SLATAPER, Scipio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 93 (2018)

SLATAPER, Scipio

Roberto Norbedo

– Nacque a Trieste il 14 luglio 1888, da Luigi e da Iginia Sandrinelli, nipote di Scipione Sandrinelli, che fu podestà di Trieste e tra i leader del partito liberal-nazionale. Ebbe quattro tra fratelli e sorelle, oltre a Lucilla, che non superò il primo anno di vita: Gastone, Vanda, Nerina e Guido.

I Sandrinelli vantavano origini venete, mentre il nome Slataper deriverebbe dai termini sloveni zlato (oro) e pero (penna), o da zlatopér (aggettivo: dal piumaggio biondo-oro); la forma onomastica Zlatoper è oggi presente in Slovenia e Croazia. Gli Slataper vennero da Tolmino, nella Slovenia occidentale: fu forse Giacomo Filippo (morto nel 1836) a dar inizio al ramo triestino. Il nipote Luigi, padre di Scipio, commerciò a Trieste in ceramiche e vetro fino al fallimento dell’attività, sedendo più volte nel Consiglio comunale.

Iscritto nel 1899 al liceo classico Dante Alighieri, ebbe come docenti Guido Costantini (latino) ed Emilio Bidoli (tedesco). Interrotti gli studi nel 1903 per una malattia nervosa, trascorse sul Carso un periodo di cura, diplomandosi nell’estate del 1908. Insofferente verso la disciplina scolastica, scrisse sul socialista Il lavoratore (1905) e, grazie a Ferdinando Pasini, poté collaborare a Il palvese e Vita trentina (1907). Con i compagni Marcello Loewy e Guido Devescovi stabilì un lungo sodalizio, e insieme con Giani Stuparich frequentò il socialista Angelo Vivante e il Circolo di studi sociali. Slataper orientò le sue letture sugli autori italiani del tempo (Giosue Carducci) e i ‘postromantici’ tedeschi e nordici, coniugando nella propria formazione patriottismo, socialismo e mazzinianesimo. Tra il 1905 e il 1907 scrisse articoli politico-culturali, saggi letterari, novelle, racconti e il dramma Passato ribelle, ispirato all’amore giovanile per Maria Conegliano. La più durevole relazione con Maria Spigolotto lasciò profonda traccia nella vita e nelle opere di Slataper (Maria è la «buona figliola» del Mio Carso).

Nell’ottobre del 1908 entrò all’Istituto di studi superiori di Firenze, partecipando al movimento studentesco e alle proteste per ottenere nell’Impero asburgico un’università in lingua italiana. Collaborò anche, fino al dicembre del 1909, con il Giornalino della domenica di Vamba. Il terremoto calabro-siculo del dicembre del 1908 lo indusse a partecipare da volontario ai soccorsi.

Nel gennaio del 1909 iniziò a collaborare con La Voce: Trieste non ha tradizioni di cultura fu il primo di una serie di polemici articoli (apparsi tra l’11 febbraio e il 9 settembre 1909; poi riuniti in Lettere triestine: col seguito di altri scritti vociani..., a cura di E. Guagnini, Trieste 1988). In Ai giovani intelligenti d’Italia (agosto del 1909) sostenne l’azione di Giuseppe Prezzolini per un’alta divulgazione e il rinnovamento morale e culturale. Dal 1909 al 1912 la collaborazione a La Voce fu fervida e Slataper fu tra coloro che meglio impersonarono lo spirito vociano; per le sue critiche all’accademismo perse la borsa di studio universitaria e intensificò il lavoro editoriale.

Nel 1910 tradusse, con Loewy, la Giuditta di Friedrich Hebbel e coordinò il numero doppio L’irredentismo. Oggi (collaboratori: Gaetano Salvemini, Benito Mussolini, Prezzolini e i triestini Angelo Vivante, Ruggero Fauro, Alberto Spaini).

Dopo le apprensioni per la malattia della madre (estate-autunno del 1909), rafforzò i legami con le tre amiche triestine: Anna Pulitzer (Gioietta), Elody Oblath (generosa e assai legata a Slataper) e Luisa Carniel (Gigetta). Il 2 maggio 1910 il suicidio di Gioietta lo gettò in uno stato di depressione, da cui uscì rafforzato nei propri ideali di fraternità e solidarietà. A La Voce fu segretario di redazione con funzioni direttive dal novembre del 1911 all’aprile del 1912, quando Prezzolini lasciò la direzione a Giovanni Papini.

