SAVOIA SOISSONS, Eugenio di

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91 (2018)

SAVOIA SOISSONS, Eugenio di

Paola Bianchi

SAVOIA SOISSONS, Eugenio di. – Nacque, quintogenito, a Parigi il 18 ottobre 1663 da Eugenio Maurizio di Savoia Soissons (v. la voce in questo Dizionario) e da Olimpia Mancini (v. la voce in questo Dizionario).

La madre, coinvolta in uno scandalo e perciò esiliata nei Paesi Bassi, lasciò il piccolo Eugenio alle cure della zia Ludovica Cristina del Baden e della nonna paterna Maria di Borbone Soissons, in realtà troppo coinvolte nella vita di corte per occuparsi direttamente del nipote, che fu di fatto affidato al personale di servizio presso palazzo Soissons, ricevendo comunque un’educazione domestica degna della migliore aristocrazia. Grazie, in particolare, a un precettore quale Joseph Sauveur (1653-1716), sviluppò l’interesse per le matematiche e le scienze, condividendo i primi programmi di studio con i paggi del Delfino di Francia. L’acquisizione di una salda cultura umanistica consentì al principe di leggere e comprendere gli autori latini. Si sa che, da adulto, parlava disinvoltamente il francese e l’italiano; conosceva meno bene il tedesco, che utilizzava, però, dettando ai suoi segretari.

La formazione giovanile era stata, dunque, vicina al clima vivace della corte parigina, mantenendo anche i tratti di una tradizionale educazione cavalleresca. Al centro di tale pedagogia, volta a formare la mente e il corpo d’un gentiluomo, erano le arti dell’equitazione, del volteggio, della danza, della scherma, della musica, accanto allo studio dell’italiano e del francese, della cosmologia (un misto di geografia e cronologia universale), dell’arte della blasoneria, dei rudimenti di disegno, matematica e geometria.

La famiglia lo aveva destinato, in realtà, a una carriera ecclesiastica. A quindici anni egli, perciò, ricevette la tonsura. All’epoca, i futuri alti ecclesiastici si formavano in modo non molto dissimile da quello previsto per chi avrebbe abbracciato il mestiere delle armi. L’aspetto fisico di Eugenio, che non vantava una complessione erculea, lo collocava, inoltre, apparentemente, lontano da un destino di guerra, e la corporatura del ‘piccolo abate’ lo avrebbe connotato in tutte le raffigurazioni, anche le più auliche. Il suo exploit militare, del resto, non fu casuale, coincidendo con quello di altri alti ufficiali dell’epoca. Elementi di distinzione nella sua biografia furono, semmai, la rapidità della sua ascesa e la continuità del suo ruolo.

Nel mese di luglio del 1683 Eugenio lasciò la Francia, dove Luigi XIV non aveva risposto positivamente alla sua richiesta d’ingresso fra le truppe, decisione sulla quale molte pagine sono state scritte, imputando al re francese una miopia fatale per il suo Stato. Non bisogna, però, caricare di significati nazionalistici (come è stato compiuto soprattutto da parte austriaca e tedesca) l’approdo a Vienna del giovane e la futura lunga fedeltà agli Asburgo prestata dal comandante. Allo stesso modo non va semplificata la sua figura identificandola con quella del grande condottiero italiano prestato provvidenzialmente ad altri Stati (come è piaciuto credere agli storici nazionalisti nostrani). La situazione e la rete delle parentele favorirono la sua affermazione, caratterizzata sicuramente (per quanto non a seguito di una pura scelta deliberata) da una lunga condotta filoasburgica, ma anche da un costante e forte senso di appartenenza alla linea dinastica sabauda. L’appoggio economico del cugino Vittorio Amedeo II di Savoia e dello zio Emanuele Filiberto Amedeo di Savoia Carignano (v. le voci Vittorio Amedeo II di Savoia e Savoia, Emanuele Filiberto Amedeo in questo Dizionario) fu, fra l’altro, importante negli esordi del giovane militare.

Il coinvolgimento della madre nel cosiddetto scandalo dei veleni (nato in seno alla corte francese e trascinatosi dagli anni Settanta agli anni Ottanta in una serie di processi e di condanne a carico di diversi esponenti dell’élite caduti nella rete dell’avventuriera parigina Catherine Deshayes, nota come la voisin) aveva pesato certamente sulla non risposta da parte di Luigi XIV, il quale, peraltro, saputo della fuga di Eugenio con il cugino Luigi Armando I di Borbone Conti, li fece richiamare in Francia, ottenendo però il solo rientro di Conti.

