Scienze della terra

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Scienze della terra

Carlo Doglioni
Johannes Pignatti

Le s. della T. studiano la storia della Terra, ossia le caratteristiche e del pianeta fisico (nascita, evoluzione e sua struttura) e della biosfera (la materia organica, con l'origine e l'evoluzione della vita). Esse trovano fondamentali applicazioni sia nello studio dei rischi naturali quali terremoti, eruzioni vulcaniche, frane, emissioni gassose o radioattive ecc., sia nella ricerca delle risorse, quali l'acqua, i giacimenti minerari, gli idrocarburi, i campi geotermici e così via.

Rispetto al termine geologia, la locuzione scienze della Terra è più onnicomprensiva, proprio per la sua natura multidisciplinare che spazia dalle osservazioni geologiche in situ, allo studio mineropetrografico in laboratorio delle rocce, alle analisi chimiche, ai rilievi geofisici e alle modellazioni fisico-matematiche della Terra. In tale area si raggruppano una serie di discipline che si sono differenziate sensibilmente tra loro, pur mantenendo il comune denominatore dello studio della Terra: la geochimica, la mineralogia, la petrologia e vulcanologia, la geologia strutturale e geodinamica, la geologia stratigrafica e la sedimentologia, la paleontologia e la paleoecologia, la geofisica della Terra solida e della Terra fluida, la geomorfologia, l'idrogeologia, la geotecnica e la geologia applicata nel suo insieme, che spazia dagli studi geologici di supporto alle opere d'ingegneria, alla ricerca di giacimenti minerari e petroliferi, alla geotermia, alla protezione civile e ambientale. In ognuno di questi campi vi è stato un intenso progresso, particolarmente nelle discipline in cui si è avuta una forte acquisizione di nuovi dati. Per es. la teoria della deriva dei continenti proposta da A. Wegener agli inizi del Novecento, ha trovato conferme quando navi oceanografiche hanno cominciato a rilevare le anomalie magnetiche speculari negli oceani di tutto il mondo; grazie alla geodesia spaziale, attraverso la rete GPS (Global Positioning System), i satelliti Lageos e la tecnica VLBI (Very Long Baseline Interferometry), è stato possibile misurare con precisione millimetrica il movimento tra le varie placche che compongono la superficie della Terra. L'insieme di queste informazioni a scala globale è raccolto dalla NASA.

fig. 1

Oscillazioni eustatiche. - La conoscenza della struttura dei margini continentali e delle catene montuose, ha avuto un impulso enorme dai dati reperiti per l'esplorazione petrolifera, grazie alle perforazioni e all'acquisizione di sezioni sismiche a riflessione su vaste aree. Anche grazie a questi dati è stato possibile ricostruire la curva eustatica (fig. 1). L'oscillazione eustatica a scala globale del livello del mare ha diverse origini con lunghezze d'onda variabili. Sono riconoscibili almeno 5 o 6 ordini di eustatismo, con oscillazioni massime fino a 200-300 m. Il primo ha un periodo di circa 250 milioni d'anni: è stato ipotizzato che questo sia il segnale legato al tempo in cui il nostro Sistema solare compie una rivoluzione attorno al nucleo della nostra Galassia. Il secondo ordine, di 10-30 milioni di anni, è invece stato associato all'oscillazione generata dalla maggiore o minore produzione di litosfera oceanica; infatti più è giovane la nuova litosfera oceanica, più essa è calda e rilevata, per cui occupa maggior volume, e genera un innalzamento del livello marino. Quindi i periodi in cui le placche si muovono più lentamente, sono caratterizzati da minore generazione di litosfera oceanica e livello marino più basso. Il terzo ordine di oscillazione eustatica ha lunghezza d'onda variabile tra 0,5 e 3 milioni d'anni, ed è a oggi ignota la sua origine: certi modelli propongono che essa sia legata all'oscillazione dell'asse di rotazione terrestre. È accettato, invece, che il quarto, quinto ed eventualmente sesto ordine di oscillazione del livello del mare siano legati a oscillazioni astronomiche milankoviane, vale a dire dovuti, rispettivamente, all'eccentricità della rivoluzione terrestre (circa 100.000 e 400.000 anni), alla variazione dell'obliquità (circa 40.000-42.000 anni) e alla precessione (20.000-26.000 anni) dell'asse di rotazione terrestre. L'oscillazione eustatica è quindi molto variabile nel tempo, in quanto è la somma di oscillazioni indipendenti, di natura e forma diverse. L'eustatismo, considerato insieme alla tettonica di una regione, in fase di sollevamento e in fase di subsidenza, determina la variazione del livello del mare relativo.

