STRATI, Saverio

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1981)

STRATI, Saverio

Giuseppe Antonio Camerino

Scrittore, nato a Sant'Agata del Bianco (Reggio Calabria) il 16 agosto 1924. Collaboratore di varie riviste, esordisce col volume di racconti La marchesina (1956, premio Villa San Giovanni) al quale segue La Teda (1957) in cui riflette, non senza allusioni autobiografiche (da giovanissimo lo scrittore dovette guadagnarsi da vivere come muratore e contadino), la crisi d'identità della civiltà rurale meridionale, il destino di uomini privati di un'autentica prospettiva di liberazione sociale e morale, alla quale pure i suoi personaggi, a differenza di quanto avviene in Verga e nella tradizione verista, non desistono di sperare e credere. Tali motivi tornano in Tibi e Tascia (1959; premio Veillon 1960), dove s'incontra anche un'analisi dell'animo infantile, e in Mani vuote (1960), in cui l'emigrazione si rivela come un riscatto illusorio. Nelle opere seguenti (Avventure in città, 1962, e Il nodo, 1965) S. accentua la sua problematica meridionalista e le sue pagine ci riconducono in buona misura al filone neorealista dell'immediato dopoguerra. Nel volume di racconti Gente in viaggio (1966, in cui riappare il già pubblicato testo di Avventure in città) egli non esita inoltre a proiettare su un più vasto orizzonte geografico e storico la vicenda narrata (si pensi al racconto Gianni Palaia di Melissa). Un cenno a parte merita Il codardo (1970), storia di un intellettuale calabrese che, emigrato in una città del Nord, si mostra incapace di scegliere definitivamente tra la vecchia civiltà contadina, di cui il padre è un esponente inconfondibile, e la civiltà cittadina. Ma proprio perché lo scrittore intende interpretare il conflitto interiore e psicologico del personaggio con motivazioni collocate nella stessa contraddittoria storia della società meridionale, finisce per compromettere l'efficacia narrativa, né riesce a risolvere adeguatamente nella rappresentazione artistica gli umori polemici. Il rapporto padre-figlio affiora in modo più evidente in Noi lazzaroni (1972), romanzo che ha per protagonista un muratore (ancora l'allusione autobiografica) e in cui lo scrittore intende denunciare, alle soglie degli anni Settanta, la mancata realizzazione del riscatto del Sud. Dopo È il nostro turno (1975), ha visto la luce Il selvaggio di Santa Venere (1977, premio di selezione Campiello) che attraverso i protagonisti di tre generazioni - nonno, padre e figlio - tenta una sintesi storica del destino meridionale, confermando inoltre i caratteri stilistici venuti alla luce a partire dalle sue prime prove: in particolare, l'essenzialità dei dialoghi e delle frasi, l'asprezza della sintassi (col ricorso, talvolta, agli anacoluti) e la ricerca della parola dialettale, corposa e ruvida, che tende ad armonizzarsi con i toni di un linguaggio più elevato. Ultimo, in ordine di tempo, è apparso il volume Il visionario e il ciabattino (1978), dove S. in due lunghi racconti di tono assai diverso tra loro sembra voler riprendere il tema delle difficoltà e delle contraddizioni nei rapporti generazionali: nel primo un emigrato ripercorre la sua vita così carente e squilibrata negli affetti; nel secondo sono narrati gl'inconsci terrori che attanagliano un pittore affermato.

Bibl.: L. Baldacci, in Letteratura, nov.-dic. 1957; N. Palumbo, in Il ponte, genn. 1958; C. Salinari, in Vie nuove, 12 dic. 1959 e 18 febbr. 1961; G. Lagorio, in Il ponte, maggio 1961; C. Salinari, in L'Unità, 31 luglio 1965 e 4 ott. 1966; P. Crupi, Saverio Strati e la letteratura d'invenzione sociale, Vibo Valentia 1971; id., in Letteratura italiana. I contemporanei, VI, Milano 1974; G. Manacorda, in Storia della letteratura italiana contemporanea (1940-1975), Roma 1977; A. Barberis, in Corriere della sera, 5 giugno 1977.

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