A Prezzolini fu legato da profonda amicizia e senso di condivisione, anche se questi finì per disattendere le aspettative nutrite per Lirica, rivista letteraria da affiancare a La Voce; Slataper condivideva il progetto (gennaio-autunno del 1911) con Piero Jahier e Ardengo Soffici, del quale apprezzò la prosa impressionista e lirico-autobiografica. Di Papini ammirava le doti culturali e letterarie, sentendo tuttavia da lui «una specie di stacco» (lettera a Soffici, 8 marzo 1910, Epistolario, 1950, p. 261). L’affinità intellettuale con Giovanni Amendola è provata dalle lettere (dicembre del 1912-agosto del 1914) e dall’adesione di Slataper al Gruppo nazionale liberale di Roma tra il 1914 e il 1915, mentre la corrispondenza con Sibilla Aleramo, che frequentò il gruppo vociano, mostra confidenza e sforzo d’empatia.

Accanto agli articoli di informazione bibliografica, critico-letterari, di riflessione etica (Caratteri, racconti, fiabe e parabole) e d’analisi storico-politica (La Voce, La Riviera ligure, La voce degli insegnanti), nel 1912 pubblicò le lettere di Torquato Tasso e la traduzione dei Diari di Hebbel, promuovendo l’uscita su La Voce di Irredentismo adriatico di Vivante. Negli scritti per l’infanzia Slataper maturò concezioni, temi, figure e stilemi di cui avrebbe fatto largo uso. A partire dalla riflessione sul bimbo fondata sull’estetica di Johann Christoph Friedrich Schiller, Friedrich Wilhelm Joseph Schelling e Benedetto Croce, in tali opere sperimentò la funzione gnoseologica intuitiva del simbolo, propria dell’arte primitiva.

Nel maggio del 1912, dopo un confronto anche agonistico con i vociani, uscì Il mio Carso, che Slataper definì «autobiografia lirica» (lettera a Loewy, 5 gennaio 1911, Epistolario, 1950, p. 41). Il 21 ottobre 1911 a Praga, tappa di un viaggio che toccò Vienna, Dresda e Berlino, aveva concluso una prima redazione dell’opera che aveva inviato in lettura a Prezzolini e Soffici a Firenze, dove, dal dicembre del 1911 a fine primavera del 1912, si era dedicato alla revisione.

Il mio Carso è il racconto in prima persona della vita del protagonista dall’infanzia alla maturità, dai paesaggi carsici e marini alla Trieste del tempo e al suo porto. La poetica, in cui convivono frammentismo, espressionismo e ricerca di equilibrio, trasfigura i dati realistici e autobiografici. Sciolta da cronologia e semplificata nella sintassi la scrittura alterna ricordi, riflessioni e sfoghi lirici; i modelli romantici del romanzo di formazione e della dialettica filosofica ispirano l’architettura, chiusa nel segno di una solidale etica del lavoro.

Dopo una vacanza estiva a Grado, ospite di Biagio Marin, Slataper lavorò a Firenze alla tesi su Henrik Ibsen, laureandosi nel dicembre del 1912. Dimessosi dalla Libreria della Voce e lasciata la rivista, a fine gennaio del 1913 partì per Vienna dove perfezionò il tedesco per l’esame di abilitazione all’insegnamento. Da metà maggio, grazie ad Arturo Farinelli, si trasferì ad Amburgo, come lettore di italiano al Kolonial Institut, dove visse con Gigetta, che sposò a Trieste nel settembre del 1913, fino allo scoppio della guerra (luglio del 1914). Nel maggio del 1914, perfezionata la tesi di laurea, inviò a Farinelli lo studio su Ibsen.

