Scolastica

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scolastica Complesso dei metodi e dei contenuti dell’insegnamento nelle scuole medievali, dalla fine del mondo antico al 14° secolo.

Caratteri generali

Il termine, derivato dal latino medievale scholasticus (colui che, come maestro o discepolo, opera nella schola, oppure, come termine ufficiale, colui che ha la responsabilità del suo funzionamento), sta comunemente a indicare il complesso del pensiero filosofico e teologico medievale dell’Occidente latino, dal 9° sec. agli inizi dell’Umanesimo e del Rinascimento, epoca in cui assunse una connotazione negativa conservatasi nel tempo. Infatti, la polemica condotta dagli umanisti in nome di un ideale di cultura e di organizzazione del sapere in consapevole contrapposizione all’epoca immediatamente precedente li indusse a sottolineare, assolutizzandolo, l’aspetto a loro avviso più negativo della cultura medievale: la fedeltà pedissequa ad alcuni testi assurti al rango di indiscutibili auctoritates. L’origine polemica ha segnato la fortuna del termine, che ha poi acquisito anche, sino alla storiografia degli inizi del 20° sec., l’accezione di filosofia in cui il pensiero razionale si pone a sussidio della fede religiosa fondata sulla rivelazione.

Se, a partire dalla enciclica Aeterni Patris di Leone XIII (1879), pensatori e studiosi cattolici hanno cercato di mettere in luce gli aspetti metafisici della speculazione filosofica medievale, è tuttavia merito della storiografia più moderna aver rivendicato al Medioevo una essenziale pluralità nella ricerca filosofica, una ricchezza e una varietà nella speculazione dei maestri che sfuggono a ogni tentativo di ridurle a uniformità. Queste ricerche tendono sempre più a porre in risalto l’apporto delle altre filosofie medievali, la filosofia araba e quella ebraica, che non solo condizionarono, attraverso la mediazione linguistica, la conoscenza della filosofia greca, ma recarono contributi originali che influirono fortemente sul progresso del pensiero occidentale.

Aspetti peculiari della riflessione filosofica e teologica del Medioevo sono la sua costante fedeltà a metodi di insegnamento e di apprendimento determinati, il commento, la riflessione e la discussione dei testi. Lectio e disputatio sono all’origine della scuola e dell’università medievali, nel riconoscimento della varietà delle conclusioni cui tale metodo, almeno dal punto di vista filosofico, poteva condurre. La scuola, quindi, diventa centro propulsore dell’attività culturale, poiché essa è primariamente educazione alla comprensione e divulgazione di testi, filosofici o scritturali, i primi risultato dell’attività razionale dell’uomo, gli altri di per sé veri ma da cogliere in una dimensione comprensibile alla mente umana. Infine, per quanto in questa attività fondamentalmente interpretativa vengano privilegiati i problemi filosofici e teologici, non deve essere trascurata la considerazione che proprio dal suo interno la s. riesce progressivamente ad allargare, concedendogli sempre maggiore autonomia, il campo d’azione dell’indagine razionale alle scienze della natura e della vita pratica, alla filosofia politica e all’etica.

Dal 9° all’11° secolo

A partire dal 9° sec. si può iniziare a parlare di una teologia scolastica che consapevolmente incorpora al suo interno la filosofia, ritenendola un elemento essenziale per una piena e consapevole adesione alla verità rappresentata dalla rivelazione. Il maggior filosofo dell’età carolingia, Giovanni Scoto Eriugena, utilizzando gli scritti dello Pseudo-Dionigi e dei Padri greci, elaborò un vero e proprio sistema filosofico nel quale, adattando gli schemi neoplatonici del descensus e della conversio di tutte le cose create alla prima fonte dell’essere e del bene, riuscì a offrire un quadro completo delle rationes in virtù delle quali l’universo si presenta come un tutto ordinato. La sua speculazione è fondata sulla ferma convinzione di una necessaria concordanza tra fides e ratio, tra ciò che Dio ha detto direttamente e ciò che, a somiglianza della parola divina, l’uomo può argomentare per ricostruirne il disegno. Individuando la struttura fondamentale dell’universo creato, Scoto crede di poter ripercorrere razionalmente il processo creazionistico, prefigurando al contempo quello salvifico. Questa posizione fu isolata e condannata, per quel richiamo alla recta ratio la quale, si temeva, poteva pretendere di sostituirsi agli enunciati della Sacra Scrittura allorché si avventurava in una rilettura dell’opera divina in termini umani.