L’incalzare delle vicende belliche decise il resto. Rimasto solo dopo il ritorno in Francia del principe di Conti, Eugenio si avvalse dei rapporti della sua famiglia già radicati nell’Impero. Alla corte di Leopoldo I d’Asburgo, al cospetto del quale giunse il 20 agosto 1683, era stato preceduto, infatti, con successo, dal fratello maggiore Luigi Giulio (1660-1683), che era stato posto a capo di un corpo di dragoni fino alla battaglia in cui, a Petronel, contro i turchi che minacciavano Vienna, il 7 luglio 1683 era caduto ferito: sarebbe scomparso cinque giorni dopo. Sarebbe stato, secondo alcuni, proprio alla notizia della morte di Luigi Giulio che Eugenio decise di accorrere a Vienna. Da luglio la città si trovava accerchiata dall’esercito turco. Accolto a fine agosto come volontario aggiunto alle forze imperiali guidate dai cugini Luigi di Baden e Massimiliano Emanuele di Baviera, visse il battesimo del fuoco a fianco del re di Polonia Jan Sobieski, nella battaglia di Vienna del settembre dello stesso anno. In dicembre fu nominato colonnello del reggimento dragoni Kufstein, ribattezzato, in quell’occasione, reggimento dragoni di Savoia: primo vero passo che gli consentì di garantirsi una buona fonte di reddito e di onori. Da allora fu un continuo inanellarsi di aspri combattimenti, ma Eugenio doveva ancora consolidare il suo potere personale, che non tardò a concretarsi. Promosso aiutante di campo al servizio del comandante supremo delle truppe imperiali Carlo V di Lorena, cognato dell’imperatore, nel 1685 diventò maggior generale e membro di diritto dello stato maggiore.

Un viaggio a Madrid nel 1686, in vista di un matrimonio e di un accasamento in Spagna auspicati dalla madre, avrebbe potuto interrompere la continuità del servizio agli Asburgo d’Austria; ma, a quanto risulta, la prospettiva sfumò, a causa dell’opposizione di Vittorio Amedeo II di Savoia, nelle cui truppe il giovane Eugenio si era pure offerto di entrare. Fu dunque per una serie di circostanze, non per una pura vocazione, che il principe restò sotto le insegne del ramo imperiale degli Asburgo. Nel 1687, nella campagna contro i turchi a Mohács, guadagnò il grado di luogotenente generale (feldmarschall-lieutenant). Nel 1688 partecipò, sotto il comando dell’elettore di Baviera Massimiliano II, all’assedio e alla conquista di Belgrado, ricevendo una palla di moschetto a una gamba. Per tutta la vita avrebbe continuato a comandare i suoi eserciti a cavallo e con la sciabola in pugno, condividendo i pericoli con i suoi soldati e riportando qualcosa come tredici ferite: un impatto certamente traumatico su un corpo apparentemente esile, ma in realtà addestrato alla fatica con costanza e caparbietà. Nel 1689, a capo di tre reggimenti di cavalleria, fu sul Reno con le truppe imperiali opposte all’esercito di Luigi XIV. Nel 1690, anno in cui giunse in Italia settentrionale in soccorso di Vittorio Amedeo II, che si era alleato agli Asburgo contro i francesi nella guerra della Lega d’Augusta, arrivò al grado di generale di cavalleria, mentre nel 1693 a quello di maresciallo di campo (feldmarschall).

Le gazzette europee avevano già iniziato a seguire con attenzione il principe, e così sarebbe stato, di lì in avanti, nel corso delle principali vicende della sua vita. Fra le pagine più assidue, a darne notizie erano le Lettres historiques, stampate nelle Province Unite. Nel 1692 una malattia di Vittorio Amedeo II aveva fatto temere la sua morte, senza che il duca fosse in grado di assicurare una successione diretta. Sulle pagine delle Lettres historiques fu puntualmente diffusa la notizia che il duca di Savoia aveva fatto testamento nominando suo erede Vittorio Amedeo di Carignano, il figlio bambino di Emanuele Filiberto Amedeo il Muto, e «regent» il principe Eugenio «pendant la minorité» del piccolo Carignano (Décembre, 1692, p. 628). Nel 1693 la stessa gazzetta annunciava il «train magnifique» che aveva accompagnato Eugenio a Bruxelles in visita alla madre Olimpia che, trasferitasi là dal 1680, vi aveva fatto costruire la Maison de la Bellone, trasformandola nella propria abitazione, dove visse sino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1708 (Avril, 1693, p. 462).

