SCARSELLA, Ippolito, detto lo Scarsellino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91 (2018)

SCARSELLA, Ippolito detto lo Scarsellino

Valentina Lapierre

– Figlio del pittore e architetto ferrarese Sigismondo, detto il Mondino (1522 o 1524-1594), e di Francesca Galvani.

Ebbe quattro fratelli: Girolamo, Bartolomeo, Francesco e Claudia (Baruffaldi, 1697-1730, II, 1846, p. 65).

Inediti documenti d’archivio (Lapierre, in corso di pubblicazione) consentono di correggere alcune notizie riferite da Girolamo Baruffaldi (1697-1730, II, 1846), primo biografo dell’artista: nonno di Ippolito non fu Ludovico ma Tura, identificabile con il nocchiere che il 6 dicembre 1517 era al servizio di Alfonso I d’Este (Menegatti, 2002); stessa professione fu di Francesco, fratello di Ippolito; il padre Sigismondo non morì nel 1614, ma vent’anni prima (Ferrara, Archivio storico comunale, Libro dei defunti, VII, 1592-1594, ad vocem). I Ludovico e Sigismondo registrati nei libri dei defunti del Comune di Ferrara sotto l’anno 1614 furono probabilmente due figli di Ippolito.

Dalle due mogli, una Isabetta e la veneziana Mattia Belli, ebbe sette figli; gli sopravvissero soltanto Isabetta e Francesca, una delle quali fu badessa del Corpus Domini a Ferrara con il nome di suor Giulia.

Agostino Superbi (1620, p. 127) tracciò il primo profilo dello Scarsellino, «oggidì singolare et eccellente nella pittura, et abbondante d’invenzioni», lodando la sua «maniera di colorire gustevole, vaga e delicata, et una mano velocissima», mentre la sua personalità artistica e il suo catalogo furono illustrati quasi un secolo più tardi da Baruffaldi, il quale fissò al 1551 la sua nascita sulla base della tradizione che lo voleva morto settantenne (Ghelfi, 2011, p. 229, la posticipa al 1560 circa, per l’assenza di attestazioni documentarie prima del 1590).

Secondo Baruffaldi, Ippolito fu allievo del padre, cui le fonti attribuiscono dipinti per lo più perduti o dispersi, alcuni dei quali sono riemersi di recente, consentendo di avviare la ricostruzione del suo catalogo, in parte ancora confuso con quello del figlio (Novelli, 2008, p. 353; Ghelfi, 2011, pp. 232-235); diciassettenne, Ippolito si recò a Bologna, dove avrebbe ammirato le primizie dei Carracci – la prima opera nota del più anziano Ludovico è però successiva (1580); dopo «ventidue mesi» si trasferì a Venezia, dove restò tre anni frequentando la bottega del Veronese e studiando Tiziano, Andrea Schiavone, Tintoretto e i Bassano. Il soggiorno è confermato dalla spiccata matrice veneta che caratterizzò tutta la produzione del pittore, soprannominato il Paolo de’ Ferraresi (Baruffaldi, 1697-1730, II, 1846, p. 69), e dalle parole di Giulio Mancini (1617-1621 circa, 1956).

Sulla base della testimonianza di Marc’Antonio Guarini (1621), Maria Angela Novelli (2008, p. 304) data al 1585-86 la pala dell’altare maggiore di S. Maria Maddalena a Ferrara, raffigurante la Madonna con i ss. Maddalena, Pietro, Francesco, Chiara e una monaca francescana (Houston, The Museum of fine arts). Dal testamento di Galeazzo Signoretti, del 4 gennaio 1592, si desume che a quella data l’Annunciazione (Carpi, Museo diocesano) era già sull’altare della cappella di famiglia nel duomo di Mirandola (Papotti, 1876).

Nel 1590 e nel 1592 lo Scarsellino fu pagato per alcuni dei Misteri della Passione (dispersi) per l’oratorio delle Crocette di Ferrara (non più esistente). Barbara Ghelfi (2011, p. 36) ha proposto di collocare la pala da lui eseguita per l’altare maggiore (Vergine in gloria e l’imperatore Eraclio che porta la Croce, Stoccolma, Nationalmuseum, datata da Novelli dopo il 1614) prima della loro esecuzione.