La vivace polemica tra dialettici e antidialettici si comprende alla luce dell’ingresso delle tecniche delle arti liberali nella speculazione religiosa, così come la controversia sugli universali vede contrapporsi posizioni che si rifanno ormai a opzioni filosofiche ben precise che, nella loro diversità, accettano comunque il giudizio della ragione. Ne è esempio illuminante l’attività di Anselmo d’Aosta, sia per l’uso di argomenti razionali applicati a singoli, specifici problemi teologici, sia per il tentativo di collegare in maniera sistematica l’agostinismo venato di platonismo che sta alla base del suo pensiero con le istanze filosofiche provenienti dalla frequentazione della logica aristotelico-boeziana.

Il 12° secolo

È questo il periodo di svolta, che ancora appartiene all’Alto Medioevo per i testi che usa e gli strumenti che ha a disposizione, ma che, nello stesso tempo, è caratterizzato dalla consapevolezza della loro esiguità e povertà speculativa, che spinge a ricercare e a trovare nuovi testi e nuovi autori. È il secolo di Abelardo e della scuola di Chartres, delle nascenti scuole logiche parigine. La scuola cattedrale, che prepara la nascita delle università, è pienamente a suo agio nel contesto urbano e sulla base degli scambi di idee e di proposte che la vita cittadina comporta di per sé predispone nuovi modelli di lavoro. L’interpretazione del testo sacro si apre alle nuove esigenze, che sono anche metodologiche, conseguenti a una lettura non acritica dei testi, per cui l’interscambio tra discipline e metodi si amplia e conduce all’applicazione sistematica di termini e concetti filosofici a temi sia teologici sia filosofico-naturali. Le tendenze del nuovo secolo si mostrano nei lavori dei maestri di Chartres, con i quali si assiste al tentativo di leggere e spiegare il mondo naturale e umano non più per il tramite della parola biblica ma secondo rationes reperite dall’ingegno dell’uomo. Il gran libro della natura si sovrappone così al libro della parola rivelata e aiuta a comprenderne le oscurità e il reale significato. In questa direzione fu decisiva l’influenza del Timeo di Platone, tradotto e commentato da Calcidio, e affiancato da tutta una serie di testi che l’Occidente latino conosce per la prima volta e che suscitano il suo entusiasmo: la medicina greca e araba, l’astronomia di Tolomeo, l’astrologia degli arabi e il ‘nuovo’ Aristotele. La vecchia logica tradotta da Boezio sin dalla metà del secolo si completa e si integra con gli altri testi dell’Organon, cominciano a circolare le prime traduzioni dei trattati fisici, etici e metafisici di Aristotele, e il loro impatto complessivo muta radicalmente il contesto culturale latino.

Il 13° secolo

Il momento storico è caratterizzato dalla combinazione di due fattori: la divulgazione delle opere aristoteliche e la nuova struttura assunta dall’organizzazione del sapere con la nascita delle università. L’organizzazione universitaria dell’insegnamento, con la distinzione delle diverse facoltà (arti, medicina, diritto e teologia), se tende a regolamentare in forme rigide i curricula studiorum, le lezioni e le carriere dei maestri, assicura la uniformità e la congrua preparazione di ogni momento della vita culturale e mette ordine nel mondo delle vecchie scuole. Ma il fenomeno culturalmente più significativo del 13° sec. è senz’altro costituito dalla ricezione dell’aristotelismo, e rispetto a ciò si dovrà tener conto almeno di due elementi fondamentali. In primo luogo, il fatto che l’Aristotele che i Latini ricevono e conoscono non è l’originale greco, ma il risultato di una serie di mediazioni linguistiche e culturali derivanti dalla trasmissione attraverso il pensiero arabo e, in parte, ebraico. In secondo luogo, la filosofia aristotelica si presentò come una interpretazione complessiva di tutta la realtà, naturale e umana, che prescindeva da qualsiasi forma di rivelazione.