Nell’Ibsen approfondì l’interpretazione e l’interesse per la storia. Illustrando i nessi tra drammi, biografia e contesto storico, vi rispecchiò i problemi dell’Europa del tempo e la propria personale visione tragica della vita: lo rivela la valutazione d’insieme di Ibsen, giudicato incapace di risolvere in una sintesi di arte e azione morale la sua pur acuta percezione della crisi della civiltà europea. L’analisi del realismo ibseniano e il rigore della ricerca sono considerati gli aspetti migliori dello studio, che a volte pecca di contenutismo.

Fatto ritorno a Trieste, nonostante l’isolamento e la censura di guerra, Slataper tenne contatti epistolari (Prezzolini, Amendola). In settembre si trasferì con Gigetta a Roma e iniziò a collaborare con Il Resto del Carlino.

Partito nel giugno del 1915 per il fronte come volontario nei Granatieri di Sardegna, fu ferito dopo pochi giorni a Monfalcone; terminata la convalescenza a Modena e Roma, il 30 settembre fu di nuovo in zona di guerra a Sacile (Pordenone). Promosso sottotenente, si trovò insieme al fratello Guido a Caneva: qui, come scrisse a Gigetta, incontrò «molti che conoscono me, la Voce e il Carso» (Alle tre amiche, 1958, p. 474).

Il 3 dicembre 1915, impegnato come volontario in un’azione sul monte Podgora presso Gorizia, venne colpito a morte a quota 184, detta il «Calvario».

Opere. Salvo pubblicistica e curatele, Il mio Carso fu la sola opera che Slataper pubblicò: Firenze (per i tipi della Libreria della Voce) 1912, 1916, 1918, 1920; Firenze (Vallecchi) 1933 e 1943; quindi, rispettivamente, a cura di G. Stuparich (Milano 1958); di M. Isnenghi (Milano 1980); di M. Milanini con prefazione di C. Cergoly (Roma 1982); di R. Damiani (Trieste 1988); di E. Trevi (Firenze 1995); nonché tradotta in diverse lingue (francese, inglese, tedesco, olandese, ungherese, sloveno e serbo-croato).

L’edizione dell’Ibsen è a cura di A. Farinelli (Torino 1916; poi Firenze 1944, con appendice di documentazione, e a cura di R. Jacobbi, Firenze 1977), mentre la maggior parte degli scritti sono stati curati da G. Stuparich, con occasionali «omissioni e manomissioni» (cfr. G. Baroni, Scipio Slataper a cento anni dalla nasci-ta. 1888-1988, in Otto/Novecento, XII (1988), p. 5), per cui si vedano: Scritti letterari e critici (Roma 1920; Milano 1956); Scritti politici (Roma 1925; Milano 1954); Lettere (Torino 1930); Epistolario (Milano 1950); Appunti e note di diario (Milano 1953); Alle tre amiche (Milano 1958).

Altri testi inediti slataperiani sono apparsi in La Città (1964, n. 1, pp. 45-52, n. 2, pp. 3-11, n. 3, pp. 15-21, nn. 4-5, pp. 33-36 e 44-46, n. 6, pp. 53-72) e rispettivamente a cura di: G. Baroni (Lo spiritismo del Tasso, Esseri, Lo schifoso processo di Zagabria, in G. Baroni, Umberto Saba e dintorni, Milano 1984, pp. 284-297), M. Rusi (Il solidificatore del vuoto e Brand, in Otto/Novecento, XII (1988), pp. 49-67, La pietra nascosta e Il fiume della vita, in Studi novecenteschi, XVI (1989), 37, pp. 49-68) e S. Volpato (Carducci [commemorazione], in Riflessi garibaldini: il mito di Garibaldi nell’Europa asburgica, a cura di F. Senardi, Trieste-Gorizia 2009, pp. 147-153). Nuova edizione ampliata di Confini orientali, a cura di E. Guagnini, Trieste 1986 (1ª edizione, 1915).

