Scienza e società
sommario: 1. Le origini del problema. 2. Climi socioculturali e sviluppo scientifico. 3. Capitalismo e scienza. 4. La sociologia della scienza. 5. I paradigmi e le comunità scientifiche. 6. Le nuove sociologie della scienza. 7. La società tecnologica. 8. Scienza, società ed etica. □ Bibliografia.
1. Le origini del problema
Il problema dei rapporti fra conoscenza scientifica, da un lato, e sistemi sociali, mutamento sociale e culturale, dall'altro, si pone fin dal XVII secolo quando, con l'ascesa della borghesia mercantile europea emerge l'istanza di un controllo diretto e integrale sulla natura.
Crolla, con
Nel Settecento istanze del genere si rafforzano e, con l'illuminismo, si pongono al centro di ogni sforzo di demistificazione e svelamento dei vincoli che ostacolano lo sviluppo del pensiero scientifico; nell'Ottocento, poi, la forte rivendicazione positivista di un inscindibile nesso fra conoscenza scientifica ed evoluzione della società si orienta sul versante delle tecnologie sociali: non più solo controllo della natura, quindi, ma controllo dell'ordine sociale sia in ciò che va conservato sia in ciò che va cambiato. Accanto alle scienze fisico-naturali, considerate come centrali per lo sviluppo socioeconomico, si affaccia così anche l'esigenza di costruire scienze sociali potenzialmente in grado di dar luogo a tecnologie capaci di orientare e controllare l'ordine e il mutamento.
È evidente, dunque, che il problema del rapporto fra scienza e società si articola fin dalle origini in una duplice dimensione: da un lato si tratta di analizzare l'influenza esercitata da esigenze socioeconomiche e modelli culturali sulle direzioni e le modalità della ricerca scientifica; dall'altro di valutare l'impatto della scienza, e delle sue applicazioni tecnologiche, sul sistema sociale nelle sue diverse articolazioni. Beninteso, le due relazioni indicate non possono essere intese come unidirezionali; tuttavia se è corretto parlare di interrelazioni fra scienza e società, è indispensabile distinguere i due grandi aspetti della questione per cogliere gli orientamenti dominanti nella storia delle concezioni della scienza fino ai giorni nostri.
Schematicamente, si può allora individuare un filone di pensiero che attraversa tutto l'illuminismo, il positivismo e parte del marxismo, e muove dall'assunto che gli sviluppi della ricerca scientifica, anche nelle sue forme apparentemente più 'pure' - o di base -, siano conseguenza di ben definite istanze socioeconomiche; per altro verso, un vastissimo filone di studi, soprattutto a partire dalla fine del XVII secolo, assume che lo sviluppo scientifico-tecnologico incida profondamente sulle strutture sociali e sui modelli culturali; infine, un filone più recente, che si riallaccia al pensiero di
I diversi approcci all'analisi del rapporto scienza-società, peraltro, sono inevitabilmente intrecciati fra loro. Non solo: le esigenze di carattere socioeconomico e tecnologico che premono in favore dello sviluppo della ricerca scientifica favoriscono la sua istituzionalizzazione, e quindi contribuiscono al suo ulteriore sviluppo. Peraltro, diverse dinamiche sociali influiscono a loro volta sulle direzioni della scienza, sui modelli di comportamento che si affermano all'interno delle comunità scientifiche, sul parziale trasferimento di questi ad altri settori della vita sociale. Ma l'influenza inversa resta presente e costituisce oggetto privilegiato dei più recenti studi di sociologia della scienza, che in taluni casi sono riusciti a determinare con sufficiente approssimazione il peso esercitato da specifici fattori sociali sugli sviluppi della ricerca scientifica.
Per fare ordine nei molteplici aspetti del rapporto fra scienza e società, è indispensabile trascurare almeno temporaneamente la complessa serie di intrecci fra i diversi termini del problema. Si tratteranno quindi separatamente i seguenti problemi: i contesti socioculturali che influiscono in vario modo sullo sviluppo della scienza e sulla sua conseguente istituzionalizzazione, le influenze sociali strutturali sulla scienza stessa, la scienza come sistema sociale - con le sue norme, le modalità di formazione del consenso e il conflitto -, l'innovazione scientifica, l'impatto degli sviluppi della scienza sui sistemi sociali.
2. Climi socioculturali e sviluppo scientifico
Si può datare alla metà del XVII secolo il riconoscimento sociale pubblico della scienza, accompagnato da un crescente interesse collettivo e da una prima istituzionalizzazione, che si attua in
Ciononostante, l'istituzionalizzazione della scienza, che si tende ad attribuire alla tradizione culturale empirista inglese, non valse a conservare all'Inghilterra una duratura posizione di leadership scientifica. Nel Settecento il predominio in campo scientifico passa alla
La Francia prende nettamente il sopravvento sul finire del Settecento, allorché si compie la separazione fra il cosiddetto movimento scientista, ricco di appassionati dilettanti, e una ristretta comunità scientifico-sperimentale, sempre meno interessata a grandi riflessioni filosofico-scientifiche e sempre più dedita alla sperimentazione nelle forme più limitate e parziali. Proprio la ristrettezza e la parzialità cominciano allora a delinearsi come tratti peculiari della scienza empirica, in quanto contrapposta alla filosofia scientifica.
