ciclo' esprime in realtà qualcosa di più di una semplice ripartizione ordinamentale, perché coinvolge l'organizzazione curricolare, la didattica, la costruzione di un percorso verticale attraverso il progressivo raggiungimento di obiettivi enucleati per segmenti successivi e corrispondenti a fasce di età, dall'infanzia, all'adolescenza, alla maturità giovanile. Nel percorso di apprendimento e, corrispondentemente, nella programmazione dell'insegnamento i contenuti si dispongono infatti ciclicamente, seguendo una sorta di 'spirale' che ritorna successivamente sui temi a livelli crescenti di complessità, di rigore e di sistemazione, di approfondimento, di utilizzo nelle applicazioni, di inserimento in quadri teorici complessivi. Nelle discipline maggiormente ancorate allo sviluppo temporale e presentate attraverso la loro diacronia, un ciclo ha finito conseguentemente con il rappresentare la compiutezza di una narrazione di eventi percorsa secondo le esigenze della corrispondente età degli studenti; così, per es., a livelli diversi, gli eventi storici sono ripercorsi nell'insegnamento secondo tre cicli, nella scuola elementare, nella media e nella superiore, che muovono dalla preistoria e giungono fino alla contemporaneità.

Proprio per questo aspetto, che ha molto a che vedere con l'insegnamento concreto e con l'attività didattica, dare nuova forma e nuovo ordine ai cicli, modificare il loro numero e la durata di ciascuno di essi è un'operazione non semplice, poiché coinvolge non solo gli aspetti normativi e di ordinamento, ma soprattutto la costruzione del curricolo, la professionalità dei docenti, l'insegnamento nel suo svolgersi, la struttura degli strumenti di supporto alla didattica - libri di testo, materiali di laboratorio, materiali digitali e quant'altro - e, soprattutto, poiché modifica la presenza scolastica nel territorio.

È, quindi, un'operazione molto complessa quella avviata - soltanto avviata - con la legge 10 febbraio 2000, nr. 30, che propone una nuova articolazione dei cicli dell'istruzione: la scuola dell'infanzia per bambine e bambini di età compresa fra i tre e i sei anni, la scuola di base, dai sei ai tredici anni, e la scuola secondaria, dai tredici ai diciotto anni.

Anche a una prima superficiale osservazione non sfuggono, infatti, la riduzione di un ciclo rispetto alla ripartizione precedente, l'estensione del ciclo della scuola di base, l'uscita dal sistema educativo dell'istruzione a diciotto anni, analogamente a quanto avviene negli altri paesi dell'Unione Europea, e non più a diciannove.

I precedenti della riforma

Alcuni analisti dei sistemi dell'istruzione hanno osservato che la riforma dei cicli costituisce l'avvio del più radicale riassetto del sistema scolastico italiano dopo la riforma Gentile (1923) o addirittura dopo la legge Casati (1859), che dal Piemonte fu estesa dapprima alle province annesse e in seguito a tutta la nazione unificata. Al di là di valutazioni comparative, è certo che l'attuale legge sul riordino dei cicli tende a dare un quadro complessivo e unitario di riforma a un sistema rimasto sostanzialmente immutato dai primi decenni del 20° secolo e che aveva visto nel dopoguerra soltanto interventi parziali, destinati a singoli tratti del percorso scolastico.

L'insieme delle riforme di ordinamento scolastico della Repubblica comprendeva, infatti: l'introduzione dei cicli didattici nella scuola elementare (l. 24 dicembre 1957, nr. 1254); l'istituzione della scuola media unificata (l. 31 dicembre 1962, nr. 1859), che eliminava la precedente distinzione tra una scuola media finalizzata al proseguimento degli studi e una scuola di avviamento professionale e ne definiva altresì contenuti e natura formativa e orientativa; l'istituzione della scuola materna statale (l. 18 marzo 1968, nr. 444); i cosiddetti 'decreti delegati' che, accanto a questioni relative alla gestione e alle rappresentanze, aprivano la strada alle sperimentazioni sia metodologico-didattiche, sia riguardanti ordinamenti e strutture (d.p.r. 31 maggio 1974, nr. 419); la modifica migliorativa e integrativa dell'impianto e dei programmi della scuola media (l. 16 giugno 1977, nr. 348), adottata dopo quindici anni di attuazione della legge istitutiva; la riforma di alcuni significativi aspetti della scuola elementare (l. 5 giugno 1990, nr. 148) che seguiva di alcuni anni l'adozione di nuovi programmi per quest'ordine di scuola, entrati in vigore nell'anno scolastico 1987-88.

Da questo quadro di riforme di ordinamento era rimasta fuori la scuola secondaria superiore, tradizionalmente ripartita in licei, istituti tecnici, istituti professionali e istituti di istruzione artistica. Il forte incremento del numero di giovani che a essa hanno avuto accesso a partire dalla fine degli anni Sessanta (dai circa 460.000 studenti dell'anno scolastico 1952-53 si è passati ai circa 2.400.000 attuali), il radicale mutamento sociale ed economico che ha coinvolto il paese dal dopoguerra e la progressiva accelerazione dei suoi ritmi, le differenti richieste del mondo produttivo connesse alla definizione di figure professionali del tutto nuove e di competenze in settori non immaginati fino a pochi anni or sono, l'inserimento in un panorama relazionale, politico ed economico sovranazionale, non sono stati fattori sufficienti, fino alla metà degli anni Novanta, a indurre quella riforma di ordinamento che avrebbe dato alla scuola secondaria strumenti e contenuti per rispondere alle nuove domande di istruzione e alla scuola nel suo complesso una fisionomia formativa unitaria. Si è invece tentato di provvedere con aggiustamenti parziali, con l'introduzione di nuovi indirizzi, soprattutto nell'istruzione tecnica e professionale, con modifiche di contenuti disciplinari all'interno di un impianto pressoché immutato.

I nodi politici non superati nel percorso legislativo intrapreso dai progetti di riforma della scuola secondaria che si sono succeduti nelle varie legislature - e che a volte sono sembrati giungere al traguardo - hanno riguardato soprattutto il rapporto tra il sistema dell'istruzione e quello della formazione professionale, l'innalzamento dell'obbligo scolastico e la possibilità di un suo adempimento anche all'interno della formazione professionale, il rapporto tra unitarietà e diversificazione nelle varie articolazioni della scuola secondaria. Sono stati, questi, punti di uno scontro, non solo politico, che ha coinvolto idealità, posizioni culturali, valutazioni diverse sulla funzione attribuita al sistema scolastico.

È così che l'indagine conoscitiva svolta, tra dicembre 1994 e aprile 1995, in occasione della discussione sui disegni di legge relativi alla riforma dell'istruzione secondaria superiore, dalla 7a Commissione permanente del Senato per l'istruzione, i beni culturali, la ricerca scientifica, lo spettacolo e lo sport, registra ancora un quadro di sostanziale continuità con il modello di scuola ereditato dal passato, pur in presenza delle molte e vitali iniziative che sono state portate avanti dai singoli istituti.

All'immutabilità del quadro complessivo ha infatti sopperito, dalla seconda metà degli anni Settanta, un insieme di iniziative sperimentali, in gran parte stimolate dalla stessa Amministrazione scolastica, che, soprattutto nell'istruzione tecnica, hanno contribuito a ricomporre e aggiornare i contenuti di insegnamento dei diversi indirizzi e a proporre modelli formativi più adeguati alle richieste di istruzione rivolte alla scuola dal mondo della cultura e della produzione. Nel periodo più recente, un quadro organico di curricoli sperimentali è stato inoltre realizzato a seguito dei lavori di un'apposita Commissione, presieduta dall'allora sottosegretario B. Brocca, incaricata di rinnovare i programmi prima del biennio (1988) e poi del triennio (1991). Proprio i lavori di questa Commissione hanno fatto emergere la difficoltà di ricondurre a quadri unitari le varie articolazioni di indirizzi spesso rivolti a settori eccessivamente specifici e, al contempo, l'esistenza di positive esperienze di progettazione e innovazione condotte nelle singole realtà locali. La lunga stagione delle sperimentazioni, infatti, è stata per la scuola italiana una pratica diffusa, segno sì di provvisorietà, ma anche di una creatività non sopita dall'inerzia legislativa.