Fonti e Bibl.: Le carte di Slataper sono conservate presso l’Archivio di Stato di Trieste (v. R. Norbedo, Il ‘Fondo Slataper dell’Archivio di Stato di Trieste e gli autografi del “Mio Carso”: primi appunti, in Lettere italiane, LVIII (2006), 2, pp. 224-258; E. Drobnich, S. S. e le sue tre amiche nelle carte dell’Archivio, in Quaderni giuliani di storia, XXXI (2010), 1, monografico); l’Archivio e Centro di documentazione della cultura regionale dell’Università di Trieste; il Centro sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia (v. N. Trotta, Notiziario, in Autografo, XXXIX (1999), pp. 187-190). Sulle lettere si veda anche: G. Baroni, Undici lettere di S. S. al “Presidente morale” della “voce” e una risposta, in Otto/Novecento, XII (1988), pp. 7-25; C. Martignoni, S. dentro «La Voce», in S. S. L’inquietudine dei moderni, a cura di E. Guagnini, Trieste 1997, pp. 83-93; M. Cecovini, Due lettere inedite di S. a Guido Devescovi, in Archeografo triestino, s. 4, LX (2000), pp. 367-371; G. Criscione, Intrecci epistolari, in Rivista di letteratura italiana, XXII (2004), 2, pp. 171-179 (lettere di S. Aleramo); A. Camerino, La persuasione e i simboli, 2ª ed. riveduta e ampliata, Napoli 2005, pp. 119-122. Sulla biblioteca: I libri di S. S., a cura di E. Guagnini, Trieste 1989; S. Volpato, La lingua delle cose mute. S. S. vitalissimo lettore, Udine 2008. Bibliografie: Bibliografia italiana su S. S. (1909-1961), a cura di G. Manzini, in Studi goriziani, XXX (1961), pp. 125-156; C. Delcorno, Rassegna di studi su S. (1965-1972), in Lettere italiane, IV (1972), pp. 532-548; A. Benevento, La “fortuna” di S. S., in Id., Saggi di letteratura triestina, Bergamo 1977, pp. 69-94; Id., L’opera di S. e ‘Il mio Carso’. Rassegna di studi (1972-1982), in Nuovi saggi di letteratura triestina, Napoli 1984, pp. 37-53; utile Repertorio bibliografico in E. Coda, S. S., Palermo 2007, ad indicem. Fonti manoscritte e orali di ambito familiare: memoria genealogica ms. di Franco Slataper, Famiglia Slataper (Falzes 2002 - Trieste 2007); intervista concessa a R. Norbedo da Aurelio Slataper, nipote diretto di Slataper (Trieste, 14 ottobre 2017).

Sugli anni giovanili e l’amicizia con Loewy: A. Benevento, La prima amica di S. S., in Nuovi saggi..., cit., pp. 29-35; M. Canauz, S. S. Storia di un uomo e di un poeta di frontiera, Trezzano sul Naviglio 2003; Scipio e Maria: un amore ingenuo. Poesie (1905), a cura di M. Canauz, Trezzano sul Naviglio 2003; A. Quercioli, S. S. a Firenze tra il movimento studentesco per l’università italiana a Trieste l’incontro con Prezzolini (1908-1909), in Trento e Trieste. Percorsi degli italiani d’Austria dal ’48 all’annessione. Atti del Convegno..., Rovereto... 2011, in Memorie dell’Accademia roveretana degli Agiati, n.s., 2014, vol. 2, pp. 285-298. Per temi di interesse biografico v. anche «Voglio morire alla sommità della mia vita»..., Atti delle iniziative per i cento anni dalla morte..., Gorizia... 2015, a cura di L. Tommasini - L. Zorzenon, Trieste 2016 (in partic. pp. 27-52, 107-136). Sull’esperienza fiorentina: G. Baroni, Trieste e «La Voce», Milano 1975, ad indicem. Sul periodo ad Amburgo: D. Schlumbohm, S. S. in Hamburg. Zum 100. Geburtstag des Triestiner Schriftstellers, in Gestaltung - Umgestaltung. Beiträge zur Geschichte der romanischen Literaturen, a cura di B. König - J. Lietz, Tübingen 1990, pp. 355-377; A. Piazza, S. S., lettore ad Amburgo, in I lettori d’italiano in Germania. Atti del Convegno..., Weimar... 1995, a cura di D. Giovanardi - H. Stammerjohann, Tübingen 1996, pp. 109-127. Monografie di riferimento: G. Stuparich, S. S., Roma 1922; A.M. Mutterle, S. S., Milano 1965; S. Campailla, L’agnizione tragica. Studi sulla cultura di S., Bologna 1976; R. Luperini, S. S., Firenze 1977.

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