In Piemonte, dal 1690, agli ordini del maresciallo imperiale Antonio Carafa, Eugenio combatté per sei anni con alterne fortune, coinvolto nelle sconfitte subite a Staffarda e a Orbassano (1693), ma portando a termine anche brillanti operazioni contro alcune fortezze piemontesi occupate dai francesi.

Nel 1696 Vittorio Amedeo II uscì dal conflitto, stipulando con la Francia un trattato di pace. Riprendeva, però, sul fronte imperiale, la guerra contro i turchi, che avevano riconquistato Belgrado spingendosi sino in Ungheria. Gli imperiali erano stati posti sotto il comando dell’elettore di Sassonia Federico Augusto I, che fu affiancato da Eugenio. Salito al trono di Polonia, Federico Augusto gli passò presto la guida dell’esercito, con cui, per quanto inferiore di numero rispetto a quello nemico, nel 1697 Eugenio, presso Zenta, riuscì a concludere una spregiudicata azione attaccando di sorpresa i turchi e mettendoli in fuga. L’operazione gli consentì di inseguire i nemici sino alle porte di Sarajevo, sferrando un nuovo attacco in territorio bosniaco, finché nel 1699 le armi furono messe a tacere dai trattati siglati nella pace di Carlowitz.

Le campagne successive, quelle della guerra di successione spagnola, erano destinate a sancire la fama militare europea di Eugenio, aprendogli la strada a una serie d’importanti incarichi politici e diplomatici. Scoppiato il conflitto nel 1701, si era ricostituita una grande alleanza antifrancese fra Austria, Inghilterra, Paesi Bassi e alcuni Stati dell’Impero. La Francia, alleata alla Spagna e alla Baviera, perse nel 1703 l’alleato sabaudo, che rientrò quell’anno nell’alveo dello schieramento filoasburgico. Sceso in Italia, Eugenio si scontrò con i francesi sconfiggendoli nel 1701 a Carpi e a Chiari e bloccandoli nel 1702 a Luzzara. Nel 1703 divenne presidente del Consiglio aulico di guerra, che sovrintendeva all’attività militare dell’Impero. L’unione fra direzione amministrativa della guerra e comando diretto sul campo contribuì non poco ai suoi successi.

Dall’interno di quel Consiglio, fino alla sua morte, Eugenio ebbe modo di misurare i limiti dell’esercito imperiale, operando con interventi temporanei su alcune disfunzioni che iniziavano a risultare stridenti rispetto ai piani di battaglia. Il gettito dei finanziamenti, le strutture di rifornimento, l’organizzazione logistica non facevano ancora riferimento a uffici centralizzati controllati dallo Stato. Il sistema degli appalti e la venalità delle cariche costituivano una lucrosa consuetudine per chi possedeva reggimenti e li metteva al servizio di una complessa potenza come la macchina imperiale. Eugenio si sforzò di eliminare i sovrannumerari, cercò di contenere gli abusi, organizzò il corpo del genio.

Nel 1704, accanto a un compagno d’armi come John Churchill primo duca di Marlborough, con cui stabilì un’intesa rara, con effetti stupefacenti agli occhi degli stessi contemporanei, sconfisse i franco-bavaresi nella grande battaglia di Blenheim, sul Danubio superiore: forse la battaglia d’annientamento migliore fra quelle combattute dal principe. Domate le insurrezioni in Baviera, che era stata riportata alla fedeltà verso gli Asburgo dopo l’iniziale schieramento con le forze franco-spagnole, Eugenio rientrò ancora in Italia nel 1705, dove raccolse, a fianco del cugino Vittorio Amedeo II, una delle sue più note vittorie contro i francesi nella battaglia di Torino del 7 settembre 1706, contribuendo a fermare l’avanzata della Francia in territorio italiano. Nel 1707 partecipò, a Tolone, a un’incursione antifrancese voluta dall’alleato inglese.

