Scienza

Enciclopedia Dantesca (1970)

scienza (scienzia; iscienzia)


Il termine, in D., designa in primo luogo il " possesso di conoscenza certa ", ma indica anche la quantità acquisita di tali conoscenze, nel significato più generico di " sapere ", " dottrina "; esso designa inoltre ogni " disciplina " in quanto corpo sistematico di conoscenze, dotato di oggetto e contenuti propri. In ogni caso ciò che denota la conoscenza propria della s. è la certezza del suo oggetto e il perfetto possesso del fondamento intelligibile di esso.

È questa infatti la definizione di s. che è data in Cv IV XII 12 Che sia perfetta [la scienza], è manifesto per lo Filosofo nel sesto de l'Etica, che dice la scienza essere perfetta ragione di certe cose, dove D. riprende Aristotele (cfr. Eth. Nic. VI 3, 1139b 31-34 ma, meglio, il commento ad locum di Tommaso e Anal. post. I 33, 88b 30 ss.) per affermare che la s. si realizza attraverso un rigoroso procedimento razionale (cioè quello sillogistico) - che è al tempo stesso conoscenza delle vere cause (perfetta ragione) - e trova fondamento nella certezza di ciò che costituisce il suo oggetto (certe cose). La s. assolutamente vera, oltre che costituita da principi propri (cfr. Quaestio 21), ha infatti per oggetto l'universale e il necessario, vale a dire ciò di cui non è possibile o il contrario o la non esistenza. A questi elementi fa ancora appello D. nel definire la s.; in Cv II XIII 30, a proposito dell'Astronomia, considerata come la più alta delle s., egli ricorda: sì come dice Aristotile nel cominciamento de l'Anima [I 1, 402 a 1], la scienza è alta di nobilitade per la nobilitade del suo subietto e per la sua certezza. La gerarchia delle s., quale veniva elaborandosi nel XIII secolo sulla base dei principi della filosofia aristotelica, si fondava appunto sulla certezza e nobiltà dell'oggetto di ognuna di esse, per collocare ciascuna al grado confacente alla propria eccellenza. Nobiltà e certezza dell'oggetto costituiscono quindi la nobiltà e la certezza della s. stessa, e ne definiscono così la posizione nel cosmo del sapere. In Cv II I 12, D. ricorda peraltro come 'l dimostrare sia edificazione di scienza, riferendosi in questo caso a ciò che fonda la s. come ‛ perfetta ragione ', cioè al procedimento dimostrativo realizzato dal metodo sillogistico-deduttivo della filosofia aristotelica. Di qui il valore simbolico della scrittura di ogni s. (in ciascuna scienza la scrittura è stella piena di luce, la quale quella scienza dimostra, Cv II XV 1) in quanto in essa si rende manifesta e visibile la luce della verità che, dimostrata in primo luogo dalla filosofia, si riverbera su ogni altra s. ad essa subordinata, che è chiamata a dimostrare la parte di verità confacente al suo oggetto.

Attraverso la s. l'uomo realizza pienamente la propria natura di essere animato e razionale. In apertura del Convivio, traducendo il celebre enunciato aristotelico " Omnes homines natura scire desiderant " (Metaph. I 1, 980a 20), D. aveva affermato che tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere (Cv I I 1), spiegandone subito dopo la ragione: ciascuna cosa, da providenza di propria natura impinta, è inclinabile a la sua propria perfezione; onde, acciò che la scienza è ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade, tutti naturalmente al suo desiderio semo subietti. Ciò che è in potenza nella natura o essenza propria dell'uomo, costituisce una sorta di inchoatio, d'impulso o appetito naturale, impronta della divina bontà (IV XXII 4), che spinge e inclina alla forma; e l'attuazione di essa coincide con la ‛ perfezione ultima ' (cfr. I XIII 5 la vita di scienza, che è ultima perfezione) cioè la piena esplicazione di tutte le possibilità insite per natura nell'essenza umana. Tale ultima perfezione è appunto la s., in cui la ragione, parte più alta dell'anima forma del corpo, attuandosi perfettamente, realizza la sola condizione per la beatitudine (v.) attingibile dall'uomo nella sua vita terrena: l'umano desiderio è misurato in questa vita a quella scienza che qui avere si può, e quello punto non passa (III XV 9).