Il riordino dei cicli e l'introduzione dell'autonomia scolastica (entrata a regime nell'anno scolastico 2000-01, con d.p.r. 8 marzo 1999, nr. 275) raccolgono le esperienze di questi anni trasformandole in una riforma complessiva, organica, ma caratterizzata da forti elementi di flessibilità, dotando gradualmente gli istituti di una serie di strumenti e di spazi di progettazione per adeguare l'offerta formativa alle nuove esigenze poste dai mutamenti che investono la realtà nazionale e la comunità locale.

L'iter della riforma

All'inizio della XIII Legislatura il governo annunciava l'intento di realizzare una riforma generale del sistema educativo, chiamando a una riflessione il mondo della cultura, della scuola, del lavoro, nonché le istituzioni e le espressioni del sociale, per un'elaborazione di ampio consenso, riconoscendo all'istruzione e alla formazione il carattere di preminente interesse nazionale. La proposta era, appunto, quella di un complessivo riordino dei cicli scolastici che tenesse conto sia di esigenze indilazionabili quali l'adeguamento dell'obbligo di scolarità ai livelli degli altri paesi europei, sia degli esiti delle sperimentazioni e del dibattito prodotto nei decenni di discussione sui criteri da adottare per la riforma della scuola.

L'ipotesi seguita sin dall'inizio - e tradotta tre anni dopo nel testo approvato - è stata quella di un provvedimento che non definisse aspetti specifici, ma fornisse un quadro complessivo entro cui collocare le scelte di struttura e di contenuto da realizzare dopo un largo dibattito anche esterno al Parlamento; di un provvedimento, inoltre, che interagisse con altri, destinati ad aspetti di architettura di sistema, quali l'attribuzione di autonomia didattica e gestionale alle scuole, la ridefinizione dell'esame conclusivo della scuola secondaria, il rapporto con il sistema della formazione, per comporre con essi un 'mosaico' riformatore in grado di dare nuova fisionomia al sistema scolastico nazionale.

Alla base di questa volontà politica troviamo alcune considerazioni di carattere generale relative ai nuovi scenari della contemporaneità e al ruolo attribuito al sistema dell'istruzione in una società che pone la conoscenza al centro delle proprie strategie evolutive. È, infatti, ormai divenuto evidente che la trasmissione del sapere non è più esclusivo appannaggio del sistema dell'istruzione poiché segue spesso canali esterni alla scuola, ove si costruiscono reti di significati con i quali chi insegna deve misurarsi. Non solo, ma l'accesso a insiemi sempre più ampi di informazioni, reso possibile dalla pervasività delle tecnologie informatiche, interroga la scuola su nuove sfide: come si può costruire la capacità di organizzare un'informazione sovrabbondante, di individuare in essa gerarchie e priorità, di distinguere al suo interno e cogliere gli aspetti essenziali, fondanti? In sintesi, come trasformare la grande quantità d'informazione in effettiva conoscenza?

Parallelamente, i fenomeni economici e sociali hanno ormai una dimensione globale e presentano caratteristiche e forme estremamente mobili e variabili. La nuova società dell'informazione, con i suoi diversi modi di produrre e comunicare, si modifica continuamente grazie a uno sviluppo tecnologico accelerato, e nel suo evolversi trasforma inesorabilmente l'apprendimento e la formazione. Un tratto peculiare della contemporaneità è la rapida obsolescenza delle conoscenze acquisite: il corpus delle conoscenze cresce e si modifica con ritmo incalzante. Da qui la necessità, avvertita non solo in Italia ma in tutti i paesi europei, di una maggiore attenzione alla costruzione di capacità di apprendimento che non si esauriscano nel periodo scolastico, all'acquisizione di competenze, cosiddette trasversali, che consentano di muoversi agevolmente in ambiti diversi, trasferendo quanto appreso ad altri contesti, in virtù di un'attenzione centrata sugli aspetti strutturali di un problema da risolvere piuttosto che sulle peculiarità con cui esso si presenta. Soprattutto emerge la necessità di fornire nella scuola elementi di conoscenza essenziali, in grado di svilupparsi successivamente, senza inseguire i particolarismi di una ripartizione disciplinare troppo accentuata o l'utopia 'panoptica' di fornire al giovane nel periodo scolastico tutto ciò che si ritiene culturalmente rilevante.

Sono considerazioni di questo tipo a caratterizzare la relazione di presentazione del progetto di legge che il ministro della Pubblica istruzione L. Berlinguer deposita alle Camere il 4 luglio 1997 (il progetto di legge nr. 3952 reca anche le firme del ministro del Lavoro e della Previdenza sociale T. Treu, del ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica C.A. Ciampi, del ministro per la Funzione pubblica e gli Affari regionali F. Bassanini). La relazione colloca altresì il provvedimento nel quadro dei rapporti con gli altri paesi dell'Unione Europea. In tale ambito tende, infatti, a diffondersi sempre più la convinzione che per creare un'unione politica ed economica non basti istituire un mercato comune o l'unione monetaria, ma che occorra realizzare anche una politica culturale e formativa integrata, pur salvaguardando la ricchezza delle diverse identità nazionali. Un mercato del lavoro e delle professioni comune richiede, infatti, competenze reciprocamente riconosciute dai diversi Stati membri, e forte è l'esigenza in tutta l'Europa di un quadro culturale e formativo più moderno, più diffuso, più aperto ai possibili mutamenti.

Queste esigenze - pur nella diversità delle soluzioni prospettate e, quindi, nella valutazione del provvedimento proposto - saranno condivise anche dall'opposizione, nell'iter parlamentare della legge sul riordino dei cicli. Il percorso parlamentare inizia alla Camera dei deputati, con l'accorpamento, operato dalla 7a Commissione, della proposta ad altre già presentate e riferite alla stessa materia e con l'indicazione del deputato S. Soave quale relatore di maggioranza. La Camera dei deputati approva il provvedimento il 22 settembre 1999, dopo un acceso dibattito in aula, con una votazione finale a cui non prendono parte le principali forze politiche dell'opposizione (l'esito della votazione è stato di duecentoquarantatré voti favorevoli, diciassette contrari e undici astenuti). La seconda lettura, al Senato, con relatore il senatore E.M. Donise, segue il solco già tracciato dalla Camera, assorbendo all'interno del provvedimento altre proposte che erano state precedentemente depositate e giungendo in breve alla definitiva approvazione.

I contenuti della riforma

La legge di riordino dei cicli dell'istruzione articola in modo fortemente innovativo il sistema educativo italiano. Dopo l'enunciazione delle finalità complessive del sistema educativo, l'art. 1 della legge ribadisce il compito della Repubblica di assicurare a tutti "pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le conoscenze, le capacità e le competenze, generali e di settore, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all'inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anche con riguardo alle diverse realtà territoriali". Stabilisce altresì l'articolazione nei tre segmenti scolastici (scuola dell'infanzia, scuola di base e scuola secondaria). Per il sistema educativo della formazione fa riferimento alle leggi in materia di promozione dell'occupazione (l. 24 giugno 1997, nr. 196 e l. 17 maggio 1999, nr. 144). Il primo segmento del sistema dell'istruzione (art. 2) è la scuola dell'infanzia. Non più definita come 'materna', cessa di avere una qualsiasi connotazione di servizio a carattere assistenziale, ma acquista la fisionomia di vero e proprio inizio del percorso formativo, diventandone parte integrante. Ha durata triennale e concorre all'educazione e allo sviluppo affettivo, cognitivo e sociale delle bambine e dei bambini tra i tre e i sei anni. Non fa quindi parte dell'obbligo scolastico; ma l'impegno per la sua diffusione viene assunto dallo Stato, che deve assicurare a tutti la possibilità di frequenza, garantendo "la massima generalizzazione dell'offerta formativa" e prevenendo le situazioni di svantaggio. La scuola dell'infanzia rappresenta il primo incontro del bambino con i saperi, incoraggia la rielaborazione delle prime esperienze e concorre alla costruzione delle sue prime forme di rappresentazione e di relazione, promuovendone la "potenzialità di autonomia, creatività, apprendimento", nel pieno rispetto dell'orientamento educativo dei genitori.