Non trova ancora conferme la partecipazione dello Scarsellino, accanto ai Carracci e a Gaspare Venturini, alla decorazione dell’appartamento di Virginia de’ Medici, moglie di Cesare d’Este, a palazzo dei Diamanti (1592-93), ma, sicuramente, egli eseguì più tardi copie di questo ciclo.

Alla morte del padre, nel 1594, Ippolito gli subentrò nelle opere lasciate interrotte e ne assunse gli impegni economici, con il ruolo di capofamiglia.

Il 13 luglio 1595 sottoscrisse un accordo privato con il conte Giulio Estense Tassoni, nel quale s’impegnò a dipingere «a guazzo» il Ratto d’Elia nel catino absidale della chiesa ferrarese di S. Paolo (Baruffaldi, 1697-1730, II, 1846, pp. 72-74).

L’attendibilità del contratto, ancora non riemerso (e messo in dubbio da Novelli, 2008, p. 302), è avvalorata dal ritrovamento di documenti che escludono che lo Scarsellino abbia lavorato alla cappella maggiore prima della sua inaugurazione, il 25 gennaio 1592: nei registri del lascito di Giuseppe Palmiroli, finanziatore dei lavori, non c’è traccia di pagamenti a suo favore (Lapierre, in corso di pubblicazione). Qui Ippolito declinò per la prima volta a Ferrara il genere del paesaggio, sul quale tornò in seguito, toccando livelli poetici altissimi nelle Storie di Nigersol (divise tra Napoli, Museo di Capodimonte; Ferrara, Collezione della Fondazione Carife, esposte alla Pinacoteca nazionale; Ro Ferrarese, Fondazione Cavallini Sgarbi), in cui narrò le favolose origini della famiglia Nigrisoli (Lapierre, 2004).

Come intuito da Francesco Arcangeli, lo Scarsellino perseguì «una via ferrarese all’ideale classico, che si nutre degli esempi della grande tradizione veneta del Cinquecento – in parallelo a quanto avviene per i Carracci e con risultati che talvolta coincidono nello stile con quelli dei bolognesi – rivisti e corretti però entro la lingua dei ferraresi del Cinquecento» (Morandotti, 1997, p. 32).

Tra il febbraio e l’aprile 1596 lavorò alla cappella in palazzo ducale (Novelli, 1964, p. 25), e a luglio collaborò alla decorazione dell’altare della cappella del Preziosissimo Sangue in S. Maria in Vado, un intervento di cui oggi non è più visibile alcuna traccia (Marcolini - Marcon, 1987, p. 69).

Subito dopo la devoluzione di Ferrara allo Stato della Chiesa (1598) lo Scarsellino fu pagato per aver miniato sei santi sulla pianeta di Clemente VIII in occasione dell’entrata del papa a Ferrara (Bertolotti, 1885).

Il 23 giugno 1599 si scoprì l’altare dei Fruttaroli in S. Paolo (concesso all’arte il 3 giugno 1594), dove trovarono posto la Natività del Battista e, ai lati, due telette sagomate con Episodi della vita del santo (Romani, 2001).

Secondo Baruffaldi (1697-1730, I, 1844, p. 193) nel 1600 il pittore avrebbe eseguito le Storie di Giobbe per l’omonima chiesa di Ferrara (Hannover, Landesgalerie). Da un’inedita lettera datata 17 settembre 1602, inviata dall’architetto Giovan Battista Aleotti, da Ferrara, a un marchese Bentivoglio (Ippolito?), a Modena (e segnalata a chi scrive da Andrea Marchesi), si apprende che questo nobile ferrarese aveva fatto realizzare allo Scarsellino un’Annunciazione per la chiesa di S. Maria oltre il ponte di Castel Tedaldo, la cui edificazione iniziò nel 1597.

L’artista eseguì poco dopo la Decollazione del Battista (Ferrara, Collezioni dell’ASP - Centro servizi alla persona) per Antonio Nigrelli, al quale il 5 aprile 1603 era stato conferito un altare in S. Giovanni Battista (Novelli, 2008, p. 298).