Sulla perfezione conseguibile dal desiderio di sapere come unica vera perfezione umana, D. torna ampiamente nel confronto di Cv IV XII-XIII tra s. e ricchezze, dove al pericoloso accrescimento dell'insaziabile desiderio di queste contrappone quello della s. in cui ogni grado ulteriore è un corrispondente pieno appagamento di un più alto desiderio. Il tema, già boeziano (Cons. phil. II m. V 2), assume in D. il valore più vasto di condanna della cupiditas; cupiditas intesa come corrompitrice del tessuto sociale, della comunità umana, e capace di sovvertire il desiderio umano, sottraendolo al suo fine naturale. Se vili sono le ricchezze in quanto imperfette, non altrettanto vile è la s., proprio perché perfetto è l'appagamento del desiderio naturale di sapere (Cv IV XII 11-12). E il desiderio, ne l'acquisto de la scienza (§ 13, due volte), è naturale proprio in quanto risponde al principio secondo cui lo sommo desiderio di ciascuna cosa, e prima da la natura dato, è lo ritornare a lo suo principio (§ 14) che è Dio. Infatti il desiderio della s. si realizza per ‛ successivi ' gradi - secondo un processo di acquisizioni ulteriori, ciascuna in sé perfetta - che configurano, neoplatonicamente, un ‛ ritorno ' e un'‛ ascesa ' a Dio come primo principio. Infatti propriamente crescere lo desiderio de la scienza dire non si può, avvegna che, come detto è, per alcuno modo si dilati. Ché quello che propriamente cresce, sempre è uno: lo desiderio de la scienza non è sempre uno, ma è molti, e finito l'uno, viene l'altro (XIII 1). Questo dilatare della s. non è quindi un ‛ crescere ', ma è una successione di picciola cosa in grande cosa.

Ogni grado di essa corrisponde al compimento e al termine di un desiderio, a cui succede un più alto desiderio destinato anch'esso a trovare un suo più alto grado di attuazione, secondo un progresso di perfezione maggiore (§ 2). Mentre la ricchezza è un crescere lineare di un desiderio sempre omogeneo e continuo, e perciò infinito (la continuitade... ha in sé ragione di numero infinito, II XIII 17; cfr. III XV 9), nella s. ogni desiderio si ‛ compie ' in uno stato di perfezione commisurato alla sua natura: ché nel desiderare de la scienza successivamente finiscono li desiderii e viensi a perfezione, e in quello de la ricchezza no (IV XIII 5, dov'è anche detto che dal desiderio de la scienza, la scienza non è a dire imperfetta). E a chi obiettasse che avvegna che molti desiderii si compiano ne lo acquisto de la scienza, mai non si viene a l'ultimo (XIII 6), D. risponde che, essendo i desideri naturali a certo termine discendenti, cioè destinati a un compimento fissato per natura e come tali ‛ dibrancantisi ' verso la propria attuazione (cfr. III XV 8-10), quello de la scienza è naturale, sì che certo termine quello compie (IV XIII 7; e ancora § 9 lo desiderare de la scienza... a perfezione viene. E però la scienza ha perfetta e nobile perfezione).

L'esplicarsi dell'essenza umana secondo natura, è dunque guidato e realizzato dalla s., perché l'attuazione ultima del desiderio coincide con la perfezione stessa dell'essenza dell'uomo. La s., in breve, induce la perfezione seconda (v. PERFEZIONE), cioè la perfezione della ragione che ‛ compie ' e attua tutto l'uomo (Cv I XIII 3, III XV 4): de la induzione de la perfezione seconda le scienze sono cagione in noi (II XIII 6); infatti, cogliendo la verità nell'esercizio della s., che è virtù dianoetica, l'uomo realizza pienamente in sé la coincidenza di ‛ bene ' e di ‛ vero ' (D. stesso intenderà, con la sentenza delle sue canzoni, inducere li uomini a scienza e a vertù, I IX 7; cfr. If VI 106, dove la s. indica la filosofia aristotelica).