Nominato nel 1707 governatore di Milano, carica che mantenne fino al 1716, gestì la difficile fase del passaggio dello Stato milanese dal governo spagnolo a quello austriaco. Stesso compito, dal 1716 al 1724, ma per interposta persona (avendo scelto di essere rappresentato, significativamente, dal piemontese Ercole Turinetti di Priero), gli sarebbe toccato nei Paesi Bassi, da poco annessi all’Impero. Da Tolone, le operazioni militari proseguirono nelle Fiandre. Nel 1708 Eugenio sconfisse, accanto a Marlborough, le truppe francesi del duca di Vendôme e del duca di Borgogna a Oudenaarde, assediando ed espugnando la città di Lilla. L’anno successivo, ancora a fianco di Marlborough, vinse nella battaglia di Malplaquet. All’inizio del 1714 fu Eugenio a condurre, a nome dell’Impero, le trattative di pace con la Francia che avrebbero portato agli accordi siglati a Rastadt, mentre l’Inghilterra e le altre potenze avevano già concluso nel 1713 la pace a Utrecht, dove pure Eugenio fu presente.

Le pressioni turche, tuttavia, non erano cessate. Nel 1714 si riaprì questo delicatissimo fronte. Gli ottomani, infatti, avevano dichiarato guerra alla Repubblica di Venezia, alleata all’Austria, violando i patti siglati a Carlowitz e avvicinandosi alle postazioni controllate da Eugenio nei pressi di Petervaradino, dove, con una nuova audace sortita, il comandante imperiale riuscì a riportare una netta vittoria nel 1716. Liberata, lo stesso anno, la regione del Banato ed espugnata la fortezza di Temesvar, nel 1717 Eugenio marciò su Belgrado, che strappò ai turchi dopo un fortunato assedio. Tornato a Vienna, ricevette, in quell’annus mirabilis, gli onori di una vittoria che fu il coronamento della sua carriera militare attiva. In segno di riconoscenza, l’imperatore gli donò una spada tempestata di diamanti, mentre probabilmente uno dei soldati bavaresi che avevano preso parte alla battaglia compose la famosa canzone a lui dedicata: Das Prinz-Eugen Lied.

Chiusa la pace di Passarowitz (1718), con cui l’Austria ottenne dalla Sublime Porta il Banato, Belgrado, la Serbia settentrionale, la Valacchia e alcuni territori circostanti, ebbe il compito di gestire alcuni delicati nodi nella politica estera imperiale. Nel 1726 concluse un’alleanza con la Russia e la Danimarca. Due anni dopo fu l’artefice del riavvicinamento della Prussia all’Impero e della ripresa degli accordi con l’Inghilterra.

Autonomamente rispetto alla condotta dovuta nell’ambito della corte imperiale, Eugenio non aveva mai interrotto i contatti con Torino. Non si trattava di una semplice riconoscenza per quanto Vittorio Amedeo II aveva fatto per lui nel periodo del difficile trasferimento a Vienna, un aiuto che era stato altrettanto se non più importante della protezione offertagli dai cugini Luigi Guglielmo di Baden e Massimiliano Emanuele elettore di Baviera: alla radice del rapporto con Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III di Savoia era il ruolo di capi della Casa rivestito da questi sovrani, che il principe non smise mai di riconoscere. Non casualmente, quando dal 1731 Eugenio iniziò complicate trattative per organizzare il matrimonio del nipote, Eugenio di Soissons duca di Troppau (1714-1734), con la principessa Maria Teresa Cybo, si sottomise all’approvazione di Carlo Emanuele III. Le trattative avevano ambiziosamente mirato a creare un secondo Stato sabaudo nell’Italia centrale, da affidare al governo del nipote; ma la prematura e improvvisa morte di questi vanificò il piano e lo stesso matrimonio. Pur potendo ormai facilmente sciogliere ogni vincolo formale verso il ramo sabaudo regnante, Eugenio non aveva, inoltre, cessato di usare i titoli di marchese di Saluzzo e di abate commendatario di S. Michele della Chiusa, di cui si fregiò dal 1688 alla morte.

Come dimostra la celebre statua di Balthazar Permoser, realizzata fra 1718 e 1721 (l’Apoteosi di Eugenio di Savoia, Barock Museum, Vienna, Belvedere), il principe Eugenio era fiero di essere indicato come «F. Eugenius Sabaud. et Pedemont. Princeps Marchio Salut.»; sulla statua, i titoli imperiali venivano dopo.

Scoppiata la guerra di successione polacca, sul fronte opposto a quello scelto da Casa Savoia, il principe, ormai settantenne, fu ancora incaricato del comando supremo delle truppe imperiali sul fronte del Reno (1734). La morte gli impedì, però, di partecipare alle successive operazioni in questo nuovo conflitto di portata continentale.