Può apparire contraddittorio che l'originario sviluppo della scienza intesa in senso lato nell'Inghilterra del Seicento sia nettamente sopravanzato, nella seconda metà del secolo successivo, dalla ricerca sperimentale francese, favorita non già da un clima di tolleranza, di ricerca aperta e di dialogo, ma piuttosto da una rigida separazione fra movimento scientista e scienza istituzionalizzata in senso stretto, dalle generose elargizioni di un regime assoluto e da ben definite esigenze tecnologiche. Ciò contraddice, in particolare, la diffusa concezione storico-sociologica che connette lo sviluppo della scienza all'ordine sociale liberaldemocratico (v. Merton, 1942; v. Needham, 1946; v. Parsons, 1951; v. Barber, 1952), ritenendo sostanzialmente incompatibile l'autoritarismo e il totalitarismo con lo sviluppo della scienza. Ma in realtà, nella Francia assolutista del Settecento fu perseguito con successo un disegno volto ad isolare la scienza dalle altre istituzioni sociali; solo nell'istituzione scienza veniva riconosciuta ai membri accreditati una posizione di elevato privilegio che assicurava, tra l'altro, la possibilità di svolgere una attività intellettuale in piena libertà e sicurezza. Il prezzo di tali privilegi era l'isolamento, la separazione dal movimento scientista, e, beninteso, la piena dipendenza dai fini della monarchia assoluta in campo economico e militare.
Una situazione per certi aspetti analoga si presenterà due secoli più tardi nell'Unione Sovietica dove lo sviluppo spettacolare della ricerca scientifica, se da un lato è il risultato della posizione di privilegio concessa all'élite degli scienziati, dall'altro lato avviene sotto il rigido controllo del regime totalitario.
Va peraltro segnalato che anche studiosi di orientamento marxista come
Per altro verso, secondo Needham, la scienza, fondata sulla razionalità, è incompatibile con i richiami irrazionali dell'autoritarismo. E poiché, a suo avviso, il capitalismo ha in sé i germi dell'autoritarismo, esiste una contraddizione strutturale fra lo sviluppo della scienza nei sistemi capitalistici e il contesto sociopolitico nel quale essa si sviluppa.
3. Capitalismo e scienza
Le analisi in chiave marxista dello sviluppo della scienza si imbattono spesso nella contraddizione segnalata da Joseph Needham. Senonché, la storia delle relazioni fra scienza e società, cui gli studiosi marxisti sono particolarmente attenti, non vede svilupparsi insormontabili controversie fra questi e gli storici della scienza di diverso orientamento. Che infatti l'ordine sociale ed economico capitalistico sia precondizione per la formazione della scienza, per lo sviluppo della ricerca, per il fiorire della creatività scientifica è riconosciuto come dato incontrovertibile. Ciò comporta ovviamente che la scienza sia vista come un prodotto dell'Occidente, della spinta della emergente borghesia a controllare
Sul versante culturale non marxista prevale spesso l'idea del primato della 'scienza pura' sulla scienza applicata. E tuttavia si fa presto evidente, ad esempio, che la scoperta dei principî della termodinamica ha immediati e dirompenti effetti di natura tecnologica e che, più in generale, ogni scoperta fisica e chimica comporta con straordinaria rapidità lo sviluppo di prodotti economicamente remunerativi - che si tratti di macchine o di composti chimici.
In altre parole, l'idea della scienza come pura istanza conoscitiva - del naturale prima, del sociale poi - si configura prevalentemente come una rivendicazione di autonomia degli scienziati, di peculiari interessi conoscitivi, di libera scelta di oggetti e procedure d'indagine, estranee a condizionamenti diretti e immediati, piuttosto che come una adeguata descrizione del rapporto che storicamente lega scienza e società.
La lettura di ispirazione marxista di tale rapporto appare quindi nel complesso più fondata; e ciò benché, come si è visto con Needham, essa finisca per involgersi in una insuperabile contraddizione: quella che associa lo sviluppo della scienza al sistema capitalistico, alla libertà e alla democrazia, da un lato, e che al capitalismo del secondo dopoguerra ascrive tuttavia caratteri autoritari, illiberali ed antidemocratici, strutturalmente contraddittori con la logica della ricerca scientifica. Come molti altri studiosi di formazione marxista, Needham ritiene di poter uscire da tale contraddizione con la previsione del crollo del sistema e con il vagheggiamento di uno straordinario ulteriore progresso della scienza, resa più libera e dedita esclusivamente al bene dell'umanità. Ma è fin troppo evidente la debolezza di una via d'uscita di questo genere, che riflette essenzialmente una visione romantico-rivoluzionaria dell'umanesimo scientifico, cioè di quell'orientamento culturale postscientistico che fiorisce in Inghilterra a partire dal primo dopoguerra e che vede fra i suoi maggiori esponenti scienziati-intellettuali come
Elemento di punta di tale umanesimo scientifico è il Movimento per le relazioni sociali della scienza, il quale - attraverso un attento meccanismo di cooptazione di fisici, chimici, biologi, neurologi, tutti riconosciuti nelle rispettive comunità - gioca un ruolo importante nella presa di coscienza dei rischi potenzialmente derivanti dalla scienza. Nato e sviluppatosi anche come reazione al neoscientismo degli anni venti, il Movimento per le relazioni sociali della scienza, in cui militano socialisti fabiani e marxisti, liberali illuminati e radicali, dedica una sistematica attenzione alle conseguenze sociali delle scoperte scientifiche e si pone l'obiettivo di mettere in guardia l'opinione pubblica contro avventure e abusi scientifici. A questa tradizione si ricollegano le grandi manifestazioni di protesta antinucleari alla testa delle quali si pone, negli anni cinquanta, il logico Bertrand Russell.