La s. quindi si traduce in graduale ‛ acquisto ' di ciò che all'uomo manca per realizzarsi come essere di ragione, proprio in quanto il desiderio innato è misurato secondo la possibilitade de la cosa desiderante (III XV 8). L'appetito naturale, che l'uomo esercita nell'attuazione della s., è designato da D. come lo studio... per acquistare l'amore di questa donna, cioè l'amore per la Sapienza-Filosofia-Donna gentile (v. SAPIENZA), che mena l'uomo a l'abito de l'arte e de la scienza (Cv III XII 2). Tale studio si traduce così nell'abito di s.: per l'abito delle s. potemo la veritade speculare, che è ultima perfezione nostra (II XIII 6). E tale abito è una disposizione e condizione permanente (abito intellettuale e virtù dianoetica), tale da conferire all'uomo una seconda natura, inseparabile ormai dalla sua essenza (cfr. Arist. Eth. Nic. II 1), a cui consegue un secondo studio che lo rende atto a operare secondo retta ragione e virtù: un altro studio lo quale ne l'abito acquistato adopera, usando quello (Cv III XII 2). L'abito o manto di s. costituisce così il segno distintivo del sapiente e del dotto (Rime XLII 2 Qual che voi siate, amico, vostro manto / di scienza parmi tal, che non è gioco; v. anche XLIV 3), e la pura vertù il suo indispensabile requisito (è più vertù richesta / ... in gente onesta / di vita spiritale / o in abito che di scienza tiene, Rime LXXXIII 82). La s. diviene a questo punto " conoscenza acquisita " (a cui concorrono tutte le facoltà umane e, prima, la memoria: non fa scïenza, / sanza lo ritenere, avere inteso, Pd V 41), " sapienza ", " dottrina " (in questo senso, al negativo, in If XXXIII 123 Come 'l mio corpo stea / nel mondo sù, nulla scïenza porto, come connotato dei dannati) che, sebbene comune per natura a tutti gli umani, tuttavia a pochi è dato di possedere compiutamente come cibo di verità eterna, cioè come pane de li angeli o divina sapienza: pochi rimangono quelli che a l'abito da tutti desiderato [quello della s.] possano pervenire, e innumerabili quasi sono li 'mpediti che di questo cibo sempre vivono affamati (Cv I I 6). E D. ricorderà ancora come da questa nobilissima perfezione molti sono privati per diverse cagioni, che dentro a l'uomo e di fuori da esso lui rimovono da l'abito di scienza (I I 2), cioè per mala disposizione di corpo e d'animo o per necessità esterne (§§ 3-4; v. anche Mn I XIII 6, e v. GALENO), e come nella figura di Orfeo, poeta-teologo, s'incarni il primo dei sapienti che seppe muovere a la sua volontade coloro che non hanno vita di scienza e d'arte: e coloro che non hanno vita ragionevole alcuna sono quasi come pietre (Cv II I 3).

Ma la s. non è solo un mero ideale di conoscenza; essa si costituisce in un corpo organico, in una gerarchia di " discipline " regolata da un rapporto di subalternazione. Tale rapporto implica che i principi primi da cui ogni s. parte, per derivarne con metodo deduttivo le conclusioni confacenti al suo ambito, siano dati dalla s. a essa immediatamente e naturalmente superiore, fino a giungere alla s. prima e suprema da cui tutte le altre, a essa soggette, derivano in ultima analisi i loro principi. Per D., il principio di subalternazione, di natura eminentemente gnoseologica e speculativa, non è il solo valido; se esso, in D., presiede alla genealogia delle s. per quanto attiene l'ordine naturale della verità, oggetto privilegiato della Metafisica, convive tuttavia con un altro principio, di natura pratica e morale, che attribuisce all'Etica un primato rispetto alle altre s., proprio in quanto addita loro il fine ultimo da conseguire, la finalità pratica al cui compimento tutte sono coordinate e indirizzate. Se la speculazione del vero è la più alta operazione dell'uomo, è il pieno appagamento della sua essenza razionale, e quindi il suo bene proprio, allora si comprende il ruolo fondamentale dell'Etica che, indicando all'uomo come fine e bene ultimo l'acquisizione del vero e della beatitudine conseguente, lo muove ad apprendere le s. speculative.

