SCOLASTICA

Enciclopedia Italiana (1936)

SCOLASTICA

Francesco Pelster

. Nome e carattere. - Il termine di filosofia "scolastica" è stato introdotto nell'uso generale, a designare la filosofia e la teologia medievali, solamente dagli umanisti, nonostante che scholasticus, doctores scholastici, doctrina scholae designassero già nel Medioevo i maestri, specialmente quelli delle discipline superiori, e la scienza insegnata nelle scuole. Gli umanisti e con loro i riformatori associarono alla parola il significato di filosofia pedante e astrusa, che si perdeva in sottigliezze dialettiche, estranea al mondo e servilmente dipendente dalla teologia.

Nonostante la sua varietà nei particolari, nella scolastica in quanto filosofia si possono distinguere tre tratti fondamentali: è una filosofia cristiana; è orientata verso Aristotele; è in misura prevalente una scienza regnante nelle scuole.

Quando si dice che la scolastica è una filosofia cristiana, non s'intende significare che essa derivi le sue dimostrazioni dalle fonti della fede né che le sue indagini rimangano limitate a quei dominî, che sono i presupposti naturali della fede in una rivelazione, bensì che, nella persuasione che la verità naturalmente conosciuta e quella rivelata provengono dalla medesima fonte e perciò non si possano contraddire, essa si rifiuta di accettare quelle dottrine che siano inconciliabili con la rivelazione cristiana. Essa riconosce anche, con gratitudine, che la verità rivelata ha indicato alla sua indagine alcune mete, che essa deve dimostrare scientificamente con i metodi della pura conoscenza razionale. Infine essa ha sempre trattato di preferenza quei problemi metafisici e morali, che sono il presupposto naturale della dottrina cristiana. Le è inerente quindi una tendenza fortemente metafisica, mentre le questioni di pura scienza naturale e di teoria della conoscenza passano più in seconda linea.

La scolastica sì è formata prevalentemente su Aristotele e scorge in lui la sua guida indiscussa sul terreno filosofico. È nata dalla dialettica aristotelica, che le fu trasmessa dapprima dalla cosiddetta Logica vetus e dagli scritti di Boezio. Si è nutrita dei maggiori scritti dell'Organon, che le fornirono l'apparato metodico e le trasmisero anche alcuni concetti fondamentali. È giunta alla piena maturità, allorché le affluì, attraverso gli scritti di filosofia naturale, di metafisica, di etica e di politica dello stagirita, la piena del sapere e del pensiero classici. Soffrì una parziale decadenza e un'interna dissoluzione allorché, in conseguenza della fioritura delle moderne scienze naturali, l'immagine aristotelica del mondo fu radicalmente modificata e uno spirito critico eccessivo scosse anche alcuni concetti e principî metafisici fondamentali. Il suo rinnovamento interno si verificò ogni qual volta si prese a scindere da essa quanto era divenuto insostenibile, e d'altra parte a circoscrivere, rinsaldare e ricostruire le sue fondamenta metafisiche. L'aristotelismo della scolastica non va però inteso come se ci fosse mai esistito un aristotelismo assolutamente puro; a seconda dei diversi sistemi e dei loro rappresentanti c'è sempre stato un maggiore o minore apporto di dottrine e concetti provenienti da Platone, da Agostino, da neoplatonici e naturalisti greci e arabi. Persino un così dichiarato aristotelico come Tommaso d'Aquino rivela una forte impronta neoplatonica; ciò vale in misura incomparabilmente superiore per la scuola dei francescani. Naturalmente nell'epoca moderna si fa valere l'influenza della moderna scienza della natura, della teoria della conoscenza e della sociologia.

L'origine della scolastica dal vivo insegnamento delle scuole le ha dato un'impronta particolare nello spirito e nella forma. In primo piano non sta la parte problematica, quella per cui ogni singolo pensatore cerca una soluzione personale, possibilmente nuova, bensì la trasmissione ed elaborazione del tesoro di verità già acquisito. È cresciuta tra popoli giovani; donde la bramosa accettazione di nuovo materiale scientifico, che si manifesta specialmente nei primi stadî dello sviluppo. Al carattere recettivo e tradizionale è connessa la preponderante posizione dell'autorità. Con infinito rispetto si guardava ai grandi dell'antichità classica e della patristica; non era facile che un maestro prendesse posizione contro una grandezza riconosciuta come "auctoritas". Poiché però, con il progredire dello sviluppo, sembrarono opportune alcune deviazioni persino da autorità riconosciute, quali Aristotele e Agostino, all'aperta contraddizione si preferì d'ordinario la ricerca della concordanza di sentenze opposte. Corrispondeva inoltre al carattere della scuola lo sforzo di maestri e scrittori volto ad ordinare l'intera scienza in parti e a raccoglierla in un chiuso sistema. Sarebbe tuttavia un errore credere che alla scolastica manchino lo sviluppo, la vita, e l'elemento della differenziazione personale, oppure che la tradizione e l'autorità siano stati limiti insuperabili. Un confronto tra i diversi periodi e le personalità caratteristiche rivela l'imponente mole del lavoro intellettuale che fu compiuto, e la grande varietà delle concezioni e soluzioni dei problemi, nonostante l'unità delle basi essenziali. Lo sviluppo si compie però più attraverso un continuato fluire, che attraverso una impetuosa ascesa e decadenza.

Alcune parole vanno aggiunte a definire il carattere della teologia scolastica. La teologia scolastica può esser definita nel modo migliore con le parole di Anselmo: Fides quaerens intellectum. È suo compito comprendere concettualmente con l'aiuto della ragione le verità rivelate, chiarirle e difenderle contro obiezioni, raccogliere infine le singole verità in un chiuso sistema e ricavare da esse, sulla via del pensiero deduttivo, nuove verità. Da essa si distingue la teologia positiva, che dimostra come le verità dichiarate obbligatorie dal magistero della Chiesa siano contenute nelle fonti della fede, cioè nella sacra scrittura e nella tradizione ecclesiastica. Nel Medioevo tale dimostrazione era condotta specialmente mercé l'esegesi della Sacra Scrittura, laddove le somme e i commenti alle sentenze servivano, se non esclusivamente, prevalentemente alla teologia scolastica. Una separazione completa tra teologia positiva e teologia scolastica si può eseguire teoricamente, ma non praticamente. I termini di teologia positiva e scolastica sono nell'uso generale per lo meno dal sec. XVI in poi.