Per l'umanesimo scientifico inglese non sempre e non necessariamente il progresso scientifico è un bene in sé. La lettura marxista ortodossa, in particolare quella sovietica, è invece tutta proiettata ad esaltare l'inarrestabile progresso economico e sociale che dalle applicazioni delle scoperte scientifiche deriverà, pur con contraddizioni e difficoltà, peraltro agevolmente superabili, entro la cornice del socialismo. Si fa decisa fautrice di questa linea la folta delegazione sovietica, guidata da Bucharin in persona, che prende parte, nel 1931 a
I Principia di Newton - sostiene Hessen - sono svolti in linguaggio matematico astratto, e invano cercheremmo in essi un'illustrazione dello stesso Newton del legame tra i problemi che egli si pone e risolve, e le esigenze tecniche da cui essi ebbero origine [...]. Nonostante il carattere matematico astratto di esposizione adottato nei Principia, Newton non solo non era uno scolastico separato dalla vita, ma era invece, nel vero senso della parola, al centro dei problemi ed interessi fisici del suo tempo" (v. Hessen, 1931; tr. it. in Statera, 1978, p. 313).
In realtà, dopo un primo libro centrato sulle leggi generali del moto sotto l'influenza di forze centrali, Newton si occupa via via del movimento dei corpi in un mezzo resistente, affrontando e risolvendo problemi fondamentali per la balistica; dei principî essenziali dell'idrostatica e dei corpi galleggianti, precondizione per risolvere problemi connessi alla costruzione di vascelli, canali, pompe e apparecchiature di ventilazione; del movimento dei liquidi e della resistenza di un corpo lanciato, risolvendo problemi idrodinamici fondamentali per il flusso di liquidi attraverso tubi; delle leggi che governano la caduta dei corpi in un mezzo resistente (acqua ed aria), offrendo con ciò ulteriori strumenti alla balistica; del movimento della luna e delle sue anomalie, la cui conoscenza è fondamentale per determinare i tempi e la durata delle maree e, inoltre, per stabilire, fino all'invenzione del cronometro, la longitudine.
Ebbene, non sembra un caso che, nel corso della sua carriera, Newton si sia occupato esattamente di tutti i problemi squisitamente tecnici suggeritigli da Lord Aston nel 1669, come il meccanismo di guida delle navi e i metodi di navigazione, il miglioramento della precisione nel lancio di proiettili e, per converso, quello delle fortificazioni nella difesa, la messa a punto di un calendario più preciso, la trasformazione dei metalli. Insomma, le esigenze della borghesia inglese del XVII secolo, interessata a rendere più rapida e sicura la navigazione, a disporre di strumenti tecnici che facilitassero i commerci e l'espansione dei mercati, sono problemi ben presenti a Newton, che anzi, per Hessen, è in qualche modo una sorta di straordinario artefice di scoperte al servizio della classe sociale emergente dell'Inghilterra del XVII secolo.
La scienza, in questa prospettiva, è un potente strumento di affermazione del sistema capitalistico, dei cui crescenti bisogni tende rapidamente a farsi diretto strumento. Essa è una variabile dipendente dal sistema delle relazioni e delle istanze delle classi dominanti. Il suo peso si fa assai consistente nella
4. La sociologia della scienza
"Nei suoi lineamenti più generali - scrive Merton nella prima edizione del suo classico studio, Teoria e struttura sociale - l'oggetto della sociologia della scienza è l'interdipendenza dinamica fra la scienza, intesa come un'attività sociale in progresso che dà origine a prodotti culturali e di civiltà, e la circostante struttura sociale" (v. Merton, 1949; tr. it., p. 939). In altre parole, sono le reciproche interazioni fra scienza e società a delineare i confini della disciplina; confini, in realtà, talmente estesi da contenere ambiti più specificamente pertinenti ad altri settori dell'indagine sociologica, dalla sociologia industriale alla sociologia delle professioni. È immediatamente evidente, infatti, che l'analisi dell'impatto della scienza sulle società, nella misura in cui si riferisce anche alle applicazioni tecnologiche, investe aree d'indagine di straordinaria ampiezza sia sul piano sociologico che, ovviamente, sul piano storico.
Non a caso a questa enfatica enunciazione programmatica, Merton e la sua scuola fanno poi seguire un filone di studi e ricerche ben più ristretto. Tale filone si incentra inizialmente sullo sforzo di definire le specificità della scienza come sistema sociale. In altre parole Merton, che accompagna alla prospettiva teorica da cui muove un consistente lavoro di ricerca empirica, individua nella scienza un corpo di norme, valori, modelli di comportamento tali da configurare un peculiare ethos, sostanzialmente eteronomo da quello di ogni sistema sociale contemporaneo. L'ethos della scienza, come lo vede Merton, si fonderebbe su quattro "imperativi istituzionali", che sarebbero nel contempo "prescrizioni tecniche e morali" (v. Merton, 1949; tr. it., p. 973), e che si definiscono come universalismo, comunismo (communality), disinteresse, dubbio sistematico (organized skepticism). La ragione della connotazione etica e tecnica insieme di tali imperativi risiede, secondo Merton, nel fatto che ciascuno di essi scaturisce da fondamentali principî metodologici che, peraltro, sono ritenuti 'giusti e buoni' dalla comunità degli scienziati in quanto impiegati in vista dell'accrescimento della conoscenza verificata.