Spentosi nel sonno il 21 aprile 1736, il suo corpo fu sottoposto ad autopsia alla presenza dei più illustri medici e chirurghi presenti a Vienna. Gli Asburgo presero il lutto e ordinarono solenni funerali. Nella camera ardente, allestita nello Stadtpalais in Himmelpfortgasse, la salma fu esposta per tre giorni, durante i quali le campane di tutte le chiese viennesi suonarono a lutto. Il corteo che portò il feretro nel sepolcro, che era stato predisposto nel duomo di S. Stefano, partì dall’anticamera del suo palazzo viennese sfilando fra la folla con i simboli degli onori raccolti in vita dal generale: la berretta con l’Ordine del Toson d’oro, di cui Eugenio era stato insignito da Carlo II di Spagna, il famoso bastone del comando, la berretta e la spada che aveva ricevuto in dono dal pontefice. Gli ufficiali della Cancelleria di guerra, i membri del Consiglio aulico, i cavalieri del Toson d’oro, i ministri di Stato, con la famiglia imperiale e il seguito della nobiltà dell’Arciducato d’Austria furono tutti uniti nella cerimonia. L’orazione funebre fu pronunciata dal gesuita Franz Peikhart, poi il corpo fu calato nella cappella del Crocifisso e seppellito vicino alle tombe dei fratelli maggiori Luigi Tommaso e Luigi Giulio, entrambi caduti in battaglia combattendo nell’esercito imperiale.

La struttura del catafalco di Eugenio utilizzato durante le esequie si può ammirare, riallestita, all’Heeres-geschichtliches Museum di Vienna, dove sono esposti anche la corazza, la spada e il bastone del comando, oggetto non comune in quanto provvisto al suo interno di un raffinato sistema di lenti che lo trasformavano, in caso di bisogno, in un efficace telescopio.

È significativo che nel giugno 1736 solenni esequie furono celebrate anche in duomo a Torino, dove a tenere l’orazione funebre fu padre Salvator Baldovino. Le versioni tradotte di questo tipo di testi, fra cui la nota orazione del nunzio a Vienna Domenico Passionei, edita per la prima volta a Padova nel 1737, conobbero varie ristampe, aprendo la via a una fitta serie di biografie e di storie delle campagne di guerra del principe.

Le tappe della carriera militare non avevano esaurito, tuttavia, le occasioni di richiamo rappresentate dalla biografia del principe, anche se ne costituirono l’aspetto immediatamente più noto. La sua attività va, infatti, ricordata anche per il peso politico e diplomatico, e per il ricco retroterra culturale. Dedicandogli il trattato Della tragedia (Napoli 1715), fu Gian Vincenzo Gravina a inaugurare tempestivamente la doppia celebrazione dell’uomo dedito alle arti della guerra non meno che a quelle della pace e delle leggi. Diversamente da altri strateghi, Eugenio non fu un teorico della guerra: non lasciò trattati scritti di suo pugno. Si limitò a praticare il mestiere delle armi, ma con tale successo da essere presto additato come un eroe. Sul campo non fu un vero innovatore; si distinse, semmai, per una condotta fuori dagli schemi canonici, venendo criticato da taluni per aver sfruttato tecniche alla croata o all’ussara. L’impiego della cavalleria leggera, rapida da spostare e dirompente nei suoi assalti improvvisi, gli diede, di fatto, ragione in tante vittorie, che non nacquero da pura improvvisazione o fortuna, quanto da un grande intuito e da una pignola volontà nel conoscere le forze del nemico.

Se è difficile ascrivere la sua personalità al clima delle origini dell’Illuminismo, è certo consono alle tracce lasciate dalla sua grande curiosità, dal suo mecenatismo e dalla sua voracità di collezionista considerarlo uno dei più significativi esponenti di quell’élite cosmopolita che fu attratta dai fermenti della cultura a cavallo fra due secoli, innervata da un’impronta libertina. Tollerante in ambito religioso, dimostrò rispetto anche verso la civiltà musulmana, a giudicare dal fatto che nella sua biblioteca fossero presenti alcuni codici di provenienza islamica. A dispetto del destino che in origine la famiglia aveva immaginato per lui, le figure ecclesiastiche (tranne quelle investite di funzioni diplomatiche come il cardinale Alessandro Albani o il nunzio a Vienna Domenico Passionei) non furono tra i suoi intimi. Eugenio diede protezione, piuttosto, ad alcune più o meno note figure eterodosse, fra cui è il caso di citare almeno l’avventuriero francese Claude-Alexandre de Bonneval (attratto dal principe nell’esercito austriaco prima che fuggisse al servizio ottomano convertendosi all’islam) e il libero pensatore Jean-Baptiste Rousseau (che diventò suo poeta di corte).