Per D., quindi, nell'ordine speculativo tutte le s. partecipano della Filosofia-Sapienza, e anzi solo nella sapienza trova ragione il loro costituirsi come corpo unitario di conoscenze: chi abbraccia la filosofia per utilità o diletto e non per amore, ricorda D. (come coloro che si dilettano di Retorica e di Musica e l'altre scienze fuggono e abbandonano, che sono tutte membra di sapienza, Cv III XI 9), non è vero filosofo. Ché i veri filosofi, i seguitatori di scienza (§ 4; v. anche FILOSOFO; Pitagora), sono ‛ amatori di sapienza ', proprio in quanto perseguono quel naturale amore che in ciascuno genera lo desiderio di sapere (§ 6) e lo realizzano, abbracciando la sapienza in ciascuna parte (§12), cioè nella totalità delle sue ‛ membra ' che sono le scienze. Da questo radicale vincolo di partecipazione delle s. con la Filosofia, è derivato per lunga consuetudine che le scienze ne le quali più ferventemente la Filosofia termina la sua vista, sono chiamate per lo suo nome; sì come la Scienza Naturale [o ‛ filosofia naturale '], la Morale [o ‛ filosofia morale '], e la Metafisica, la quale, perché più necessariamente in quella termina lo suo viso e con più fervore, [Prima] Filosofia è chiamata (III XI 16). Nell'atto della denominazione (v. ATTO), dunque, si manifesta, al livello stesso dell'attribuzione del nome, la partecipazione delle più alte s. alla ‛ filosofia ' (lo suo nobile nome per consuetudine è comunicato a le scienze, Cv III XI 18; secondamente le scienze sono Filosofia appellate, § 17) o, meglio, alla ‛ forma ' di essa, che è amore (amore è forma di Filosofia, III XIII 10) inteso come quasi divino amore a lo 'ntelletto (XI 13).

La Filosofia, intesa come Sapienza, come manifestazione intelligibile del Verbo divino (cfr. il rapporto s.-sapienza in Dio, da Paolo Rom. 11, 33, cit. in Mn II VIII 10 e Quaestio 77, e ivi ancora in cit. da Ps. 138, 6), conserva in D. un primato indiscusso sulle s. (ma la s. è anch'essa derivata dallo Spirito Santo come suo dono, Cv IV XXI 12); essa rimane il modello della vita contemplativa, in rapporto a quella attiva, e costituisce il perfezionamento di quanto già acquisito nell'ambito delle s. dalla ragione naturale. La filosofia pertanto coincide con il vero e proprio uso di speculazione (Cv III XIV 1).

Al di sotto di essa, ma in concordia con essa, si erge l'edificio delle s., in cui l'uso della ragione naturale si esplica secondo gradi via via più elevati. La s. non è più solo, agostinianamente, attività intellettuale consacrata allo studio, all'approfondimento, alla difesa della fede e delle verità rivelate; l'insegnamento aristotelico permetteva la reintegrazione in un'unica ragione, anche se attuata a gradi diversi, di quelle capacità che Agostino aveva nettamente separato in ratio superior (la sapienza) e ratio inferior (la scienza). La s., così, si riconnette intimamente alla sapienza, ricomponendo con essa una superiore unità, dove tutte le caratteristiche della s., ivi compresa quella di conoscenza pratica e terrena, concorrono a pari titolo all'attuazione del fine ultimo dell'uomo. Il mondo e la natura, quale veniva suggerendo il modello del sapere aristotelico, non è più immagine oscurata dell'eterno, " regio dissimilitudinis ", ma ambito perfettamente adeguato alla natura umana, e mezzo efficace per raggiungere la causa suprema. La nuova visione del reale attraverso il riconoscimento dell'intimo e positivo legame che unisce a Dio - mediante il potenziamento delle cause seconde - il mondo terreno, riconosceva quest'ultimo come via efficace alla riconciliazione stessa con Dio. Pur nella superiore giurisdizione della fede e della sacra doctrina (ormai riconosciuta come teologia, o ‛ s. del divino '), sapienza-filosofia e s. ripropongono questo stesso itinerario continuo, in cui la s. termina e si completa nella sapienza. La sapienza non è più divisa dalla s., come opposto a opposto, ma si pone come perfezionamento e come naturale aggiunta della s.; e ancora, il loro oggetto non è più separato, il loro riferimento non è più a due diversi livelli ontologici - quello delle verità eterne, della realtà intelligibile da un lato, e quello del mondo sensibile, delle realtà temporali dall'altro, - ma si riconoscono in unico fine comune, che integra l'uno all'altro questi due aspetti e immette direttamente la ‛ via ' della s. in quella della sapienza.