Il primo e fondamentale imperativo che dà corpo all'ethos scientifico, l'universalismo, indica che "ogni verità che pretenda di essere tale deve essere, qualunque ne sia la fonte, soggetta a criteri impersonali prestabiliti, in accordo con l'osservazione e con la conoscenza precedentemente confermata. Il rifiuto o l'ammissione di qualunque proposizione nel corpo della conoscenza scientifica non deve dipendere dalle caratteristiche personali o sociali di colui che questa proposizione ha avanzato [...]. L'obiettività - conclude Merton - esclude il particolarismo" (ibid., pp. 973-974). Già questa definizione pone non pochi problemi, anzitutto di carattere epistemologico. È immediatamente evidente da questa citazione di Merton infatti come il suo ethos sottintenda una particolare epistemologia (di tipo realista) e, più in generale, una concezione della scienza di carattere fondamentalmente neoilluminista. Di qui l'accusa, più volte indirizzata alla sociologia della scienza mertoniana, di essere "ideologica" e "astorica" (v. Barnes e Dolby, 1970).
Se a questo primo 'imperativo', si aggiungono quello del 'comunismo' (inteso come proprietà comune delle scoperte), del disinteresse e del 'dubbio sistematico', o 'scetticismo organizzato', si ricava nell'insieme il quadro ideale di un mitizzato campus della
Fra il 1950 e la fine degli anni settanta, la sociologia della scienza di derivazione mertoniana si dedica, fra l'altro, al difficile compito di dar conto delle smagliature presenti nel modello dell'ethos della scienza, circoscrivendo comunque il proprio lavoro in un ambito rigidamente intraistituzionale. Sul piano teorico la visione di Merton è completata da Bernard Barber che, nel suo
A differenza di
Il sistema-scienza disegnato da Storer e da Hagstrom ha una sua plausibilità. Non c'è dubbio, infatti, che l'attesa del riconoscimento sia vissuta dai membri di una determinata comunità scientifica come primaria rispetto al proprio impegno di ricerca; è altresì assai forte il timore di essere messi ai margini, o addirittura di essere esclusi, ad opera di quei 'collegi invisibili', come li definisce Diana Crane (v., 1972), che comminano sanzioni e promettono cooptazioni. E tuttavia il rischio di fare della comunità scientifica una sorta di 'repubblica degli scienziati', in cui vigono norme tali da annullare l'impatto di diverse influenze esterne, è troppo alto perché la sociologia della scienza di derivazione mertoniana possa continuare a tenere il campo. Essa è infatti oggetto di aspri attacchi negli anni settanta e ottanta da parte di quella che si definisce 'nuova' sociologia della scienza, che variamente si ispira a La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Kuhn (v., 1962), opera che ha avuto un rilevante impatto sull'epistemologia, sulla metodologia della scienza e sullo stesso approccio sociologico alla scienza.
5. I paradigmi e le comunità scientifiche
Lo sviluppo e la specializzazione disciplinare creano da un lato esigenze di codici comunicativi fra diverse comunità scientifiche e, dall'altro, rafforzano i vincoli che legano i membri di tali comunità. Per Merton e i mertoniani la comunità scientifica è sostanzialmente unitaria. Per Thomas Kuhn, che pure pubblica la prima edizione del suo classico studio nella serie di volumetti fondata negli anni quaranta da
Ci sono dunque paradigmi declinanti e paradigmi emergenti nella scienza: ma il passaggio dai primi ai secondi è spesso conflittuale, dando luogo a quelle che si definiscono 'rivoluzioni scientifiche', fasi storiche, cioè, in cui le comunità si dividono al proprio interno, i diversi gruppi sono in lotta tra loro e cercano sostegno all'esterno dell'istituzione scientifica. Il più delle volte uno dei due paradigmi confliggenti cede, dopo una più o meno lunga resistenza, per la comprovata maggiore capacità del vincitore di dar conto di problemi scientifici insoddisfacentemente risolti entro la cornice teorico-paradigmatica opposta e, quindi, per la convinzione crescente della comunità scientifica circa la sua preferibilità.
Il caso della teoria corpuscolare e di quella ondulatoria della luce è tuttavia un esempio in cui la prevalenza dell'una sull'altra non è conseguenza della scoperta di decisivi elementi a sostegno di una superiorità - per così dire - 'oggettiva' di una struttura paradigmatica. Ciò rinvia al fenomeno della sottodeterminazione delle teorie, vale a dire della loro parziale e indiretta possibilità di conferma empirica. Quanto più cresce il livello di astrazione, poi, cioè quanto più una teoria assume connotazioni di paradigma, tanto minori sono le possibilità che si diano incontrovertibili elementi a sostegno della sua validità. Lo stesso concetto di validità, entro la prospettiva kuhniana, non si applica correttamente all'idea di paradigma. Questo può essere infatti utile, funzionale, più adeguato di un altro, più ricco di capacità esplicative e in grado di configurare un sistema complesso, teoricamente tale da porre ordine, senza lasciare troppe lacune, in un settore disciplinare.