La complessità di questa ricezione, e le difficoltà che il pensiero di Aristotele incontrò per innestarsi in una tradizione agostiniano-platonizzante, spiegano la grande varietà di posizioni che nei confronti di quelle opere ebbero i vari maestri. Di fronte alla forte presenza platonizzante nell’aristotelismo, particolarmente evidente in filosofi di scuola francescana come Alessandro di Hales e Bonaventura da Bagnoregio, altri maestri, fra i quali Tommaso d’Aquino e, in misura assai minore, Alberto Magno, si espressero a favore di una maggiore fedeltà al testo di Aristotele. Assestatosi sul solido terreno della convinzione del necessario accordo tra fides e ratio, Tommaso promosse una minuziosa esposizione del pensiero aristotelico che ne mettesse in luce la sostanziale profondità metafisica e correttezza scientifica nella descrizione dei fenomeni umani e naturali. Assai presto la posizione filosofica di Tommaso fu fatta propria dall’ordine domenicano e, per es., la sua definizione del rapporto fra anima e corpo fu accolta come dottrina ufficiale della Chiesa. L’ingresso dell’aristotelismo fu un evento culturale di eccezionale importanza, che dette luogo a posizioni estremamente differenziate. Tra queste, non deve essere dimenticata quella che faceva appello all’indagine sulla natura, sulla struttura della realtà fisica e materiale di essa, e alla possibilità di comprenderla per il tramite di un ragionamento o matematico, come nel caso di Roberto Grossatesta, o empirico, come nel caso di Ruggero Bacone. Furono poi proprio questi aspetti della riflessione filosofica che i secoli successivi svilupparono con maggior interesse e successo.

Il 14° secolo

Si tratta di un periodo che potrebbe essere caratterizzato come un momento di riflessione critica sui risultati conseguiti dalla prima assimilazione dell’aristotelismo e dall’applicazione del suo concetto di scienza ai vari campi del sapere. In particolare, la definizione della teologia come scienza, come capacità della ragione umana di articolare un discorso necessario sul divino e sulle verità della fede partendo dal dato naturale, è sottoposta abbastanza presto a una radicale analisi critica dal francescano Giovanni Duns Scoto, il quale si contrappose alla filosofia di Tommaso anche su altri temi. Il motivo di dissenso fondamentale risiede, in Duns Scoto come in Guglielmo di Occam, sul valore da accordare all’esperienza dell’esistenza del singolo, sia in campo gnoseologico sia dal punto di vista ontologico, e alla sua capacità di raccordarsi, come creatura finita, all’incommensurabile onnipotenza e assoluta libertà divina. Entra in crisi la fiducia nella continuità e nella stabilità del rapporto tra fides e ratio, che vengono a disporsi, nel loro reciproco rapporto, su piani diversi. La valorizzazione degli aspetti della speculazione filosofica più legati al mondo concreto dell’uomo, dalla politica alla logica, alla fisica, infine, comporta un nuovo modo di atteggiarsi del pensiero filosofico. D’altro canto, la discussione critica sull’aristotelismo si lega, e non casualmente, con la ripresa del platonismo e del neoplatonismo. Da discussioni di questo tipo emergeranno, anche se soltanto sotto veste di ipotesi, posizioni tendenti a infrangere il mondo chiuso dell’universo aristotelico. Si tratta di tesi che segnano la novità e la ricchezza del pensiero scolastico, novità e ricchezza di cui gli umanisti, al di là delle polemiche strumentali, furono ben consapevoli.

La seconda scolastica

Si definisce così il movimento culturale che ebbe luogo, soprattutto in Spagna e in Italia, nel 15°-17° sec. e si configurò come una ripresa dei temi più cari ai filosofi medievali, senza ignorare però le conquiste operate dalla cultura umanistica. I maggiori esponenti della seconda s. furono studiosi come Tommaso De Vio, il cardinale Caetano, autore di un ponderoso commento a Tommaso d’Aquino non privo di influssi dovuti alla dottrina di Duns Scoto, Francesco de Vitoria e Francisco Suárez, ma per quanto notevoli possano essere considerati i loro contributi, essi non riuscirono a modificare l’assetto culturale di un’epoca ormai segnata dalla nuova atmosfera umanistica e rinascimentale né ad apportare un contributo effettivamente nuovo al complesso della s. dei secoli precedenti.

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