LENTULO, Scipione

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 64 (2005)

LENTULO (Lentolo), Scipione

Simonetta Adorni Braccesi

Nacque a Napoli all'inizio del novembre 1525 da Cesare, appartenente a una antica famiglia patrizia. Morto il padre, venne adottato dal nobile campano G.A. Gagliardo, secondo marito della madre.

Nel 1535 entrò nel convento dei frati carmelitani di Napoli, dove nel 1539 divenne professo. Vi rimase ancora tre anni, al fine di studiare teologia e omiletica e ottenere la licenza di predicatore. Nel 1542 si trasferì a Siena e vi rimase fino al 1544, quindi a Ravenna, dove sembra si fosse unito al gruppo dei seguaci del minorita eterodosso Giovanni Buzio da Montalcino. In seguito soggiornò in molte città, tra cui Roma e Ferrara. In quest'ultima città nel 1546 godette della protezione della duchessa Renata di Francia, incline al calvinismo. Un anno più tardi perfezionò gli studi di teologia a Padova, probabilmente presso la scuola del suo Ordine. Nel 1549 partecipò a Venezia al capitolo generale dei carmelitani e ottenne il grado di dottore. In occasione della Quaresima del 1550 tenne la sua prima predica a Caserta.

Verosimilmente la conversione definitiva del L. avvenne intorno al 1552, quando si trovava al servizio del vescovo di Policastro N.F. Missanelli, simpatizzante della Riforma; in questo periodo risulta che esercitasse un'intensa attività di predicazione in modo non del tutto conforme alla dottrina della Chiesa. Per due anni fu segretario o precettore al seguito del barone G.A. Mediano di Cabalino, quindi nel 1555, trasferitosi a Lecce per motivi di sicurezza, iniziò la lettura del commento di Lutero alla Lettera ai Galati di s. Paolo. Dopo pochi mesi fu arrestato e trasferito a Napoli, per essere poi mandato a Roma per ordine dell'Inquisizione, dove subì un processo nel 1556. Probabilmente il L. abiurò formalmente per evitare la pena capitale, ma non si sottrasse alla condanna al carcere perpetuo a Napoli.

Qui, nonostante la detenzione, riprese i contatti con alcuni filoriformati, tra i quali il nobile L. Campilio, che aveva conosciuto a Ferrara. L'anno successivo riuscì a evadere e, dopo un periodo di continui spostamenti che lo condussero fino in Sicilia, si imbarcò, nel 1559, per Genova. Poi proseguì per Ginevra, città dove risulta abitare dal maggio di quello stesso anno. Qui ascoltò le prediche di G. Calvino, ma soprattutto fu accolto in seno alla Chiesa riformata dal ministro Lattanzio Ragnoni, dove fu per un breve periodo insegnante di italiano, e perfezionando la conoscenza delle lingue bibliche e della teologia riformata. Ad agosto rifiutò l'incarico offertogli dalla Compagnia dei pastori di diventare ministro della chiesa riformata di Carignano in Piemonte, ma dopo due mesi si recò nelle valli valdesi per iniziare il suo ministero pastorale ad Angrogna, con la cura anche di S. Giovanni di Luserna, dove iniziò a predicare.

La sua fama di oratore, unita alla penuria di predicatori nelle valli, fu tale che nei primi mesi del 1560 egli si recò a servire anche la chiesa di Carignano e a visitare Villanova d'Asti, dove predicò e battezzò pubblicamente. Alla fine di aprile ritornò ad Angrogna appena in tempo per sfuggire alla persecuzione scatenata nel gennaio precedente dal duca di Savoia Emanuele Filiberto; nel maggio sposò la valdese Maria Guisani, dalla quale avrebbe avuto dieci figli. Per cercare di evitare la guerra, in quel periodo i ministri incaricarono il L. di tradurre in italiano la bozza della Confession de foi des églises réformées de France del 1560, poi conosciuta come Confessione della Rochelle, a cui egli aggiunse una prefazione di proprio pugno, rivolta al duca sabaudo a nome delle chiese del Piemonte. Il L. indirizzò inoltre una lettera all'inviato del duca, Filippo di Savoia, conte di Racconigi, su delicate questioni dottrinali.