Di qui viene la dichiarata convinzione di D. in una sapienza che connette e assorbe in sé tutte le s.; di qui, ancora, la rappresentazione di un corpo unitario delle s. le quali conservano, in quanto tali, una loro autonomia ed efficacia. È infatti uno stesso ‛ desiderio di sapere ' che avvia l'uomo alla suprema contemplazione, attraverso il tirocinio di una ragione che si esercita e si attua, legittimamente e secondo natura, già nello studio delle s. minori. Non per nulla D. stesso indicherà l'avvio del suo accesso alla Filosofia nei vocabuli d'autori e di scienze e di libri, cioè nelle " discipline " liberali, considerando le quali giudicava bene che la filosofia, che era donna di questi autori, di queste scienze e di questi libri, fosse somma cosa (Cv II XII 5).

Per rappresentare la gerarchia delle s., e il grado di nobiltà che ne regola la rispettiva collocazione, D. non ricorre a una trattazione esplicita del principio della subalternazione delle s., ma preferisce offrirne una rappresentazione visibile attraverso un confronto tra gerarchia delle s. e dei cieli: Dico che per cielo io intendo la scienza e per cieli le scienze, per tre similitudini che li cieli hanno con le scienze massimamente (Cv II XIII 2; v. anche §§ 6 e 7 e XIV 21). D., cioè, si serve di un procedimento simbolico già presente nella letteratura medievale (v. FISICA), in quanto il simbolo riassume in sé, con evidenza immediata, il principio secondo cui un ordine artificiale (come quello delle s.) è garantito nella sua validità dalla simmetria e dall'analogia con un ordine naturale (come quello delle sfere celesti). Come ogni cielo, infatti, si volge intorno al suo centro che è immobile, così ciascuna scienza si muove intorno al suo subietto, lo quale essa non muove, però che nulla scienza dimostra lo proprio subietto, ma suppone quello (Cv II XIII 3), che è appunto il principio di subalternazione delle s.; D. infine enumera le altre due somiglianze - per cui è legittima la congruenza tra cieli e s. -, e cioè che mentre i primi illuminano le cose visibili, e inducono la perfezione ‛ prima ' che è l'essere stesso, ciascuna scienza illumina le intelligibili (XIII 4) e de la perfezione seconda [cioè l'abito intellettuale, la virtù, e quindi la prima attuazione dell'essenza] le scienze sono cagione in noi (§ 6; per la perfezione seconda e l'abito di s., vedi sopra). Di qui D. prende a confrontare, una a una, le s. e i cieli corrispondenti: A li sette primi rispondono le sette scienze del Trivio e del Quadruvio... A l'ottava spera... risponde la scienza naturale, che Fisica si chiama, e la prima scienza, che si chiama Metafisica; a la nona spera risponde la scienza morale; ed al cielo quieto risponde la scienza divina, che è Teologia appellata (XIII 8). Alle sette arti liberali, come si vede, D. sovraordina, in ordine ascendente, Fisica, Metafisica, Morale e infine, somma, la Teologia. La s. divina, dunque, intesa tutt'insieme come Filosofia e come Sapienza (v.; e v. anche SOPRANATURALE) mantiene il suo primato, per il fatto che i suoi principi sono gli stessi articuli fidei, cioè le verità indimostrabili consegnate da Dio agli uomini attraverso la rivelazione (Dio infatti lasciò ai discepoli la sua dottrina, che è questa scienza [la Teologia] di cu' io parlo, Cv II XIV 19), e testimoniate da Cristo come dottrina veracissima (VIII 14).