I contatti con varie corti e vari ambienti della sociabilità aristocratica alimentarono le occasioni per l’affinamento dei gusti del principe. I palazzi che si fece edificare, la biblioteca, le collezioni d’opere d’arte ne sono prova evidente.

Nel 1694-95 Eugenio aveva acquistato un appezzamento di terreno per far edificare quello che sarebbe stato lo Stadtpalais, nel centro di Vienna, dopo aver vissuto per un decennio in affitto presso Carlo Emanuele d’Este marchese di Borgomanero, ambasciatore spagnolo e, insieme, feudatario sabaudo. La costruzione iniziò nel 1696, affidata all’architetto Johann Bernhard Fischer von Erlach (1656-1723), allora fra i più famosi, influenzato dal gusto italiano dei palazzi romani; in corso d’opera, Eugenio preferì poi guardare ai modelli francesi facendo modificare i progetti originari e assumendo al proprio servizio l’ingegnere militare e architetto civile Johann Lukas von Hildebrandt (1668-1745), che aveva conosciuto in Piemonte nelle campagne militari contro i francesi e che divenne suo primo architetto, costruendo per lui non solo il Belvedere, ma anche le sue residenze di campagna: il castello di Ráckeve, nell’isola di Csepel, sul Danubio (1700), la tenuta Bilje oggi in Croazia (nei primi del Settecento), il padiglione di Obersiebenbrunn (1725) e il castello di Schlosshoff (1725) nella pianura del Marchfeld che si estende lungo il Danubio a est di Vienna.

L’edificio più noto, il Belvedere, sorse su un terreno precedentemente poco edificato e già teatro d’occupazione turca nella cintura viennese. I lavori iniziarono nel 1712, anche se lo spazio, acquistato nel 1697, aveva dato origine fin dal 1704 a progetti di terrazzamento. Al contrario di altri ‘palazzi in villa’ viennesi, costruiti con appartamenti su un piano rialzato, il Belvedere inferiore introdusse a Vienna il modello della dimora suburbana a pian terreno, a diretto contatto con i giardini, su esempio del Trianon di Versailles. Nel 1717 – l’anno della vittoria a Belgrado e dell’apertura a Vienna di un’accademia, destinata a ingegneri militari, sorta dietro sua istanza, per suggerimento del grande Gottfried Wilhelm von Leibniz – iniziò l’edificazione del Belvedere superiore, in forma di tipica villa viennese rialzata, con doppia scala interna e diversi appartamenti, fra cui le stanze di una preziosa biblioteca, di una sala da gioco, una sala da caffè e una galleria di quadri.

Oltre che strumento di affermazione aristocratica e luogo di sociabilità, questi edifici svolsero una concreta funzione politica. Nel palazzo di città di Vienna Eugenio, come presidente del Consiglio aulico di guerra, riceveva infatti le delegazioni straniere: destò attenzione l’accoglienza riservata a quella turca, in varie occasioni (1711, 1714, 1719, 1720, 1727). Mete per molti viaggiatori, le residenze di Eugenio spiccarono per la loro fama, abbellite da preziose quadrerie, soprattutto di scuola italiana e fiamminga.

Il palazzo viennese fu ceduto nel 1738 dall’unica erede, Vittoria di Savoia Soissons, all’imperatore Carlo VI, causando la scomparsa dell’archivio del principe, conservato presumibilmente nelle stanze di quella dimora. Né la corte viennese si fece sfuggire l’occasione di acquistare anche la straordinaria biblioteca e l’altrettanto eccezionale collezione grafica. La complessa vicenda dell’acquisto, da parte di Carlo Emanuele III di Savoia, della quadreria viennese, terminata con l’arrivo a Torino nel 1741 delle preziose raccolte oggi conservate presso la Galleria Sabauda, fu invece accompagnata e documentata dal carteggio (pubblicato nel 1886 da Alessandro Baudi di Vesme) tra l’ambasciatore sabaudo a Vienna Luigi Girolamo Malabaila di Canale e il potente ministro piemontese Carlo Vincenzo Ferrero d’Ormea.