Il 26 luglio 1560, durante le trattative, si tenne nel tempio di Chiabazzo una disputa vertente in special modo sul significato della messa e sul dogma eucaristico: si affrontarono il L. e il gesuita A. Possevino, poi il servita Filippo da Castellazzo, e la contesa si trasformò in un vero e proprio attacco personale al pastore protestante. Il L. nel settembre successivo scrisse inutilmente una lettera a Renata di Francia perché intercedesse presso il duca per evitare gli scontri tra le forze sabaude e i valdesi e, nonostante lo scoppio del conflitto, rimase nelle valli fino alla fine dell'anno, quando, espulso con gli altri ministri, si spostò nel villaggio di Pattemouche per mettere in salvo la moglie. Nel marzo del 1561 il L. partì per Ginevra, per cercare rinforzi da inviare nelle valli assediate e per contattare Calvino e Théodore de Bèze. Qui riprese le relazioni con la Chiesa italiana, in particolare con il ministro N. Balbani, e scrisse in latino un rapporto sulla guerra nelle valli, conosciuto come Lettera a un signore di Geneva, pubblicata in Histoire mémorable de la guerre… (testo originale con versione italiana a fronte, a cura di E. Balmas - V. Diena, Torino 1972, pp. 148-161) che inviò al Beza, convincendolo della responsabilità del duca sabaudo nelle persecuzioni verso i valdesi.

Con la convenzione di Cavour del 5 giugno 1561, che consentiva l'esercizio pubblico della religione riformata nelle valli, il L. poté ritornare in Piemonte come pastore di Prali e in seguito di Dronero, nel marchesato di Saluzzo, dove si impegnò a combattere la diffusione delle idee antitrinitarie diffuse da G.P. Alciati. Nello stesso mese venne alla luce, in versione anonima a stampa la citata Histoire mémorable…. Il testo, poi riproposto nuovamente nello stesso anno e nel 1562, presenta affinità tematiche e concettuali sia con la Lettera, pur essendo più dettagliato e di tono più equilibrato, sia con la successiva Historia delle grandi e crudeli persecutioni…, della quale esistono due versioni manoscritte, una, composta tra il 1582 e il 1594, conservata a Oxford (Bodleian Library, Barlow, 8), e l'altra custodita a Berna (Burgerbibliothek, Mss., A.93; ed. a cura di T. Gay, Torre Pellice 1906), che risale al 1595 e fu approntata per una stampa non realizzata.

Grazie a queste tre opere il L. inaugura la storiografia valdese. In particolare nella Historia, che dovrebbe essersi sviluppata da un nucleo composto nello stesso 1561, in seguito integrato con informazioni sugli initia del movimento e sugli eventi tragici verificatisi in Provenza e Calabria, il L. si sofferma ancora su quanto era avvenuto nelle valli durante le persecuzioni sabaude. Nonostante l'impronta propagandistica, riesce a non interpretare gli avvenimenti storici secondo criteri teologici troppo rigidi, trattando per primo dei valdesi in rapporto al concetto biblico di popolo e ponendo l'accento sulla parola di Dio, cui essi devono rispondere. Nel manoscritto bernese, comunque, sono stati eliminati alcuni brani e soprattutto l'intero ottavo libro del documento di Oxford, che conteneva varie critiche ai valdesi, accusati di essere troppo docili nei confronti dei cattolici e poco rispettosi dei pastori, ponendo la questione del loro diritto di resistere con le armi.