Fonti. - Le fonti, dalle quali è confluito alla scolastica il patrimonio di dottrine classiche e patristiche, sono notevolmente aumentate di numero e di mole nel corso dei secoli ed hanno operato sul suo sviluppo a seconda della loro ampiezza e forza. La fonte principale è la filosofia greca, che riusciva a penetrare per vie sempre nuove; accanto ad essa affluisce la speculazione dell'età della patristica, mercé gli scritti dei Padri, specialmente di Agostino. Nei primi secoli erano le Categorie e il De interpretatione di Aristotele, che costituivano, accanto alla Isagoge di Porfirio, ai Topici di Cicerone e ai commenti e scritti logici di Boezio, le fondamenta dell'insegnamento della dialettica, l'unica disciplina filosofica che fosse insegnata. Platone era conosciuto direttamente soltanto attraverso un frammento del Timeo nella traduzione di Calcidio. Molta sostanza di idee platoniche si ritrovava nel commento di Macrobio al Somnium Scipionis. Dottrine neoplatoniche entrarono attraverso gli scritti dello Pseudo-Dionigi l'Areopagita, tradotti soltanto nel sec. IX, insieme col commento di Massimo il Confessore, e specialmente attraverso le opere di Agostino. Così nella filosofia dei primi secoli Platone era assolutamente predominante. Un nuovo apporto si ebbe nella prima metà del sec. XII. Verso il 1128 Giacomo da Venezia tradusse i due Analitici, i Topici e gli Elenchi di Aristotele, che Thierry da Chartres introdusse nell'insegnamento; furono detti Logica nova in opposizione ai primi libri dell'Organon, la Logica vetus. Poco più tardi furono tradotti da Enrico Aristippo e da altri italiani del Mezzogiorno il quarto libro delle Meteore di Aristotele, e inoltre scritti fisici, astronomici e matematici di Tolomeo e di Euclide. Le traduzioni del Menone e del Fedone ad opera del medesimo Enrico ebbero scarsa influenza. Giovanni Burgundio da Pisa (m. 1194) tradusse verso la metà del sec. XII il De fide orthodoxa di Giovanni Damasceno e il De natura hominis di Nemesio, libro molto citato sotto il nome di Gregorio di Nissa. L'afflusso principale dalle nuove fonti incominciò però solamente poco dopo la metà del sec. XII e durò per tutta la seconda metà del sec. XIII. Il nuovo sapere pervenne ai centri della scolastica, a Parigi e in Inghilterra, per due vie, cioè attraverso la Spagna araba e l'Italia meridionale. Per opera della scuola di traduttori di Toledo, nella quale lavorava, accanto all'arcidiacono Gundisalvi di Segovia e a Giovanni Arendeuth, l'italiano Gherardo da Cremona, furono tradotte in latino le opere dei filosofi e naturalisti arabi al-Kindī, al-Fārābī, Avicenna, al-Ghazzālī. Fra questi filosofi eccelle Avicenna, il quale col suo scritto enciclopedico De sufficientia, il cui Liber sextus tratta dell'anima, ha influito sulla filosofia della natura e la metafisica scolastiche come nessun altro filosofo all'infuori di Aristotele. Per opera di Avicenna e dello scritto parimenti tradotto dall'arabo De essentia purae bonitatis, comunemente detto De causis, che è un estratto dall'Elementatio theologica di Proclo, fu introdotta una moltitudine di idee neoplatoniche e aristoteliche. Tra i filosofi ebrei ebbero una particolare influenza Ibn Gebirol con la sua opera di tinta fortemente neoplatonica Fons vitae, e Maimonide col Dux neutrorum, che agì specialmente sull'elaborazione della teologia naturale. A Toledo fu tradotta dall'arabo in latino ad opera di Gherardo da Cremona anche una buona parte degli scritti aristotelici, tra i quali la Fisica, il De caelo et mundo, il De generatione et corruptione, i tre primi libri delle Meteore. Al più tardi fin verso la fine del sec. XII continuò l'attività dei traduttori dell'Italia meridionale. La scolastica deve loro, tradotti dal greco in latino, la Metaphysica vetus (I-IV, 4, 1607-1630), la Fisica, il De generatione et corruptione, il De anima e i Parva naturalia, l'Etica (I-III). A Toledo o sotto l'influenza di Toledo, Alfredo da Sareshel (m. nel 1215) tradusse lo scritto pseudo-aristotelico De plantis, Michele Scoto (morto verso il 1236) nuovamente la Fisica e il De caelo et mundo, inoltre il De anima, la Metafisica (I-X, 12) e il De animalibus, oltre ai relativi commenti di Averroè, che dovevano costituire il modello per i commenti d'Aristotele. Ermanno Alemanno tradusse nel 1240 una parafrasi dell'Etica Nicomachea nel 1243 e la Summa Alexandrinorum. La Fisica (gr.-lat.), il De caelo et mundo (ar.-lat.), il De generatione et comuptione (gr.-lat.), il De meteoris (ar.-lat., IV gr.-lat.), il De anima (gr.-lat.), il De sensu et sensato (gr.-lat.), il De memoria et reminiscentia (gr.-lat.), il De somno et vigilia (gr.-lat.), il De morte et vita (gr.-lat.), inoltre la Metaphysica venius (I-IV gr.-lat.), la Metaphysica nova o arabica (I-X, 12) e l'Etica (I-III) formarono il Corpus Aristotelicum, che fu preso a fondamento dell'insegnamento verso il 1250 in Inghilterra, poi anche a Parigi. Ad essi si associarono in vario modo: il De plantis, il De animalibus, il De causis e il De differentia spiritus et animae di Qusṭā ibn-Lūqā. L'ultimo periodo comincia con Roberto Grossatesta (morto nel 1253), che tradusse dal greco verso il 1240 l'intera Etica Nicomachea oltre ai commenti di Eustrazio, Aspasio, Michele e d'un anonimo, una parte del De caelo et mundo, il De lineis indivisibilibus e il De passionibus di Andronico. Press'a poco nella stessa epoca nacque anche la Metaphysica media, una traduzione dal greco in latino della Metafisica, eccettuato il libro XI. L'ultima fase è rappresentata da Bartolomeo da Messina, vissuto alla corte di Manfredi (1258-1266), traduttore dei Magna Moralia, dei Problemata, del De bona fortuna e di altri scritti pseudo-aristotelici, e soprattutto da Guglielmo di Moerbeke (morto nel 1286), che rivide con l'aiuto del testo greco le traduzioni dal greco in latino già esistenti. Inoltre egli redasse completamente o in gran parte una nuova traduzione del De caelo et mundo, del De capteoris (I-III), del De animalibus, del De causa monius animalium, del De principiis processivis animalium, del De longitudine et brevitate vitae, del De inspiratione et respiratione, della Metaphysica libro XI. Oltre ad altre opere di contenuto matematico o puramente naturalistico egli ha tradotto anche la Elementatio theologica di Proclo e un commento di Filopono al De anima. Dalle vecchie traduzioni dal greco in latino da lui rivedute e dalle sue nuove traduzioni fu composto verso il 1270 il Corpus Aristotelicum Novum, che formò da allora in poi, fino alle traduzioni degli umanisti, la base dell'insegnamento filosofico.