Nel 1605 si collocano la Natività della Vergine della collegiata di S. Maria Maggiore a Pieve di Cento, dipinta per Alessandro Mastellari (Cavicchi, 1972), la Madonna del Rosario per la chiesa arcipretale di Bondeno (Bottoni, 1897) e l’Ultima Cena per il refettorio delle monache di S. Guglielmo a Ferrara (Brisighella, 1704-1735 circa, 1991, p. 256).

L’anno seguente Ippolito chiese e ottenne da Cesare d’Este l’uso gratuito di due ambienti in castello, già adibiti a cucine da Lucrezia d’Este duchessa d’Urbino, che aveva in affitto come studio (Baracchi, 1996, p. 163). Eseguì per la chiesa di S. Domenico di Modena la distrutta Madonna in trono fra i ss. Francesco d’Assisi e Giorgio (Campori, 1855), mentre nel 1607 mise mano alla Natività della Vergine per la cappella privata di Cesare. Sempre su mandato del duca, tra il 1606 e il 1607, realizzò con Carlo Bononi e Giovan Andrea Ghirardoni copie degli sfondati di palazzo dei Diamanti (Ghelfi, 2011, pp. 246 s.). La stessa équipe, con l’aggiunta di Cesare Cromer e Giacomo Bambini, duplicò i lacunari e le Storie di Enea dei Dossi della via Coperta (Venturi, 1882, pp. 115 s.).

Negli stessi anni, Scarsellino realizzò in duomo per il vescovo Giovanni Fontana una cappella con le Storie dei ss. Ambrogio e Geminiano (distrutta); per i cardinali legati eseguì copie per rimpiazzare i dipinti inviati a Roma (Lapierre, 2013), compito che gli diede modo di rimeditare sui grandi del Cinquecento ferrarese giovandosene per la sua successiva produzione. Gli giunsero commissioni anche dai nuovi ordini religiosi che si insediarono a Ferrara, come le cappuccine di Venezia, che fondarono S. Chiara, consacrata il 3 febbraio 1609, per il cui altare maggiore realizzò l’Adorazione dell’Eucarestia (Guarini, 1621, p. 167).

Durante il soggiorno ferrarese di Federico Zuccari, nel gennaio-aprile 1609, Ippolito lo accompagnò insieme a Giovanni Andrea Ghirardoni e Giovan Paolo Grazzini sull’Isola a Pontelagoscuro (Zuccari, 1609, 2007). Non è escluso che i due si fossero conosciuti sul cantiere dell’oratorio della Scala, dove Zuccari dipinse una Resurrezione e lo Scarsellino un’Adorazione dei Magi.

Morti i suoi fratelli Girolamo e Francesco, Ippolito si fece carico (1610) del nipote Francesco e lo instradò alla pittura. Nel 1617 rimise un debito del conte Ippolito Giglioli per due dipinti di soggetto ignoto: in cambio il nobile ferrarese condusse Francesco con sé a Roma come aiutante (Baruffaldi, 1697-1730, II, 1846, pp. 80-83).

Il 16 aprile 1610 l’abate di S. Benedetto ricordò al duca Cesare le diposizioni testamentarie del padre Alfonso, rimaste inattese. A tal fine lo Scarsellino fu incaricato di eseguire un’Assunta (distrutta nel 1944 dai bombardamenti), i cui pagamenti si protrassero fino all’ottobre 1615 (Novelli, 2005). Sempre al 1610 risale la commissione da parte di Barbara Turchi Pio di Savoia delle Nozze di Cana per il refettorio dello stesso monastero, oggi nella Pinacoteca nazionale di Ferrara (Faoro, in corso di pubblicazione).

Non ci sono prove di un viaggio del pittore a Roma, dove intrecciò comunque relazioni con gli esponenti più influenti del clero e della nobiltà, ai quali inviò molte opere, prevalentemente di soggetto mitologico. Mancini, uno dei maggiori conoscitori del tempo, espresse grande apprezzamento per le sue opere, tanto da definirlo uno «de’ meglio mastri che vi siono [sic] in Italia» (1617-1621 circa, I, 1956, pp. 244 s.); fornisce inoltre informazioni sui collezionisti del pittore e ne ricorda in particolare l’amicizia con Clemente Merlini, decano della Sacra Rota romana (Spezzaferro, 1983; Morandotti, 1997).