Le oscillazioni eustatiche, tanto positive quanto negative, provocano la costante migrazione degli ambienti sedimentari, come, per es., una spiaggia che avanza nell'entroterra per la salita del livello del mare. Data la natura composita delle oscillazioni e della loro variabilità sia in termini di ampiezza sia di lunghezza d'onda, la stratigrafia ha registrato in maniera diversa gli ordini di eustatismo. Inoltre lo studio della stratigrafia sequenziale è basato sull'analisi dei vari fattori che governano la sedimentazione, quali, per fare un esempio, quello delle facies, della migrazione delle stesse in funzione delle oscillazioni eustatiche come pure dell'apporto sedimentario, della tettonica e del clima. Il mattone della stratigrafia sequenziale è la sequenza deposizionale, che contiene i sedimenti depositati durante un'oscillazione del livello del mare di terzo ordine. Oscillazioni inferiori sono registrate dalle parasequenze. All'interno della sequenza deposizionale sono distinti tre periodi principali: il primo, detto lowstand systems tract, basale, registra l'abbassamento del livello marino, e di conseguenza una maggiore erosione e un apporto sedimentario conseguente, nonché la migrazione verso mare degli ambienti sedimentari; il secondo, transgressive systems tract, invece appare caratterizzato da minore sedimentazione e da una migrazione degli ambienti marini verso terra; il terzo elemento della sequenza deposizionale è l'highstand systems tract, che testimonia un periodo di stazionamento alto del livello marino, in cui le facies tornano a migrare verso mare, ma per trovare spazio per la sedimentazione.

Dinamica e struttura della Terra solida

Nei primi anni del 21° sec. non si conoscono ancora le cause che generano la dinamica terrestre. Ci sono sostanzialmente due scuole di pensiero. La prima, e più diffusa, è quella secondo cui le placche si muovono per il solo effetto della convezione del mantello terrestre, generata dal raffreddamento della Terra. La seconda, si basa invece sugli effetti della rotazione terrestre. È stato dimostrato che il nucleo solido ruota verso est più velocemente a una velocità di 0,3-0,5° per anno. Probabilmente la dinamica terrestre si basa sulla combinazione dei due fenomeni. Il calore terrestre ha un'origine sia primordiale, legata alle prime fasi di aggregazione del pianeta, sia dovuta al decadimento degli elementi radiogenici. La dissipazione del calore per conduzione o per convezione avviene in funzione del numero di Rayleigh, parametro relazionato a significative caratteristiche fisiche del mezzo interessato (gradiente termico, densità, viscosità, diffusività termica, calore specifico e il coefficiente di espansione termica, nonché lo spessore). Maggiori sono la viscosità e la diffusività termica, minore è il numero di Rayleigh e più bassa sarà l'attività convettiva, a vantaggio di quella conduttiva; viceversa, bassa viscosità e bassa diffusività favoriscono la convezione a scapito della conduzione. I modelli convettivi del mantello si distinguono in modelli in cui viene ipotizzato che il movimento della litosfera, e quindi delle placche che la compongono, sia dovuto al trascinamento dal basso da parte del mantello, e in modelli in cui la convezione sia trascinata dall'alto, ossia generata dalla litosfera fredda che in subduzione metterebbe in convezione il mantello sottostante. La convezione nel mantello, inoltre, è stata modellata a strato unico, oppure a più livelli: per es. nel mantello inferiore e nel mantello superiore. Dalla traccia del vulcanismo delle isole Hawaii e della catena montuosa sottomarina Emperor si ricava che la placca pacifica si muove verso O-NO rispetto al mantello sottostante, a una velocità minima di circa 10 cm l'anno. Questa osservazione indica che la litosfera è scollata rispetto al mantello sottostante in accordo con il fatto che il mantello astenosferico, o canale a bassa velocità, tra i 100 e 400 km di profondità e sede dello scollamento della litosfera, è anisotropo. Questa indicazione è ricavata dalla sua anisotropia sismica (maggiore velocità delle onde sismiche in una data direzione), che viene interpretata come una distribuzione parallela dei cristalli di olivina che lo compongono. Le onde sismiche, sia prime sia seconde (P,S) viaggiano infatti più velocemente nella direzione dell'asse lungo dei cristalli. La litosfera è scollata rispetto al mantello, ma rimane aperta la disputa sulla causa di questo movimento differenziale: il trascinamento sottostante del mantello convettivo, o la trazione della litosfera stessa dalle zone di subduzione, ovvero l'oscillazione mareale.