La classica dicotomia introdotta da Kuhn fra periodi di "scienza normale" e "rivoluzioni scientifiche", che tanta fortuna ha avuto tra quanti si sono recentemente occupati delle relazioni fra scienza e società, rinvia solo in parte alla maggiore efficienza del paradigma ascendente rispetto a quello declinante. Nelle fasi cosiddette 'rivoluzionarie' ciò che conta, infatti, è non solo e non tanto una astratta ponderazione dei vantaggi comparativi, quanto piuttosto il delinearsi di un clima d'opinione all'interno delle comunità scientifiche, con tutte le influenze che su di esse variamente esercita il più ampio sistema sociale. Così, la rivoluzione copernicana, che è il massimo esempio di aspra conflittualità fra paradigmi incommensurabili, uno dei quali sempre più manifestamente inadeguato a dar conto dei fenomeni celesti, poté compiersi appieno solo in concomitanza con l'indebolimento delle pretese della Chiesa di
Più di recente, il postulato dell'inscindibilità dell'atomo, riferito ad un paradigma meccanicistico, mostrò una resistenza incomparabilmente minore allorché si affacciarono le prime, seppur confuse e contraddittorie, ipotesi di scindibilità dell'atomo stesso. Che il nuovo abbozzo di paradigma fosse strettamente connesso a una serie di precise istanze di carattere economico e militare fu altresì assai rilevante. Ma nel XX secolo le comunità scientifiche sono ormai forti, coese e sufficientemente autonome da poteri esterni, almeno con riguardo ai canoni di accettazione di un nuovo paradigma, per poter sviluppare senza vistosi conflitti le proprie rivoluzioni.
Beninteso, il peso di un potere totalitario può spingere a sviluppare elementi di paradigma scientifico funzionali all'ideologia del regime, come nel caso della cosiddetta 'scienza delle razze' incentivata dal nazismo. Ma non è certo un caso che solo scienziati di non prima grandezza si prestassero, negli anni trenta, a fornire un qualche sostegno alla mitologia razzista del nazionalsocialismo. E ciò mentre la scienza tedesca degli anni trenta e quaranta faceva straordinari progressi nel campo della
Per altro verso, l'analisi di Kuhn sconvolge la tradizionale concezione cumulativa della scienza, sostenendo che i paradigmi confliggenti sono fra loro incommensurabili. In altre parole, l'idea che la scienza sia un processo di accumulazione di conoscenze in cui ogni scoperta cresce sul corpo della conoscenza complessiva verificata, viene messa da parte a favore di una immagine assai più complessa e articolata, ossia quella di un processo ricco di discontinuità, talvolta dalle dimensioni imprevedibili, tali da rovesciare o sconvolgere il paradigma preesistente. La discontinuità, nella concezione kuhniana, è tale che il paradigma emergente è il più delle volte puramente e semplicemente eteronomo rispetto a quello declinante. Fra i due non sono possibili confronti, perché ciascuno reca con sé una visione del mondo, dei postulati, degli strumenti concettuali non confrontabili. Tycho Brahe e Simplicio osservavano il sorgere del sole come Keplero e Galileo; eppure lo 'vedevano' in modo completamente diverso. Le diverse osservazioni, "cariche di teoria" (v. Hanson, 1958), finiscono col 'costruire' un fatto non commensurabile con quello costruito dalle osservazioni, parimenti cariche di teoria, del paradigma confliggente. Gli scienziati, insomma, possono vivere in mondi differenti. "I sostenitori di paradigmi opposti - scrive Kuhn - praticano i loro affari in mondi differenti. L'uno contiene corpi vincolati che cadono lentamente, l'altro pendoli che ripetono il loro movimento più e più volte. In uno, le soluzioni sono composti, nell'altro sono mescolanze. L'uno è incorporato in una matrice spaziale piatta, l'altro in una curva. Svolgendo la loro attività in mondi differenti, i due gruppi di scienziati vedono cose differenti quando guardano dallo stesso punto nella stessa direzione. Ciò non significa che essi possono vedere qualunque cosa piaccia loro. Entrambi guardano il mondo, e ciò che guardano non cambia. Ma in differenti relazioni tra loro. Questa è la ragione per cui - precisa Kuhn - può accadere che una legge, che neanche se fosse dimostrata riuscirebbe a convincere un gruppo di scienziati, può sembrare intuitivamente ovvia ad un altro gruppo. Proprio perché è un passaggio tra incommensurabili, il passaggio da un paradigma ad uno opposto non può essere realizzato con un passo alla volta, né imposto dalla logica o da un'esperienza neutrale" (v. Kuhn, 1962; tr. it., pp. 181-182).
Questo passo di Kuhn è di importanza centrale per cogliere gran parte dei seri problemi che l'innovativo lavoro dello storico della scienza americano suscita sul piano epistemologico, su quello storico e su quello sociologico. Criticato per l'ambiguità del concetto stesso di paradigma, di cui Margaret Masterman (v., 1970) individua ben 21 diversi significati, per aver dissolto la razionalità scientifica nell'irrazionalità del sociale (v. Popper, 1970; v. Rorty, 1979; v. Leonardi, 1991), per aver gettato le basi di una pericolosa fuoriuscita dalla logica dell'indagine scientifica quale si è venuta delineando come struttura autogiustificantesi nella cultura occidentale, Kuhn precisa la sua posizione in un lungo poscritto alla seconda edizione de La struttura delle rivoluzioni scientifiche affermando con chiarezza di essere convinto della razionalità della scienza, ma, nel contempo, esaltando il ruolo delle influenze sociali sulla prevalenza di questo o quel paradigma, inteso come fattore basilare della scienza stessa.
