SCETTICISMO

Enciclopedia Italiana (1936)

SCETTICISMO

Guido Calogero

. È, in generale, l'atteggiamento di chi, in ordine a un dato complesso di nozioni o addirittura alla totalità del conoscibile, assume un atteggiamento negativo, o limitandosi a escludere che il pensiero umano ne sia venuto in possesso e ne abbia accertata la verità, o coinvolgendo nell'esclusione anche la possibilità che tale possesso e controllo abbia mai a realizzarsi. Come organica tradizione speculativa, in cui tale atteggiamento . Si riferisca alla verità considerata filosoficamente nel suo complesso, lo scetticismo appartiene propriamente al mondo antico, nell'età medievale e moderna apparendo rappresentato solo da manifestazioni sporadiche. Ciò corrisponde al diverso atteggiamento in cui il problema della conoscenza, considerato nelle sue caratteristiche più generali, si presenta in quelle distinte fasi della sua evoluzione. Al pensiero antico è infatti sostanzialmente comune il presupposto che la conoscenza sia vera solo in quanto è oggettiva, cioè solo in quanto riproduce esattamente la realtà della cosa: il fatto che essa si presenti d'altronde anche come soggettiva, cioè come manifestazione e funzione di una soggettività conoscente, deve quindi condurre la riflessione gnoseologica a disperare più o meno radicalmente del suo valore oggettivo. Il pensiero moderno, che riconoscendo l'impossibilità di eliminare il momento soggettivo del conoscere non lo considera più come soltanto negativo e anzi trasferisce in esso, in maggiore o minor misura, il contenuto concreto del sapere, è invece scettico soltanto nei momenti e nei limiti in cui la soggettività continua ad avere per esso l'antico valore di negatività nei confronti dell'oggettivo.

Se in tal senso lo scetticismo classico è, nei riguardi del vero, il prodotto della sua oggettività di diritto con la sua soggettività di fatto, è evidente che la sua genesi è strettamente legata a quella del soggettivismo stesso: e così scettico è già, in certa misura, Democrito, che distinguendo nel percepito il soggettivo dall'oggettivo è condotto infine a dubitare del rigore oggettivo di questa stessa distinzione. Scettico non è, bensì, il suo grande contemporaneo Protagora, che pure è il massimo (e anzi l'unico, anche se praticamente il suo atteggiamento vien mantenuto da tutta l'antica sofistica) soggettivista greco: ma gli argomenti che inducono Protagora, non preoccupato dell'oggettività del sapere, ma del suo valore pratico per l'uomo, a valutare il sentito solo dal punto di vista del senziente, sono poi essenzialmente gli stessi che determinano la genesi della vera e propria tradizione scettica. Σκεπτικοί sono, per gli antichi, coloro che esercitano la σκέψις, lo σκέοτεσϑαι, cioè il "controllo critico" degli oggetti del sapere, senza venire a una conclusione certa di tale controllo; e che perciò si contrappongono ai δογματικοί, "dogmatici", approdanti a un δόγμα, a una "opinione" ritenuta vera. Essi vengon perciò chiamati anche "zetetici) (ζητητικοί, "indagatori") e "aporetici" (ἀπορητικοί), in quanto non superano lo stadio dell'aporia, o "efettici" (ἐϕεκτικοί, da ἐπέχειν "sospendere, rimanere in sospeso", donde ἐποχή "sospensione", cioè dell'assenso" a una data tesi), in quanto si rifiutano di aderire all'una o all'altra delle opinioni in contrasto: o, infine, anche "Pirroniani" (Πυρρώνειοι, Πυρρωνικοί), dal nome di Pirrone, iniziatore della loro tradizione. Questa si divide, nell'antichità, in tre periodi. Il primo è quello rappresentato, tra il sec. IV e il III a. C da Pirrone e dai suoi scolari, Filone di Atene, Nausifane di Teo, Timone di Fliunte. Il secondo è quello in cui, fra il sec. III e il II a. C., la tradizione scettica conquista l'Accademia platonica con Arcesilao di Pitane, iniziatore della cosiddetta seconda Accademia, e Carneade di Cirene, iniziatore della terza. È l'età a cui risale la designazione degli "scettici" come "accademici", e in cui di fatto, soprattutto per opera del grande Carneade, lo scetticismo riceve la sua formulazione più rigorosa, nonostante che all'assoluta negatività delle sue conseguenze pratiche venga opposto, come rimedio, il probabilismo. Lo scetticismo non si risolve infatti, in questo periodo, in una semplice dimostrazione della relatività soggettiva di ogni conoscenza e dell'impossibilità di fissarne con certezza ogni contenuto oggettivo, ma si specifica in una serie di critiche alle particolari dottrine logiche, metafisiche, teologiche, etiche dei "dogmatici" (cioè di tutti i pensatori non scettici, e in primo luogo degli stoici), venendo così ad accumulare un complesso di motivi di capitale importanza per la successiva evoluzione del pensiero. Il terzo e ultimo periodo, che si estende dal secolo I a. C. fino al II d. C. ed è principalmente rappresentato da Enesidemo, Agrippa e Sesto Empirico - gli scritti superstiti del quale costituiscono il documento massimo per l'odierna conoscenza dello scetticismo antico e della sua interpretazione della precedente storia del pensiero - si configura invece piuttosto come un ritorno al primo scetticismo, di stampo pirroniano.