La pace delle valli fu nuovamente turbata dall'atto di persecuzione che Emanuele Filiberto emanò il 25 maggio 1565, in seguito al quale, nei primi giorni del 1566, il L. fu allontanato dal Piemonte. L'espulsione si deve probabilmente connettere alla pubblicazione di un polemico Trattato primo delle risposte… di Balbani, rivolto contro il gesuita Possevino e stampato a Ginevra (tip. O. Fordrino) nel 1564. In questo scritto il L. risultava come autore di un analogo precedente libello uscito anonimo, senza luogo né data, ma presumibilmente stampato a Ginevra nel 1561, concluso da una preghiera di intercessione per Possevino e intitolato in un modo che ne riassume efficacemente il contenuto polemico: Brevi risposte ad un certo scritto, che Antonio Possevino mandò ai fedeli Ne le quali si dimostra con l'autorità della parola di Dio, et de gli antichi Padri ch'egli ha mal provato la messa privata, et i voti monastici esser cose degne, che i christiani le accettino, e ricevano…; in questo periodo il L. compose anche un inedito libretto di Risposte secondo la pura et sola parola di Dio alle false ragioni et obiettioni (in Sofismi mondani…, ed. a cura di T. Gay, Torre Pellice 1907) con le quali amici e parenti cattolici avevano dissuaso per lettera sei "poveri fratelli" di Carignano dal recarsi a Ginevra.

Tutto lo scritto è incentrato sull'intransigente apologia della coerenza fra la fede e la vita, e potrebbe costituire una risposta agli argomenti a favore della dissimulazione della propria fede, diffusi in quel tempo nelle valli dal fiorentino D. Baronio. Il L. infatti, in accordo con la teoria di Calvino, proponeva solo l'esilio o il martirio come forme legittime di resistenza all'autorità costituita.

Rifugiatosi prima a Lione e quindi a Ginevra, dopo una sosta a Zurigo da H. Bullinger, nel marzo 1567 il L. prese servizio presso la chiesa di Monte Sondrio, ma anche qui fu osteggiato dalla comunità. Dopo che G. Zanchi lasciò la chiesa di Chiavenna, il L. fu nominato pastore al suo posto nell'agosto dello stesso anno e nel maggio 1568 fu accolto come membro del sinodo retico che si tenne a Zuoz. A Chiavenna egli si trovò ad affrontare, da una parte, il tentativo di Carlo Borromeo di riportare al cattolicesimo gli abitanti della Valtellina e delle valli italofone, dall'altra, il diffondersi in questo territorio, anche a opera dell'umanista siciliano Camillo Renato, di dottrine antitrinitarie e anabattiste. Nel 1570 le autorità politiche dei Grigioni, dietro richiesta dei pastori riformati, tra i quali il L., decretarono che, pena l'espulsione, i cittadini delle terre italiane dovessero professare la fede cattolica o quella riformata svizzera accettata dal sinodo delle chiese retiche.

Tutta la documentazione relativa alla disputa in atto in questo momento per sconfiggere l'eterodossia fu messa per iscritto dal L. nei Commentarii conventus synodalis in oppido Clavenna convocati (Berna, Burgerbibliothek, Mss., A.93.7), che testimoniano ampiamente le caratteristiche del movimento ereticale in Svizzera tra il 1560 e il 1570. In particolare il L. fu fermo nel condannare le concezioni dell'esule Giovanni da Modena, che riproponevano la necessità delle buone opere per la salvezza; soprattutto si impegnò in una polemica personale con il ministro Bartolomeo Silvio, condannato dal sinodo di Coira nel 1570 per avere contestato il decreto di professione di fede, e autore di un libretto manoscritto nel quale asseriva che il magistrato persegue legittimamente solo le azioni e non i pensieri degli imputati. Contro questo libello il L. scrisse una Responsio orthodoxa nella quale attaccava Silvio sotto il profilo teologico e politico, accusandolo di idee anabattiste sui doveri del magistrato verso gli eretici. L'opera, scritta già nel 1570, venne pubblicata dal L. solo nel 1592 a Ginevra (tip. J. Lepreux), dopo una consultazione con i ministri tigurini e con lo stesso Beza. Sembra che il L. nel 1568 avesse scritto anche un opuscoletto dal titolo Della Chiesa di Chiavenna da notarsi le cose che alla giornata si risolvono, non pubblicato e per un periodo conservato a Berna, ma oggi smarrito.