Almeno una fra le numerose critiche rivoltegli viene però accettata da Kuhn. Dà infatti manifestamente luogo ad un ragionamento circolare asserire che un paradigma è ciò che viene condiviso dai membri di una comunità scientifica, e nello stesso tempo, che una comunità scientifica è composta di individui che condividono un paradigma. "Non tutti i circoli sono viziosi - ammette Kuhn - ma questa è una fonte di reale difficoltà" (v. Kuhn, 1962; tr. it., p. 176). Come superarla? Kuhn, nel poscritto, imbocca decisamente la via sociologica. "Le comunità scientifiche - scrive - possono e dovrebbero essere individuate prima dei paradigmi, analizzando il comportamento dei membri di una data comunità" (ibid.). Sviluppando questa linea d'analisi con riguardo al rapporto fra scienza e società, non solo le direzioni della ricerca, ma anche il modo di vedere il mondo, l'opzione fra paradigmi confliggenti, l'intero processo del conoscere scientificamente risultano fortemente condizionati da quei microsistemi sociali che sono le comunità scientifiche, con le loro idiosincrasie e i loro codici, le quali sono inevitabilmente soggette all'influenza del più ampio sistema sociale.
6. Le nuove sociologie della scienza
Le prospettive indicate nel poscritto de La struttura delle rivoluzioni scientifiche aprono il campo, negli anni settanta e ottanta, a una serie di sociologi comprensibilmente attratti dall'idea che l'assunto della razionalità formale delle scienze cosiddette 'dure' possa essere di fatto messo in discussione, rendendo le stesse variabili dipendenti da fattori socioeconomici e culturali, per ciò stesso non necessariamente razionali. Combinata con il cosiddetto 'anarchismo metodologico' di
Del primo filone sono significativi esponenti i sociologi Derek Phillips (v., 1976) e David Bloor (v., 1976). Per Phillips la scienza è una forma di vita che esige consenso; ed è solo il consenso della comunità scientifica a determinare l'accettazione di teorie e paradigmi, al punto che ciò che si dice epistemologia finisce col risolversi nella nuova sociologia della conoscenza scientifica. Per Bloor, è indispensabile accettare il cosiddetto 'programma forte' della sociologia della conoscenza scientifica, che, insieme, ingloba l'epistemologia, proclama un assoluto laissez faire metodologico e, soprattutto, dichiara la propria neutralità riguardo alla dicotomia vero-falso. Quelle scientifiche, infatti, sono a suo avviso 'credenze' come tante altre - magiche, religiose, di senso comune -, tutte componenti di diverse forme di vita.
Estremismi di questo genere portano puramente e semplicemente fuori dalla scienza, pur ammettendo con un altro seguace del tardo Wittgenstein, il sociologo inglese
In realtà, Bloor, sottoposto a numerose critiche, rettifica parzialmente il tiro nel Poscritto all'ultima edizione (1991²) del suo Knowledge and social imagery, concedendo che non sempre e non necessariamente le vicende della storia della scienza possono essere concepite come dipendenti da particolari fattori sociali. Resta tuttavia il fatto che il cosiddetto 'programma forte' è intrinsecamente debole per la sua reiterata opzione tardowittgensteiniana e per la sostanziale negazione delle peculiarità (in termini di pubblicità, ripetibilità, controllabilità delle procedure) della scienza.
Meno debole, ma parimenti astratto nelle sue assunzioni, è il filone neomarxista, di cui sono significativi esponenti, fra gli altri, il fisico italiano Marcello Cini e i suoi allievi, e che ha avuto particolare fortuna nell'Inghilterra degli anni settanta. La scuola di Cini, ad esempio, tenta di dimostrare come il meccanicismo di Boltzmann fosse sconfitto dal 'possibilismo' di Max Planck perché ciò che la società tedesca del tempo chiedeva alla scienza era non già una 'concezione del mondo', quale quella suggerita da Boltzmann, ma la "formazione di aree di ricerca abbastanza autonome da poter essere dimostrate da costrutti anche parziali, purché fecondi di sviluppo" (v. Ciccotti e Donini, 1976). Analizzando situazioni più recenti di relazioni fra strutture sociali e scienza, poi, Hilary e Steven Rose (v., 1969) hanno cercato di mostrare come l'establishment britannico abbia operato determinate scelte, ad esempio, a danno della ricerca sulla medicina preventiva e a favore di settori dalla prevedibile ricaduta tecnologica nel breve periodo e con scopi di profitto, con ciò sterilizzando per un lungo periodo la biologia più avanzata. Tutto ciò è sicuramente plausibile; per un verso però è piuttosto scontato, per l'altro non comporta, come sarebbe auspicabile, concreti lavori di ricerca sociologica sul campo che confermino e approfondiscano i modi e le forme in cui definite istanze socioeconomiche influenzano le direzioni e le strutture cognitive della ricerca scientifica; assunti, questi, della 'nuova' sociologia della conoscenza scientifica.