Nel 1615 Ippolito realizzò per volontà del committente, morto il 20 febbraio, la pala con i Ss. Michele Arcangelo, Giacomo e il ritratto di Alessandro Mastellari (Gozzi, 1985).

Il poeta bresciano Giulio Cesare Gigli ricordò lui e il padre Sigismondo, «quasi moderni Dossi», ne La pittura trionfante (1615, 1996, pp. 52 s.) a riprova della fama di cui Ippolito godette tra i contemporanei, che lo considerarono il pittore «migliore di Ferrara» (lettera di Giustinano Masdoni a Cesare d’Este del 16 aprile 1610; Novelli 2005, p. 16). Allo stesso anno risale la commissione da parte di Cesare d’Este della pala per la sua cappella privata in castello a Modena, raffigurante la Sacra Famiglia con i ss. Barbara e Carlo Borromeo (Dresda, Gemäldegalerie; Venturi, 1882, p. 172).

L’inventario dei beni di Vincenzo Guerrieri Gonzaga a Mantova registra nel 1617 un suo perduto ciclo di tele di soggetto astronomico-mitologico, di notevole interesse (L’Occaso, 2005).

Nel 1618 Ippolito Bentivoglio, dopo aver preso iniziali contatti con Ludovico Carracci, affidò allo Scarsellino l’esecuzione di un’Assunta, ma non è noto se l’opera fosse realizzata (Fioravanti Baraldi, 1987).

Nel febbraio 1620 l’artista terminò con mesi di ritardo una delle sue ultime opere, la Lavanda dei piedi per il cardinale Alessandro d’Este a Tivoli (Venturi, 1882, p. 173). Il 26 marzo fece testamento presso il notaio Giulio Cesare Cattanei; tra le disposizioni spicca il lascito di cento disegni, da scegliere tra quelli dello studio, al nipote Francesco, prova che Ippolito fu anche prolifico disegnatore, un aspetto della sua opera che resta pressoché insondato. Durante la sua agonia, l’allievo Camillo Ricci inviò richiesta al duca (23 ottobre) di subentrare al maestro nell’uso del suo studio (Novelli, 1964, p. 26).

Non si conosce con esattezza la data di morte dell’artista, ma sappiamo che il 28 ottobre lo Scarsellino, «pictor celeberimus [sic]», fu sepolto nella chiesa ferrarese di S. Maria di Bocche (Novelli, 2008, p. 361). Il giorno precedente era stato redatto dal notaio Paolo Carrara, su istanza dei curatori testamentari, i conti Luigi e Alessandro Rossetti, l’inventario dei beni del pittore (Vicentini, 2012).