Un inventario manoscritto dei beni, steso poco dopo la morte di Eugenio e accompagnato da una relazione datata 24 ottobre 1736, inviato dall’ambasciatore inglese a Vienna Thomas Robinson al segretario di Stato britannico William Stanhope, probabilmente copia di un originale perso, è stato rinvenuto nei National Archives di Londra e pubblicato da Leopold Auer e Jeremy Black nel 1985. Nel 1737 fu compilato un altro elenco della quadreria che fu stampato in pochi esemplari, tutti dispersi, oggi conosciuto per la pubblicazione in tedesco che ne fece Joseph von Retzer (Gemäldesammlung des Prinzen Eugen von Savoyen in Wien, in Miscellaneen artistischen Innhalts, 1783, 15, pp. 152-168); tale elenco è quello che accompagnò la vendita della collezione giunta a Torino.

Eugenio si era inserito nel mercato dell’arte sfruttando alcune importanti conoscenze maturate in ambiente militare e diplomatico. Wirich Philipp von Daun, il generale austriaco con cui aveva condiviso a Torino la campagna del 1706, divenuto viceré di Napoli, seguì, per esempio, per lui, nella città partenopea le commissioni ai pittori Francesco Solimena e Giacomo del Po. A Roma i rapporti con l’archeologo e collezionista Francesco de’ Ficoroni e soprattutto con i cardinali Alessandro Albani e Silvio Valenti Gonzaga gli fruttarono l’acquisto di sculture, marmi e libri. A Milano, dove era stato governatore, fu in contatto con il pittore Giovanni Saglier. Nelle Fiandre e nei Paesi Bassi, da dove proveniva il prezioso nucleo di pittura fiamminga e olandese delle sue collezioni, ebbe certamente alcuni informatori, tra cui forse lo stesso Turinetti di Priero che lo sostituì come rappresentante in quel governatorato.

Fonti e Bibl.: Nell’Haus-Hof und Staatsarchiv di Vienna, va segnalato il fondo Grosse Korrespondenz, in cui circa 150 mazzi contengono corrispondenza rivolta a Eugenio in italiano, francese e tedesco. In Archivio di Stato di Torino, Corte, Casa Reale, Lettere principi, è consultabile parte dell’epistolario con la corte torinese. Molta corrispondenza con sovrani, funzionari e militari è stata peraltro pubblicata in F. Heller, Militärische Korrespondenz des Prinzen Eugen von Savoyen, Wien 1848, e in Feldzüge des Prinzen Eugen von Savoyen, Wien 1876-1892, ed è stata citata nelle principali biografie.