fig. 2

La variazione sul piano astenosferico dell'entità dello scollamento con la litosfera sovrastante può spiegare le variazioni di velocità tra le placche che compongono la superficie terrestre. L'entità dello scollamento è funzione diretta della viscosità dell'astenosfera, che diventa così un parametro essenziale per la comprensione della dinamica terrestre. Infatti la placca pacifica è la più veloce e giace sull'astenosfera meno viscosa della Terra. La maggiore presenza di fluidi nell'astenosfera, o variazioni composizionali o termiche, possono determinare le variazioni laterali della viscosità. Se una placca si muove verso ovest più velocemente di una placca posta relativamente a est, tra le due si apre una zona di rifting (fig. 2). Viceversa se la placca si muove più lentamente verso ovest della placca posta a est, tra le due placche si instaura una zona di subduzione. A scendere nel mantello è sempre la litosfera più pesante, in genere oceanica. Talvolta anche la litosfera continentale può scendere in subduzione, per circa 100-200 km.

fig. 3

La convezione del nucleo esterno liquido si pensa sia la causa del magnetismo terrestre. Lo sviluppo del nucleo solido, che va da 5150 km di profondità al centro della Terra (6371 km), è considerato come un prodotto del raffreddamento terrestre e della segregazione gravitazionale delle leghe di ferro e nichel. Considerando il flusso di calore emesso dalla Terra (30-40 TW, fig. 3), e assumendo che il nucleo solido non contenga significative quantità di potassio che sarebbe in grado di emettere calore radiogenico, l'età di formazione del nucleo solido varia tra 0,5 a 1,5 miliardi di anni. Quindi per buona parte della sua storia, per almeno 3 miliardi di anni, la Terra non ha avuto il nucleo solido. Di conseguenza anche il campo magnetico terrestre, durante questo lungo periodo iniziale, è stato più debole rispetto all'attuale, con una protezione da parte della magnetosfera inferiore riguardo all'irraggiamento radiativo solare. È da notare il fatto che durante questa fase, sulla Terra sono riusciti a svilupparsi esclusivamente organismi unicellulari, e soltanto intorno al periodo della formazione del nucleo solido si sono affermati gli organismi pluricellulari. Il nucleo solido continua a crescere, seppure a ritmi di decimi di mm l'anno; la Terra, fin dai suoi primordi, ha iniziato a differenziarsi al suo interno, con una lenta ma continua precipitazione verso il basso degli elementi più pesanti. La crosta, ma ancor più l'atmosfera, rappresentano la schiuma più leggera di questo processo di differenziazione. All'interno del mantello è stata pure ipotizzata una convezione di carattere irreversibile, cioè un accumulo di materiale denso in condizioni di pressione talmente alta da impedirne un ritorno verso l'alto.