Accanto ai filosofi greci e ai loro commentatori sta però la predominante figura di Agostino, che in alcune scuole, specialmente tra i francescani, offusca l'autorità di Aristotele e conserva dappertutto un'influenza normativa. Nella teologia naturale anche della scolastica matura si mantiene la prova agostiniana dell'esistenza di Dio tratta dalla gerarchia degli esseri finiti; parimenti le dottrine dell'assoluta sublimità di Dio e delle idee creatrici nello spirito di Dio non perdono mai il loro fascino. Nella filosofia della natura e nella psicologia le idee agostiniane devono spesso cedere davanti all'aristotelismo, ma dappertutto si incontrano le loro tracce. La dottrina agostiniana della legge eterna e del suo rispecchiamento nella legge di natura rimane, fino al nominalismo, il fondamento dell'etica, come le idee svolte nel De civitate Dei formano il nucleo di ogni filosofia della storia. Altri Padri fornirono alcuni elementi costitutivi, p. es. Ambrogio e Gregorio alla teoria della virtù, Gregorio di Nissa alla teoria dell'uomo, lo Pseudo-Areopagita con la sua teoria di Dio, con la teoria dell'ordinamento gerarchico degli esseri e col suo misticismo. Se in tal modo la scolastica ha raccolto i suoi elementi costitutivi dai più diversi campi, sarebbe tuttavia errato scorgere in essa un conglomerato di materiale eterogeneo. Il senso architettonico del Medioevo, che tende sempre all'unità e al coordinamento, ha tentato e in buona parte anche è riuscito a espellere il materiale inadatto o a trasformarlo, e a comporre ciò che in origine era così diverso in un'immagine del mondo armonicamente chiusa, unitaria.

Metodo d'insegnamento e di esposizione. - La scolastica non ha mai rinnegato, neppure nelle sue forme esterne, la sua origine dall'insegnamento e il suo carattere di scienza delle scuole. Nel sec. XII si compì una grande trasformazione nell'insegnamento superiore. Mentre fino allora erano state soprattutto le scuole dei monasteri e delle cattedrali a insegnare le arti liberali, alle quali apparteneva anche la dialettica, divennero a quel tempo centri scientifici le università, che fiorirono e prosperarono rapidamente, specialmente quelle di Bologna, Parigi e Oxford. Il grande numero e la varietà degli scolari e dei maestri recarono loro una vita ricca e promossero la gara. Lo studente doveva esser armato per questa lotta. Perciò occorreva appropriarsi intimamente della materia di studio, così che si potesse opporre una risposta ad ogni attacco. Ciò veniva ottenuto mediante la lectio e la disputatio. Nella lectio il magister spiegava l'autore, cioè, in prima linea, i varî scritti di Aristotele. Poi non soltanto ne commentava alcuni passi difficili, bensì metteva il suo impegno nel riunire l'intero libro in un solido schema, nel suddividere ogni capitolo fino nelle sue più minute parti e nel dare nel modo più preciso possibile il senso, la sententia, dell'autore. A questo lavoro di riproduzione si aggiungeva già fin dai primordî, l'indagine ulteriore delle quaestiones. Con queste il maestro illustrava i problemi che risultavano dal testo. In tempo posteriore erano molto in uso i sommarî, nei quali la materia di studio era brevemente riassunta. Oltre alla lectio c'è la disputatio: il difensore (respondens) e l'attaccante (opponens) illustrano in un discorso e in una replica un problema e le diverse soluzioni possibili esaminate da tutti i lati, finché il magister, che presiede, riassume a sua volta la questione e decide (determinare). Tali disputationes, dalla semplice disputa scolastica fino ai solenni quodlibeta e ad altre pubbliche dispute, costituiscono un carattere essenziale dell'insegnamento della scolastica. Nessuno poteva diventare baccalarius o magister, se non aveva preso parte più volte a queste dispute come respondens oppure come opponens. L'ultima prova era una disputa pubblica, la inceptio. In tal modo si ottenevano una comprensione multilaterale c chiara della materia d'insegnamento e la capacità di cogliere i punti deboli delle proprie prove o di quelle degli avversarî e di rispondere prontamente all'attacco. Un certo pericolo consisteva nel fatto che ci si accontentava facilmente di una risposta puramente dialettica senza penetrare nel nocciolo del problema.

Periodi nella storia della filosofia scolastica. - Senza voler dare un riassunto della storia della filosofia scolastica, ci limitiamo a indicare il lato caratteristico dei singoli periodi, fin dove ciò è oggi possibile, e a nominare alcuni dei più eminenti campioni. La partizione che qui viene proposta fu per la prima volta istituita da Cl. Bäumker ed è oggi quasi universalmente accolta.

1. La prescolastica, all'incirca dall'800 al 1050. I primi secoli dopo la fine della civilta classica, dalla quale provengono Boezio, Gregorio Magno e Isidoro da Siviglia, sono caratterizzati dalla quasi completa mancanza di speculazione filosofica. Residui della cultura e della filosofia classiche si mantennero nelle scarse scuole d'Italia, di Francia e d'Inghilterra. Boezio trasmise specialmente la scienza dialettica, Agostino concetti e problemi metafisici, Gregorio concetti e partizioni della dottrina morale. Il sapere enciclopedico fu trasmesso da Isidoro e più tardi da Beda e da Rabano Mauro. I primi timidi tentativi di speculazione filosofica si ritrovano nel grande riorganizzatore delle scuole franche, Alcuino (morto nell'804). Nella sua opera De fide sanctae et individuae Trinitatis egli tenta di fondare e costruire la teologia con mezzi filosofici. Nello scritto De animae ratione, che è tratto completamente da Agostino e da Cassiano, abbiamo il primo tentativo di una psicologia medievale. Candido da Fulda si arrischiò, appoggiandosi a Cicerone e ad Agostino, a dare una prova dell'esistenza di Dio. Nelle controversie tra Pascasio Radberto (morto circa nell'860) e Ratramno (morto dopo l'868) sull'Eucaristia, e di Ratramno, Godescalco (morto circa nell'868), Giovanni Scoto e Incmaro sulla predestinazione, la dialettica comincia a manifestarsi in più forte misura. L'unica figura eminente è Giovanni Scoto Eriugena (circa 810-877). Egli sopravvisse con le sue traduzioni dello Pseudo-Dionigi e con la sua grande opera principale De divisione naturae. Sino a poco tempo fa si scorgeva nello scritto De divisione naturae la più eminente espressione del monismo e del panteismo medievali. Solamente per merito dei lavori di Gilson e soprattutto di Cappuyns è risultato che Giovanni non era un monista, perché la sostanza divina e la creata sono per lui diverse. Dio sta al vertice di una scala sulla quale sono ordinate le creature a seconda della loro perfezione e vicinanza a Dio. Dio solo è il vero essere; in confronto a lui tutto il creato è come un nulla, ma tuttavia sempre qualcosa; non le cose, ma soltanto le loro idee sono identiche a Dio. Con la sua maniera d'esprimersi esuberante Scoto ha offerto il pretesto all'accusa di panteismo. Egli è anche uno dei più eminenti campioni dell'ultrarealismo nella dottrina degli universali, i quali, secondo lui, hanno un'esistenza reale nelle cose. Ai gradi dell'astrazione corrispondono altrettanti gradi dell'essere. Importante influenza egli ha anche esercitato col suo commento agli Opuscula sacra di Boezio, commento superstite nelle note di Remigio di Auxerre. Per il resto, il sec. IX, il X e in parte ancora l'XI si limitarono a esegesi scolastiche di Boezio, della Logica vetus di Aristotele e ad esercitazioni dialettiche.