Con la scuola di base (art. 3) inizia l'obbligo scolastico. Questo ciclo primario semplifica la situazione preesistente, accorpando in parte le tradizionali scuole elementare e media in un unico ciclo più lungo. Ha infatti la durata di sette anni e si conclude con un esame di Stato dal quale deve emergere un'indicazione orientativa, non vincolante, per la successiva scelta dell'area e dell'indirizzo. L'unitarietà del ciclo, la presenza capillare nel territorio, l'interazione sistematica con la realtà locale - in virtù del provvedimento sull'autonomia scolastica che riserva alla progettazione delle singole scuole una parte del complessivo curricolo - nonché la comune responsabilità dei docenti nel lavoro, tendono a favorire una maggiore duttilità e, quindi, una maggiore efficacia dell'offerta formativa.

La scuola di base rappresenta un'esperienza comune a tutti gli alunni che, oltre a fornire conoscenze e abilità primarie, deve potenziare le loro capacità relazionali e di convivenza civile, fornendo progressivamente contenuti disciplinari specifici. Essa persegue gradualmente le seguenti finalità: "acquisizione e sviluppo delle conoscenze e abilità di base; apprendimento di nuovi mezzi espressivi; potenziamento delle capacità relazionali e di orientamento nello spazio e nel tempo; educazione ai princìpi fondamentali della convivenza civile; consolidamento dei saperi di base, anche in relazione all'evoluzione sociale, culturale e scientifica della realtà contemporanea; sviluppo delle competenze e delle capacità di scelta individuali atte a consentire scelte fondate sulla pari dignità delle opzioni culturali successive" (art. 3, punto 2).

La scuola secondaria (art. 4) ha durata di cinque anni ed è articolata nelle aree classico-umanistica, scientifica, tecnica e tecnologica, artistica e musicale; queste sono, a loro volta, ripartite in indirizzi da definire attraverso un riordino e una riduzione di quelli attuali. A tutti è assegnata la denominazione di 'liceo'. Nel suo complesso ha la finalità "di consolidare, riorganizzare e accrescere le capacità e le competenze acquisite nel ciclo primario; di sostenere e incoraggiare le attitudini e le vocazioni degli studenti; di arricchire la formazione culturale, umana e civile degli studenti, sostenendoli nella progressiva assunzione di responsabilità; di offrire loro conoscenze e capacità adeguate all'accesso all'istruzione superiore universitaria e non universitaria ovvero all'inserimento nel mondo del lavoro" (art. 4, punto 1).

Il percorso ha una distinzione tra i primi due anni - che, corrispondendo regolarmente al periodo fra i tredici e i quindici anni di età, appartengono all'obbligo scolastico - e gli ulteriori tre. Nei primi due anni è garantita la possibilità di passaggio ad aree e indirizzi diversi attraverso l'attivazione di misure didattiche finalizzate all'acquisizione della preparazione adeguata alla nuova scelta. In particolare, nel corso del secondo anno, è possibile integrare i curricoli con attività complementari collegate a realtà extrascolastiche, culturali, sociali, produttive, professionali, realizzabili anche in convenzione con enti o istituti di formazione professionale. A conclusione dell'obbligo scolastico viene rilasciata una certificazione attestante il percorso didattico svolto e le competenze acquisite.

Gli ultimi tre anni sono organizzati sulla base di crediti formativi che possono essere fatti valere anche nei casi di un'interruzione degli studi o di un passaggio tra aree o tra indirizzi o alla formazione professionale. Possono costituire crediti, ferme restando le discipline obbligatorie, anche la frequenza positiva a segmenti della formazione professionale, a stage in realtà culturali o produttive in Italia o all'estero e la partecipazione a esperienze formative diverse (annuali o modulari). Al termine, viene sostenuto l'esame di Stato che assume la denominazione dell'area e dell'indirizzo (il nuovo esame di Stato, definito dalla l. 10 dicembre 1997, nr. 425, ha fatto l'ingresso nella scuola a partire dall'anno scolastico 1998-99).

L'art. 5 stabilisce poi l'integrazione di questo provvedimento con quanto previsto da altri riguardanti l'istruzione e la formazione tecnica superiore, l'educazione degli adulti, la formazione continua (i rispettivi provvedimenti di riferimento sono rappresentati dall'art. 69 della l. 17 maggio 1999, nr. 144; dal d.l. 31 marzo 1998, nr. 112; dalla l. 24 giugno 1997, nr. 196).

I problemi attuativi

L'ultimo articolo della legge indica il percorso per la sua attuazione. Si tratta necessariamente di un processo molto graduale, sia perché riguarda una materia su cui è essenziale avere il confronto più ampio possibile - con i docenti, le scuole, le famiglie, il mondo della cultura, gli studenti - sia perché incide su abitudini ormai sedimentate, sulle immagini che ognuno conserva della scuola, sulle rappresentazioni sociali della professione docente, sull'identità professionale di chi insegna. È evidente che sono tutte questioni che richiedono scelte non affrettate o di parte.

Il percorso che la legge indica soddisfa questa esigenza di gradualità nell'avvio della riforma. Secondo quanto previsto dall'art. 6, il governo ha provveduto a definire (3 novembre 2000) e a trasmettere alle Camere un programma di attuazione quinquennale con l'indicazione dei tempi, delle priorità e delle condizioni di fattibilità. Esso comprende anche: un progetto di riqualificazione del personale docente finalizzato alla valorizzazione e alla riconversione delle professionalità maturate; i criteri generali per la formazione degli organici d'istituto per consentire l'attuazione dei piani di offerta formativa da parte delle singole istituzioni scolastiche; i criteri generali per la riorganizzazione dei curricoli; un piano di adeguamento delle infrastrutture. È sulla base di questo programma che le Camere adottano una deliberazione contenente le indicazioni attuative, i tempi e i modi; torneranno a verificare l'attuazione della legge ogni tre anni, sulla base di una relazione presentata dal ministro della Pubblica istruzione.

Solo dopo la deliberazione parlamentare si apre la grande questione della definizione degli indirizzi, della fisionomia di ciascun curricolo, da modellare attraverso l'indicazione delle discipline fondamentali, dei traguardi da raggiungere nel loro insegnamento e delle competenze da far acquisire ai discenti, per ciascun segmento in cui è organizzato il curricolo. I tradizionali programmi (cioè l'elencazione puntuale dei contenuti, la loro scansione annuale e le indicazioni per il loro svolgimento) scompaiono, almeno nella forma prescrittiva cui eravamo abituati. È, infatti, affidata all'autonoma progettazione delle scuole la ricerca di itinerari, mezzi, strumenti che siano atti a garantire il raggiungimento dei traguardi indicati. Anche sotto questo punto di vista, la legge va a integrarsi con gli altri provvedimenti approvati nel corso della XIII Legislatura, fornendo un quadro riformatore che non può essere letto per parti, ma va invece ricomposto in un unico mosaico.

Analfabetismo e scolarizzazione

Il problema dell'analfabetismo

A partire dai primi anni Cinquanta, i processi di istruzione hanno avuto in molti paesi uno sviluppo inusitato e hanno richiesto, rispetto al passato, la definizione di politiche di intervento ad ampio spettro. Il principale problema che si è posto a tutti i governi è stato quello dell'analfabetismo, dalle caratteristiche e dimensioni differenti a seconda delle aree geografiche. Nel dopoguerra, nelle regioni più avanzate (Europa, America Settentrionale, Giappone), l'analfabetismo e il semianalfabetismo riguardavano frange di popolazione adulta, specie delle zone rurali e delle periferie urbane. Il fenomeno è stato in gran parte risolto nel giro di qualche decennio attraverso forme differenziate di recupero, con interventi capillari, che sono stati spesso estesi fino a livelli intermedi di istruzione formale e di formazione professionale. In Italia, dove l'analfabetismo raggiungeva punte particolarmente elevate nelle zone del Centro e del Sud, l'ampia gamma di iniziative di scuola popolare, nell'arco di un ventennio, dal 1951 al 1971, ha fatto scendere - secondo i dati ISTAT - dal 12,9 al 5,2% l'incidenza del numero di analfabeti sulla popolazione di età superiore ai sei anni; percentuale ulteriormente ridotta al 3,1 nel censimento del 1981 e al 2,1 in quello del 1991. La realizzazione di corsi sperimentali di scuola media e secondaria superiore per lavoratori ha inoltre consentito a persone già occupate e ad altri soggetti adulti di raggiungere un più alto livello di istruzione.