Sulla Terra esistono alcune tracce magmatiche note come punti caldi, e interpretate come sorgenti di mantello in movimento relativo alla litosfera sovrastante. Il più famoso punto caldo è la traccia della catena pacifica Emperor-Hawaii. La sorgente di questi punti caldi è stata in passato attribuita a jet di mantello anormalmente più caldi, in grado di risalire dalla base del mantello inferiore, da 2900 km. Si è tuttavia rilevato che i punti caldi possono avere origini diverse, e profondità di alimentazione molto più superficiale (100-200 km). Per es., concentrazioni elevate di acqua nel mantello abbassano la temperatura di fusione, aumentando quindi la produzione di magma con una temperatura addirittura inferiore rispetto a zone vicine a minore o assente magmatismo. Questo è stato dimostrato in alcune isole vulcaniche atlantiche. Il calore di frizione generato dallo scorrimento della litosfera sull'astenosfera può contribuire a generare anomalie di fusione nel mantello, particolarmente dove questo invece è meno idrato e quindi più viscoso. Anomalie laterali nel mantello possono generare locali concentrazioni di magmatismo come nei punti caldi del Pacifico. Il mantello terrestre, sulla base di modelli geochimici, contiene circa 6-7 volte l'acqua attualmente contenuta negli oceani. Il mantello, tramite il magmatismo, degassa di continuo e alimenta l'idrosfera e l'atmosfera. Contemporaneamente, nelle zone di subduzione la litosfera riporta nel mantello una certa quantità d'acqua.

La Terra, nella sua rotazione quotidiana, è soggetta però anche agli effetti mareali indotti dall'attrazione lunisolare. Tali effetti sono potenzialmente capaci di generare una profonda asimmetria della dinamica terrestre.

fig. 4
fig. 5
fig. 6
fig. 7

L'asimmetria delle zone di subduzione e delle catene montuose relative conferma una componente rotazionale della tettonica delle placche. Infatti le subduzioni dirette verso est come le Ande sono poco inclinate (15°-30°) e poco profonde in termini di sismicità (200-300 km), mentre le subduzioni dirette a ovest come le Marianne sono molto inclinate (60°-90°) e arrivano fino alla discontinuità basale del mantello superiore, a 670 km. Le subduzioni verso ovest presentano a tetto un bacino di retroarco (per es., il Mar Tirreno a causa della la subduzione appenninica, oppure il Mar del Giappone per la subduzione del Pacifico sotto il Giappone). Queste differenze sono imputabili alla deriva mediamente verso ovest della litosfera rispetto al mantello sottostante, cioè il mantello si muove verso est di circa 5 cm l'anno rispetto alla litosfera, determinando subduzioni più inclinate quando sono opposte a questo flusso e viceversa (fig. 4). La catena andina ha alta elevazione morfologica e una fossa relativamente meno profonda rispetto alle Marianne, dove è ridottissima la catena a tetto della subduzione. Nelle catene a tetto di una subduzione diretta a est o nord-est (fig. 5) affiorano rocce cristalline profonde, spesso con chiare indicazioni di metamorfismo di alta pressione (per es. Alpi, Himalaya). Viceversa, nelle subduzioni opposte (fig. 6), le rocce coinvolte dal prisma di accrezione sono per lo più di copertura sedimentaria (per es. Appennini, Carpazi, Barbados, Nankai, fig. 7). Vi sono esempi in cui questa asimmetria non viene del tutto rispettata, come il Giappone, dove la subduzione verso ovest è poco inclinata e poco profonda. Questo caso sembra rappresentare una fase in cui la subduzione sta iniziando a invertirsi.

Un'asimmetria è evidente anche per le zone di rifting dove il fianco orientale è in genere leggermente (100-300 m) più sollevato rispetto a quello occidentale. La spiegazione avanzata per tale asimmetria è che nelle zone di rifting il mantello, fondendo, perde gli elementi che vanno a formare la nuova crosta oceanica. Il mantello residuale è così lievemente più leggero e meno viscoso. Nel suo moto verso est, transitando sotto la litosfera, va a diminuire leggermente la subsidenza termica della litosfera, e quindi per isostasia si trova a una profondità minore rispetto al fianco occidentale. La causa della deriva verso ovest della litosfera è anch'essa ascritta, secondo alcuni, semplicemente alla media della convezione mantellica, per altri, invece, all'effetto rotazionale.