La Divina Scienza (XIV 19), fondata com'è sullo stesso oggetto derivato immediatamente da Dio, è essa sola piena... di tutta pace, cioè esente da dispute e sofistici argomenti, quali s'incontrano nelle s. inferiori, in quanto fondate su oggetti non immediatamente intelligibili. A buon diritto, dunque, tutte scienze son dette dal sommo dei sapienti, Salomone, regine e drude e ancille della Teologia (§ 20; va qui ricordato come nel XIII secolo la filosofia venisse denominata ancilla theologiae): esse infatti dalla Divina Scienza derivano, in ultima analisi, i loro principi e a essa, mediatamente, si riconducono attraverso la dimostrazione certa e secondo ragione della parte di verità che compete al loro oggetto (v. TEOLOGIA).

Sul perché del ruolo immediatamente subordinato dell'Etica e della sua preminenza sulla Metafisica è stato già detto (ma v. METAFISICA). D. infatti ricorda come cessando la Morale Filosofia, l'altre scienze sarebbero celate alcuno tempo (II XIV 18); a ogni s. verrebbe meno il suo fine naturale che è vita di felicitade, cioè la beatitudine della vita speculativa, in cui si attua il ‛ bene ' sommo dell'uomo, bene che spetta all'Etica indicata come unico scopo delle s.: Morale Filosofia, secondo che dice Tommaso sopra lo secondo de l'Etica [cfr. Comm. Eth. II lect. I], ordina noi a l'altre scienze. Ché, sì come dice lo Filosofo nel quinto de l'Etica [cfr. Eth. Nic. V 3, 1129 b 19-24], ‛ la giustizia legale ordina le scienze ad apprendere, e comanda, perché non siano abbandonate, quelle essere apprese e ammaestrate ' (Cv II XIV 14-15). Dall'Etica procedono quindi, in ordine naturale, la Metafisica e la Fisica o scienza Naturale (XIII 17) in quanto hanno come oggetto la sostanza in sé, e la sostanza in movimento (v. METAFISICA; fisica) che riassumono il grado più alto della speculazione razionale (per il termine v. II XIV 9 e 10) e via via le altre s. liberali: l'Astrologia (v.) o Astronomia (v.), che sovrasta tutte le altre scienze (XIII 29) del Quadrivio sia per le sue dimostrazioni, sia per l'esperienza che in essa si realizza; la scienza de la Geometria (v. GEOMETRIA) che è naturalmente sovraordinata alla Musica (v.), s. della relazione (v.) e dell'armonia (v.) che in essa scienza massimamente è bella (XIII 23, e cfr. § 25), e all'Aritmetica (v.), la quale tuttavia fonda l'oggetto di tutte le s. poiché del suo lume tutte s'illuminano le scienze, però che li loro subietti sono tutti sotto alcuno numero considerati (XIII 16). Seguono infine le tre s. minori, quelle del Trivio, rappresentate dalla Rettorica (v.) che è soavissima di tutte le altre scienze (XIII 14), dalla Dialettica (v.) che è minore in suo corpo che sull'altra scienza e che va più levata che nulla scienza, in quanto procede con più sofistici e probabili argomenti (XIII 12, v. ARGOMENTO; perfettamente; probabile), e infine dalla Grammatica (v.); v. anche ARTI LIBERALI; quadrivio; trivio.)

Tutte le connotazioni sin qui rilevate per la nozione di s. tornano nell'apostrofe di If IV 73 (O tu ch'onori scïenzïa e arte) a Virgilio, nel quale simbolicamente è riassunta e personificata la perfezione della ragione naturale qual è attuata nell'esercizio delle s. speculative e delle arti, delle ‛ tecniche ' cioè in cui l'ingegno (v.) naturale trova il mezzo efficace alla sua esplicazione (cfr. il tema s.-ingenium in VE II I 5, e 8 [tre volte], e l'altro s.-ingeniumars in IV 10 e 11). Da notare ancora la personificazione della s. attribuita a Orazio in Vn XXV 9 e il passo di Pg XV 99 (la villa / ... onde ogne scïenza disfavilla), ov'è adombrato il simbolo Atene-Pallade-Sapienza, che è il risultato della contaminazione del mito greco di Atena come dea della s. e della figurazione biblica e cristiana della Sapienza come madre e signora di tutte le scienze.

Il termine ricorre ancora in Fiore CXIII 6, CXIV 8 e CXLVIII 10.