Quanto al terzo filone, quello della cosiddetta 'etnografia scientifica', che si dedica allo studio delle interazioni fra singoli scienziati nei laboratori e agli 'artifici retorici' che producono consenso sociale nei gruppi di ricerca, non sembra che il settore sia molto promettente per affrontare i grandi temi posti fin dall'origine dalla sociologia della conoscenza scientifica. Esso si pone piuttosto come la versione micro del filone ormai predominante nella sociologia della scienza classica, sempre più orientato all'analisi organizzativa delle istituzioni scientifiche, che poco o nulla ha a che vedere con l'originario programma di Merton e, in definitiva, dello stesso Kuhn (v. Kornhauser, 1962; v. Schwartz, 1971). Produttività della ricerca, funzionalità organizzativa delle istituzioni, tecniche di incentivazione degli scienziati, modalità di traduzione in termini scientifici di bisogni sociali, influenze sulle politiche della ricerca: sono questi gli oggetti principali d'indagine della sociologia della scienza contemporanea. Messo tra parentesi il modello mertoniano di una ideale comunità scientifica accomunata da un peculiare ethos costituito da norme morali che sono anche prescrizioni metodologiche, l'analisi del complesso rapporto fra scienza e società si laicizza, accoglie talune indicazioni di Kuhn, ma in definitiva si riduce ad un capitolo, pur importante, delle discipline organizzativistiche rinunciando pressoché completamente a studiare l'impatto della scienza sulla società e soprattutto lasciando ai paraepistemologi della 'nuova' sociologia della scienza la problematica delle relazioni fra variabili sociali e strutture cognitive.
7. La società tecnologica
L'impatto della scienza sulla società è un tema che può essere affrontato in termini generici, come frequentemente accade, ovvero in termini di indagine specifica e ben delimitata con specifico riferimento alle ricadute tecnologiche della ricerca scientifica.
Fra quanti si interrogano sul piano astratto circa l'impatto della scienza sulla società non mancano gli 'apocalittici': quei teorici, cioè, che rifacendosi variamente al Marx rousseauiano e a Freud, e subendo suggestioni tardoromantiche, individuano nel perverso intreccio di sviluppo scientifico-tecnologico, industrializzazione avanzata e capitalismo trionfante un esplosivo prodotto del XX secolo. La Scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer, Marcuse), a partire dagli anni trenta, sviluppa un pauroso affresco delle società contemporanee, denunciandone l'ineluttabile massificazione come conseguenza del crescente controllo sociale esercitato tramite la razionalità formale, i mass media, la divisione del lavoro. L'ultimo epigono della Scuola di Francoforte,
La cosiddetta 'teoria critica della società' di origine francofortese trova una straordinaria eco di massa fra il 1968 e la prima metà degli anni settanta, in coincidenza con l'esplosione della protesta studentesca soprattutto in
L'impatto della scienza e della tecnologia sulla società, in questa visione teorico-ideologica, è semplicemente devastante. Hanno pertanto buon gioco i teorici cosiddetti 'integrati' della società tecnologica di massa nel mostrare come mai prima d'ora, nella storia dell'umanità, si sia data una così ampia ed estesa partecipazione dei cittadini; come la società preindustriale fosse società di ristrette élites rispetto alle quali masse sterminate di popolazione nascevano, vivevano e morivano, spesso di epidemie, permanentemente situate alla estrema periferia, in realtà tagliate fuori dal sistema; come i ritrovati medico-biologici abbiano vinto molte malattie che da secoli mietevano centinaia di migliaia di vittime all'anno e le ricadute tecnologiche della ricerca scientifica abbiano umanizzato progressivamente
Dalle teorie cosiddette 'integrate', secondo la fortunata definizione di
Beninteso, l'impatto della scienza e della tecnologia sui paesi del Terzo e del Quarto Mondo resta assai modesto. Se si esclude infatti la drastica riduzione della mortalità infantile, resa possibile dal progredire della scienza medica e dal diffondersi di pratiche da essa conseguenti, il Terzo e il Quarto Mondo restano lande desolate dove i progressi sociali dovuti alla tecnologia non penetrano se non in misura minima. Per altro verso, il calo della mortalità infantile e l'accrescersi della speranza di vita fanno aumentare a dismisura la popolazione di paesi come l'India, l'Indonesia, la totalità dei paesi islamici, con gravi conseguenze in termini di sovrappopolazione, carenza di risorse alimentari, di lavoro, di sviluppo socioeconomico. Peraltro, la Cina e l'India, che sono fra i paesi con il più basso reddito pro capite, dispongono di armi nucleari; in questi paesi, come in
Il secondo filone, essenzialmente empirico, di studi sugli effetti sociali della tecnologia, è quello che rientra sotto la generale etichetta della valutazione dell'impatto. Si va, in questo ambito, dagli studi di carattere socioantropologico relativi alle conseguenze dell'attuazione di un programma tecnologicamente avanzato in aree rurali del
In realtà, la gran parte delle indagini sull'impatto sociale della tecnologia rivela anzitutto che le caratteristiche proprie di un determinato sistema sociale tendono ad influenzare la scelta di questo o quell'apparato tecnologico, in relazione ai modelli culturali prevalenti, alla stratificazione sociale, ai modi di produzione del reddito e al loro peso relativo; per altro verso, gli stessi studi mostrano come l'adozione di identiche tecnologie può avere effetti diversi in sistemi sociali diversi. Le ricerche sul campo vertono soprattutto sulle conseguenze socioculturali dell'attuazione di programmi tecnologicamente avanzati in aree rurali del Terzo e del Quarto Mondo. La costruzione di una installazione tecnologicamente avanzata, oppure il trasferimento di una tecnologia, può porre certamente dei problemi tecnici e logistici, ma il successo dell'operazione dipende nella maggioranza dei casi dalla costruzione di una rete di alleanze sociali ed economiche tali da favorire l'accettazione del manufatto e da renderne socialmente accettabili gli eventuali costi. Peraltro, anche il semplice 'trasferimento' di una tecnologia mette in moto dei meccanismi che coinvolgono le capacità di un gruppo, o di una società, di acquisire 'nuove tecnologie'. Tale capacità è tuttavia connessa alla 'natura' delle tecniche trasferite. In questo senso, si può individuare una tipologia di oggetti tecnologici che distingue quelli in grado di produrre rapporti sociali - oppure di lacerare vecchie relazioni - da quelli che riflettono i rapporti sociali; nel primo caso, come è facile intuire, sono collocabili quegli oggetti tecnologici connessi ai cicli produttivi e/o di acquisizione, mentre nel secondo caso sono da inserire gli oggetti in qualche modo implicati nei processi di consumo.