fig. 8

Le conoscenze e i modelli del mantello terrestre hanno avuto una forte evoluzione grazie alle analisi di tomografia sismica. L'analisi delle forme d'onda dei sismogrammi permette di ricavare le variazioni di velocità nel tragitto dei raggi sismici all'interno del mantello, e quindi di ricostruire una possibile distribuzione delle anisotropie interne. Non è chiaro quanto le variazioni di velocità siano legate a variazioni di temperatura e di composizione, per cui l'interpretazione del significato tomografico è tuttora in discussione. Inoltre la tomografia si basa su un modello di velocità di riferimento ad andamento concentrico che in genere viene adottato a priori. Il cambiamento di questo modello di velocità porta a risultati differenti, per cui la tomografia sismica non è ancora arrivata a generare ricostruzioni univoche della struttura del mantello. La considerazione della composizione del mantello è infatti fortemente speculativa: si pensa sia composto principalmente da olivina, ma è discutibile ancora la percentuale di Fe o Mg in essa presente (le cui variazioni sono in grado di generare fondamentali gradienti di densità che possono favorire ovvero sfavorire la convezione). Analizzare il contenuto in elementi incompatibili è una discriminante importante nel loro studio (fig. 8). Tali elementi sono tendenzialmente molto più abbondanti nei magmi delle zone di subduzione rispetto ai magmi generati dalle zone di rifting. Il magmatismo d'arco, generato da slab in subduzione, si trova in proiezione verticale dove lo slab ha una profondità variabile tra 65 e 130 km. La profondità di alimentazione sembra diminuire con l'aumentare della velocità della subduzione. In generale è stato ipotizzato che la deidratazione dello slab metasomatizzi il mantello sovrastante, portandolo a fusione parziale, e che questi fusi alimentino il magmatismo d'arco. Tuttavia non è da escludere anche una componente meccanica come il calore di frizione, visto che il magmatismo d'arco è anche più abbondante dove la velocità di subduzione aumenta.

La geochimica isotopica permette di discriminare tra i diversi tipi di magmi e di mantello. Una serie di acronimi descrivono le diverse tipologie di magmi e di mantello riconosciuti: basalti di dorsale medio-oceanica (MORB, Mid-Oceanic Ridge Basalts), il più diffuso; basalti di isola oceanica (OIB, Oceanic Island Basalts); basalti intraplacca (WPB, Within Plate Basalts); magmi tholeitici (TH, Tholeiitic magmas), tipici di rifting oceanico; magmi di arco oceanico (IAB, Island Arc Basalts); magmi calcalkalini (CA, Calc-Alkaline magmas) e shoshonitici alti in K, di ambiente subduttivo, nonché andesiti con alto contenuto in MgO (HMA, High Mg Andesite). Per la classificazione dei magmi si utilizzano inoltre frequentemente le seguenti tipizzazioni: elementi ad alta forza di campo (HFSE, High Field Strenght Elements), rappresentati da Ta, Hf, Ti; elementi litofili a largo raggio ionico (LILE, Lithophile Light Elements); elementi mobili fluidi (FME, Fluid Mobile Elements); mantello MORB impoverito (DMM, Depleted Morb Mantle); mantello primitivo (PM, Primitive Mantle); mantello arricchito 1 (EMI, Enriched Mantle type 1), contaminato da sedimenti portati in subduzione; mantello arricchito 2 (EMII, Enriched Mantle type 2), contaminato da crosta inferiore femica portata in subduzione; mantello ad alto rapporto 238U/204Pb, (HIMU), contaminato da crosta oceanica. Vari elementi come il boro 11 o il berillio 10 sono utilizzati come traccianti di crosta oceanica alterata o di sedimenti oceanici che possono essere riciclati in zone di subduzione.