I dati ISTAT danno conto solo in parte del basso livello di scolarità e di istruzione in Italia. Si riferiscono infatti agli analfabeti 'strumentali', ossia a coloro che dichiaravano la completa incapacità di leggere e scrivere; a questi si sarebbero dovuti aggiungere gli analfabeti 'funzionali', ossia quanti erano privi di qualsiasi titolo scolastico, quelli che l'UNESCO etichetta come no schooling. Quello dell'alfabetizzazione funzionale è stato indicato dalla stessa UNESCO, fin dagli anni Cinquanta, come parametro di riferimento essenziale e tuttavia non è stato acquisito nei vari censimenti. In questa prospettiva, i dati si prestano a una lettura differente: nel 1951 più di venticinque milioni su quarantadue della popolazione totale non avevano neanche il 'certificato di proscioglimento' che veniva rilasciato dopo tre anni di frequenza nei comuni rurali. Nel censimento del 1981 le persone senza titolo di studio erano, inclusi gli analfabeti confessi, il 20% della popolazione di età superiore ai quindici anni. Ancora nel censimento del 1991 la popolazione di oltre quattordici anni rivelava persistenze di analfabetismo dichiarato, di mancata scolarità anche solo elementare (la somma delle due categorie raggiungeva il 10%) o di mancata scolarità 'secondo Costituzione' (scuola dell'obbligo).

Assai più consistente e diffusa che nei paesi avanzati è l'incidenza dell'analfabetismo nelle aree del Terzo Mondo, dove il problema risulta tuttora legato a condizioni di povertà o di reddito molto limitato. Nel 2000, secondo dati ONU e UNICEF, il numero di bambini non scolarizzati ammontava a 130.000.000 di cui i due terzi femmine. Nell'ambito dei vari paesi, si riscontrano disparità rilevanti, connesse non solo alle scarse risorse economiche ma anche ai costumi e alle tradizioni locali. La politica di interventi nel campo attuata da molti governi e l'aiuto fornito da organismi internazionali, in particolare l'UNESCO, hanno portato il tasso mondiale di analfabetismo della popolazione di età superiore ai quindici anni dal 37% del 1970 al 20,6% del 2000, sebbene il numero assoluto di analfabeti sia aumentato in conseguenza dell'esplosione demografica registrata in vaste aree. In Cina, dal 1949 è stato intrapreso un programma di interventi che nell'arco di alcuni decenni ha ridotto il livello di analfabetismo dall'80 al 19% circa. L'India ha attuato una campagna di alfabetizzazione, attraverso centri di istruzione permanente e programmi di formazione a distanza, rivolta agli abitanti delle zone rurali, alle donne, agli appartenenti a caste e tribù disagiate. Altrove, come in Somalia, Togo, Mali e in altre regioni africane, asiatiche e dell'America Latina, dove l'analfabetismo raggiungeva punte di oltre il 90%, sono stati attivati con il contributo dell'UNESCO programmi di vario tipo, alcuni rivolti alla scolarizzazione dei bambini dai sei agli undici-dodici anni. Queste iniziative si sono intensificate in occasione dell'Anno internazionale dell'alfabetizzazione, deliberato per il 1990 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite con l'obiettivo di incrementare la cooperazione internazionale in materia.

L'istruzione 'di massa'

Dopo gli anni Cinquanta, le tradizionali strutture scolastiche, nell'anteguerra quasi ovunque caratterizzate da limitate capacità espansive (in Italia alla licenza elementare arrivava una minoranza, la licenza media inferiore era un privilegio, il diploma superiore e la laurea erano un lusso) sono state investite dal fenomeno della scolarizzazione di massa. Quest'evento, di ampie proporzioni, si è prodotto naturalmente, nei paesi industrializzati o in via di industrializzazione, per effetto di una serie di fattori concomitanti, quali l'accresciuto tenore di vita della popolazione, l'incremento demografico, lo sviluppo dei settori produttivi dell'industria e del commercio, i bisogni formativi di nuovi strati sociali che, lasciato il lavoro agricolo, affrontavano i processi di migrazione interna, di inurbamento, di qualificazione culturale e professionale. La scolarizzazione di queste fasce sociali, avviata negli anni Cinquanta e proseguita nel periodo Sessanta-Settanta, ha riguardato inizialmente i primi livelli dell'istruzione formale (scuola elementare e scuola secondaria inferiore) e successivamente anche i gradi superiori degli studi. I dati della situazione italiana, che trovano sostanzialmente riscontro in quella di altri paesi, sono indicativi delle dimensioni del fenomeno. Secondo le cifre complessive, dalla scuola materna agli istituti di istruzione secondaria superiore, la popolazione scolastica era nel 1952-53 di 6.813.466 alunni, diventati 8.146.563 nel 1962-63, poco più di 10.900.000 nel 1972-73 e circa 11.300.000 nel 1982-83. La punta massima è stata raggiunta nel 1979-80 con oltre 11.700.000 alunni. Negli anni seguenti, in conseguenza del decremento demografico, si sono avuti dapprima un arresto della crescita e poi una diminuzione del numero degli iscritti, che ha interessato soprattutto la scuola elementare e media; per un certo periodo ha continuato ancora ad aumentare, sia pure in misura più esigua, la popolazione della scuola secondaria superiore dove il tasso di scolarizzazione era più contenuto. Nel 1999-2000 la popolazione scolastica italiana è stata di 7.590.892 studenti dei diversi gradi e ordini di studi, così ripartiti: 915.011 nella scuola materna; 2.570.064 nella scuola elementare; 1.686.408 nella scuola secondaria di primo grado; 2.419.409 nella scuola secondaria di secondo grado.

In generale, mentre i paesi di aree geografiche con modesto o lento sviluppo economico risultano tuttora lontani da soddisfacenti parametri di istruzione, anche riferendosi solo alla scolarizzazione inferiore, nei paesi dell'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo) si rilevano valori molto elevati di partecipazione agli studi secondari superiori: secondo un rapporto del 1998 (Education at a glance. Indicators 1998), nel 1996 i tassi di conseguimento del diploma di istruzione secondaria avevano raggiunto il 72% negli Stati Uniti, il 73% in Canada e in Spagna, il 79% in Italia e in Irlanda, fra l'81 e l'86%; in diversi paesi europei (Svezia, Svizzera, Danimarca, Paesi Bassi, Francia, Germania, Austria, Ungheria), l'88% in Russia, oltre il 90% in Nuova Zelanda, Polonia, Finlandia, Giappone. In questo ambito, tuttavia, le cifre vanno comparate con una certa cautela in quanto le istituzioni educative dei singoli Stati sono assai difformi sia per percorsi, durata e intensità degli studi, sia per qualità culturale e pedagogica dei piani di studio e dei programmi. Comunque, le politiche scolastiche dei vari paesi puntano a raggiungere valori prossimi al 100% di scolarizzati a livello di istruzione secondaria superiore e cercano anche di innalzare la soglia di partecipazione all'istruzione postsecondaria e universitaria, considerando il raggiungimento di questi livelli di istruzione una condizione favorevole al progresso culturale, scientifico e sociale delle comunità, e soprattutto indispensabile per sostenere la competitività internazionale dei sistemi produttivi.