2. La scolastica anteriore, dal 1050 al 1200. Essa è contrassegnata esternamente dalla conoscenza della logica completa di Aristotele, evento che esercitò un profondo influsso sul metodo scolastico. Nel dominio della metafisica, che non è ancora nettamente delimitato da quello della teologia, prevale la maniera di pensare agostiniana, che in unione con la dialettica dà impulso a una profonda penetrazione nei problemi. Alcune conoscenze di scienza naturale e di filosofia naturale vengono diffuse, per opera di scritti di platonici e di neoplatonici, specialmente nella scuola di Chartres.

Il trapasso dal periodo precedente è costituito dai maestri erranti di dialettica, i quali insegnavano dappertutto le arti liberali e credevano di poter conquistare, con la loro dialettica, l'intero mondo del sapere. Poiché consideravano la dialettica come un'ultima istanza anche nel dominio teologico, come ad es. Berengario di Tours (morto nel 1088) nella dottrina dell'Eucaristia, trovarono forte opposizione da parte di alcuni teologi, ad es. da parte di san Pier Damiani (m. 1072) il quale diffuse il concetto della filosofia come ancilla theologiae e oppugnò anche la validità universale del principio di contraddizione. Da queste dispute dialettiche si andò sviluppando il problema degli universali che attraversa tutta la scolastica medievale e, a motivo della questione del valore della conoscenza, che vi è implicita, è di importanza decisiva. Vi sono al riguardo due concezioni fondamentali opposte: secondo l'una, realtà ha soltanto l'individuale, e l'universale sta soltanto nella parola, oppure nel concetto psicologico (nominalismo oppure concettualismo). Ne era campione Roscellino da Compiègne (morto circa nel 1125). Secondo l'altra, va attribuita all'universale un'importanza reale (realismo). Nel realismo estremo, conoscenza ed essere si corrispondono completamente, cosicché all'universale viene attribuita anche la medesima maniera di essere nelle cose. Rappresentante principale è, dopo Scoto Eriugena, Guglielmo di Champeaux (morto nel 1122), il quale però trasformò più tardi le sue vedute in una dottrina dell'indifferenza. L'universale non è essenzialmente identico, bensì indifferente nelle cose singole. Campioni di un'ultrarealismo mitigato si trovano molto avanti anche nel successivo periodo. Nel realismo moderato, che fu inaugurato da Abelardo, più in là del quale la scolastica posteriore non è andata, ha una grande importanza la teoria dell'astrazione. L'universale è nelle cose, ma non sciolto dal concreto come è nell'intelletto, bensì realmente identico ad esso. Solamente l'intelletto astraente dà la forma dell'universalità.

Le due figure predominanti della scolastica anteriore sono Anselmo di Canterbury (1033-1109) e Abelardo (1079-1142). Anselmo applicava seriamente la ratio alla teologia (Fides quaerens intellectum). Egli ha accolto e internamente elaborato la dottrina di Agostino. Con l'aiuto di essa egli si arrischia anche a dare una soluzione ai problemi filosofici più profondi come quelli dell'esistenza e degli attributi di Dio, della libertà del volere e dei fondamenti della morale. Nota è la sua prova dell'esistenza di Dio, esposta nel Proslogion, che si fonda sul principio che Dio è l'ente più perfetto che possa essere pensato. Anselmo è il padre della scolastica teologica, in quanto, pur salvaguardando pienamente l'autorità della Scrittura e dei Padri, applicò vittoriosamente la filosofia nella discussione della teologia. Abelardo aprì nuove vie anzitutto nel dominio del metodo. Il suo metodo del sic et non, che aveva già avuto però i suoi precursori, diede la direttiva generale. Con questo metodo, l'autorità viene contrapposta all'autorità, l'argomento razionale all'argomento razionale, allo scopo di trovare una soluzione armonica. Della sua soluzione del problema degli universali è già stato detto. Nell'etica egli agì accentuando il valore dell'intenzione interna e della coscienza. Sebbene la scuola dei Vittorini con Ugo da San Vittore (1096-1141) e Riccardo da S. Vittore (morto nel 1173) abbia importanza soprattutto nel dominio teologico, tuttavia diede forte impulso anche alla filosofia mediante la discussione di problemi psicologici: Riccardo, mediante la dottrina della parte intima dell'anima, che è in immediata relazione con Dio. Nella scuola di Chartres, con Thierry da Chartres (morto circa nel 1150), Bernardo Silvestris, Guglielmo da Conches (morto verso il 1154), Gilberto Porretano (morto nel 1154), suoi più importanti rappresentanti, trovò espressione un indirizzo di tinta fortemente platonica. In esso sembra che sia stato posto a fondamento dell'insegnamento, per la prima volta, l'intero Organo. Oltre ad interessi umanistici, vi si dimostra, per influenza del Timeo di Platone e degli scritti di scienza naturale degli arabi, che lentamente penetravano, uno speciale interesse per i problemi di filosofia naturale e per quelli cosmologici. La teoria platonica delle idee vi ha una grande parte, vi ricompare anzi la dottrina dell'anima cosmica. Guglielmo da Conches rinnova la teoria atomistica di Democrito. Anche gli scritti minori di Boezio vengono commentati con zelo.