La geochimica isotopica, attraverso la variazione nel tempo dei rapporti degli isotopi 87Sr/86Sr nell'acqua di mare, permette di avere un nuovo indipendente metodo di datazione assoluta delle rocce carbonatiche descrivendo una curva di riferimento. I gusci di fossili, per es., hanno registrato il rapporto isotopico dello stronzio dell'acqua di mare al momento della loro deposizione.

Per le rocce magmatiche e metamorfiche sono utilizzati metodi radiometrici in cui viene misurato il rapporto tra elementi genitori ed elementi figli. Ogni elemento radiogenico si trasforma in un altro elemento con un caratteristico tempo di dimezzamento. Per datare le rocce, in funzione dei caratteristici tempi di dimezzamento, vengono utilizzati rapporti tra elemento genitore e figlio diversi, come per es. 238U/206Pb, 235U/207Pb, 232Th/208Pb, 40K/40Ar, 87Rb/87Sr, 40Ar/39Ar, 147Sm/143Nd, 14C/14N. L'uranio 238, che si trasforma in piombo 206, con il tempo di dimezzamento di 4500 milioni d'anni, ha permesso di calcolare l'età della Terra.

La variazione degli isotopi 18O e 13C permette inoltre di studiare le variazioni della temperatura sulla superficie terrestre nel tempo. Lo studio delle emissioni di radon, di CO2 e di altri gas, oltre a fornire nuove informazioni sulla struttura profonda della crosta e del mantello terrestre, contribuisce a mappare aree potenzialmente dannose per la salute.

Concentrazioni di metano sono state osservate in vari margini continentali, dove grazie alla pressione esercitata dal carico delle rocce sovrastanti, può generare assieme all'acqua delle macromolecole note come clatrati, ben riconoscibili per la loro diversa impedenza acustica in prospezioni di sismica a riflessione.

Teorie sull'origine ed evoluzione della Terra e delle sue componenti

La ricostruzione più accettata è che la Terra sia nata circa 4,5 miliardi di anni fa quando una nuvola gassosa rotante, residuo dell'esplosione di una supernova e della condensazione di idrogeno ed elio, formarono il Sistema solare. La Terra, terzo pianeta, ha subito nei primi periodi della sua aggregazione di materia (i cosiddetti planetesimi) un forte bombardamento meteoritico iniziale, rarefattosi successivamente. La Terra ha avuto nel tempo una differenziazione interna in cui gli elementi più pesanti sono scesi a formare il nucleo terrestre, mentre quelli più leggeri sono saliti nelle parti alte del pianeta, a formare il mantello, la crosta terrestre e infine l'atmosfera.

La crosta terrestre, dall'inizio della storia della Terra, è in continua trasformazione a causa di movimenti che la fanno, da un lato, consumare (nelle catene montuose) e, dall'altro, ricreare (nelle dorsali oceaniche). La mobilità della superficie terrestre è la causa dei terremoti, ma anche dell'attività vulcanica, le cui emissioni gassose hanno generato e ancora continuano ad alimentare l'atmosfera. La vita sulla Terra, di cui si hanno tracce da circa 3,8 miliardi di anni, è consentita per una serie di fattori casuali concomitanti: la presenza dell'atmosfera, che è dovuta al degassamento del mantello terrestre; una radiazione solare, variabile nel tempo, che determina la finestra termica e l'effetto serra generato da gas dell'atmosfera che trattengono una parte del calore del Sole (scongiurando temperature che sarebbero troppo basse); il campo magnetico generato dal nucleo, il quale protegge dal vento solare; quello gravitazionale né troppo alto, né troppo basso; la presenza degli elementi chimici quali idrogeno, azoto, carbonio, ossigeno ecc., i cui composti formano le basi della vita, gli aminoacidi.

Oscillazioni dell'asse di rotazione terrestre e variazioni astronomiche in generale, assieme a impatti meteoritici, a periodi di accentuate effusioni magmatiche, e a oscillazioni del campo magnetico terrestre, hanno mantenuto il clima in una condizione di evoluzione permanente, modificando la temperatura sulla superficie terrestre e, quindi, determinando oscillazioni cicliche della CO2, del livello dei mari, e così via. La minima variazione di uno solo di questi parametri determina una profonda variazione delle condizioni di vita. Il sistema è quindi di tipo caotico.