Nel 1575 il L. si recò a Coira per partecipare a un sinodo, in compagnia del lucchese S. Calandrini. Fin dal suo primo insediamento in città intensificò i rapporti epistolari con Thobias Egli, pastore di Coira, e soprattutto con diversi teologi e pastori, sia a Zurigo sia a Basilea, chiedendo loro consigli su questioni teologiche e pratiche della vita della Chiesa, nonché sussidi finanziari per la stampa delle sue opere: tra questi Bullinger, J. Wolf, J. Simler, R. Gwalther, J.J. Grynäus.

In particolare, tramite Egli, il L. inviò costantemente a Bullinger, con frequenza settimanale o quindicinale, veri e propri bollettini con notizie puntuali da tutta l'Europa, che evidenziavano la sua familiarità con la politica internazionale. In alcuni casi il L. commentava gli eventi, come in occasione della salita al trono di Francia dell'ugonotto Enrico di Borbone e della sua successiva conversione alla religione cattolica: se nella prima circostanza il L. scorgeva motivi biblici, avvertendo la certezza della mano di Dio sulla storia del mondo, quando Enrico IV nel 1593 abiurò egli, pur non nascondendo la sua delusione, ricordò che Dio si era servito anche di re pagani per proteggere il suo popolo.

Il pensiero politico del L. emerge inoltre da alcuni libelli tradotti a Chiavenna e attinenti agli avvenimenti collegati con la strage di S. Bartolomeo, quali il veemente Discorso maraviglioso della vita, attioni e diportamenti di Caterina de' Medici… (Berna, Burgerbibliothek, Mss., A.93.8), traduzione inedita di un'anonima e omonima opera in francese, uscita dalla penna di un ugonotto nel 1575, o la Historia dell'uccisioni et horribili crudeltà (ibid., A.89), incompleta e inedita traduzione del De furoribus Gallicis (1573), composto in occasione dell'assassinio di Gaspard de Coligny, da Ernesto Varamundo Frisio. Un'ultima traduzione, anch'essa inedita, di un'opera politica è La copia d'una lettera mandata d'Inghilterra (ibid., A.93.10), il cui originale, pur scritto da un cattolico antielisabettiano inglese nel 1588, si profila di fatto come un'apologia del proprio popolo. Il testo che comunque meglio rappresenta il pensiero politico del L. è la Semplice narratione della vita e morte di Saul e David… (ibid., A.87), attribuibile agli anni 1591-93, nel quale il pastore implicitamente, contro il pensiero di Machiavelli, non riconosce alla politica una morale autonoma, ma vaglia ogni atto politico al giudizio delle Scritture e, pur ritenendo giusto l'intervento del magistrato per quanto riguarda gli affari della religione, mostra di non ritenere principi e magistrati in relazione particolare con Dio.

In questo periodo il L. si dedicò ampiamente alla predicazione; consistenti indizi lasciano pensare che il breve e inedito Discorso della prosperità e adversità costituisca proprio il testo di una predica condotta sul binario parallelo della predestinazione divina e della necessità del ravvedimento personale. A proposito della formazione culturale e teologica dei fedeli, il L. già nel 1566 a Ginevra aveva elaborato una grammatica italiana per principianti, scritta in latino per superare le differenze linguistiche dei diversi paesi, pubblicata poco dopo da J. Crespin nella stessa città e forse l'anno successivo a Parigi, intitolata Italice grammatices praecepta et ratio, che rappresenta il suo testo di maggior fortuna e circolazione, con ben sedici successive edizioni, anche in inglese e tedesco. Il L., oltre a impartire lezioni private, si adoperò per la fondazione del collegio di Sondrio nel 1582, a dirigere il quale chiamò il figlio di Egli, Raphaël.

Tradusse in italiano, ma non pubblicò, prima il Libro de gli scandali… di Calvino (1550) e poi, forse nel 1594, l'Eccellente discorso della vita e della morte… dell'ugonotto P. Duplessis-Mornay (1575), in cui il tema della meditatio mortis si coniuga con quello della predestinazione (Berna, Burgerbibliothek, Mss., A.88).