Nel Medioevo lo scetticismo, almeno come specifica concezione filosofica, è pressoché inesistente: troppo forte è la fiducia dogmatica che viene al pensiero sia dalla tradizione teologica sia dall'influsso platonico e aristotelico. S'intende quindi come le correnti scettiche vengano in luce solo quando tale tradizione dogmatica entra in crisi: come accade nell'occamista Nicola di Autrecourt detto dagli studiosi moderni "Hume medievale" per la somiglianza delle critiche da lui rivolte contro le idee della causalità naturale e della sostanzialità psichica a quelle messe in campo molti secoli più tardi dal grande scettico inglese. Così, all'inizio dell'età moderna, col dubbio metodico di Cartesio, l'atteggiamento scettico ha la stessa funzione di critica della vecchia tradizione speculativa e di preparazione della nuova: ed è superato (secondo quanto aveva del resto già fatto, agl'inizî del Medioevo, Sant'Agostino, la cui voce era rimasta peraltro priva di eco) proprio mercé il capovolgimento della posizione dello scetticismo classico, e cioè col rilievo della verità intrinseca a quella stessa soggettività del conoscere, che dal punto di vista antico appariva come mera negazione del suo valore oggettivo. Questo capovolgimento di posizione rende d'allora in poi impossibile ogni forma di scetticismo assoluto, non potendo comunque più negarsi quel che gli scettici antichi avevano pur cercato di negare, e cioè che fosse certa almeno la negazione soggettiva della possibilità di ogni certezza. Cessa la tradizione dell'antico pirronismo, che era rivissuta in certe correnti del Rinascimento, piuttosto intente ad esprimer con esso la loro insoddisfazione per la filosofia tradizionale che a teorizzare una filosofia della loro principalmente da Montaigne, Charron, Sanchez: per l'Italia può esser citato Gian Francesco Pico della Mirandola); e nella storia del pensiero lo scetticismo non si presenta più se non come negazione di un certo modo o di un certo ambito del conoscere, ulteriore a ciò che risulta immediatamente (o meno mediatamente) attestato della consapevolezza. Così è dello scetticismo (che è piuttosto estremo empirismo) del Hume, e così di tutti gli atteggiamenti scettici che possono trovarsi rappresentati nel pensiero posteriore (si pensi, p. es., all'Aenesidemus dello Schulze), fino a quello contemporaneo (per cui possono essere ricordati, quanto all'Italia, Adolfo Levi e G. Rensi).

Bibl.: Indichiamo qui solo le maggiori trattazioni generali di storia dello scetticismo o di suoi periodi: per la bibliografia concernente i singoli pensatori si vedano le voci ad essi dedicate. Sullo scetticismo antico: N. Maccoll, The Greek Sceptics from Pyrrho to Sextus, Londra-Cambridge 1869; R. Hirzel, Die verschiedenen Formen des Skeptizismus, in Untersuchungen zu Ciceros philosophischen Schriften, III, Lipsia 1883; P. Natorp, Forschungen zur Geschichte des Erkenntnisproblems im Altertum, Berlino 1884, pp. 127-163; V. Brochard, Les sceptiques grecs, Parigi 1887; L. Credaro, Lo scetticismo degli accademici, voll. 2, Milano 1889-93; G. Caldi, Lo scetticismo critico della scuola pirroniana, Udine 1896; Ch. Waddington, La philosophie ancienne et la critique historique, Parigi 1904, pp. 260-340, 356-379; R. Richter, Der Skeptizismus in der Philosophie I (sullo scetticismo greco), Lipsia 1904; A. Goedeckemeyer, Die Geschichte des griechischen Skeptizismus, ivi 1905 (e il Goedeckemeyer è direttore di una serie di Abhandlungen zur Geschichte des Skeptizismus, di cui può qui esser citato, per il suo carattere generale, il fasc. 2°: G. Paleikat, Die Quellen der akademiwchen Skepsis, Lipsia 1916); F. Conrad, Die Quellen der älteren pyrrhonischen Skepsis, Danzica 1913; E. Bevan, Stoic and Sceptics, Oxford 1913. Sullo scetticismo moderno scarse sono le opere d'insieme (v., p. es., Sartini, Storia dello scetticismo moderno, Firenze 1876; R. Richter, Der Skeptizismus in der Philosophie, cit., II, Lipsia 1908), appunto in quanto, trattandosi più di manifestazioni individue che di una tradizione organica di pensiero, gli studî sono piuttosto da ricercare tra quelli dedicati ai singoli autori.