Particolarmente degni di nota sono alcuni sviluppi recenti delle s. della T. che coinvolgono competenze proprie di numerosi settori diversi. Con l'estensione al passato delle complesse interazioni attualmente osservabili tra le varie componenti del sistema terrestre (litosfera, atmosfera, idrosfera e biosfera, in aggiunta alla cd. antroposfera), si è andata affermando la tendenza a un'interpretazione dell'evoluzione della Terra che si basa su sintesi di contributi tradizionalmente oggetto di singole discipline delle s. della T., a cui si affiancano in misura crescente conoscenze e modelli sviluppati in altri campi scientifici, fra cui la fisica, la chimica e la biologia. Accanto a settori di intersezione tra campi scientifici diversi (alcuni dei quali, come la paleoclimatologia e la paleoceanografia, hanno visto uno straordinario sviluppo), casi paradigmatici riguardano, per es., gli eventi globali (fra cui le estinzioni di massa, gli effetti dell'impatto di corpi extraterrestri, i periodi di grandi effusioni magmatiche e le conseguenti modificazioni climatiche, gli eventi anossici oceanici, i cambiamenti nel chimismo delle acque marine determinati da variazioni nei tassi d'espansione delle dorsali oceaniche, le variazioni eustatiche, la radiazione cambriana ecc.), le variazioni del chimismo dell'atmosfera nella storia geologica, i fenomeni ciclici derivanti dalla periodicità dei moti millenari della Terra, e infine l'applicazione dei modelli dei sistemi autoorganizzanti al sistema terrestre.

L'esempio forse di maggiore rilevanza di collaborazione multidisciplinare i cui risultati hanno profondamente influenzato tutte le s. della T. è rappresentato dai progetti dei consorzi scientifici internazionali DSDP (Deep Sea Drilling Project) e anche ODP (Ocean Drilling Program), che con oltre 1000 siti perforati dagli anni Settanta hanno permesso di esplorare e campionare parti della crosta in precedenza inaccessibili.

Altro riflesso della cooperazione scientifica di numerosi settori delle s. della T., realizzata grazie a organi di coordinamento internazionale, è la standardizzazione, via via crescente, della nomenclatura geocronologica-cronostratigrafica mediante la tipificazione dei limiti degli intervalli geologici tramite sezioni stratigrafiche e punti repere standard (GSSP, Global Stratotype Sections and Points), ratificati in vari congressi geologici internazionali. La definizione oggettiva di tali intervalli geologici e la correlazione delle successioni sedimentarie, in special modo quelle marine, con scale stratigrafiche indipendenti e sempre più dettagliate (per es., biostratigrafia, magnetostratigrafia, ciclostratigrafia, stratigrafie isotopica e sequenziale, e ancora tefrostratigrafia stratigrafia , chemiostratigrafia ecc.) contribuisce alla crescente stabilità e universalità del linguaggio nelle s. della T., con profonde implicazioni generali. Del pari, alle calibrazioni di tali limiti ottenute attraverso metodologie differenti, fa riscontro, soprattutto a partire dall'ultima decade del 20° sec., una significativa stabilizzazione delle scale numeriche del tempo geologico, grazie a tecniche radiometriche sempre più accurate; ciò ha comportato profonde variazioni rispetto alle conoscenze precedenti: per es., il limite Precambriano-Cambriano, stimato a 542≷/″1 milioni di anni fa, risulta assai più recente di quanto postulato pochi decenni or sono, in cui veniva posto a circa 570 milioni di anni fa.