Gli ordinamenti scolastici negli altri paesi dell'Unione Europea

I sistemi scolastici e le politiche educative dei paesi europei presentano caratteristiche differenti, connesse alla loro storia e identità. Vi sono paesi in cui la tradizione umanistica ha avuto un peso particolarmente rilevante nella definizione dell'architettura scolastica (per es., in Italia, in Germania) e paesi che, per retaggio culturale e assetto economico, hanno favorito le istanze industriali e produttive privilegiando le scienze. Alcuni sistemi sono improntati a un forte centralismo (Francia, Svezia, in passato l'Italia che, ora, con la legge sull'autonomia ha avviato un processo di devolution del potere centrale alla periferia); altri invece hanno una configurazione decentrata (Spagna, Inghilterra, ma in questo caso si assiste a un'inversione di tendenza). Alcuni ordinamenti mantengono una netta distinzione tra gradi, canali formativi, altri hanno elaborato percorsi unitari, onnicomprensivi (Danimarca). Certi sistemi offrono la possibilità di accedere all'università da qualsiasi tipo di istruzione secondaria (cosiddetti sistemi aperti, come per es. quello italiano), altri distinguono tra scelta universitaria e scelta occupazionale, differenziando gli itinerari della scuola secondaria (per es. quello tedesco).

Il Trattato di Maastricht (1992), costitutivo dell'Unione Europea, prospetta linee di cooperazione fra gli Stati membri, scambi e incentivi nei campi della formazione generale e professionale, e un'armonizzazione dei modelli. Non si è ancora giunti, tuttavia, a delineare soluzioni per gli snodi più significativi dell'istruzione. D'altra parte, confidare in un unico 'megasistema formativo europeo' significherebbe dover rinunciare a quella diversità di tradizioni culturali che gli stessi ministri dell'Educazione europei, in un Memorandum redatto nel 1991, dichiarano di considerare "parte integrante dell'essenza e dei principi dell'Unione".

La ricerca di sinergie nella costruzione di uno spazio educativo europeo ha trovato comunque espressione nel lancio, a partire dal 2000, di nuovi programmi nei settori dell'istruzione (Socrates), della formazione professionale (Leonardo da Vinci), delle politiche per i giovani (Gioventù), degli interventi per le arti e la cultura (Cultura). Con queste iniziative la Commissione europea intende promuovere la qualità dell'istruzione intensificando la cooperazione e la mobilità (sia fisica delle persone, sia 'virtuale' mediante le nuove tecnologie della comunicazione), e sviluppando l'innovazione con progetti pilota transnazionali.

Austria

La politica dell'istruzione e della formazione è competenza del Ministero federale dell'Educazione e degli affari culturali. L'obbligo scolastico comincia all'età di sei anni e si estende per nove. La frequenza dei giardini d'infanzia (Kindergarten) è facoltativa.

Concluso il ciclo primario, che va dai sei ai dieci anni di età, l'allievo accede alla scuola secondaria inferiore, distinta in due indirizzi, la Hauptschule, di carattere generale, frequentata generalmente da alunni che proseguono gli studi con una formazione professionale, e l'AHS (Allgemeinbildende höhere Schule), primo ciclo di indirizzo classico, della durata di quattro anni.

L'allievo che ha intrapreso gli studi classici segue poi il secondo ciclo (la durata complessiva del classico è di otto anni); se invece proviene dalla Hauptschule può decidere per più indirizzi, o di tipo tecnico-professionale a tempo pieno (da uno a cinque anni) o scientifico (Realgymnasium) o economico o, ancora, per un corso preparatorio all'apprendistato presso aziende, completato da un ulteriore impegno in scuole professionali ('sistema duale', con alternanza scuola-lavoro).

I licei tecnici e professionali (Berufsbildende höhere Schulen) offrono varie possibilità (indirizzo industriale, commerciale, agricolo, amministrativo) e terminano con un esame di maturità. Gli studenti che non intendono proseguire gli studi all'università possono scegliere tra tipi di formazione professionale superiore, con corsi pratici di qualche semestre (Fachhochschule), oppure l'apprendistato breve di una professione, o anche semestri presso scuole professionali (il cosiddetto Kolleg).

Belgio

Il sistema scolastico belga, nella sua complessità, rispecchia le differenze linguistiche dei vari gruppi etnici presenti nel paese: valloni a Sud, fiamminghi a Nord, e comunità più esigue di origine germanica. Nel rispetto delle identità, la lingua di insegnamento è il francese in Vallonia, il neerlandese nelle Fiandre, il tedesco in una regione del Belgio orientale. Il coordinamento del sistema compete a due Ministeri nazionali, uno per l'area neerlandofona, l'altro per quelle francofona e germanofona, coadiuvati da più organismi consultivi ed esecutivi. L'insegnamento religioso è limitato alle scuole private cattoliche.

Non vi è obbligo scolastico, ma d'istruzione, per cui alle famiglie è consentito anche di ricorrere all'insegnamento a domicilio. L'obbligo copre un arco di dodici anni, a partire dai sei anni di età fino ai diciotto.

Il sistema scolastico si articola in scuola elementare (o insegnamento fondamentale: sei-dodici anni di età) e scuola secondaria (dodici-diciotto). La prima ha una scansione in tre cicli, di due anni ciascuno, e termina con il conseguimento di un attestato di istruzione di base. La scuola secondaria orienta verso quattro differenti indirizzi: generale (atenei, licei), tecnico (istituti tecnici o atenei tecnici), artistico, professionale, ed è organizzata secondo un duplice modello, tradizionale e rinnovato. Quest'ultimo, più flessibile e perciò maggiormente richiesto dall'utenza, prevede un anno-ponte di orientamento, passaggi trasversali in itinere e programmi comuni, il cui spazio si restringe nelle ultime classi a vantaggio delle materie opzionali. Un aspetto tipico di questa scuola secondaria è l'esistenza, in ogni indirizzo, di due livelli di approccio alle conoscenze, ai quali corrispondono due sezioni (tradizionale e di qualificazione) a seconda che si scelga di continuare gli studi o affrontare attività lavorative. Alla fine del corso si ottiene il certificato omologato d'insegnamento secondario superiore.

Danimarca

L'ordinamento scolastico è regolato a livello centrale dal Ministero dell'Educazione nazionale, che stabilisce obiettivi generali, contenuti e discipline, riconoscendo tuttavia una certa libertà alle comunità locali nella definizione dei programmi, purché non difformi, nelle finalità, dagli standard nazionali richiesti. Non vi è imposizione od 'obbligo scolastico', ma è un dovere ineludibile dei genitori assicurare l'istruzione dei figli, anche attraverso canali privati, domiciliari, di insegnamento. È pure facoltativa la frequenza di scuole materne.

L'istruzione obbligatoria, gratuita, si svolge nella scuola pubblica (Folkeskole), organizzata su un curricolo unitario per l'istruzione primaria e quella secondaria; ha inizio a sette anni di età, dura nove anni, i sette della scuola primaria e i due o tre della scuola secondaria (il decimo anno è facoltativo). La definizione di un curricolo unico risponde alla necessità di garantire una continuità del sistema formativo, prevedendo anche la figura di un docente di classe che segua gli alunni per l'intero percorso, coadiuvato da insegnanti delle varie discipline. Particolare importanza viene attribuita a contenuti di carattere civico.

La scuola secondaria, alla quale si accede a sedici anni, offre due possibilità: il Gymnasium e i corsi professionali. Nel primo, di durata triennale, gli alunni, dopo aver frequentato un primo anno comune, possono scegliere tra otto diverse tipologie di corsi, sostenendo al termine l'esame di baccalaureato che consente l'ingresso all'istruzione universitaria.

I corsi professionali (della durata di tre o quattro anni) si articolano in una pluralità di settori e comportano periodi di tirocinio presso le imprese; al termine si ottiene, dopo l'esame superiore commerciale, un titolo equivalente al baccalaureato.

Corsi professionali di altro tipo (di due o quattro anni) abilitano all'acquisizione di un mestiere. Esiste poi l'apprendistato, basato su un contratto tra datore di lavoro e allievo per un tempo determinato, con conseguimento di un attestato finale.