Fonti e Bibl.: F. Zuccari, Il passaggio per l’Italia (1609), a cura di A. Ruffino, Lavis 2007, p. 121; G.C. Gigli, La pittura trionfante (1615), a cura di B. Agosti - S. Ginzburg, Porretta Terme 1996, pp. 52 s.; G. Mancini, Considerazioni sulla pittura (1617-1621 circa), a cura di A. Marucchi - L. Salerno, I, Roma 1956, pp. 244 s.; A. Superbi, Apparato degli huomini illustri della città di Ferrara, Ferrara 1620, pp. 127 s.; M.A. Guarini, Compendio historico dell’origine, accrescimento e prerogative delle chiese e luoghi pij della città e diocesi di Ferrara, Ferrara 1621, pp. 121 s., 167; G. Baruffaldi, Vite de’ pittori e scultori ferraresi (1697-1730), I, Ferrara 1844, p. 193, II, 1846, pp. 65-107; C. Brisighella, Descrizione delle pitture e sculture della città di Ferrara (1704-1735 circa), a cura di M.A. Novelli, Ferrara 1991, passim; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati estensi, Modena 1855, p. 437; L.N. Cittadella, Bondeno e la sua chiesa arcipretale, Ferrara 1856, pp. 32 s.; F.I. Papotti, Annali o memorie storiche della Mirandola, in Memorie storiche della città e dell’antico Ducato della Mirandola, III, 1, Dal 1500 al 1673, Mirandola 1876, pp. 186 s.; A. Venturi, La Regia Galleria Estense di Modena, Modena 1882, passim; A. Bertolotti, Artisti bolognesi, ferraresi ed alcuni altri del già Stato Pontificio in Roma nei secoli XV, XVI e XVII. Studi e ricerche tratte dagli archivi romani, Bologna 1885, p. 67; A. Bottoni, Le chiese di Bondeno, in Atti e memorie della Deputazione provinciale ferrarese di storia patria, s. 1, IX (1897), p. 18; M.A. Novelli, Lo Scarsellino, Bologna 1955, pp. 42 s.; Ead., Lo Scarsellino, Ferrara 1964; E. Cavicchi, Il Cristo di Pieve, Bologna 1972, p. 214; L. Spezzaferro, Ferrara-Roma 1598-1621: un rapporto di indirette coincidenze, in Frescobaldi e il suo tempo (catal., Ferrara),Venezia 1983, pp. 113-128; F. Gozzi, Scheda, in Catalogo dei dipinti. La Pinacoteca civica di Pieve di Cento, a cura di R. D’Amico - F. Gozzi, Bologna 1985, pp. 73 s.; A.M. Fioravanti Baraldi, Un’«Assunta» di Ludovico Carracci per i Bentivoglio. Documenti inediti dell’Archivio Bentivoglio di Ferrara, in Il Carrobbio, XIII (1987), pp. 164-167; G. Marcolini - G. Marcon, Appendice documentaria, in L’impresa di Alfonso II. Saggi e documenti sulla produzione artistica a Ferrara nel secondo Cinquecento, a cura di J. Bentini - L. Spezzaferro, Bologna 1987, pp. 25-69; O. Baracchi, Arte alla corte di Cesare d’Este, in Atti e memorie. Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 11, XVIII (1996), pp. 153-193; A. Morandotti, Scarsellino tra ideale classico e maniera internazionale, in Arte a Bologna, IV (1997), pp. 27-48; V. Romani, Per Bastianino. Le pale di San Paolo e un “Libro” di disegni del Castello Sforzesco, Cittadella 2001, pp. 22 s.; M.L. Menegatti, Documenti per la storia dei camerini di Alfonso I (1471-1634). Regesto generale, in Il camerino delle pitture di Alfonso I, a cura di A. Ballarin, III, Cittadella 2002, p. 130; V. Lapierre, Nel segno del leone, in V. Lapierre - M.A. Novelli, La storia di Negro Sole Re del lito moro. Un esempio ritrovato della narrazione pittorica dello Scarsellino, Ferrara 2004, pp. 9-53; S. L’Occaso, Margherita Gonzaga d’Este: pitture tra Mantova e Ferrara intorno al 1600, in Atti e memorie dell’Accademia nazionale virgiliana, n.s., LXXIII (2005), pp. 120-123; M.A. Novelli, Repliche e ricordi. Rivive in San Benedetto l’Assunta dello Scarsellino, Ferrara 2005, pp. 17 s.; Ead., Scarsellino, Ferrara 2008; B. Ghelfi, Pittura a Ferrara nel primo Seicento. Arte, committenza e spiritualità, Ferrara 2011, passim; C. Vicentini, L’inventario dei beni di I. S. da Ferrara, “Paolo de’ Ferraresi”, in Rivista d’arte, s. 5, II (2012), pp. 289-324; V. Lapierre, Scarsellino copista tra devozione e collezionismo, in Immagine e persuasione. Capolavori del Seicento dalle chiese di Ferrara (catal., 2013-2014), Ferrara 2013, pp. 41-47; A. Faoro, Per la storia sociale dei pittori operanti a Ferrara tra il 1570 e il 1630, in Nell’età di Bononi. Atti del Convegno XX settimana di Alti studi rinascimentali, in Schifanoia, in corso di pubblicazione; V. Lapierre, Spigolature d’archivio: artisti e committenti per le chiese di San Paolo e Santa Caterina Martire a Ferrara, ibid., in corso di pubblicazione.

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