3. La scolastica nel suo apogeo, dal 1200 al 1300. La scolastica del sec. XIII rivela due tratti caratteristici: 1. l'accoglimento del materiale aristotelico e neoplatonico, che affluiva da fonti arabe e greche, e il conseguente dibattito critico col nuovo sapere; 2. la tendenza costruttivo-sintetica, che cerca di comporre la materia proveniente da parti tanto distanti fra loro in un sistema unitario. Si fanno valere inoltre aspirazioni apologetiche e parimenti tendenze matematico-naturalistiche. Press'a poco fino alla metà del secolo stanno in prima linea l'apprendimento, la partizione e la spiegazione della materia del sapere, un procedimento sui cui particolari siamo ancora poco in chiaro. Solamente questo si può dire: già prima di Alberto e di Tommaso, Aristotele era diligentemente commentato nella facoltà delle arti, e senza questa attività preparatoria non sarebbe stata possibile la formidabile ascesa della seconda metà del secolo. La penetrazione della filosofia greco-araba, le cui dottrine più d'una volta non erano conciliabili con la fede cristiana, inoltre le lotte contro gli Albigesi, lo stretto contatto con ebrei ed arabi determinarono la necessità della difesa della fede cristiana con i mezzi della pura ragione naturale. Alcune opere di Guglielmo di Aloconia (morto nel 1249) e soprattutto la Summa contra gentiles di S. Tommaso devono a siffatte esigenze la loro origine. Un'apologetica così configurata aveva però necessariamente per conseguenza una chiara distinzione tra ciò che può essere inteso con la pura ragione e cìò che è dovuto soltanto alla rivelazione divina. La filosofia naturale, la metafisica e l'etica aristotelica non penetrarono però in un ambiente vuoto. Per opera del lavoro del sec. XII, fornito principalmente da teologi, le idee agostiniane avevano conquistato ampî dominî anche nella scienza naturale. Queste idee erano però in contrasto con Aristotele in alcuni punti essenziali. Quale posizione conveniva assumere di fronte ad Aristotele? Si formarono al riguardo tre gruppi: il primo volle seguire in tutto Aristotele, specialmente come era stato presentato dai commenti di Averroè. Se una dottrina d'Aristotele era in contrasto con una verità di fede, non si rinnegava questa verità, ma si dichiarava che non la si poteva dimostrare con la ragione, anzi che la ragione non era neppure in grado di dimostrare l'inesattezza dell'opposta sentenza aristotelica. È dubbio ancora se nel sec. XIII qualcuno abbia insegnato la doppia verità nello stretto senso della parola. Dottrine, la cui inesattezza poteva essere affermata soltanto mediante la fede, erano, tra altro, quelle dell'unità dell'anima spirituale in tutti gli uomini, dell'eternità della creazione del mondo, della determinazione previa del volere, della raggiungibilità della beatitudine con le forze della natura. Siffatto atteggiamento preparò il criticismo e in parte lo scetticismo del secolo seguente. I suoi campioni, i cosiddetti averroisti, tra i quali Sigieri di Brabante (morto nel 1282) e Boezio di Dacia (Danimarca), furono violentemente combattuti dai teologi, specialmente da Alberto e Tommaso. Molte proposizioni averroistiche furono condannate nel 1277 dal vescovo di Parigi Stefano Tempier. Il secondo gruppo accolse bensì alcuni particolari della scienza aristotelica, ma dappertutto dove Agostino e Aristotele si contraddicevano, diede la preferenza ad Agostino, perché riteneva che la filosofia di Agostino si accordasse meglio con la dottrina cristiana. Il suo campione più eminente è S. Bonaventura, le cui orme furono seguite da quasi tutta la scuola francescana del sec. XIII. Tra gli arabi e gli ebrei Avicenna e Avencebrol (Ibn Gebirol) erano più accetti a questo gruppo che Averroè, perché gli elementi neoplatonici delle loro dottrine si inserivano più facilmente nell'agostinianesimo. Il terzo gruppo, infine, aderiva, come il primo, alla filosofia della natura e alla metafisica di Aristotele. Ma, a differenza del primo gruppo, abbandona Aristotele o travisa la sua dottrina, quando sembra presentarsi una contraddizione tra il cristianesimo ed Aristotele. Questo indirizzo fu promosso da Alberto Magno (v.) e giunse alla sua più compiuta espressione nella filosofia di Tommaso d'Aquino. Senza dubbio anche in questo gruppo si riscontrano ancora alcuni elementi agostiniani, specialmente nella sua teologia. Dopo alcune titubanze iniziali Tommaso fu seguito dalla scuola dei domenicani e, parimenti con alcune deviazioni nei particolari, da Egidio Romano (morto nel 1316) e da alcuni membri del clero secolare, come Goffredo da Fontaines, che però professava un aristotelismo anche più rigoroso di quello di Tommaso. Una posizione intermedia, che però era più che altro un agostinianesismo travestito aristotelicamente, fu assunta da Enrico da Gand (morto nel 1293). Mentre entrambi gl'indirizzi combattevano in comune l'averroismo, nacque naturalmente tra loro un dissidio, che ebbe la sua espressione nelle condanne di Oxford ad opera di Kilwardby e Pecham e poco dopo nella cosiddetta lotta dei correctoria. Da principio erano tra loro in contrasto specialmente la teoria dell'illuminazione di Agostino e di Bonaventura, che esigeva per la conoscenza evidente e sicura e in generale per la conoscenza di oggetti puramente spirituali una speciale illuminazione divina, e la teoria dell'astrazione di Tommaso, che derivava ogni conoscenza dalla conoscenza sensibile con l'aiuto d'un'astrazione spirituale e dell'analogia. Più tardi stette in primo piano della lotta la dottrina della unicità della forma essenziale. Mentre i seguaci dell'agostinianesimo pretendevano che vi fosse anche nello spirito e nell'anima umana una combinazione di materia e forma e che oltre all'anima spirituale vi fosse nell'uomo per lo meno anche una forma corporea, gli aristotelici più rigidi non soltanto respingevano la teoria che lo spirito fosse composto di materia e forma, ma negavano anche l'esistenza di ogni altra forma sostanziale nell'essere vivente all'infuori dell'anima, che informa immediatamente la materia prima. Forti contrasti vi furono anche nella dottrina del moto del volere e della valutazione dell'intelletto e della volontà. Il più grande merito filosofico del terzo gruppo consiste forse nell'aver messo in luce il valore proprio delle scienze secolari e nell'aver chiaramente distinto i loro dominî e metodi da quelli della teologia, senza portare in conflitto tra loro la filosofia e la teologia.

Entrambi i gruppi hanno in comune la tendenza costruttivo sintetica, che mirava a raccogliere in una grande unità l'intero materiale del sapere. Forse mai questa aspirazione fu così generale e così produttiva come nel sec. XIII. Bonaventura, che per il resto era assolutamente conservatore e rispettosamente ligio alla tradizione, ha in questo campo recato un contributo veramente grande. Alberto coordinò le scienze naturali, la metafisica e l'etica in un grande edificio scientifico. Insuperato è Tommaso, che trasformò anche i più piccoli elementi in modo che entrassero nell'insieme. Fondamenti del suo sistema erano le dottrine aristoteliche di atto e potenza e del moto. A questa tendenza sintetica si devono anche le grandi somme teologico-filosofiche del sec. XIII.

Sebbene l'interesse fosse rivolto in prima linea a problemi metafisici, morali e psicologici - questi ultimi avevano in fondo anche un carattere puramente metafisico - si fecero valere però anche problemi matematici e naturali di natura sperimentale. Alberto Magno sollevò le scienze naturali descrittive a un'altezza che non dovevano superare fino all'inizio dell'età moderna. Grossatesta (morto nel 1253), Ruggiero Bacone (v.) e altri accentuarono l'importanza della matematica e dell'esperimento per la filosofia della natura e diedero nelle loro opere esempî d'un siffatto procedimento. La collaborazione e i contrasti di tutti questi uomini e indirizzi, che erano tutti animati dalla viva fiducia nella forza vittoriosa del pensiero umano, determinarono un così alto livello dell'indagine filosofica quale non è mai stato raggiunto in tale ampiezza, dal secolo classico della filosofia greca in poi.