Finlandia

Al sistema scolastico è preposto un organismo centrale, il Ministero dell'Educazione. Da sempre il governo finlandese attua una politica volta a innalzare i livelli di istruzione mediante interventi di sostegno e di incentivazione dei meriti (borse di studio, sovvenzioni per gli indigenti e per gli stranieri residenti). L'insegnamento è bilingue, finnico e svedese; in Lapponia si svolge nella lingua dei lapponi.

L'educazione prescolare è facoltativa. L'obbligo ha inizio a quattro anni di età e dura dieci anni. Si tratta di una scuola integrata, distribuita in due cicli, uno inferiore (della durata di sei anni) con un maestro unico e uno superiore (di tre anni) con un insegnante per ogni disciplina; è previsto un decimo anno facoltativo per coloro che non proseguono gli studi.

La scuola secondaria si articola nel liceo (Lukio) di durata triennale (dai sedici ai diciannove anni) al termine del quale si sostiene un esame nazionale che dà accesso all'università o agli istituti superiori come i Politecnici, oppure a corsi in scuole professionali postsecondarie della durata di due o tre anni.

La formazione professionale è strutturata in molte aree, tra cui scienze naturali, commercio, tecnologia e trasporti, servizi sociali, salute.

In alternativa a queste scelte vi è l'apprendistato, per giovani dai sedici ai diciotto anni, indirizzo che attualmente riscuote ampi consensi.

Francia

Il sistema scolastico francese, fortemente centralizzato sin dall'età napoleonica, s'ispira a principi di insegnamento pubblico, gratuito e laico. Al vertice dell'ordinamento è il Ministero dell'Educazione nazionale.

Lo schema della scuola dell'obbligo si presenta articolato nei tre livelli della scuola materna, elementare e secondaria di primo grado.

La scuola materna, della durata di tre anni e divisa in sezioni (piccola, media e grande), fa parte a pieno titolo del curricolo scolastico ed è intesa quindi come propedeutica al livello d'istruzione successivo. I programmi sono organizzati, come in molti sistemi europei, intorno a due obiettivi: padronanza della lingua e sviluppo delle capacità creative.

La scuola elementare (cinque anni) inizia al sesto anno di età, è distribuita in tre corsi (preparatorio, elementare e medio), a loro volta organizzati in due cicli, degli 'apprendimenti fondamentali' e degli 'approfondimenti'. La scuola francese, laica, non prevede l'insegnamento della religione, salvo per i dipartimenti della Mosella, del Basso-Reno e dell'Alto-Reno (Alsazia), che hanno mantenuto uno statuto speciale essendo stati tedeschi tra il 1871 e il 1918.

Segue l'istruzione secondaria di primo grado, impartita nei collèges, per quattro anni. Il collège è suddiviso in classi (dalla sesta alla terza), è unico per tutti gli alunni ed è articolato in cicli: di 'adattamento', 'centrale' e di 'orientamento'. L'orizzonte europeo ha stimolato anche la comparsa di sezioni di tipo internazionale, europeo o bilingue. Il ciclo del collège si conclude con un brevet des collèges, basato su un esame nazionale scritto in alcune discipline.

L'istruzione secondaria di secondo grado si svolge nei lycées e si distingue in due tipi di istituto: i licei d'insegnamento generale e tecnico (di durata triennale) e i licei professionali. I licei di insegnamento generale, ripartiti nelle classi seconda (ove si conclude l'obbligo scolastico), prima e terminale, offrono due opzioni: il corso de détermination e quello spécifique. Il primo, articolato, prevede all'inizio della classe prima o di quella terminale la scelta tra otto diversi indirizzi compresi all'interno delle aree letterarie, delle scienze economiche, degli studi scientifici. Al termine, dopo un esame molto selettivo, si consegue il baccalaureato di scuola secondaria superiore.

Il secondo corso, spécifique, include due tipi: uno di cultura generale che termina con il conseguimento del baccalaureato di tecnico (BTN) e dà la possibilità di proseguire gli studi o inserirsi nel mondo del lavoro, e uno a carattere più specificamente pratico-operativo con cui si ottiene il brevetto di tecnico (BT).

Il liceo professionale (LEP, con frequenza di uno o due anni) offre prospettive di lavoro in alternativa alle professioni universitarie. Vi si può accedere a quattordici o sedici anni, comprende molteplici indirizzi e specializzazioni che consentono di acquisire, rispettivamente, il brevetto di studi professionali (BEP) e il certificato di attitudine professionale (CAP).

Germania

Nella Repubblica Federale di Germania le responsabilità del settore educativo vengono ripartite fra i sedici Länder, che hanno una legislazione autonoma in materia, e il governo centrale, cui competono le direttive generali. Il sistema educativo è decentrato, ma strutturato in modo tale da creare obiettivi comuni e livelli di apprendimento uniformi, all'interno di un progetto culturale unitario per tutto il paese.

La scuola dell'obbligo ha durata complessiva di dodici anni, a partire dall'istruzione primaria fino al triennio della secondaria superiore.

Alla scuola elementare o Grundschule, che segue la scuola materna (Kindergarten, tre anni), si è ammessi al sesto anno di età; essa dura quattro anni (sei a Berlino e nel Brandeburgo) e offre un curricolo formativo comune a tutti gli studenti. Il passaggio dalla Grundschule all'istruzione secondaria è regolato diversamente in base alle legislazioni dei Länder.

La secondaria inferiore va dal quinto al nono/decimo anno di scolarizzazione (in Germania la successione delle classi segue una progressione numerica senza tener conto della distinzione fra scuola primaria e secondaria) e si fonda su un sistema articolato in tre tipologie di indirizzi - Hauptschule, Realschule, Gymnasium Unterstufe -, cui si affiancano istituti a carattere onnicomprensivo come la Gesamtschule e altri tipi di scuole con denominazioni che variano da regione a regione. Il quinto e sesto anno di scolarizzazione (quinta e sesta classe) rappresentano una fase di transizione e orientamento in cui sono possibili passaggi orizzontali fra i differenti indirizzi. A partire dalla settima classe l'offerta educativa nei vari indirizzi diversifica obiettivi operativi, contenuti cognitivi, metodologie didattiche.

La Hauptschule (cinque anni) trasmette un'istruzione di base generale, sviluppa abilità pratico-operative ed è propedeutica all'inserimento nel mondo del lavoro. La Realschule presenta un'offerta educativa più ampia della precedente sul piano cognitivo; ha una struttura flessibile con aree opzionali. Al termine si consegue la licenza secondaria di primo grado che consente l'accesso all'istruzione di qualificazione professionale. Il termine Gymnasium designa tutte quelle scuole secondarie che portano alla maturità abilitando ai successivi studi universitari. Le Gesamtschulen (scuole unitarie) raggruppano gli indirizzi citati e hanno classi con curricoli e diplomi finali differenziati, oppure prevedono un'integrazione tra i tre indirizzi con insegnamenti comuni e un'area disciplinare articolata per livelli di competenze.

La secondaria superiore inizia dall'undicesimo/dodicesimo/tredicesimo anno di scolarizzazione. L'obbligo scolastico termina a diciotto anni, tutti gli studenti fruiscono quindi dell'istruzione secondaria. L'offerta formativa in questo settore prevede curricoli a carattere generale (con frequenza a tempo pieno) proposti dai ginnasi, Gymnasiale Oberstufe, di durata triennale. Di recente, i tradizionali indirizzi di ginnasio (umanistico, linguistico, matematico) tendono a scomparire per far posto a istituti a carattere onnicomprensivo con percorsi differenziati e discipline articolate in tre settori tematici: quello linguistico-letterario-artistico, quello storico-sociologico, e quello matematico-naturalistico-tecnologico. Il ginnasio si conclude con l'esame di maturità, denominato Abitur.

L'istruzione professionale prevede numerosi tipi di corsi, di differente durata (da uno a tre anni) e con diversa qualifica. Vi sono curricoli a carattere professionale e generale congiunti (Berufsfachschule, scuola di specializzazione professionale); curricoli a carattere professionale per quanti hanno avuto esperienze di lavoro (Berufsaufbauschule, scuola di qualificazione professionale); curricoli rivolti a giovani che hanno già una formazione professionale di base (Fachschule, scuola superiore tecnica).

