Schizofrenia

Dizionario di Medicina (2010)

schizofrenia


Grave disturbo psichiatrico, caratterizzato da eterogeneità sindromica e nosodromica, che può determinare riduzione del funzionamento lavorativo/scolastico e sociale e dell’autonomia esistenziale. Rappresenta una delle maggiori cause di disabilità fra i giovani e costituisce un’importante voce di spesa per il Sistema sanitario, sia per i costi diretti che indiretti.

Epidemiologia

La s. esordisce tra i 16 e i 25 anni; l’incidenza annuale, simile tra i diversi Paesi, è di circa 1/10.000 individui, mentre la prevalenza è 0,6÷1,0%. Le femmine presentano un’età di esordio più tardiva e un decorso della malattia più favorevole, con minore numero di ricoveri e migliore funzionamento sociale. Sebbene non vi siano rilevanti differenze in termini di incidenza/prevalenza, la residenza in zone rurali e in Paesi in via di sviluppo è associata a una prognosi migliore, probabilmente per la presenza di una maggiore efficacia di fattori protettivi, quali la maggiore possibilità di integrazione e la presenza di un contesto culturale fondato su valori tradizionali. Il decorso è assai variabile: nel 25% dei casi si ha una prognosi con esito positivo con il recupero di un livello di funzionamento lavorativo/scolastico paragonabile a quello premorboso; nel 50% dei casi si ha una parziale remissione, con malfunzionamento in specifiche aree; nei casi restanti si ha un grave deterioramento variabilmente progressivo.

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Eziopatogenesi

L’eziopatogenesi è multifattoriale secondo il modello biopsicosociale: sulla base di una predisposizione genetica e familiare si sviluppa una complessa interazione tra fattori aggressivi e protettivi di natura ambientale (fisici e psichici) che può dare luogo all’esordio della malattia. La teoria più accreditata attualmente è quella del disturbo del neurosviluppo, secondo la quale esiste un’alterazione delle fasi dello sviluppo del sistema nervoso centrale (formazione e migrazione neuronale, sinaptogenesi, pruning, apoptosi, mielinizzazione), condizionata da fattori genetici, ostetrici (infezioni, malnutrizione, diabete mellito, fumo e complicazioni del parto) e parentali (esperienze relazionali precoci). Questa alterazione costituirebbe la base anatomofunzionale di un deficit di natura neuropsicologica che coinvolge processi cognitivoemozionali di base (attenzione, working memory, funzioni esecutive, regolazione affettiva). I correlati biologici della s. – su cui si fonda la teoria del disturbo del neurosviluppo – sono: anomalie neuroanatomiche riguardanti sia la sostanza bianca profonda sia la sostanza grigia; alterazioni neurofisiologiche; alterazioni del metabolismo e del flusso cerebrale (ipofrontalità, cioè minore attività metabolica nelle regioni frontali alla PET); alterazioni dei sistemi recettoriali dei neurotrasmettitori. Durante lo sviluppo della malattia, prima dell’esordio franco, diventano a mano a mano evidenti segni/sintomi minori di natura neurologica (soft neurological signs), neuropsicologica (attenzione e memoria) e psichica (sintomi di base). Sebbene nessuno di questi segni/ sintomi possa essere considerato un marker predittivo, l’intercettazione di queste anomalie sottosoglia è la sfida che la ricerca sui prodromi sta affrontando. Nei cosiddetti stati mentali a rischio sono state individuate condizioni psicopatologiche con un elevato rischio di transizione verso la psicosi schizofrenica nei successivi dodici mesi.

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Clinica

Emil Kraepelin fu il primo a definire nosologicamente la s., denominandola dementia praecox. Eugen Bleuler invece fu il primo a denominarla schizofrenia ponendo l’accento sugli aspetti dissociati del pensiero e della affettività di questi malati. La s. è caratterizzata da tre gruppi di sintomi: i sintomi positivi, i sintomi negativi e la compromissione cognitiva. I primi sono costituiti da errori di giudizio (deliri per lo più lucidi a tema persecutorio, di controllo, di riferimento o somatico), associati o meno a disturbi della sensopercezione (allucinazioni soprattutto uditive). I sintomi negativi (appiattimento affettivo, ritiro sociale, inefficacia della volizione, povertà ideoaffettiva) tendono a essere più pervasivi e meno fluttuanti nel corso del tempo rispetto ai sintomi positivi. Le funzioni cognitive compromesse sono soprattutto quelle esecutive e si esprimono nell’incapacità di pianificare e di elaborare strategie di apprendimento e operative. Sono spesso presenti anche sintomi cosiddetti disorganizzati caratterizzati dalla bizzarria dei pensieri e dei comportamenti.

Terapia

Secondo le più recenti indicazioni dell’OMS la cura della s. deve essere tempestiva: la riduzione del periodo di psicosi non trattata, infatti, influenza positivamente la prognosi; la cura, inoltre, deve comprendere, fin dal primo episodio, un trattamento farmacologico, un trattamento psicologico individuale, una terapia familiare, un intervento riabilitativo. I farmaci antipsicotici (➔) di ultima generazione costituiscono la prima scelta, avendo una parità di efficacia rispetto ai farmaci tradizionali e una minore incidenza di effetti collaterali sull’SNC; determinano, tuttavia, non sottovalutabili effetti dismetabolici e disendocrini. La loro farmacodinamica coinvolge i sistemi neurotrasmettitoriali monoamminergici. Il trattamento psicologico individuale affonda le proprie radici nelle teorie psicodinamiche della scuola kleiniana e ha come obiettivo la costruzione di una relazione terapeutica significativa che costituisca una esperienza emotiva correttiva e che migliori l’adesione del paziente alla terapia. Il trattamento familiare ha come obiettivo la modifica dello stile affettivo e il miglioramento dell’espressione delle emozioni del contesto familiare. La riabilitazione (social skill training) ha come obiettivo la riduzione dell’impatto sociale e lavorativo della malattia.

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