4. La scolastica tarda, dal 1300 al 1500. Come in altri campi, così anche nella scolastica, i secoli XIV e XV sono caratterizzati dal dissolversi delle grandi sintesi del sec. XIII senza una corrispettiva sostituzione, laddove nell'investigazione di singoli problemi i contributi furono spesso importanti. Uno spirito critico quasi scettico domina l'età. Questo criticismo era preparato dall'averroismo, che per amore di Aristotele aveva dichiarato insolubili alcuni problemi, e dalla dottrina agostiniana dell'illuminazione, che esigeva per la conoscenza sicura ed evidente una speciale illuminazione divina. Per opera del criticismo, la cerchia delle verità accessibili alla ragione fu notevolmente ridotta. La conoscenza certa di alcuni attributi divini, dell'immortalità dell'anima e del suo carattere come forma del corpo, doveva essere inaccessibile alla ragione. Nella cosmologia e nella psicologia l'aristotelismo fu, in punti essenziali, abbandonato a vantaggio di teorie di tinta fortemente agostiniana, tanto più che l'elemento propulsivo era rappresentato da filosofi che stavano sotto l'influsso dell'agostinianesimo. La logica formale, coltivata oltre misura specialmente a Oxford e in Germania, recò qualche contributo alla chiarificazione dei concetti, ma degenerò molto spesso in inutili sottigliezze e logomachie. Fu essa a provocare più tardi lo scherno degli umanisti. In conseguenza della distruzione dei concetti universali ad opera del nominalismo e in seguito alla crisi della vecchia filosofia naturale, l'interesse si volse più al concreto e all'individuale; si cercavano nuove spiegazioni dei dati di fatto osservati. Così si andò preparando il trionfo delle nuove scienze della natura, che fu fortemente favorito dallo studio della matematica. I fondamenti della meccanica e dell'astronomia moderna furono gettati da Buridano (morto dopo il 1358) e da Nicola di Oresme (morto nel 1382) nella facoltà delle arti di Parigi. Caratteristica di questo periodo è infine la definitiva formazione delle scuole filosofiche (e teologiche) che era già stata preparata nel sec. XIII dall'antitesi di aristotelismo e agostinianesimo. I tomisti si mantennero fedeli nelle questioni principali a Tommaso; dopo un'iniziale fioritura, questa scuola decadde presto e non contò molti seguaci al di fuori dell'ordine dei domenicani. I suoi più eminenti campioni furono Hervens Natalis (morto nel 1323) e Giovanni Capreolo (morto nel 1444). All'inizio del sec. XV essa riacquistò maggiore influenza in alcune università, come in quella di Colonia. Molto maggiore importanza ebbe lo scotismo, ch'era molto diffuso nelle università anche al di fuori dell'Ordine francescano. Dalle file degli scotisti provenne la maggior parte dei reales, cioè dei sostenitori della realtà degli universali e della distinctio formalis dello Scoto. La grande maggioranza degli "artisti" era però seguace del nominalismo occamistico, nelle sue varie gradazioni. Accanto a queste scuole e ad alcuni eclettici ci fu nel sec. XV a Parigi e quindi a Colonia la scuola degli albertisti, i quali difendevano alcune dottrine particolari di Alberto e si ponevano in contrasto con i tomisti. Una corrente neoplatonica, che si appoggiava al neoplatonismo greco e arabo diffuso dagli scritti dello Pseudo-Areopagita, dal De causis, dalla Elementatio theologica di Proclo e da parafrasi di Alberto, si fece valere maggiormente nel dominio della mistica. A Padova nel sec. XV rifioriva un averroismo moderato. Queste scuole, che si combattevano violentemente tra loro, recavano il vantaggio che le dottrine controverse venivano chiarite da tutti i lati. A questo vantaggio si contrapponeva però non di rado il grande inconveniente che si dimenticava, per la controversia, la sostanza della questione, si rimaneva su vie segnate e si perdeva la visione dell'insieme e di nuovi problemi.

I grandi campioni della scolastica di quest'epoca, se prescindiamo dai pionieri delle scienze moderne della natura, si trovano al principio del periodo. Giovanni Duns Scoto (morto nel 1308) proveniente dalla scuola francescano-agostiniana, che nel corso del tempo aveva accolto in sé alcuni elementi aristotelici, scosse, con la sua critica spesso penetrante, alcuni pilastri della scienza della natura e della psicologia aristotelico-tomistiche e creò con le sue chiarificazioni una moltitudine di nuovi problemi, che destarono lo spirito critico. Con la sua dottrina degli universali, che rivelava tendenze realistiche estreme, egli diede l'impulso alle dottrine diametralmente opposte di Pietro Aureoli e di Occam. La nuova distinzione di conoscenza intuitiva e astrattiva e l'accentuazione dell'elemento individuale nella conoscenza, operarono sullo svolgimento dell'indagine filosofica nei secoli successivi. La dottrina oggi spesso fraintesa del primato del volere e del bene, favorì, come la riduzione della cerchia razionale a vantaggio della fede, un orientamento mistico. Tuttavia Scoto non è mai stato uno scettico o un fideista. Il suo atteggiamento critico consisteva piuttosto nelle grandi esigenze che poneva a una dimostrazione evidente nei casi singoli, mentre riconosceva pienamente i principî metafisici. Con la dottrina della conoscenza del contingente-futuro nei decreti della divina volontà, che fu poi elaborata compiutamente nella sua scuola, egli è il padre del tomismo moderno. Molto più distruttivo fu Guglielmo di Occam (morto nel 1349 o 1350), cui era vicino nella teoria della conoscenza Pietro Aureoli (morto nel 1322). Egli operò nel dominio della logica formale, aprendo nuove vie per l'epoca successiva, mediante la congiunzione della logica aristotelica e di quella terministica. In quanto ammise l'universalità soltanto nella "supposizione" del concetto per molte cose, egli distrusse la validità oggettiva degli universali e fu così il pioniere del moderno soggettivismo. Nella stessa direzione muove la sua affermazione che la conoscenza intuitiva sia possibile anche senza la presenza dell'oggetto. Una grande parte della psicologia metafisica e della teologia naturale è inaccessibile alla ragione naturale. Viene negata l'interna necessità della legge morale naturale, in quanto l'intera legge morale viene fatta dipendere unicamente dalla volontà di Dio. Queste dottrine dovevano, nelle loro conseguenze e nonostante il loro ossequio alle forme esterne, scalzare l'intero edificio della scolastica. Con tali presupposti era impossibile un ulteriore svolgimento secondo lo spirito della vecchia scolastica.