Il Berufliches Gymnasium (o Fachgymnasium) è un ginnasio di tipo professionale, dura tre anni e si conclude con la maturità. Offre, accanto agli insegnamenti delle discipline di base, una preparazione specialistica in vari campi (edilizia, industria meccanica ecc.).

Dopo il nono o decimo anno di scolarizzazione i giovani che decidono per un rapido inserimento nel mondo del lavoro si avvalgono del 'sistema duale' (Duales System, della durata di tre anni), consistente in una particolare forma di addestramento professionale che prevede una formula di alternanza scuola-lavoro, con periodi di tirocinio presso le aziende.

Nel sistema tedesco il forte legame che unisce scuola e mondo del lavoro si esprime nella varietà dell'offerta formativa e nel carattere qualificante e specialistico degli indirizzi. La tradizionale fisionomia chiusa della scuola tedesca, evidente nella separazione tra una tradizione umanistica di matrice prussiana rappresentata dal Gymnasium e le scuole professionalizzanti, si è stemperata negli ultimi anni a favore di una certa flessibilità: lo stesso Gymnasium inserisce nei curricoli discipline orientate alle professioni.

Grecia

Le direttive in materia di istruzione sono emanate dal Ministero dell'Educazione nazionale e della religione. L'insegnamento religioso è impartito a ortodossi e non.

L'obbligo scolastico si svolge per un arco di nove anni e termina all'età di quattordici anni e mezzo. Alla scuola primaria (Demoteke), della durata di sei anni, si accede a cinque anni e mezzo.

L'insegnamento secondario (Gymnaseon) è articolato in un insegnamento secondario inferiore (ginnasio, di durata triennale, con corsi diurni e serali e conseguimento al termine di un attestato) e un insegnamento superiore (liceo, triennale). La denominazione unica di liceo vale per quattro tipi di istruzione: generale, classica, tecnico-professionale (articolato in un anno comune dopo il quale gli studenti scelgono tra più indirizzi) e polivalente (che avvicina istruzione generale e formazione tecnico-professionale).

Vi sono poi scuole tecnico-professionali che pongono l'accento sugli aspetti di natura pratico-operativa.

Irlanda

A livello nazionale i curricoli scolastici sono formulati dal Ministero dell'Educazione, sulla base delle indicazioni che vengono fornite dal National council for curriculum and assessment; il Dipartimento dell'Educazione presiede alla loro implementazione attraverso il suo ispettorato. A livello delle scuole, i curricoli vengono successivamente adattati alle esigenze dei singoli Istituti, secondo un piano scolastico oggetto di continuo aggiornamento.

La frequenza scolastica è obbligatoria dai sei ai quindici anni. I bambini sono tuttavia ammessi alla primary school a partire dai quattro anni e per questo motivo i programmi che in altri paesi europei sono considerati parte della scuola dell'infanzia vengono incorporati in Irlanda nel sistema dell'educazione primaria.

Al termine della primary school i ragazzi accedono al ciclo inferiore dell'educazione secondaria. Il Junior certificate program è stato introdotto nel 1989 per fornire un unico ciclo unitario per gli studenti di età compresa fra i dodici e i quindici anni.

Uno dei principali scopi della politica educativa irlandese è incoraggiare, attraverso un'offerta assai variegata di programmi, il maggior numero di studenti possibile a proseguire gli studi dopo il termine della scuola dell'obbligo. Il ciclo superiore dell'educazione secondaria può durare fino a tre anni. Agli studenti, dopo il Junior certificate si prospettano due alternative: possono accedere subito a un Leaving certificate program biennale, oppure possono optare per la frequenza, prima di quello, di un anno-ponte (Transition year program). Quest'ultimo è stato introdotto per fornire agli studenti maggiori opportunità di sviluppo personale, è interdisciplinare e consente agli insegnanti maggiore flessibilità nel disegnare curricoli, moduli e brevi corsi commisurati sulle esigenze specifiche degli studenti. Al termine del ciclo superiore gli studenti sostengono l'esame terminale (Leaving certificate), basato su almeno cinque materie, compreso l'irlandese.

Una maggiore specificità riguardo alle materie tecniche rispetto al Leaving certificate program normale, presenta il Leaving certificate vocational program, che è stato introdotto nel 1989 ed esteso nel 1994. Prevede cinque insegnamenti di base, due dei quali hanno carattere professionale; inoltre, comprende un corso di lingua estera e tre moduli di raccordo specifici, relativi a: educazione all'impresa, preparazione al lavoro ed esperienza di lavoro.

Un ulteriore programma alternativo è rappresentato dal Leaving certificate applied, di durata biennale, caratterizzato da un approccio interdisciplinare; consiste di numerosi moduli, raggruppati in tre tipi principali: educazione generale, educazione professionale e preparazione professionale. Il Leaving certificate applied non consente l'accesso ai corsi universitari.

Lussemburgo

Il sistema scolastico appare caratterizzato da una centralizzazione accentuata. È costituito da un insegnamento prescolastico, obbligatorio, della durata di un anno (dai cinque ai sei anni di età), un insegnamento primario (sei-dodici anni) e uno secondario (dodici-diciotto anni). L'obbligo termina a quindici anni e si estende per un arco di nove.

Concluso il ciclo primario, l'allievo può accedere al liceo classico o moderno (che dura sette anni), oppure al liceo tecnico (sempre di sette anni, di cui solo tre obbligatori) o anche a corsi di addestramento professionale.

Il liceo, dopo un anno comune di orientamento, offre due opzioni: l'istruzione classica e quella moderna, scandite in due cicli di tre e quattro anni. Al termine del primo ciclo lo studente può scegliere tra vari indirizzi: linguistico, matematico, musicale, arti plastiche, scienze naturali, scienze economiche.

Il liceo tecnico, distribuito in tre cicli (di osservazione e orientamento, medio e superiore) si articola in più divisioni (amministrativa, formazione di tecnico, insegnamento tecnico generale).

Al termine dei licei, dopo il superamento di un esame, si consegue o un diploma per l'accesso all'istruzione superiore oppure il certificato di attitudine tecnica e professionale.

Compiuti quindici anni, gli studenti che non intendono proseguire gli studi possono seguire corsi di addestramento professionale presso ditte e imprese.

Paesi Bassi

Nell'ordinamento scolastico olandese hanno eguale considerazione le scuole pubbliche e quelle private, per lo più confessionali, che sono frequentate dalla maggioranza della popolazione studentesca. Il sistema è coordinato dal Ministero dell'Educazione e delle scienze.

L'obbligo, di dodici anni, inizia al quarto anno di età e termina al sedicesimo. La scuola elementare rappresenta un segmento unitario di otto anni, inglobando la scuola materna. Nel rispetto delle lingue e culture originarie (la componente olandese è prevalente, ma vi sono gruppi di frisoni e comunità di immigrati), l'insegnamento è svolto nella lingua di provenienza dell'allievo, cui si affianca l'inglese fin dai primi anni di scolarità.

La secondaria si articola in tre percorsi: un liceo (ateneo o ginnasio, sei anni) propedeutico all'università, oppure un corso di preparazione generale (dai due ai cinque anni, in base ai livelli di approfondimento) o ancora l'addestramento professionale, di differente durata a seconda dei tipi di corsi. Il primo anno è di orientamento. Nell'indirizzo preuniversitario ciò che distingue il ginnasio dall'ateneo è il fatto che solo nel primo è obbligatorio lo studio del greco e del latino. Negli ultimi due anni, l'alunno può optare per due sezioni: la prima ha come discipline portanti le lingue classiche, la seconda, invece, privilegia la matematica e le scienze.

La formazione secondaria generale dà accesso agli studi superiori o rilascia un diploma di licenza per seguire un corso di insegnamento professionale secondario.

In alternativa all'insegnamento professionale, il sistema prevede corsi di formazione in imprese e aziende per l'acquisizione di un mestiere, di durata variabile dai due ai quattro anni.

Portogallo

Il Portogallo ha recentemente elevato l'obbligo scolastico da sei a nove anni (età sei-quindici anni) e ridisegnato l'architettura scolastica.