Nel 1581 polemizzò con il mercante antitrinitario F. Pestalozzi che si sarebbe convertito nel 1596. In questi anni il L., che tra l'altro si adoperò per liberare correligionari incarcerati dai cattolici, come il mercante G.A. Pero, rispose alla prima delle Lettioni contra il Calvino (1583), composte dal predicatore francescano F. Panigarola, con la sua inedita Confutatione della prima lettione… (ibid., A.93.9), nella quale riassunse l'ecclesiologia riformata, secondo cui la vera Chiesa è guidata dallo Spirito santo e dalla Sacra Scrittura e i veri credenti sono conosciuti soltanto da Dio. Il 15 luglio 1584 il L. terminò il polemico Trattato dell'Anticristo che - radicalmente rielaborato, venne dato alle stampe nel 1596 a Ginevra come appendice dell'opera apologetica di Calandrini, Confutatione delle calunnie - nel quale il L. sostiene che il papa corrisponde all'Anticristo descritto nel Nuovo Testamento, pur astenendosi dall'identificare nel capo della Chiesa romana una figura escatologica.

Fra le opere ritenute minori infine sono compresi i componimenti lirici in lingua italiana, posti all'inizio o alla fine delle opere del L. che, utilizzando ampiamente moduli e schemi petrarcheschi, risultano improntati al più ortodosso calvinismo. Tra questi sono da ricordare il Sonetto a Cristo, posto come incipit della Historia, oltre a varie traduzioni di opere poetiche di Calvino e di Duplessis-Mornay.

Dalla prima metà degli anni Novanta il L. delegò sempre di più le responsabilità pastorali al lucchese Orazio Mei, che gli sarebbe succeduto nel ministero a Chiavenna intorno al 1596. Nel marzo 1597 a Piuro prese parte a un'ultima disputa sul significato della messa, contro il domenicano G.P. Nazari, il giurisperito G. Torriani e due gesuiti. In questo periodo il L. lasciò definitivamente le proprie mansioni e dopo circa un anno fu costretto a letto dall'artrite.

Il L. morì a Chiavenna il 28 genn. 1599.

Fonti e Bibl.: Lo studio principale sul L. è E. Fiume, S. L. 1525-1599. "Quotidie laborans evangelii causa", Torino 2003, a cui si rimanda per la bibliografia. Si segnalano studi ivi non citati: T. Gay, S. L. (note storiche), in Bulletin de la Société d'histoire vaudoise, XXIII (1906), pp. 104-107; T. Balma, Pubbliche dispute religiose alle Valli…, Torre Pellice 1943, pp. 3-5; L. Emery, Vecchi manuali italo-tedeschi…, in Lingua nostra, X (1949), pp. 18 s.; D. Cantimori, Nicodemismo e speranze conciliari…, in Studi storici, II, Umanesimo, Rinascimento, Riforma, Torino 1976, pp. 524-527; J. Picot, La famiglia di S. L., in Boll. della Soc. di storia valdese, 1956, n. 63, pp. 66 s.; S. Rossi, "… the only-knowing men of Europe"…, in Id., Ricerche sull'umanesimo e sul Rinascimento, Milano 1969, pp. 107 s., 121; A. Rotondò, Esuli italiani in Valtellina…, in Riv. stor. italiana, LXXXVIII (1976), pp. 756-791, in partic. pp. 780 s., 785, 789; E. Balmas, Un inedito…, in Boll. della Soc. di studi valdesi, 1983, n. 153, pp. 31-56 (sul Discorso della prosperità…); G. Gonnet, Su un nuovo manoscritto della "Historia delle grandi e crudeli persecutioni" di S. L., ibid., 1987, n. 160, p. 67; The Italian Reformation of the sixteenth century and the diffusion of Renaissance culture. A bibliography of the secondary literature (ca. 1750-1997), a cura di J. Tedeschi - J.M. Lattis - M. Firpo, Modena 2000, pp. 334-336.

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