5. La restaurazione umanistica della scolastica, dal 1500 al 1750. Poiché la storia della filosofia di questo periodo è ancora molto poco nota, si possono tracciare soltanto alcune linee generali. Già dal principio del sec. XVI si preannunciò un rivolgimento. Stanchi della logomachia tra reales e nominales e dell'atteggiamento spesso fantastico e filosoficamente molto superficiale degli umanisti, si tornò ad Aristotele e ai grandi autori del sec. XIII. Tommaso trovò nel Caetano (v. de vio, tommaso) uno splendido interprete; le molte edizioni che ebbero in pochi anni le opere di Scoto, testimoniano di un grande interessamento per la teologia e filosofia scotista. L'impulso decisivo al rinnovamento lo diedero gli Spagnoli, che avevano dimestichezza con lo spirito dell'umanesimo e con la tradizione scolastica parigina. In relazione all'appello degli umanisti a un ritorno alle fonti, fu nuovamente commentato Aristotele, che fu edito ora anche in veste greca. Furono inoltre ripresi largamente i grandi commentatori greci e scolastici. Tommaso sopra tutti ottenne il posto che gli spettava. Tutto lo sforzo era rivolto a stabilire il vero significato del testo. Nella forma dell'esposizione ci si liberò dalla barbarie linguistica dei nominales e degli scotistae e si diede grande importanza a un'esposiziorle sintetica e piacevole. Decisivi furono l'interesse al problema per sé stesso e il sano eclettismo, che dànno a questo periodo il suo speciale carattere. Già Domenico Soto (morto nel 1560) sdegnò di riprendere semplicemente la fisica aristotelico-tomistica, tenne conto e si appropriò dei progressi dei filosofi della natura parigini. La ristrettezza spirituale della scuola è superata. Perciò si cerca, prima di prendere a risolvere un problema, di esporre accuratamente e di valutare i diversi tentativi finora compiuti, per formulare così la propria decisione secondo le ragioni e non secondo la scuola. Davano un esempio in proposito specialmente Fonseca (v.) col suo grande commento alla metafisica, e Suarez (morto nel 1617) con le sue Disputationes metaphysicae. Queste ultime, il prodotto senza dubbio più importante dell'intero periodo, si liberano dal metodo del commento. Esse sono una introduzione sistematica ai grandi problemi della metafisica stessa. La materia viene esaurientemente illustrata da tutti i lati e tutto ciò che fino allora era stato fatto per la soluzione del problema trova la sua valutazione critica. Vastità di sapere, acutezza critica, profondità d'intendimento e piacevolezza nell'esposizione si uniscono in un tutto armonico. Purtroppo la filosofia scolastica non si mantenne a quest'altezza. L'unilaterale accentuazione della scuola e qualche ostilità verso le scienze naturali moderne costituirono nuovamente un ostacolo. In alcuni paesi nel corso dei sec. XVIII questa separazione tra la scolastica e le scienze naturali fu a poco a poco eliminata: tuttavia fece spesso difetto la solida conoscenza dei grandi autori del passato e dei problemi metafisici fondamentali, sicché non si fu pienamente in grado di tener testa ai sistemi antiscolastici moderni. È però ingiustificato dire che la scolastica del sec. XVIII si sia spenta solo per interna debolezza. In seguito alla rivoluzione francese e ai torbidi dell'età napoleonica, la maggior parte delle scuole ecclesiastiche fu annientata oppure condannata a perdere ogni importanza. Così si spense quasi completamente la tradizione scolastica, mentre si ebbe la poderosa ascesa della filosofia moderna. Trascorsero parecchi decennî prima che si riprendessero le deboli fila ancora conservate. Solo lentamente e tra molti ostacoli la neoscolastica poté conquistarsi la sua posizione. Si comprende perciò che la scolastica del nostro tempo abbia bensi in particolari questioni, specialmente nell'indagine storica, nella ricostruzione dei grandi sistemi del passato e nella confutazione di alcuni errori, recato notevoli contributi, ma che in quanto a forza speculativa, nella penetrazione e organizzazione sistematica del materiale scientifico affluente da tutte le parti e nell'esclusione di quanto è diventato inservibile, non abbia ancora raggiunto l'altezza della scolastica del sec. XVI, che ebbe da affrontare compiti simili a quelli della neoscolastica (v. neoscolastica).

Poiché è impossibile dare nei limiti di un articolo una bibliografia anche soltanto relativamente sufficiente, si indicano solo alcuni repertorî: Ueberweg-Geyer, Die patristische u. scholastische Philosophie, Berlino 1928 (la bibliografia più completa della scolastica medievale fino al 1928); M. de Wulf, Histoire de la philosophie médiévale, 6ª ed., Parigi-Lovanio, I, 1934, il II è comparso nel 1936, manca ancora il III (la più completa dal 1928; per il periodo precedente indica le opere più importanti). Informano regolarmente sul sistema e la storia della scolastica le riviste: Recherches de théologie ancienne et médiévale (dal 1929) che ha la più completa bibliografia; Revue des sciences philosophiques et théologiques (dal 1907); Bulletin Thomiste (dal 1924), che informa su quanto ha relazione con Tommaso e il tomismo; Scholastik (dal 1926), bibliografia scelta con giudizî; inoltre Revue néoscolastique de philosophie (dal 1894); Rivista neoscolastica (dal 1909); The New Scholasticism (dal 1926); Sophia (dal 1933) e una serie di riviste degli Ordini con la bibl. degli scolastici dei singoli Ordini.

Sono particolarmente importanti oppure d'interesse generale le seguenti opere:

I: Caratterizzazione: Cl. Bäumker, Geist u. Form der mittelalterlichen Philosophie (1904), in Studien und Charakteristiken zur Geschichte der Philosophie, Münster 1927, pp. 58-100 (fondalentale); M. De Wulf, Introduction à la philosophie néo-scolastique, Parigi 1904; id., Y eut-il une philosophie scolastique au Moyen Âge?, in Rev. néo-scol., XXIX (1925), pp. 5-27. Vedi anche la cit. Hist. de la phil. méd., I; M. Grabmann, Die Geschichte der scholastischen Methode, voll. 2, Friburgo 1909-11; F. Ehrle, Die Scholastik und ihre Aufgaben in unserer Zeit, 2ª ed., Friburgo 1933, trad. it. di G. Bruni, Torino 1935; H. Dieckmann, De revelatione christiana, Friburgo 1930 (sul concetto e il compito della teologia scolastica).

II. Fonti e metodo: 1. Cfr. oltre a Ueberweg-Geyer e a De Wulf, Cl. Bäumker, Die christliche Philosophie des Mittelalters, in Die Kultur der Gegenwart. Allgemeine Geschichte der Philosophie, 3ª ed., Lipsia 1923; A. Jourdain, Recherches critiques sur l'âge et l'origine des traductions latines d'Aristote, 2ª ed., Parigi 1843 (fondamentale); M. Steinschneider, Die europäischen Überstezungen aus dem Arabischen bis Mitte des 17. Jahrh., Vienna 1905-1906; Cl. Bäumker, Die Stellung des Alfred von Sareshel u. seiner Schrift De motu cordis in der Wissenschaft des beginnenden XIII. Jahrhunderts, Monaco 1913; M. Grabmann, Forschungen über die lat. Aristotelesübersetzungen des XIII. Jahrh., Münster 1916; Ch. H. Haskins, Studies in the history of Medieval Science, Cambridge, Mass. 1927; Cl. Bäumker, Der Platonismus im Mittelalter (1916), in Studien und Charakteristiken zur Geschichte der Philosophie, Münster 1928, pp. 139-179.