In vita o immediatamente dopo la morte del principe, comparvero in tutta Europa molte opere biografiche e descrittive delle campagne militari, fra cui: P. Massuet, Histoire de la dernière guerre, et des négotiations pour la paix, enrichie des cartes nécessaires. Pour servir de suite à l’histoire de la guerre presente. Avec la vie du Prince Eugène de Savoye, Amsterdam 1714 e 1736, poi London 1739; J. Dumont - J. Rousset de Missy, Histoire militaire du prince Eugène de Savoie, du prince et duc de Marlborough, et du prince de Nassau-Frise, où l’on trouve un détail des principales actions de la dernière guerre et des batailles et sièges commandez par ces trois généraux, I-III, La Haye 1729-1747; S. Kleiner, Wunderwürdiges Krieges und Siegs Lager des unvergleichlichen Heldens unserer Zeiten oder Eigentliche Vor und Abbildungen der Hofflust und Garten-Gebäude des Dl Fürsten und Herrn Prinz Eugenii Francisci Herzogen von Savoyen, Augsburg 1731; J. Sanvitale, Vita e campeggiamenti del Serenissimo Principe F. E. di Savoia, supremo comandante degli eserciti cesarei e dell’Imperio, Venezia 1738; E. de Mauvillon, Histoire du Prince Eugène de Savoie, Généralissime des Armées de l’Empereur et de l’Empire, I-V, Wien 1745 (trad. it. a cura di V. Cigna Santi, Torino 1789); G. Ferrarius, De rebus gestis Eugenii Principis a Sabaudia bello pannonico libri III, Roma 1747; C.-J. de Ligne, Memoirs of Prince Eugene of Savoy (trad. ingl. di W. Mudford, London 1811, dall’ed. originale francese, Paris 1810). La principale biografia ottocentesca resta A. von Arneth, Prinz Eugen von Savoyen: Nach den handschriftlichen Quellen der kaiserlichen Archive, I-III, Wien 1858. In tedesco va segnalato anche M. Braubach, Prinz Eugen von Savoyen, I-V, Wien 1963-1965. In italiano: Divisione storica militare dell’I. e R. Archivio di guerra austro-ungarico di Vienna, Campagne del principe E. di S., ed. fatta tradurre da Umberto I di Savoia, 20 voll., 16 atlanti, Torino 1889-1902; I. Jori, E. di S.: 1663-1736, I-II, Torino 1933, da confrontare con Principe E. di S.: la campagna d’Italia del 1706, a cura di P. Pieri, Roma 1936, per il bicentenario della morte. In edizione bilingue, italo-tedesca: Principe E. di S. (1663-1736) nel 250º anniversario della morte. Atti del Simposio... 1986, Merano 1988. In inglese costituisce un discreto approccio alla complessità del personaggio D. McKay, Prince Eugene of Savoy, New York-London 1977 (trad. it. con prefazione di G. Ricuperati, Torino 1989). Sull’evoluzione delle interpretazioni del personaggio, P. Del Negro, E. di S.: la fortuna italiana del principe tra Sei e Settecento, in 1706. L’ascesa del Piemonte verso il Regno, Torino 2007, pp. 53-72; P. Bianchi, E. di S. Il profilo europeo e le icone del principe guerriero, in Le raccolte del principe E. condottiero e intellettuale. Collezionismo tra Vienna, Parigi e Torino nel primo Settecento, a cura di C.E. Spantigati, Milano 2012, pp. 13-26; G. Ricuperati, Mars onhe Venus? E. di S. fra libertinaggio e libertinismo, tra maschile e femminile, in Rivista storica italiana, CXXV (2014), 3, pp. 742-787. Sui palazzi, le collezioni e le vendite post mortem: A. Baudi di Vesme, Sull’acquisto fatto da Carlo Emanuele III re di Sardegna della quadreria del principe E. di S. Ricerche documentate, in Miscellanea di storia italiana, s. 2, XXV (1887), pp. 163-256; C.E. Spantigati, Vecchie e nuove precisazioni sulla quadreria del principe E. di S, in Conoscere la Galleria Sabauda. Documenti sulla storia delle sue collezioni, Torino 1982, pp. 17-51; L. Auer-J. Black, Ein neuentdecktes Inventar der Gemäldesammlung Prinz Eugens, in Mitteilungen des Österreichischen Staatsarchivs, 1985, n. 38, pp. 331-346; U. Seeger, Nuove ricerche sugli acquisti fatti da Carlo Emanuele III re di Sardegna nelle collezioni d’arte appartenute al principe E. di S., in Studi piemontesi, XXXI (2002), 2, pp. 321-339; Ead., Stadtpalais und Belvedere des prinzen Eugen: entstehung, gestalt, funktion und bedeutung, Wien 2004; C. Diekamp, La galleria del principe E. di S. nel Belvedere Superiore a Vienna. Storia e ricostruzione, in Torino 1706. Memorie e attualità dell’Assedio di Torino del 1706 tra spirito europeo e identità regionale, a cura di G. Mola di Nomaglio - R. Sandri Giachino, II, Torino 2007, pp. 741-799; P. Coen, Il mercato dei quadri a Roma nel diciottesimo secolo. La domanda, l’offerta e la circolazione delle opere in un grande centro artistico europeo, I, Firenze 2010, pp. 95 s., pp. 148-154; S. Comoglio, E. di S., condottiero collezionista. Nuovi documenti dagli archivi viennesi, in Studi piemontesi, XXXIX (2010), 2, pp. 109-116; Le raccolte del principe E. condottiero e intellettuale, cit.; V. Feola, Libri, manoscritti, amici, sentimenti: uno sguardo nel mondo intellettuale e morale del Principe E. di S., in Rivista storica italiana, CXXV (2014), 3, pp. 788-822. Sui progetti di Eugenio intorno al matrimonio del nipote G. Sforza, Il principe E.F. di S., conte di Soissons, e il suo fidanzamento con Maria Teresa Cybo, duchessa di Massa, in Miscellanea di storia italiana, s. 3, XIII (1909), pp. 360-448; A. Merlotti, Savoia e Asburgo nel XVIII secolo: due progetti per un secondo Stato sabaudo nell’Italia imperiale (1732, 1765), in Le corti come luogo di comunicazione. L’Italia e gli Asburgo (secc. XVI-XVIII), a cura di M. Bellabarba - J.P. Niederkorn, Bologna-Berlino 2010, pp. 216-224.

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