D'altro canto, contrariamente a tali tendenze di sintesi e di interazione tra campi scientifici diversi, nel loro recente sviluppo storico le varie s. della T. manifestano anche una tendenza opposta, ovvero quella della frammentazione specialistica, che investe anche la ricerca di base. Così, per es., la paleontologia, che indaga la storia degli organismi del passato e che rappresenta l'intersezione tra le scienze della vita e quelle della Terra, bene illustra alcune delle tendenze in atto. Tra esse, in primo luogo la settorializzazione derivata da enfasi su temi di ricerca quali la sistematica degli organismi studiati (da cui deriva, per es., la distinzione tra paleontologia degli invertebrati, paleontologia dei vertebrati, paleobotanica ecc.), la taglia degli organismi (micropaleontologia) o l'intervallo geologico oggetto di studio (paleontologia del Neoproterozoico). Una seconda tendenza è lo quella dello sviluppo di tematiche a elevata valenza applicativa (biostratigrafia) per numerosi campi (fra cui la cartografia geologica e la prospezione degli idrocarburi e dei fondali oceanici); una terza tendenza riguarda la stretta dipendenza da specifiche metodologie d'indagine legate a sviluppi tecnologici (come la cosiddetta paleontologia molecolare, che si avvale dei metodi della genetica molecolare applicati ai fossili). Infine, si deve evidenziare una netta accelerazione nel passaggio da aspetti descrittivi (paleontologia sistematica) all'analisi di modelli e di processi (paleoecologia), anche su basi quantitative (paleontologia evoluzionistica, paleobiologia).

Tra i grandi temi affrontati dalle s. della T., un ruolo centrale riguarda la risposta delle varie componenti del sistema terrestre alle perturbazioni ambientali a scala globale e regionale, alla luce della percezione della crisi attuale della biodiversità legata a fattori antropici e alla vulnerabilità della biosfera. Particolare sviluppo hanno dunque i settori delle s. della T. i quali studiano il tardo Quaternario e in particolare l'Olocene, come chiave per la comprensione dei cambiamenti climatici futuri. Inoltre, la storia più antica della Terra offre una prospettiva temporale estremamente lunga, rispetto a quella oggetto di altre discipline, che si rivela essenziale per poter interpretare le dinamiche in atto e ipotizzare le tendenze future. Un gran numero di studi dimostra gli effetti nella storia geologica di cambiamenti di varia entità e a scale temporali diverse, qualche volta assai rapidi, testimoniati da tettonica globale, fenomeni climatici, variazioni nel chimismo e nella circolazione degli oceani e dell'atmosfera, impatti di meteoriti o asteroidi, attività vulcanica e radiazioni evolutive, migrazioni ed estinzioni degli organismi.

fig. 10

Il registro fossile, nonostante vincoli e limitazioni (esso è basato su oltre 40.000 generi e 7000 famiglie per circa 250.000 specie fossili sinora descritte, che certamente rappresentano solo una minima parte di quelle che vissero in passato), costituisce un elemento essenziale per interpretare la risposta a lungo termine della biosfera alle perturbazioni fisico-chimiche. Nell'ultimo decennio del 20° sec. sono state completate due grandi sintesi indipendenti di dati tassonomici e stratigrafici a livello tassonomico supraspecifico, che hanno permesso una stima quantitativa della biodiversità nel passato, espressa come numero di entità a un dato livello sistematico (genere, famiglia, ordine) per intervallo di tempo geologico (fig. 10). Per gli invertebrati marini a guscio o scheletro mineralizzato, il modello ricavato dal paleontologo J.J. Sepkoski ha evidenziato negli ultimi 600 milioni di anni della storia della Terra sei estinzioni di massa maggiori (Cambriano medio, Ordoviciano superiore, Devoniano superiore, Permiano-Triassico, Triassico superiore e Cretaceo-Terziario) e varie estinzioni minori. La crisi biologica di entità maggiore fu quella del tardo Permiano; il modello evidenzia differenti durate, ampiezze e tassi di estinzione per tali crisi biologiche e i tempi necessari al ristabilimento degli ecosistemi marini. In un differente modello per l'intera biosfera basato sulla distribuzione di oltre 7000 famiglie note allo stato fossile, ricavato dal paleontologo M.J. Benton, la diversificazione della vita sulla Terra appare seguire un andamento esponenziale, sia pur con perturbazioni in corrispondenza a eventi di estinzione di massa.

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