SCIPIONE lʼAfricano

Enciclopedia dell' Arte Antica (1966)

SCIPIONE l'Africano (Publius Cornelius Scipio Africanus Maior)

M. Borda*

Nato nel 236 a. C. dal console P. Cornelio Scipione e da Pomponia.

Tribuno militare nel 216, edile curule nel 213, ebbe il comando delle operazioni in Spagna contro i Cartaginesi (210). Conquistò Carthago Nova (Cartagena) nel 209, sconfisse Asdrubale Barca presso Baecula (Betica), conseguendo una vittoria decisiva a Ilipa (Alcalà del Rio) nel 206. Tornato a Roma, ebbe il consolato (205). Dopo aver snidato in Sicilia Annibale da Locri, passò in Africa (204) dove cinse d'assedio Utica e, trascorso l'inverno a Castra Cornelia, nel 203 attaccò Siface ed Asdrubale, sconfiggendoli a Campi Magni (Suk el-Kremis) sul Bagrada, e costringendo Cartagine a chiedere la pace. Ripresa la guerra dopo il ritorno di Annibale in Africa, S. lo sconfisse definitivamente a Zama (19 ottobre 202). Tornato a Roma, S. ebbe (199) la nomina a censore ed i titoli di Africanus e princeps senatus. Nel 190 si associò al fratello Lucio nella guerra contro Antioco III di Siria. Morì a Literno nel 183. Aveva sposato Emilia, sorella di P. Emilio, da cui aveva avuto due figli, Publio e Lucio, e due figlie, Cornelia, moglie di Scipione Nasica, e Cornelia, madre dei Gracchi.

Statue e monumenti di S. esistevano sia a Roma che a Literno (Liv., xxxviii, 56), però non anteriormente alla sua morte. Infatti sappiamo che, nel processo del fratello Lucio, Tiberio Gracco lo elogiò per la sua modestia, avendo egli rifiutato tutte le statue che il popolo gli voleva innalzare dopo il suo ritorno dall'Africa (Liv., xxxviii, 56). È poco probabile, perciò, che fra le sette statue dorate dell'arco eretto in suo onore sul Campidoglio prima della sua partenza per l'Asia vi fosse anche la sua. Postuma era certamente la statua onoraria di S. a Literno, abbattuta da un temporale, verisimilmente la statua sepolcrale, poiché con ogni probabilità S. fu sepolto colà, dove morì, non volendo egli avere la sua tomba nell'ingrata città natale (Liv., xxxviii, 53). D'altra parte non vi è alcuna testimonianza, all'infuori di una dubbia notizia di Plinio (Nat. hist., vii, 114), dell'esistenza della salma di S. nel sepolcro gentilizio dei Cornelii Scipiones presso Porta Capena; poteva tutt'al più esservi un cenotafio.

Ma, accanto a questi ritratti ufficiali commemorativi, esistevano ritratti contemporanei, di carattere privato e familiare. Così quello a cui allude Cicerone (Somn. Scip., i), ricordando come Emiliano avesse riconosciuto in sogno suo padre più per il ricordo del suo ritratto che per quello effettivo che ne avesse. Da un ritratto gentilizio derivava certamente quello che si conservava nel tempio capitolino (Liv., xxxvi, 19) probabilmente un busto, che nelle celebrazioni funebri della Gens Cornelia veniva portato nel Foro per l'elogio del defunto (Appian., Hisp., 23; Val. Max., viii, 15). Un ritratto del pari gentilizio di S. era quello inciso su una gemma incastonata nel suo anello, che i censori tolsero dal dito del suo degenere figliolo (Val. Max., iii, 5 T).

Da un ritratto contemporaneo di S. deriva con ogni probabilità l'effigie riprodotta in un denario argenteo coniato dal suo discendente Gn. Cornelio Blasio nel 91 circa a. C., avvalendosi del diritto ottenuto dai monetarî in questo periodo di sostituire nei tipi monetali alle immagini degli dèi i ritratti dei proprî antenati. La testa di S. vi appare di profilo, con la fronte coperta dall'elmo di guerra: un volto magro, glabro, non piacevole, dai tratti duri ed angolosi, dall'aspetto energico e severo: espressione di un liuguaggio formale franco, immediato e disadorno, perciò di una creazione ritrattistica determinatasi in ambiente romano nella prima metà del II sec. a. C. sotto la diretta influenza del realismo ellenistico.

Il ritratto di S. si ritiene esistente in una pittura parietale romana di III Stile, dalla Casa di Giuseppe Il a Pompei (Napoli, Museo Nazionale) che si crede esprima la scena del suicidio di Sofonisba, la sposa di Massinissa (v.), avvelenatasi per sottrarsi alla consegna ai Romani. Ma sull'identificazione pesano gravi dubbî.

Dopo le osservazioni del Dennison e dello Hauser è stata definitivamente abbandonata l'identificazione del ritratto di S. in un tipo scultorio rappresentato da numerose repliche, delle quali le più note sono un busto marmoreo del Museo Capitolino (Stanza dei Filosofi, 49) con iscrizione moderna, ed un busto bronzeo dalla ercolanese Villa dei Papiri (Napoli, Museo Nazionale); tipo caratterizzato dalla moda del capo rasato e da una cicatrice sulla fronte, identificata con quella riportata da S. giovinetto nella battaglia del Ticino. Tutte le repliche di questo tipo sono state in tempi passati ritenute ritratti di S.; ma, a parte la discutibile somiglianza col ritratto monetale e con quello della pittura pompeiana, questo personaggio è identificabile con un sacerdote di Iside, come attestano la rasatura del capo e la cicatrice in forma di tau semitica, entrambe rituali; lo dimostra bene una statua di Monaco di Baviera con testa pertinente di questo tipo ed abito di sacerdote isiaco.

Bibl.: J. J. Bernoulli, Röm. Ikon., I, Stoccarda 1882, p. 32 ss.; W. Dennison, in Am. Journ. Arch., IX, 1905, p. 11 ss.; F. Hauser, ibid., XII, 1908, p. 56 ss.; R. West, Römische Porträtplastik, Monaco 1933, p. 58 ss.; O. Vessberg, in Acta Inst. Rom. Regni Sueciae, VIII, 1941, p. 29, 35; B. Schweitzer, Die Bildniskunst der römischen Republik, Lipsia 1949, p. 76 ss., 80. Pittura pompeiana: Guida Ruesch, n. 1385; G. E. Rizzo, Pittura ellenistico-romana, Roma-Milano 1929, p. 86; P. Marconi, La Pittura dei Romani, Roma 1929, p. 47; O. Elia, Pitture e mos. nel Mus. Naz. di Napoli, Roma 1932, p. 84, n. 193; B. M. Felletti Maj, Catalogo d. Museo naz. Romano. I Ritratti, Roma 1953, nr. 52, 91; G. A. Mansuelli, Catalogo d. Gallerie d. Uffizi. Le Sculture, II, Roma 1961, nr. 26.