Studi e analisi del genere, sempre più diffusi e ormai obbligatori per legge anche in
8. Scienza, società ed etica
Accanto al nodo cruciale dell'impatto sociale della tecnologia, una grande attenzione ricevono, in questi ultimi anni, le questioni propriamente etiche connesse ai più recenti sviluppi di taluni settori scientifici, in particolare la biogenetica con le conseguenti applicazioni di cosiddetta '
Il superamento della connessione fra scienza e fede religiosa, che si acquisisce in Occidente nell'età contemporanea, sembrerebbe
Di fatto, i nodi della cosiddetta bioetica riguardano insieme la persona individuale e i sistemi sociali nella loro globalità. Inseminare artificialmente una ultrasessantenne desiderosa di avere un figlio può soddisfare un egoistico bisogno individuale, ma può dar luogo, ove la prassi si diffondesse, a ovvi problemi sociali di consistente portata connessi ad ipotetiche schiere di orfani ventenni. Analogamente, clonare individui - a prescindere dalle incognite biologiche che pratiche del genere potrebbero riservare - è intuitivamente una potenziale fonte di sconvolgimento sociale. Poiché di fatto sono già disponibili o a portata di mano tecnologie di intervento sul DNA, sulla fecondazione variamente assistita a prescindere dalle capacità riproduttive naturali della donna, nonché tecnologie di clonazione su ogni tipo di animale e tecniche di ibernazione, è comprensibile la preoccupazione non solo per l'incontrollata violazione di elementari principî etici relativi alla persona umana, ma anche e soprattutto il timore che gli sviluppi scientifico-tecnici in questo settore possano sottrarsi al controllo sociale per la stessa rapidità ed imprevedibilità delle loro conseguenze razionalmente determinabili. Di qui il rischio che il Moloch scientifico-tecnologico possa compiere, magari inconsapevolmente, inarrestabili fughe in avanti tali da sconvolgere norme culturali accettate e consolidate, modelli di relazioni sociali, assetti complessivi dei sistemi sociali avanzati.
Insomma, le teorie formulate in termini astratti da studiosi come Jürgen Habermas circa la crescente indipendenza del tecnologico dal sociale rischiano di farsi paurosamente concrete, complice anche il ritardo di quasi tutti gli Stati nel legiferare in modo sufficientemente chiaro al riguardo. Peraltro, il rischio, pur da non sottovalutare, è ridimensionato dalla tendenza storico-sociale che vede nelle istanze sociali la variabile usualmente influente sulle direzioni della ricerca e soprattutto sulle conseguenti tecnologie. E mentre è possibile che si determinino parametri economici di convenienza per la clonazione delle mucche da latte, piuttosto che in favore della riproduzione naturale, è difficile ipotizzare che si crei una forte pressione sociale in favore della clonazione degli esseri umani, che è evidentemente la prospettiva eticamente più sconvolgente.
In ogni caso, ad una regolamentazione degli stessi esperimenti genetici che l'attuale coscienza morale dell'opinione pubblica è in condizione di accettare, lavorano attivamente teams specializzati in tutti i paesi avanzati. Restano molti interrogativi: ad esempio se sia opportuno porre limiti invalicabili alla sperimentazione prima di sapere se essa, ad esempio, possa dar luogo a tecniche di manipolazione genetica in grado di prevenire gravi malattie ereditarie, oppure se effettivamente la scienza sia arrivata ad un punto in cui le possibilità di controllo, almeno preventivo, si fanno sempre più labili. In realtà, è discutibile che, salvo casi di estrema devianza, sugli esperimenti scientifici sia logicamente, moralmente e socialmente legittimo esercitare forme di controllo preventivo. Ma che l'accettazione o il rifiuto di una direzione sperimentale piuttosto che di un'altra siano materia di controllo sociale, da parte delle comunità scientifiche in primo luogo, del comune sentire poi, è una tendenza che la storia della scienza recente - sia pure con aberranti eccezioni durante il periodo nazista - conferma in misura sufficientemente consistente.
Ciò non basta a rassicurare del tutto, perché possono sempre esistere dei Mengele esclusi dal circuito delle comunità scientifiche. Ma è sufficiente quantomeno a contenere l'angoscioso timore che taluni settori della scienza contemporanea siano in condizione di ergere mura tali da renderle potenziali istituzioni chiuse, incontrollabili, esenti da quei complessi condizionamenti sociali che in qualche caso possono favorire sviluppi eticamente discutibili ma che, in generale, contribuiscono - per la responsabilità delle comunità scientifiche e per la crescente sensibilità dell'opinione pubblica - ad evitare che si imbocchino vie eticamente non congruenti con il sentire diffuso.
(V. anche Epistemologia delle scienze sociali; Etica; Innovazioni tecnologiche e organizzative; Sapere; Tecnica e tecnologia).
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