La scuola di base è strutturata in tre cicli, con moduli differenti, prevedendo nel primo (di quattro anni) un maestro unico, nel secondo (di due) un docente per ogni area disciplinare, nel terzo (di tre) un insegnante per ciascuna materia. Nell'ultimo anno sono introdotte discipline opzionali, di orientamento e preparazione al passaggio nella secondaria (di durata triennale).

L'insegnamento secondario ha luogo nei corsi complementari, che sono affini ai licei degli altri paesi europei, e in diversi tipi di istituti tecnico-professionali. I corsi complementari sono distinti in cinque aree disciplinari (di carattere matematico-scientifico, umanistico, economico-sociale, o attinente alle scienze naturali o alle arti visive) con materie obbligatorie e altre opzionali.

I corsi tecnico-professionali, di durata sempre triennale, si basano su esperienze di studio alternate a esperienze di lavoro. Entrambi gli indirizzi danno accesso agli studi superiori ma hanno anche un valore 'finito', consentendo l'ingresso nel mondo del lavoro. Vi sono poi scuole di formazione professionale per l'apprendimento di un mestiere.

Regno Unito

Nei suoi tratti fondamentali l'ordinamento educativo vigente nei territori del Regno Unito può essere esemplificato da quello inglese, nonostante vi siano alcune differenze sul piano normativo e organizzativo (si discosta in modo più netto la Scozia). La scuola inglese, nata come istituzione per le élite e basata tradizionalmente sull'autonomia, dal dopoguerra a oggi è andata trasformandosi consentendo l'istruzione a strati sempre più vasti della popolazione. Negli ultimi anni la legge più importante di riforma è stata l'Education reform act (1988), che ha introdotto per la prima volta un programma nazionale (national curriculum) per gli undici anni della scuola dell'obbligo (dai cinque ai sedici anni d'età). Attualmente è il Secretary of state for education and employment che stabilisce la politica nazionale e pianifica la gestione del sistema nel suo complesso, collaborando con le LEA (Local education authorities), autorità locali in materia d'istruzione. Con il national curriculum si è conferita maggiore omogeneità al sistema obbligatorio, intaccando il pluralismo che aveva sempre rappresentato una connotazione tradizionale della scuola inglese.

Nel nuovo ordinamento c'è continuità tra scuola primaria e secondaria. La scuola dell'obbligo è suddivisa in quattro cicli (key stages), due di scuola primaria (da cinque a undici anni) e due di scuola secondaria (da undici a sedici) lasciando facoltativi i due anni successivi. Per tali cicli è previsto l'insegnamento di tre materie-nucleo, considerate necessarie per lo sviluppo delle altre discipline (core subjects: inglese, matematica e scienze), cui si aggiungono le materie di base (foundation subjects: tecnologia, storia, geografia, musica, arte, educazione fisica). È mantenuta la consuetudine inglese dell'insegnamento religioso obbligatorio. Terminati, a undici anni, i primi due cicli delle elementari, gli allievi proseguono con la scuola secondaria (fino a sedici anni) privilegiando, per la maggior parte, la comprehensive school, scuola unificata. Qui si ritrovano le dieci discipline stabilite dal national curriculum, ma le singole scuole hanno libertà di scelta circa le strategie didattiche, i piani di studio e le materie stesse. Invece della comprehensive school, gli alunni possono frequentare le grammar schools (caratterizzate da un curricolo di tradizione umanistica) e le secondary modern schools (di seconda scelta e meno selettive), entrambe pubbliche e create in passato in alternativa alle costose scuole private, ma oggi in contrazione e non presenti uniformemente sul territorio. I city technology colleges rappresentano un'ulteriore opzione.

Momento conclusivo dei cinque anni di scuola secondaria è il GCSE (General certificate of secondary education). Un aspetto innovativo è l'introduzione del progetto pilota per corsi di formazione professionale, per ragazzi dai quattordici ai sedici anni, articolati in sei aree disciplinari (economia aziendale, industria, informatica, design, arte, turismo) e denominati part one GNVQ (General national vocational qualifications) che rilasciano un certificato di qualifica equivalente al GCSE.

Concluso l'obbligo, a sedici anni, gli studenti possono frequentare i corsi supplementari di due o tre anni presso le sixth-form schools o i sixth-form colleges, o presso i colleges of further education, e conseguire (a diciotto o diciannove anni) il diploma per l'ingresso nell'università o nel mondo del lavoro. Il sistema della further education (ambito di studi preferito dagli studenti) è rivolto a una preparazione tecnico-professionale e si realizza nella collaborazione tra Stato, imprese e mercato del lavoro.

Malgrado il permanere di una tradizionale separazione tra i due indirizzi, quello tecnico-professionale e quello propedeutico agli studi accademici, le istituzioni appaiono orientate a realizzare un percorso didattico che, fondandosi su discipline comuni, proceda gradualmente verso una diversificazione, lungo tracciati intercambiabili e ugualmente formativi.

Spagna

Il sistema scolastico spagnolo è fortemente decentrato, essendo lo Stato costituito da diciassette comunità autonome. Andalusia, Catalogna, Galizia, Canarie, Paesi Baschi, Comunità Valenziana hanno un regime di autonomia pressoché completa (come del resto le università, dal 1983), mentre le altre comunità dipendono dal Ministero dell'Educazione e della scienza pur mantenendo spazi di discrezionalità sul piano organizzativo e didattico. Con la Ley orgánica del 1990, l'obbligo scolastico è stato innalzato a dieci anni, concludendosi al sedicesimo anno di età. Un aspetto caratterizzante è il tempo pieno fino al primo liceo.

Il sistema scolastico prevede un anno di istruzione prescolastica, che è tuttavia facoltativo. Seguono l'insegnamento generale di base, della durata di otto anni, e l'insegnamento secondario.

La scuola di base, cui si accede all'età di sei anni, è articolata in tre cicli: iniziale (due anni), medio (tre), superiore (tre) e termina con il conseguimento del 'diploma di graduato scolastico'.

L'insegnamento secondario distingue tra il baccellierato o liceo e la formazione professionale di primo e secondo grado. Il baccellierato comprende due cicli: uno di durata triennale a carattere unificato polivalente, chiamato BUP (Bachillerato unificado polivalente) e l'altro, della durata di un anno, destinato all'orientamento universitario, chiamato COU (Curso de orientación universitaria). Al terzo anno del BUP l'allievo può scegliere tra gli indirizzi umanistico e scientifico, propedeutici all'università. La formazione professionale di primo grado dura due anni e si articola in tre aree: formazione comune, formazione delle scienze applicate, formazione tecnico-pratica, con indirizzi che abilitano a una pluralità di specializzazioni. Caratteristico di questo tipo di istruzione è il fatto che a essa si affiancano tirocini in aziende. La formazione professionale di secondo grado prevede due anni e un terzo facoltativo e si basa su una varietà di specializzazioni. Il corso termina con il conseguimento di un diploma di tecnico specialista con il quale si può accedere al COU.

Svezia

Ha un modello scolastico centralizzato, con cicli e programmi stabiliti in modo rigido dal Ministero dell'Educazione e degli affari culturali.

La scuola dell'obbligo inizia all'età di sette anni, ha carattere unitario, inglobando l'elementare e la media, e prevede tre cicli (junior, medio e senior), ciascuno della durata di tre anni.

La scuola secondaria, alla quale si accede a sedici anni, si connota come un 'segmento unitario onnicomprensivo' articolato intorno a sei settori, a indirizzo pratico-professionale (tre anni), teorico (tre anni), tecnico-scientifico (quattro anni).

Il sistema svedese appare notevolmente influenzato dallo sviluppo industriale e in esso occupano una posizione privilegiata le scienze. Altri aspetti caratterizzanti sono la selezione per merito, la politica di orientamento dopo la scuola dell'obbligo, e soprattutto il nesso scuola-lavoro, un fattore che incide notevolmente anche sul numero degli ammessi ai differenti settori in modo che non vi sia un divario tra istruzione e occupazione, tra sbocchi professionali e titoli acquisiti.

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