2. Ch. Thurot, De l'organisation de l'enseignement dans l'Université de Paris au Moyen Âge, Parigi-Besançon 1850 (fondamentale); M. Grabmann, Die Geshichte der schol. Methode, cit.; A. G. Little e F. Pelster, Oxford Theologie and Teologians 1282-1302, Oxford 1934; P. Glorieux, La littérature quodlibétique, voll. 2, Parigi 1925-35; H. Rashdall, The Universities of Europe in the Midlle Age, 2ª ed., voll. 3, Oxford 1936.

III. Periodi: 1. M. Manitius, Geschichte der lat. Literatur der Mittelalters, I, Monaco 1911, II, 1923: E. K. Rand, Johannes Scottus, Monaco 1906; M. Cappuyns, Jean Scot Erigène, sa vie, son œuvre, sa pensée, Lovanio 1933.

2. I. A. Endres, Forschungen zur Geschichte der frühmittelalterichen Philosophie, Münster 1915; M. Manitius, Geschichte der lat. Literatur des Mittelalters, III, Monaco 1931; I. Reiners, Der aristotelische Realismus in der Früscholastik, Bonn 1904; id., Der Nominalismus in der Frühscholastik, Münster 1910; E. Domet de Vorges, Saint Anselme, Parigi 1901; E. Rosa, Anselmo di Aosta, Firenze 1909; B. Geyer, Die Stellung Abaelards in der Universalienfrage, in Bäumker Festchrift, I, Münster 1913; C. Ottaviano, Pietro Abelardo, Roma s. a.; A. Clerval, Les écoles de Chartres au Moyen Âge, Parigi 1895; R. Lane Poole Illustrations of the History of Medieval Through and Learning, 2ª ed., Londra 1920.

3. M. Grabmann, Mittelalterliches Geistesleben, voll. 2, Monaco 1926-1935; Mélanges Mandonnet, voll. 2, Parigi 1030; Mélanges Maurice de Wulf, Lovanio 1934; Aus der Geisteswelt des Mittelalters (Festgabe Grabmann), voll. 2, Münster 1935; A. Masnovo, Da Guglielmo d'Auvergne a San Tommaso d'Aquino, voll. 2, Milano 1930-34; L. Baur, Die Philosophie des Robert Grosseteste, Münster 1917; E. Gilson, La philosophie de Saint Bonaventure, Parigi 1924; B. A. Luycks, Die Erkenntnislehre Bonaventuras, Münster 1923; G. v. Herling, Albertus Magnus. Beiträge zu seiner Würdingung, 2ª ed., Münster 1914; Le Bienheureux Albert le Grand, in Rev. Thomiste, 1931 (quivi M. H. Laurent e M. I. Congar, Essai de Bibliographie Albertinienne); G. Meersseman, Introductio in Opera Omnia B. Alberti Magni O. P., Bruges 1931. Per la bibliografia su Tommaso f. alla voce; F. Ehrle, Der Augustinismus und der Aristotelismus in der Scholastik gegen Ende ders 13. Jahr., in Denifle-Ehrle, Archiv für Literatur- u. Kirchengeschichte des M. A., V (1898), pp. 603-635; id., L'Agostinismo e l'Aristotelismo nella Scolastica del sec. XIII, in Xenia Thomistica, voll. 3, Roma 1925, pp. 517-601; id., Der Kampf um die Lehre des hl. Thomas von Aquin in den ersten fünfzig Jahren nach seinen Tode, in Zeitschr. für kath. Theol., XXXVII (1913), pp. 266-318; P. Mandonnet, Siger de Brabant, 2ª ed., Lovanio 1911; M. Grabmann, Der lateinische Averroismus des 13. Jahrh. u. seine Stellung zur christl. Weltanschauung, Monaco 1931; A. G. Little, Roger Bacon. Essays, Oxford 1914 (con bibliografia); R. Carton, L'expérience physique chez Roger Bacon, L'expérience mystique de l'illumination intérieure chez R. B., La synthèse doctrinale de R. B., voll. 3, Parigi 1924.

4. C. Michalski, Les sources du criticisme et du scepticisme dans la philos. du XIVe siècle, Cracovia 1924; id., Le criticisme et le scepticisme dans la philos. du XIVe s., ivi 1926; id., Les courants critiques et sceptiques dans la philos. du XIVe s., ivi 1927; P. Duhem, Études sur Léonard de Vinci, voll. 2, Parigi 1906-1913; id., Le système du monde, voll. 5, Parigi 1913-1917; B. Hauréau, Hervé de Nédelec, in Histoire littéraire de la France, XXXIV (1915), pp. 314-351; I. Koch, Durandus de S. Porciano, Münster 1927; G. Meersseman, Geschichte des Albertismus, voll. 2, Parigi-Roma 1933-1935; B. Landry, Duns Scot, Parigi 1922; E. Longpré, La philosophie du B. Duns Scot, Parigi 1924; C. R. S. Harris, Duns Scotus, voll. 2, Oxford 1927; R. Dreiling, Der Konzeptualismus in der Universalienlehre des Franziskanerbischofs Petrus Aureoli, Münster 1913; P. Doncœur, Le nominalisme de Guillaume d'Occam, in Rev. néo-scol., XXIII (1921), pp. 5-25; F. Federhofer, Die Philosophie des Wilhelm von Ockham im Rahmen seiner Zeit, in Franziskanische Studien, XII (1925), pp. 26-48; G. Ritter, Studien zur Spätscholastik, voll. 2, Heidelberg 1911-1922; F. Ehrle, Der Sentenzenkommentar Peters von Candia, Münster 1925 (tratta del nominalismo e dello scotismo e della lotta tra reales e nominales).

5. F. Klimke, Institutiones historiae philosophiae, Roma 1923 (dà un'ampia bibliografia); R. de Scoraille, François Suarez, voll. 2, Parigi 1913; M. Grabmann, Die Disputationes Metaphysicae des Franz Suarez in ihrer methodidischen Eigenart und Fortwirkung, in Mittelalterliches Geistesleben, I, Monaco 1926, pagine 524-560; P. Petersen, Geschichte der aristotelischen Philosophie im protstantischen Deutschland, Lipsia 1921; R. Iansen, Philosophen katholischen Bekenntnisses in ihrer Stellung zur Aufklärung, in Scholastik, XI (1936), pp. 1-51.

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